La fortuna di un giorno
La mostra Dall'oggi al domani. 24 ore nell'arte contemporanea al Museo Macro di Roma (29 aprile - 2 ottobre 2016)
Antonella Sbrilli
English abstract
“Tempesta vien da tempo, e la ventura
è quel che viene, e l’aspro fortunale
tempesta è ancora, e forse anco più dura,
e viene da fortuna, in bene o in male”
Michele Mari, Ghirlanda
Una premessa
Tempesta viene da tempo, ricorda la poesia di Michele Mari (Mari 2016) in esergo, e la parola Tempo oscilla nell’uso comune fra indicare la stagione percepibile e la durata misurabile, la situazione meteorologica e la grammatica dei verbi.
Tre (almeno tre) immagini, in greco, del tempo: la prima è l’immagine del tempo-chronos [χρόνος] successione lineare dei fatti, che prevede un presente/passato/futuro. È il tempo come count down, successione di istanti, di ore, di giorni, forzosamente direzionati verso la fine del tempo. La seconda è l’immagine del tempo come aion [αἰών], nome connesso etimologicamente con aei [ἀεί] ‘sempre’: tempo come eternità, come ‘sempre essente’ – nelle fonti antiche, letterarie e iconografiche, Aion è rappresentato come un fanciullo o un ragazzo, con il cerchio dello zodiaco (o un serpente) avvolto intorno al corpo. La terza immagine è il tempo come kairos [καιρός], tempo che si dà nella pienezza aoristica (etimologicamente ‘infinita’) dell'attimo. Nell'iconografia tardo-antica Kairοs viene personificato in un giovanetto, contraddistinto da un ciuffo sul capo (che permette di ‘afferrare l'attimo’). L'immagine di Kairοs si abbina alla personificazione di Fortuna/Occasio (Centanni [2012] 2016).
Al Museo Macro di Roma, nella sede di via Nizza 138, dal 29 aprile al 2 ottobre 2016, una mostra – curata da chi scrive e da Maria Grazia Tolomeo – presenta col titolo "Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea" una selezione di opere che rappresentano, interpretano, lavorano con il tema del tempo, con chronos che segue la linea diritta e accumula date, con aion che sembra girare in cerchio, con kairos che va riconosciuto e preso al volo. Si può seguire in mostra – come illustrato nell’Introduzione che segue – l’ossessione di artisti e artiste per i calendari e per il computo dei giorni; l’attrazione per gli avverbi di tempo e le sentenze sul tempo; la rielaborazione di clessidre e orologi in oggetti fantastici e poetici; la visualizzazione di paradossi temporali; la disciplina delle giornate di lavoro scandite dalle date.
Anche i temi della coincidenza, dell’occasione e della fortuna non mancano di trapelare dalle opere e dal loro incontro: nell’attenzione di Alighiero Boetti per ogni singolo giorno, nella consapevolezza dell’istante di Giacomo Balla, nelle cartoline in cui On Kawara annuncia l’orario del suo risveglio, nella lunga lista – compilata dal francese Claude Closky – dei "venerdì 13" considerati infausti, oppure, simmetricamente, nella scatola di Lino Fois con i petardi scoppiati che promettono 365 giorni di felicità rinnovabili a ogni Capodanno.
La fatalità risuona in alcune frasi del Diario del XX secolo (un vero muro di date), scritto da Daniela Comani come se tutto fosse accaduto a lei in prima persona: alla data del 2 agosto (1980) l’artista registra la strage alla stazione di Bologna e aggiunge “Io sopravvivo”, rivelando con quel verbo al presente la fortuna di ogni giorno, il punto in cui le combinazioni possibili diventano disastro o salvezza, routine (in apparenza) sempre uguale o singolarità irripetibile.
Introduzione alla mostra. Dal catalogo Dall'oggi al domani.
Un giorno, nella definizione dell’Enciclopedia Treccani, è uno “spazio di 24 ore compreso fra una mezzanotte e l’altra”. In quelle ore, la Terra compie una rotazione intorno al proprio asse e il nostro orologio biologico fa adattare pressione, temperatura, fame, sonno al ritmo circadiano (circa diem, intorno al giorno). Grande e piccolo, cosmico e locale si incontrano nella misura quotidiana del giorno, l’oggi: hoc die – "in questo giorno" – è la scansione temporale che indica una porzione di presente controllabile, visualizzata nei calendari e nelle agende. Con la sua data, l’oggi segna l’accumularsi del tempo storico e il ricorrere del tempo ciclico, provocando aspettative e memorie.
La normalità straordinaria del giorno è diventata opera d’arte nei Libri d’Ore, nelle allegorie delle parti del giorno, nei monumenti commemorativi, nei calendari d’autore. Gli artisti ne hanno sentito il fascino e il vincolo. Il ’900 si apre con una parodia del calendario che Alfred Jarry (1873-1907), l’inventore della Patafisica – la scienza delle soluzioni immaginarie – affida all’Almanacco di Padre Ubu. Ispirato da lui, il Collège de ’Pataphysique di Francia, nel 1948, fissa un nuovo computo del tempo e un nuovo capodanno. Più ci si avvicina al presente, e più i giorni si affacciano come materia dell’arte, in tanti modi diversi.
Se il fattore Tempo dilaga nelle arti del XX secolo e le opere che lo affrontano sono incalcolabili (Achille Bonito Oliva dedica loro - per l'editore Electa - un progetto editoriale enciclopedico, di cui sono usciti 3 tomi: Bonito Oliva 2010-2015), quelle che affrontano il taglio quotidiano sono altrettanto innumerevoli. Una mostra su questo tema può presentarsi evidentemente solo come una traccia, attraverso una scelta di opere – in gran parte italiane, con alcune significative presenze straniere – che hanno fatto del giorno, dell’oggi, del tempo quotidiano il soggetto di riflessioni e azioni. Fra queste azioni troviamo il raccogliere date, contarne e manipolarne le cifre, rappresentare i minuti di una giornata, dipingere con i datari da ufficio, caricare il giorno di invenzioni performative. Le tele, i video, le fotografie, i foglietti volanti, i quaderni, i suoni, i ricami, le installazioni che si incontrano in mostra sono in rappresentanza di esperienze che non si risolvono nell’osservare le opere. Ognuna di esse suggerisce un atteggiamento ripetibile, un re-enactement immediato: un gioco con l’oggi a cui queste opere alludono, e con l’oggi in cui le si incontra.
Questo gioco è ampliato dagli eventi che scandiscono la mostra, ispirati tutti alle opere: si va dalla riflessione sulla convenzione dei fusi orari, alle identità che emergono dalle tracce digitali che giornalmente lasciamo sui server: a questo tema è dedicata l'opera-ricerca dal titolo Ghostwriter, di Salvatore Iaconesi e Oriana Persico, mentre la persistenza delle nostre presenze in rete oscilla fra i minuti e le ore.
Da tale punto di vista, ha il suo rilievo la dimensione social della mostra, che in rete non chiude mai, ma resta aperta – in sintonia col suo tema – ininterrottamente, ventiquattro ore al giorno su sette giorni, su Facebook, Twitter, Instagram (seguita da Michela Santoro, che della mostra è social media manager). Ed è significativo che la formula 24/7 sia scelta come motivo di riflessione critica e titolo del libro da uno storico dell’arte come Jonathan Crary (Crary [2013] 2015).
Gli avverbi Oggi e Domani sono – come spiega Caterina Marrone (Marrone 2016) – espressioni deittiche temporali: per interpretarle, è necessario fare riferimento al contesto in cui sono espresse; così, per esempio, il genio di Totò, nel film Signori si nasce (1960), ripete la battuta “Domani ti pago”, rimandando sine die la scadenza del suo debito. Oggi, Domani, Ieri sono parole che gli artisti hanno usato, prelevandole dal linguaggio comune: l’oggi è tracciato a china su carta in partiture complesse di segni da Baruchello; è scritto nella dichiarazione in cui Emilio Isgrò afferma di non essere se stesso; è ripetuto nel calendario di Maurizio Cattelan, Grammatica quotidiana (1989). Ieri, Oggi compaiono nel titolo di un’opera fondativa di Dan Graham, Yesterday/Today, del 1975: un dispositivo di manipolazione spazio-temporale in cui “immagine e traccia audio sono separate da un intervallo di 24 ore” (Chiodi 2013). Il titolo della mostra fa riferimento in particolare all’opera di Alighiero Boetti Dall’oggi al domani, una frase fatta, che l’artista fa ricamare nel 1988.
Scritta in una griglia di 4 colonne verticali di 4 lettere ciascuna, la frase perde la direzione consueta di lettura e i suoi significati correnti (all’improvviso, da un giorno all’altro), rivelando parole annidate nello schema, fra cui mani, Aladino, nido, doni. Viene in mente che erano doni a familiari e amici anche i collage che Boetti allestiva smontando i foglietti dei calendari a blocchetto per comporre, con le cifre dei giorni, quella dell’anno nuovo (Bartezzaghi 2010). Un lavoro di bricolage sul tempo: non potendo fermare la fuga dei giorni, almeno segmentare il loro corso, farli scartare, deviarli, prima che si rimettano in riga.
Date giornaliere
Le date si amano o si detestano, si ricordano o si rimuovono. Collettivamente, oltre alle date religiose e civili, restano in mente quelle collegate a eventi epocali – lo sbarco sulla Luna, l’attentato alle torri gemelle di New York. Sul piano personale, si ricorda ciò che rimane impresso emotivamente. Il neurologo Oliver Sacks ha illustrato il caso di malati che non ricordavano nulla della loro vita, ma potevano riferire la data dell’assassinio di Kennedy. Negli studi sulla musica e il cervello, Sacks racconta anche di persone dotate di sinestesia che, oltre ad associare colori, suoni, odori, sono in grado di vedere spazialmente e cromaticamente i giorni e le date, in una sintesi futurista di cromo e di crono, che porta a esperienze come quella di “contare i colori fino a venerdì” (Sacks [2007, 2008] 2010). Sembra di nuovo di sentire Boetti, con la sua attenzione congenita verso tutte le porzioni del giorno e del tempo (Boetti [1972] 1996):
Le date, sai perché sono molto importanti? Perché se tu scrivi ad esempio su un muro 1970 sembra niente, ma fra trent’anni … Ogni giorno che passa questa data diventa più bella, è il tempo che lavora.
Boetti ha scritto 1970 su un muro, tracciando simultaneamente con entrambe le mani una frase che risulta raddoppiata in modo speculare, dal centro verso destra e verso sinistra: “oggi è venerdì ventisette marzo millenovecentosettanta”. Nella foto di Paolo Mussat Sartor che documenta questa azione si vede l’artista con le braccia spalancate fino al limite raggiungibile. Nell’immagine, la figura di Boetti evoca allo stesso tempo l’uomo vitruviano e il crocifisso, la misura dello spazio pittorico e il sacrificio. Per quanto riguarda la misura spaziale, la sagoma dell’artista ricorda l’osservazione di Willem De Kooning sull’apertura delle braccia come “tutto lo spazio di cui un pittore ha bisogno”. Quanto al sacrificio, invece, è proprio la data a mettere a disposizione una coincidenza: quel giorno del marzo 1970 cadeva nella settimana di Pasqua e il 27 era Venerdì Santo.
La bellezza delle date si rivela in tanti modi, grazie al lavoro che il tempo compie in tutte le direzioni, non solo sulla linea diritta della storia, ma nel groviglio con lo spazio, nella combinatoria dei segni, nella memoria. L’attenzione verso le date – come parte di una tensione più vasta verso il tempo – investe tanti artisti a partire dagli anni ‘60, anni segnati da un’attitudine che, in un libro di Pamela M. Lee, è detta chronophobia (Lee [2004] 2006).
In quel decennio di sviluppo tecnologico e cambiamenti sociali, si manifesta un’ansia verso il tempo, legata all’accelerazione dei ritmi di automazione, all’aumento di potenza e velocità dei calcolatori e al dilagare dell’informazione. Una sensibilità acuta per i fenomeni temporali si ritrova nella ricerca cinetica, nelle performance e negli happening, negli interventi sulla natura, nelle riprese ininterrotte, nella Today Series del giapponese On Kawara, la celebre serie di tele su cui è dipinta la data del giorno in cui la tela è dipinta.
L’ossessione verso il tempo si diffonde per non allentarsi più. Da quel momento, la data risale dal fondo del quadro, dove era apposta accanto alla firma, verso il centro; si sposta dal retro del dipinto – dove per esempio Constable la registrava insieme alle indicazioni meteorologiche del paesaggio – e si attesta sul davanti, in primo piano. Non è più solo una marca temporale che lega un’opera all’asse della storia – il celebre 13 luglio nella Morte di Marat di David (Butor [1969] 1987) – ma è il soggetto dell’opera, che dialoga col momento del suo farsi. Fatta di giorni qualunque, uniformi ma non sovrapponibili, la vita quotidiana diventa – in quegli anni '60 e nel decennio successivo – un concetto di rilievo, captando attitudini che vengono dalla cultura orientale e mescolando i piani: alto e basso, storia e cronaca, limite e infinito, familiare e sconosciuto.
Time. The Familiar Stranger è il titolo del libro di Julius T. Fraser (1923-2010), che proprio nel mezzo del decennio, nel 1966, fonda la International Society for the Study of Time (Fraser [1987] 1991). Da allora, l''ISST opera come un’associazione che mette in contatto – con metodo sistemico e multidisciplinare – studi, ricerche, esperimenti, opere che riguardano il tempo: esperienze riversate nella rivista "KronoScope" curata da Jo Alyson Parker, e nei simposi triennali dell'associazione.
Quotidiano
Derivato dal latino cotidie, il quotidiano (Jedlowsky 2005) è il luogo in cui ripetizione e sorpresa si incontrano e la bilancia può pendere – come scrive Henri Lefebvre, Critica della vita quotidiana (1947) – sull’alienazione o sulla creatività, sull’adeguamento all’identico o sullo scarto del nuovo. Lo sapeva bene l’artista americano Joseph Cornell (1904-1972), a cui l’arte del secondo ‘900 deve molto. Le sue opere sono scatole con assemblage di oggetti trovati durante le quotidiane derive per le vie di New York (Simic [1992] 2005; su Cornell vedi anche, in Engramma, Castelli, Sbrilli 2009). Nei diari, scritti lungo un trentennio, risalta la concezione dell’Eterniday, “eterna quotidianità / eternità quotidiana” ,“fusion of timeless and the daily", fusione di quotidiano e senza tempo (Cornell 2003).
Lo sapeva l’estetica del tempo dei greci i quali – scrive Monica Centanni:
[...] dando valore all’ora, hanno inventato la storia, il fatto che si può scrivere non solo di cosmogonie o di atti esemplari e paradigmatici consegnati a un passato da imitare, ma di ciò che accade a noi ora, in questo nostro tempo che si propone orgogliosamente esso stesso come paradigma (Centanni [2012] 2016).
Il termine quotidiano – oltre all’accezione di banale, ordinario, qualunque – prende via via altre sfumature, si diffonde come nuovo punto di vista da cui considerare la durata storica e l’esistenza corrente. Negli artisti Fluxus – che hanno giocato con la natura del tempo in tutti i modi musicali, poetici e performativi – la prospettiva del quotidiano si espande. Nel 1963, l’artista francese Robert Filliou sceglie il suo giorno di nascita – il 17 gennaio – per fissare l’immaginaria data d’origine dell’arte, un milione di anni prima: l’Art’s Birthday, il compleanno dell’arte, sarebbe dovuto diventare il fulcro di una festa permanente, con una visione alternativa della società, del tempo di lavoro e di vacanza. La vita quotidiana è un tema “particolarmente qualificante” per i Situazionisti; nell’analisi di Guy Debord:
[...] essa è la misura di tutto; del compimento o piuttosto del non compimento delle relazioni umane; dell’impiego del tempo vissuto; delle ricerche dell’arte; della politica rivoluzionaria (Perniola 2013, pp. 65 ss.).
Durante il Maggio ’68, sarà il situazionista René Viénet a notare come, in quel periodo, “l’insolito diventava quotidiano nella misura in cui il quotidiano si apriva a delle sorprendenti possibilità di cambiamento” (Perniola 2013, p. 124). L’emergere del tempo quotidiano porta l’attenzione su attività dell'esistenza considerate secondarie, su pratiche diaristiche, su collezioni e invenzioni narrative a base giornaliera, che coinvolgono artiste come Annette Messager e Sophie Calle (Everyday 2008). Sono investigazioni di zone e sistemi quotidiani i lavori di Georges Perec sulle cose (1965), sugli spazi (1974), e sulle tre giornate dell’ottobre 1974 durante le quali il grande “scrittore giocatore”, seduto nella parigina Place Saint-Sulpice, prese nota di
[...] tutto quello che non si osserva, quello che non ha importanza: quello che succede quando non succede nulla se non lo scorrere del tempo, delle persone, delle auto e delle nuvole (Perec [1975] 2011).
Al principio degli anni ‘80, il tema si presenta in studi come quello del gesuita Michel de Certeau, L’invenzione del quotidiano, mentre al 1984 risale la fondazione dell’Archivio Diaristico di Pieve S. Stefano. Nel 1998 il termine quotidiano dà il titolo alla XI Biennale di Sidney, aperta a esperienze globali perché, come scrive il curatore Jonathan Watkins, “everyday occurs everywhere in the world” (Every Day 1998).
Calendari
L’attitudine verso il quotidiano rinnova l’idea avanguardista delle incursioni dell’arte nella vita di tutti i giorni, immettendo nelle pratiche artistiche il tempo-reale, il qui e ora. Martedì 19 aprile 1966 il Groupe de Recherche d’Art Visuel (GRAV) organizza a Parigi "Une journée dans la rue", itinerario di “azioni pubbliche” che spezzino “la routine di una giornata qualunque” (Bishop [2012] 2015 pp. 97 ss.). Allo stesso tempo, la griglia del calendario offre un campo grafico formidabile alle invenzioni concettuali. Il 4 gennaio dello stesso 1966 On Kawara aveva dato inizio alla Today Series. Da una parte, il giorno in corso diventa supporto del lavoro artistico, spazio-tempo delle azioni in flagranza; dall’altra, si presenta come unità di un sistema di organizzazione immateriale, il calendario. Con le sue caselle, il calendario riprende il formato della griglia – dominante nella pittura dall’Astrattismo al Minimal – e lo proietta nella durata temporale. Il calendario che, come dice Walter Ong, è un modo di addomesticare il tempo, trattandolo come uno spazio (Ong [1982] 1986), consente agli artisti di manipolarlo, spostando, ritagliando, incollando, sommando i giorni, incasellati nelle sue finestre, righe e colonne. Così la misura della giornata, che scandisce le imprese ad affresco, si riversa nella pratica d’atelier, per esempio nel lavoro dell’artista polacco Roman Opalka, che dal 1965 dipinge i numeri progressivi del passaggio del tempo in sessioni di lavoro giornaliere. La misura del giorno diventa modalità espositiva nel maggio 1968, nel "Teatro delle mostre", allestito da Plinio de Martiis alla Galleria La Tartaruga di Roma. L’anno dopo la formula un artista-un giorno è ripresa da Seth Siegelaub per un’esposizione che consiste nel solo catalogo: 31 artisti, 31 pagine per i 31 giorni di marzo del 1969, l’anno dell’allunaggio e dell’avvio di quella rete di collegamenti immateriali che sarebbe diventata Internet.
La potenza della griglia calendariale emerge anche nel catalogo della mostra su Duchamp, svoltasi a Venezia nel 1993, che già nel titolo – "Effemeridi" – ricorda le raccolte quotidiane di fatti notevoli (Effemeridi Duchamp 1993). L’intera vita di Duchamp è scandita su 366 capitoli e la consultazione non avviene lungo la linea cronologica, ma come sfogliando un anno virtuale che condensa, giorno dopo giorno, tutti gli anni vissuti dall’artista. Anche per Hanne Darboven, l’artista tedesca che ha più lavorato sul formato del calendario, è stata scelta dalla Dia Art Foundation una forma di catalogo digitale che si appoggia a una griglia mensile: 31 caselle esplorabili rimandano ciascuna a un’informazione saliente. Ed è a suo modo un calendario la spirale di 366 candele colorate che l’artista Spencer Finch nel 2009 dedica a Emily Dickinson: ogni candela si consuma in 24 ore ed è collegata cromaticamente a una delle 366 poesie che la poetessa americana scrisse nell’anno 1862.
Il sottotitolo della mostra
Nel sottotitolo della mostra sono richiamate le 24 ore, misura dell’oggi, modulo e formato di tante espressioni artistiche. Dal titolo del film Tutta la vita in 24 ore di Carlo Ludovico Bragaglia (1943), alla mostra 24 ore su 24 alla galleria “L’Attico” di Sargentini (1975), da 24 Hour Psycho (1993) di Douglas Gordon, al capolavoro di Christian Marclay, The Clock (2010), al 24 Hours Museum ideato da Vezzoli nel 2012, 24 è una cifra eloquente. Quando, nel 2010, Ridley Scott ha prodotto Life in a Day, film collaborativo realizzato montando decine di migliaia di video girati dai partecipanti il 24 luglio (24/7), lungo i 24 fusi orari, il regista Kevin MacDonald ha sottolineato lo stupore di sapere che tutto ciò che si vede “was more or less all happening at the same time – all over the planet”. Negli anni ’90, la consapevolezza della simultaneità connessa alle reti, aveva portato addirittura alla proposta di un sistema decimale di misurazione del tempo. Le 24 ore furono divise in 1000 parti (.beats) e la Swatch produsse orologi che segnavano l’Internet Time. Gli artisti sensibili al passaggio del tempo lungo i meridiani continuano a ricercare sugli aspetti politici e poetici della divisione del tempo. È il caso di William Kentridge con il suo The Refusal of Time (2012), in cui la resistenza al tempo standard è evocata dal montaggio video di scene con ritmi diversi, azioni che si ripetono a loop, perdite di sincronia, che avvicinano lo spettatore a complesse e compresenti nozioni di tempo.
Mentre l’artista danese Olafur Eliasson segue il viaggio della luce diurna lungo i fusi con i 24 neon di Daylight Map (2005), e la scozzese Katie Paterson compara la durata del giorno sui pianeti del sistema solare, nell’installazione Timepieces – Solar System, 2014. Nel 2000, una serie di mostre internazionali ha accompagnato quello che, nel calendario condiviso, è stato il passaggio di millennio. Una delle mostre è stata "Le Temps, vite", tenutasi nell’inverno del 2000 al Centre Pompidou di Parigi e poi a Roma, al Palazzo delle Esposizioni, con il titolo "Tempo!". Della sua importanza e ampiezza è testimone Maria Grazia Tolomeo, co-curatrice di questa mostra e di quella di 16 anni fa. Da allora, l’ossessione degli artisti per il tempo, e il tempo quotidiano in particolare, prosegue, nel tentativo di volgere in creatività la sua presenza.
Nelle serie di foto giornaliere, nelle tracce delle ore di sonno e veglia, nell’accurata registrazione delle date, nella celebrazione ironica del compleanno, nei time-lapse che condensano in pochi secondi 24 ore di visibile, si presentano ancora di nuovo gli avverbi indeclinabili del tempo quotidiano. Osservando le opere sotto la lente della data, possono emergere legami, curiosità, attrazioni, entanglement. Considerando le date e i giorni come forme d’arte, si aggiunge una dimensione al presunto scorrere del tempo: ogni giorno un ologramma, un intero divisibile senza fine, che contiene ciò che gli artisti vi hanno appoggiato, cucito, intercalato.
La mostra inizia fuori della mostra, nel calendario a blocchetto di ordine gigante, con i giorni dell'esposizione e le citazioni, tratte dal database www.diconodioggi.it, che raccoglie le date raccontate nella narrativa e trasfigurate dall’arte. Contemporaneamente alla mostra al Macro, un’esplorazione del tema del tempo, nei suoi nessi con il denaro e l’arte, è proposta in un percorso multimediale e interattivo esplorabile fino al 2017 presso il Centro Trevi di Bolzano: Il cerchio dell’arte. Tempo e denaro.
"orologio s. m. – strumento che informa delle ritmiche fluttuazioni dell’oro. Talvolta d’oro esso stesso, mirabile coincidenza tra sostanza e funzione, ci viene assegnato fin dall’infanzia affinché precocemente apprendiamo che il tempo è denaro"
Maria Sebregondi, Etimologiario
Riferimenti bibliografici
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English abstract
"Dall'oggi al domani. 24 ore nell'arte contemporanea" – "From Today till Tomorrow. 24 Hours in contemporary Arts" is the title of an exhibition in the Macro Museum in Rome (29th April / 2nd October, 2016). The attraction towards time and its representation is a widespread theme, as the "Libri d'Ore" ("Books of Hours"), allegories and artistic calendars testify. The attention to time becomes more and more urgent in 20th C., as plenty of studies investigate. The exhibition "Dall’oggi al domani" – that borrows its title from a statement by Alighiero Boetti – focuses on a section on this boundless issue: the day, with its date labeling it, and its 24-hour rhythm. Sbrilli presents the main aspects of the exhibition, the historical background and spread of the issue, the conceptual attraction for calendar grids, the interest on the everyday fortune, up to processing of daily digital traces, time-lapse and 24/7 formats. The itinerary of the exhibition is not chronological: artworks are displayed according to their affinity with time rhythms; Today/Tomorrow; Daily work sessions; Dates; Special dates; Calendars; Diaries; Time Lapses. Nevertheless, some historical clusters and paths emerge: 1966 seems to be a pivotal year in Time consideration, with many artworks produced in that year and the foundation of The International Society for the Study of Time (ISST), by James T. Fraser, an organization of scientists, humanists and artists researching the theme of Time under different aspects. The topics of Fortune and chance are involved as well, in many different ways, e. g. in the long list of Friday 13ths compiled by French artist Claude Closky, or in the consideration of the fortuitous nature of everyday events.
keywords | Fortune; Exhibition; Contemporaty art; Macro museum; Rome.
Per citare questo articolo / To cite this article: A. Sbrilli, La Fortuna di un giorno. La mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea al Museo Macro di Roma (29 aprile-2 ottobre 2016), “La Rivista di Engramma” n. 137, agosto 2016, pp. 69-84 | PDF di questo articolo