Galleria dei ritratti di Isabella d'Este: un aggiornamento*
Guida alla Galleria dei Ritratti di Isabella d’Este
a cura di Lorenzo Bonoldi
English abstract
Così, nel 1501, Mario Equicola descriveva Isabella d’Este nel suo De Mulieribus:
Corpus quadratum neque gracile neque obesum; subflavus capillus; niger oculus clarus et nitidus; tranquillas illas atque micantes ocularum faces coronans superciliorum arcus; nasus venustissime deductus; plenior et ruboris plena lactea facies; lactea dentium compago; teres ex lato pectore surgens collum, arctior cum cingula sit, minimusque zonae orbis; manus oblunga et succi plena; totiusque corporis habitudo profecto longe lateque supra mortalem ostentat.
[Di solida corporatura, né esile né obesa; biondo chiaro i capelli; neri gli occhi, luminosi e penetranti: a quei lumi sereni e scintillanti fa da corona l’arco delle sopracciglia; bellissimo il profilo del naso; il candido viso è tondeggiante e perfuso di rossore; candida la chiostra dei denti; snello si erge il collo dall’ampio petto, mentre la cintura è stretta e ridottissimo il giro di vita; le mani affusolate, morbide, carnose; nel complesso i lineamenti e l’atteggiamento rivelano caratteri certamente di gran lunga superiori ai mortali].
Lo studio della ritrattistica isabelliana presenta numerose difficoltà. Infatti la fortuna iconografica della figura di Isabella è, sotto molti aspetti, diametralmente opposta a quella di Giovanni VIII Paleologo: mentre l’effigie del penultimo Basileus Rhomaion perse l’identità del proprio nome per diventare il ‘tipo iconografico’ del monarca orientale, il nome di Isabella, nel corso di cinque secoli, fu abbinato a ritratti di molte altre dame del Rinascimento italiano, fra cui non mancano figlie, nuore e cognate della stessa Marchesa di Mantova.
Leonardo da Vinci, Gian Cristoforo Romano, Tiziano, Lorenzo Costa. Sono questi alcuni degli artisti a cui Isabella, decretata dalle fonti coeve “prima donna del mondo”, affidò il compito di raffigurare non solo quella che lei definiva come “l’effigie nostra”, ma anche le sue qualità morali ed intellettuali, rese in figura sulla base dei canoni di una fisiognomica simbolica ben codificata.
Nome illustre, ma escluso dal novero dei ritrattisti isabelliani, è quello di Andrea Mantegna, pittore ‘ufficiale’ della corte di Mantova, a cui fu concesso di raffigurare la Marchesa solo allegoricamente nelle tele dello Studiolo. Isabella infatti, dopo la prova mal riuscita di un ritratto mantegnesco fatto distruggere perché il pittore “ne ha tanto mal facta, che non ha nessuna delle nostre simiglie”, non volle mai più farsi ritrarre dall’artista. L’interdetto lanciato da Isabella fu ferreo: la Marchesa si rifiutò di posare anche per la grande pala votiva nota come la Madonna della Vittoria, dove avrebbe dovuto comparire in ginocchio accanto al marito Francesco II Gonzaga.
Il caso del Mantegna ben dimostra l’importanza e il valore che Isabella conferiva alla sua immagine che, dipinta su tela, scolpita nel marmo o fusa in metallo costituiva spesso un dono prezioso, apprezzato e di frequente richiesto, con il quale omaggiare le corti d’Italia e d’Europa.
Fu quindi Isabella stessa a dare inizio al processo di mitizzazione e mistificazione della propria immagine. Inoltre, spinta dall’insofferenza ai lunghi tempi di posa necessari per la realizzazione dei ritratti, la Marchesa di Mantova adottò ben presto l’espediente di farsi ritrarre in absentia, facendo copiare e adattare proprie effigi già esistenti. Esemplare sotto questo punto di vista è la vicenda del ritratto commissionato da Isabella sessantenne a Tiziano, a cui la Marchesa chiese di essere ritratta in giovane età sul modello di un ritratto di Francesco Francia. Già durante la vita di Isabella, quindi, esistevano copie di ritratti che giungevano fino al terzo grado di lontananza dal modello reale.
Lo stesso cartone di Leonardo (di cui, peraltro, documenti d’archivio coevi attestano almeno tre esemplari), preparato fra il 1499 e il 1500, dipende con ogni probabilità dalla medaglia realizzata l’anno prima da Gian Cristoforo Romano.
Dalla stessa medaglia deriva un ennesimo ritratto in absentia di Isabella d’Este: un rilievo marmoreo fatto eseguire a Messina nel 1506 da Eleonora Del Balzo-Orsini marchesa di Cotrone (l’odierna Crotone).
Dopo la morte di Isabella (1539), il processo di moltiplicazione dei suoi ritratti fu portato avanti dai suoi discendenti, che, spinti dal desiderio di glorificazione dinastica, commissionavano copie, a volta adattate, dei ritratti dei propri avi (è il caso del ritratto della collezione di Ambras e di quello eseguito da Rubens da un originale tizianesco).
Nel XVII secolo, con la dispersione delle collezioni Gonzaga e la conseguente interruzione della memoria familiare, il nome di Isabella cominciò a esser abbinato ad altri ritratti femminili. La figura storica della Marchesa, infatti, era così celebre che qualsiasi ritratto femminile che possedesse una minima somiglianza con essa (somiglianza peraltro spesso limitata all’abbigliamento o all’acconciatura) assumeva la qualifica di “ritratto di Isabella d’Este”.
Celebre il caso del ritratto di Margherita Paleologo, conservato ad Hampton Court. Per il semplice fatto di indossare la capigliara (l’acconciatura a ciambella ideata da Isabella che ebbe una larghissima diffusione per tutto il Cinquecento), la consorte di Federico II Gonzaga venne scambiata fino a qualche anno fa per la più illustre suocera.
La capacità della figura di Isabella d’Este di appropriarsi delle effigi di altre dame del Rinascimento trova ulteriore conferma nel tentativo di alcuni studiosi di identificare il ritratto della Marchesa di Mantova eseguito da Leonardo (mai terminato o terminato ma mai consegnato) con il più celebre fra i ritratti leonardeschi dal soggetto non ancora identificato: la Gioconda.
È da sottolineare che questo processo di ‘assorbimento’ trovò un terreno particolarmente fertile nel mondo del collezionismo privato: proprio in virtù della notorietà della Marchesa, un ritratto di Isabella d’Este valeva molto di più di un qualsiasi altro ritratto femminile. Un celebre esempio è quello di Isabella Stewart Gardner, la grande mecenate di Boston che soleva spesso paragonarsi alla Marchesa sua omonima, e che, nel 1896, sborsò una cifra considerevole per acquistare – dietro caldo consiglio di Bernard Berenson – un presunto ritratto di Isabella d’Este. Per quanto concerne le sue epifanie più recenti, la figura di Isabella d’Este è sottoposta alle più alterne vicende.
Innanzitutto è da segnalare che esiste una vera e propria lotta fra il tipo dell’Isabella leonardesco con i capelli scesi sulle spalle – a cui si accomuna la tipologia numismatica in profilo – e quello tizianesco con la capigliara.
Questo conflitto cominciò nel 1888, quando Charles Yriartre pubblicò un articolo sul periodico parigino “Gazzette des Beux-Arts”, nel quale metteva in relazione il “ritratto a grandezza naturale di una giovane donna vista di busto”, acquistato nel 1860 dal Louvre, con il “retratto al carbone”, eseguito da Leonardo, menzionato nel carteggio di Isabella d’Este.
Tale identificazione trovò il suo più accanito avversario in Alessandro Luzio che in due articoli, apparsi uno nello stesso anno e uno nel 1913, contestò fortemente l’ipotesi e compilò un regesto dei ritratti della Marchesa di Mantova. Tale regesto decretò la fortuna iconografica del tipo ‘Isabella con capigliara’.
Un’eco di questa temperie si ritrova nel busto in stucco eseguito da Clinio Lorenzetti attorno al 1929. Tale opera venne realizzata in occasione del restauro della Sala dei Marchesi del Palazzo Ducale di Mantova, con l’intento di rimpiazzare un busto in stucco, opera di Francesco Segala, andato perduto. Modello per Lorenzetti fu il disegno “con capigliara” conservato agli Uffizi, oggi attribuito al Bachiacca, che il Luzio identificava con il ritratto di Isabella “al carbone” eseguito da Leonardo.
Nella seconda metà del XX secolo, in seguito ad un indebolimento dell’auctoritas del Luzio, l’iconografia leonardesca desunta del cartone conservato al Louvre cominciò a trovare sempre maggior impiego.
Nel 1967 una scultura del professor Sabbadini, plasmata sul modello del cartone del Louvre e del ritrattino di Ambras, vinceva un concorso indetto dal Comune di Mantova. Anche in quest’opera, così fedele a modelli isabelliani ‘sicuri’, si avverte un sintomo della tendenza a scambiare nomi, sembianze e ‘attributi’ delle Signore di Mantova: nella collana che orna il collo del busto si riconosce infatti un riferimento al profilo scolpito da Luca Fancelli su un fregio di camino raffigurante Margherita di Wittelsbach, suocera di Isabella d’Este e Marchesa di Mantova prima di lei.
Nel 1971 Renato Castellani, nel suo film sulla vita di Leonardo, utilizzava entrambe le iconografie isabelliane. Ovviamente, però, essendo il lungometraggio dedicato alla vita del Da Vinci, è il tipo desunto dall’opera di questo artista a trovare maggior evidenza e, nell’ultima inquadratura in cui compare la Marchesa di Mantova, il regista arriva a citare direttamente la propria fonte, rifacendo il cartone del Louvre in una sorta di tableau vivant.
Nel 1989 una ditta mantovana sceglieva il nome e l’effigie di Isabella d’Este (questa volta desumendola dalla medaglia di Gian Cristoforo Romano) per una linea di biancheria per la casa.
Nel medesimo torno d’anni alla figura della Marchesa di Mantova veniva dedicato un ciclo pittorico in stile naïf, che, accanto ai modelli iconografici del cartone di Leonardo e della medaglia di Gian Cristoforo Romano, utilizzava come fonte letteraria il romanzo di Maria Bellonci Rinascimento Privato (1986).
La commistione fra la figura di Isabella d’Este e quella delle altre Signore di Mantova si è manifestata recentemente in un’inquadratura del film di Ermanno Olmi Il Mestiere delle Armi (2000), in cui si ritrova una sua ‘cammeo appearence’. Questa volta è Barbara di Brandeburgo, la marchesa di Mantova immortalata da Andrea Mantegna nella Camera Picta (Camera degli Sposi), a prestare postura e acconciatura a Isabella.
Nuove epifanie cinematografiche di Isabella sono attese nel prossimo futuro (2003): si stanno infatti girando ben due film sulla famiglia Borgia: Borgia, una produzione americana per la regia di Neil Jordan, e Lucretia Borgia, un lungometraggio prodotto dalla casa francese Studio Canal.
Con due membri di questa famiglia, il rapace Cesare e l’infida Lucrezia, Isabella spesse volte ebbe a confrontarsi. È quindi pressoché certo che entro poco tempo la figura della Marchesa di Mantova approderà nuovamente sul grande schermo. Non sono ancora noti i nomi delle attrici che la interpreteranno (il ruolo di Lucrezia sarà affidato invece a Christina Ricci e Monica Bellucci): non è quindi possibile fare nessuna previsione sui meccanismi di tradizione e tradimento che regoleranno le future emersioni della figura della Marchesa di Mantova.
Seppur incostante, incerta e confusa, la fortuna iconografica della figura di Isabella d’Este ha attraversato cinque secoli di storia, rispondendo in pieno alla volontà della Marchesa stessa, il cui primo motto di cui si conservi memoria è:
“Finch’io viva dopo morte”. Anche senza “nessuna delle nostre simiglie”.
identificazioni dubbie
identificazioni dubbie
Riferimenti bibliografici
- 1501
Mario Equicola, De Mulieribus, Mantova - 1888
Alessandro Luzio, Ancora su Leonardo da Vinci e Isabella d’Este, “Archivio Storico dell’Arte” I
Charles Yriarte, Les relations d’Isabelle d’Este avec Léonard de Vinci, d’après des documents réunis par Armand Baschet, “Gazette des Beaux-Arts” vol. I - 1913
Alessandro Luzio, La Galleria dei Gonzaga venduta all’Inghilterra nel 1627-1628, Milano - 1929
Clinio Cottafavi, Palazzo Ducale di Mantova: Sala dei Capitani e dei Marchesi in Corte nuova, estratto da “Bollettino d’arte del Ministero della Pubblica Istruzione” - 1975
Sylvie Béguin, Le Studiolo d’Isabelle d’Este, Les dossiers du département des peintures 10, catalogo della mostra, Paris - 1986
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Annamaria Petrioli Tofani, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi. Inventario 1. Disegni Esposti, Firenze - 1987
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Carlo Pedretti, Leonardo, il disegno, supplemento ad “Art e Dossier” n. 67 - 1994
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Claudia Cieri Via, I Camerini di Isabella d’Este: uno spazio culturale esemplare, in Isabella d’Este, i luoghi del collezionismo, quaderno di “Civiltà Mantovana” 30 (marzo-giugno)
Leandro Ventura, Isabella d’Este, committenza e collezionismo, in Isabella d’Este, i luoghi del collezionismo, quaderno di “Civiltà Mantovana” 30 (marzo-giugno) - 1998
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Carmen C. Bambach, Drawing and Painting in the Italian Renaissance Workshop. Theory and Practice, 1300-1600, Cambridge
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Lorenzo Bonoldi, Isabella d’Este “retracta de marmo”. Identificazione di un ritratto della marchesa di Mantova ritenuto disperso, “La Rivista di Engramma” 4 (dicembre) - 2001
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Emilio Negro - Nicosetta Roio, Lorenzo Costa, 1460-1535, Modena
Daniela Pizzagalli, La Signora del Rinascimento, Milano
Sull’argomento della ritrattistica isabelliana è in corso di pubblicazione sulle pagine di “Art e Dossier” un articolo di Leandro Ventura.
*Due versioni precedenti di questa Galleria sono state pubblicate in Engramma n. 19 (settembre 2002) e in Engramma n. 28 (novembre 2003).
English abstract
Guide to the gallery of portrait of Isabella d’Este. Leonardo da Vinci, Gian Cristoforo Romano, Titian, Lorenzo Costa. These are some of the artists to whom Isabella, decreed by contemporary sources “first woman in the world”, entrusted the task of depicting not only what she defined as “our effigy”, but also her moral and intellectual qualities, rendered in figure on the basis of the canons of a well-coded symbolic physiognomy.
keywords | Isabella d’Este; Portrait; Iconographic gallery.
Per citare questo articolo: L. Bonoldi, Galleria dei ritratti di Isabella d'Este: un aggiornamento*. Guida alla Galleria dei Ritratti di Isabella d’Este, “La Rivista di Engramma” n.34, giugno/luglio 2004, pp. 83-103 | PDF