L’espressione antitetica in Aby Warburg
La polarità semantica dei gesti dalle Pathosformeln all’arte del Rinascimento
Giulia Bordignon
English abstract
A partire dal XIV secolo gli artisti cominciarono a utilizzare nelle proprie opere immagini tratte dalle vestigia dell’antichità: sarcofagi, frammenti di statue, monete, strutture architettoniche e iscrizioni; reimpiegati nell’arte rinascimentale, questi elementi avevano in primo luogo la funzione di citazioni.
Il riuso dei ‘prototipi’ antichi nel Rinascimento si basava dunque certamente sul fatto che essi erano considerati come modelli insigniti dell’auctoritas derivante dalla classicità, ma non solo. D’altro canto non è neppure possibile affermare che gli artisti riutilizzassero le immagini di origine classica conservando sempre la consapevolezza del loro originario significato iconografico. Pittori e scultori intendevano piuttosto isolare, astraendoli dal loro contesto, figure particolarmente espressive e gesti caratteristici.
Il primo studioso che riconobbe che il riuso dei modelli antichi era dettato soprattutto dalla valenza espressiva delle singole figure e dei gesti è stato forse Aby Warburg. Secondo Warburg “la scultura antica ha avuto l’effetto accademico di un manuale illustrato della espressione intensificata dell’uomo patetico” (WARBURG [1914] 1996). Agli artisti del Rinascimento soprattutto interessava la carica espressiva delle figure classiche, capaci di veicolare con i loro movimenti intensificati “esperienze dell’emotività umana nell’intera gamma della sua tragica polarità dall’atteggiamento passivo della sofferenza fino a quello attivo della vittoria” (Mnemosyne. Einleitung Warburg [1929] 2002; Warburg [1929] 2003; Bordignon 2000). Tali immagini, sopravvissute in virtù della loro energia gestuale come patrimonio ereditario nella memoria culturale, si configurano come vere e proprie Pathosformeln: le formule di pathos risultano comunque riemergenti nella pratica artistica occidentale.
Ma secondo lo studioso la modalità e il senso dell’uso dei modelli antichi andavano indagati in maniera ancora più approfondita. Nell’inverno del 1888, mentre era ancora studente a Firenze, Warburg s’imbatté nel libro di Charles Darwin, The Expression of Emotions in Man and Animals, che era stato pubblicato qualche anno prima a Londra. Le osservazioni di Darwin, nelle quali il biologo inglese ricorda le origini animali istintive della gestualità umana, includono anche il principio dell’“espressione antitetica”, secondo il quale a stimoli emotivi opposti corrispondono opposti movimenti corporei. Questo concetto ha una grande importanza per la comunicazione delle emozioni: secondo Darwin, finché gli esseri umani non padroneggiarono la postura eretta e l’applicazione intenzionale della forza corporea, non poterono sviluppare, per esempio, “il gesto antitetico di stringersi nelle spalle, come segno di impotenza o di pazienza” (Darwin [1872] 1999).
Warburg applica il principio darwiniano dell’“espressione antitetica” alla storia della vita postuma delle antiche formule di pathos, ma ne ribalta il significato. Nel delineare una “diagnosi” per immagini dell’homo occidentalis, lo studioso chiarisce come alcune Pathosformeln tratte dalla classicità siano sottoposte nella loro trasmissione a un processo di polarizzazione del senso. Tale polarizzazione può variare l’originaria portata semantica del modello figurativo fino a giungere a esiti espressivi opposti, di totale “inversione energetica”, pur mantenendone sostanzialmente inalterata l’identità formale:
Attraverso scostamenti all’apparenza del tutto insignificanti nella rappresentazione delle movenze e del volto, si viene radicalmente trasformando l’intera dinamica psicologica nella rappresentazione del tipo umano. Il gesto compiuto nell’antico bassorilievo dai demoni naturali, divinità subordinate e impaurite dal lampo, ancora si radica nelle pratiche rituali, ma è tale gesto, dopo essere stato trasmesso attraverso le incisioni italiane, a creare l’immagine di un’umanità liberata che ormai sicura di sé si muove alla luce del sole (Warburg [1929] 1998).
La figura semidivina che in un sarcofago pagano “leva estaticamente adorante il capo verso le meraviglie dell’alto” come anelito di redenzione per la propria fisicità sub-olimpica, nell’incisione del Rinascimento maturo si volge a dialogare con l’osservatore terreno della scena, e diviene così il simbolo “di un’abbandono senza paura alla bontà e alla bellezza primigenie della natura”, sino a trasformarsi nel Déjeuner sur l’herbe di Manet nell’uomo che, come la “ninfa francese” accanto a lui, “guarda con occhi saldamente energici fuori del quadro” (Warburg [1929] 1998).
Per Warburg l’arte moderna esprime i suoi nuovi valori spirituali svincolandosi dall’ineluttabile prepotenza della manifestazione del sacro (nel sarcofago antico l’epifania celeste che avoca a sé lo sguardo in verticale dei demoni e degli uomini) e proponendo quindi, nella versione di Manet, lo sguardo ‘orizzontale’ della “ninfa” e del suo compagno. Ma questa emancipazione non implica il rifiuto del lessico figurativo tratto dagli esempi antichi: anzi, l’arte moderna dimostra la capacità di cogliere il mandato della tradizione, accettandone e rielaborandone l’alfabeto gestuale in nuove forme, dotate di nuovo significato: l’opera moderna è tanto più persuasiva quanto più riesce a esprimere, superandolo, il contrasto insito nel dialogo tra il vincolo di fedeltà formale al modello antico e la libertà di reinterpretazione semantica nella copia.
Così l’atteggiamento di fuga e di difesa della statua ellenistica del Pedagogo dei Niobidi, diviene nel Rinascimento il portamento eroico del giovane David che lancia il sasso: “la medesima posizione delle gambe, il medesimo gesto della mano, il medesimo panneggio fino al particolare della svolazzante cocca del mantello” accomunano le figure, ma l’espressione del volto “paurosamente eccitato” del personaggio biblico (Warburg [1914] 1996), creata ex novo dall’artista rinascimentale (la statua antica, precisa Warburg, fu rinvenuta senza testa; sull’errore del maestro riguardo alla data di ritrovamento vedi la nota di Bing, già commentata da Monica Centanni (Centanni 2003), conferisce alla postura del corpo un significato affatto opposto a quello originario.
Analogamente, l’archetipo figurativo della figura femminile incedente dalle vesti mosse, ninfa o menade coscienziosamente imitata dai rilievi antichi, è in grado di esprimere “quella vita che anima la Giuditta o Raffaele che accompagna Tobiolo o la Salomè danzante” (Warburg [1914] 1996): la medesima intensa vitalità che anima il modello antico si declina in figure che incarnano di volta in volta la saldezza morale del giustiziere, la salvazione dell’anima, la seduzione mondana.
Ernst Gombrich, nella sua Biografia intellettuale ha motivato questo processo di ‘inversione’ con una assimilazione a un contesto “più affine agli ideali cristiani" (Gombrich [1970] [1983] 2003). Warburg esemplifica come “un’inversione del senso energetico” avesse trasformato “il pathos imperiale in pietà cristiana” (Warburg [1929] 2002): l’immagine di Traiano al galoppo che travolge un barbaro viene interpretata in età medievale come l’episodio in cui l’imperatore ferma il cavallo dinanzi a una vedova il cui figlio è stato travolto dal corteo imperiale; l’impeto della formula figurativa del “travolgere cavalcando”, colto nell’istantanea di marmo del rilievo romano, appare, agli occhi degli osservatori medievali e poi rinascimentali, come potenza trattenuta per pietà.
Ma l’utilizzo dei gesti antitetici nell’arte del Rinascimento è qualcosa di più dell’adattamento dei modelli antichi da parte dell’artista a un diverso sistema di valori etico-religiosi. Salvatore Settis ha affermato che “la ‘necessità biologica’ della produzione artistica, il suo legame con i più profondi livelli della natura umana”, offre uno strumento migliore “per spiegare il fenomeno della sopravvivenza dell’antichità” (Settis 1997). Scriveva Warburg:
“Caratterizzare la restituzione dell’Antico come risultato di un’emergente coscienza fattuale storicizzante e di un’empatia artistica consapevolmente libera, resta un evoluzionismo descrittivo insufficiente se non si compie al contempo il tentativo di scendere nel profondo intrico istintuale di spirito umano e materia stratificata acronologicamente” (Warburg [1929] 2002; traduzione di chi scrive).
Edgar Wind, uno dei più sensibili discepoli di Warburg, ha continuato le ricerche iniziate dal maestro nel territorio liminare di una storia psicologica per immagini dell’espressività umana. Scrive Wind:
“Ogni espressione generata dal movimento muscolare è metaforica e sottende la polarità del simbolo: quanto più l’eccitamento spirituale liberato nell’espressione è forte, quanto più è concentrato, tanto più il movimento simbolico si avvicina a quello fisico. […] Quanto più l’eccitamento è debole, quanto più è blando, tanto più il movimento mimico è ritardato. […] Ogni gesto espressivo, a seconda che venga accelerato o ritardato oppure che, nel punto critico dell’arresto, venga deviato dalla sua direzione, può trasformarsi da un gesto di avvicinamento ad uno di allontanamento, da un gesto di presa e di egoistica appropriazione in uno di abbandono e di liberazione, da un atto di persecuzione e di vittoriosa sopraffazione in uno di esitazione e di magnanimo perdono” (Wind [1931] 1998).
Nell’articolo La Menade sotto la croce Wind sottolinea come l’intensità stessa dei gesti, il grado della loro energia espressiva, provochi l’enfasi emotiva “antitetica”; lo studioso cita in proposito un’osservazione di Joshua Reynolds:
“È curioso osservare, ed è certamente vero, che gli estremi di passioni contrarie sono espressi con poca variazione dalla stessa azione” (citato in Wind [1937] 2002).
Il linguaggio gestuale delle figure ellenistico-romane privilegia proprio l’accentuazione patetica dei gesti, e a questo ‘repertorio’ di formule di pathos si sono rivolti gli artisti del primo Rinascimento: la gestualità fobica, indifferentemente pagana o cristiana, oscilla nelle sue manifestazioni tra gli estremi opposti dell’esaltazione e dell’annichilimento. Scrive Warburg:
“I dinamogrammi dell’arte antica sono lasciati in retaggio in uno stato di tensione massima ma non polarizzata, rispetto alla carica energetica attiva o passiva, all’artista che può reagire, imitare o ricordare. È solo il contatto con la nuova epoca a produrre la polarizzazione. Questa può portare a un radicale rovesciamento (inversione) del significato che essi avevano nell’antichità classica” (citato in Gombrich [1970] [1983] 2003).
Un’immagine come quella della menade, così carica di energia espressiva, è un ‘marcatore’ che riemerge e risalta nei meccanismi di tradizione culturale, delineando della tradizione l’andamento di discontinuità e riallineamento continui. Allo stesso tempo le più intense esperienze emotive dell’uomo, già impresse geneticamente nella sua memoria biologica, riemergono nella potenza della loro polarità antitetica e si esprimono trasmettendosi nella memoria culturale sotto forma di creazione artistica.
Riferimenti bibliografici
- Bordignon 2000
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English abstract
In 1888 Warburg read Charles Darwin’s The expression of Emotions in Man and Animals. The scientific principle of “antithetical expression” contained in the text would in due course be applied by Warburg to certain formulas of pathos re-emerging in Renaissance art: according to Warburg the ancient formulas of pathos underwent a process of inversion by which the same bodily posture could express extremes of opposite emotions.
keywords | Aby Warburg; pathosformeln; antithetical expression; expression of emotions
Per citare questo articolo: G. Bordignon, L’espressione antitetica in Aby Warburg. La polarità semantica dei gesti dalle Pathosformeln all’arte del Rinascimento, “La Rivista di Engramma” n.32, aprile 2004, pp. 7-17 | PDF