La storia dell’arte libera la testa?
Recensione a: Giovanni Agosti, Su Mantegna I, Feltrinelli, Milano 2006
Daniele Pisani
La temperie di Su Mantegna I è una palpabile insofferenza nei confronti dell'attuale stato della storia dell'arte, e in particolare dell'abdicare della disciplina al ruolo nodale che aveva avuto nella cultura italiana per ridursi a uno specialismo tra i tanti, a un andito angusto, ammuffito e claustrofobico. Convinzione di Giovanni Agosti, come dichiarano la quarta di copertina e il sottotitolo, è invece che "la storia dell'arte libera la testa".
Affrontando un tema come l'opera di Mantegna, lo storico dell'arte avvertito non può permettersi di volgere sull'oggetto indagato uno sguardo libero e 'innocente': "purtroppo – afferma Agosti – lo sguardo vergine su Mantegna non è più possibile: è lui stesso a richiedere un metodo di studio, fatto di strati e di svincoli, di su e giù tra le scale mobili del gusto e dei tempi, di cronologie parallele, di incontri a non finire con gli scrittori di ogni epoca, al crocevia delle arti... Ogni reazione innocente, allora, non può che essere volontaria, un accecamento da adulti"; ogni attuale analisi su Mantegna non può pertanto trattenersi dal fare "adeguatamente i conti con la sua secolare fortuna storica". Un libro su Mantegna si trasforma così in un libro sulla fortuna storiografica dell'artista, in cui le considerazioni sull'opera pittorica sono sommerse sotto a montagne di erudizione; del resto, come osserva l'autore, "dell'erudizione non si può fare a meno, oggi più che mai, perché 'fuori del limbo non c'è eliso'".
Su Mantegna – prima delle due parti previste di un'opera che raccoglie una serie di articoli già apparsi su "Prospettiva" – assume così quasi la forma di una continua digressione. Dopo una breve "Storia di Mantegna", in cui viene ripercorsa la carriera del pittore, i sette capitoli che compongono il libro ne affrontano la fortuna critica (per arrestarsi, al momento, a metà Seicento) con il supporto di un'enorme massa di note ("cascate erudite") traboccanti di indicazioni bibliografiche: "i testi – osserva Agosti – sono bardati da un corredo esorbitante di note: a tratti possono sembrare quasi dei cassetti rovesciati, con un po' di violenza, come da chi ha fretta di traslocare e non vuole perdere tempo; in altri momenti invece ci si sofferma anche sulle vecchie cartoline, cercando di identificarne i mittenti e le date dei bolli. Da qui emergono indicazioni di provenienze, rettifiche iconografiche, attribuzioni, spogli di repertori e di inventari e di carteggi...: qualche volta le cose più importanti stanno lì giù, rischiando di generare sconcerto nel lettore accademico. Le note sono in ogni modo la sala macchine che fa funzionare il lavoro; se non ci si vuole sporcare, si può rimanere sul ponte a passeggiare o fare un giro al bar".
Quel che più caratterizza Su Mantegna è però il tono di Agosti, in cui sono mescolati e si susseguono a breve distanza erudizione e ricordi personali, acribia e mere predilezioni individuali – talvolta al limite del solipsismo –, il ricorso alla terminologia tecnica e un'accentuata propensione per il linguaggio 'basso'. "Accanto alle linee di fuga, che diventano i motivi conduttori intrecciati, c'è spazio – come in aree di servizio – per cortometraggi, bordate polemiche e qualche ricordo personale".
Nel suo complesso, pertanto, Su Mantegna tende a presentarsi come un monstrum, una costruzione bislacca nonostante l'innegabile rigore dei singoli passaggi. Non si tratta, sia ben chiaro, di un esito indesiderato, tanto è vero che è Agosti stesso a parlare del "carattere episodico e fluviale della forma immaginata". Rigore e infrazione costituiscono anzi i poli entro cui oscilla l'intero lavoro. L'infrazione è portata a un genere letterario, il saggio di storia dell'arte, nei cui confronti Agosti manifesta una palese insofferenza, pari a quella mostrata nei confronti della disciplina tutta; il rigore è quello di uno storico dell'arte che, nonostante tutto, si sente di derogare alle convenzioni disciplinari per principio, forse nella forma, ma non certo nella sostanza. Da un lato, così, la storia dell'arte sta stretta ad Agosti, terribilmente stretta anzi, ed egli cede volentieri alla tentazione di irriderla e di corroderne l'ingessata seriosità; dall'altro, forte dell'assunto che la storia dell'arte libera la testa, egli si limita a compiere infrazioni tali da non mettere sino in fondo in discussione l'oggetto criticato. Per rinnovare quel decrepito dinosauro che è, a suo giudizio, la storia dell'arte, Agosti lo irrora di ironia come di più o meno criptici riferimenti letterari; ma tale rinnovamento rimane di superficie, quasi si trattasse di ostentare le puntuali scalfitture inferte a una costruzione che resta, ancora, tutta accademica e anzi, visto l'esuberante apparato di note, addirittura iper-accademica. L'infrazione, come spesso accade, sembra rivelare soprattutto la preoccupazione di mettere alla prova, ma alla fine pure di mantenere in vita, l'oggetto che prende di mira.
Del resto, se la storia dell'arte è oggi marginale, lo è per ragioni profonde; l'insofferenza dello specialista, da sola, non basta certo a mutare le cose. Tanto meno se essa produce monstra indigesti – intenzionalmente indigesti, beninteso – come Su Mantegna. Al fatto che il mondo della storia dell'arte sia "troppo piccolo" l'ultima fatica di Agosti si ribella, incapace però di rifondare la grandezza della disciplina di riferimento. In questa tensione consistono i meriti e, al contempo, i limiti di Su Mantegna.