Nel 1983 la casa editrice Feltrinelli pubblicava la traduzione italiana della biografia di Aby Warburg di Ernst Gombrich, uscita nel 1970 a Londra (recentemente la casa editrice milanese ha proposto una ristampa del saggio). La pubblicazione dell’importante biografia di Gombrich fu accolta anche in Italia con favore. Il quotidiano “il manifesto”, in data 15 gennaio 1984, pubblicava una recensione critica, che risulta ancora oggi, a distanza di vent’anni, importante e attuale: ripubblichiamo pertanto, con il consenso dell’autore, il contributo di Guglielmo Bilancioni.
Aby Warburg, il gran signore del labirinto
A proposito dell’edizione italiana di Ernst Gombrich, Aby Warburg. Una biografia intellettuale (da “il manifesto”, 15 gennaio 1984)
Guglielmo Bilancioni
English abstract
Nelle biografie, anche se estese, documentate e oneste, c’è sempre un limite: agiscono sulla curiosità del lettore, lo informano con nomi e dati, ed in questo hanno la loro utilità, ma allontanano, sempre, anche contro la volontà del biografo, dalle essenze, solidamente celate nelle opere dell’autore considerate.
La biografia di Warburg scritta da Ernst H. Gombrich (Aby Warburg. Una biografia intellettuale) è utile e importante, vasta e studiata, e merita rispetto, ma non una completa adesione. Non ne emerge, infatti, tutta la grandezza di Warburg, minata da insistenti ed insinuanti richiami alla fragilità della sua psiche, ai suoi tormenti, che erano invece passioni, alle sue indecisioni, che erano invece dolente coscienza della complessità dell’evento artistico; in fondo, per Gombrich, è questo è quasi insopportabile, Warburg è “uomo perduto nel labirinto”, mentre, del labirinto, Warburg è stato veramente il signore.
Warburg ha fondato, con i suoi studi sull’arte pubblicati al volgere del secolo, una scienza dell’arte nella quale confluivano antropologia e psicologia, in esatte morfogenesi che permettevano di toccare l’astratto e il lontano; da questa scienza si poteva estrarre, oscillante nelle rifrazioni del fondo, il senso della figura, con sismografica precisione. Attorno alla biblioteca di Warburg – il suo più completo capolavoro, ottenuta scambiando la primogenitura con il fratello Max a tredici anni – è cresciuta una nuova scienza umana e si sono formati studiosi appassionati e liberi, ed esercitati al disvelamento degli enigmi, come Panofsky, Klibansky, Saxl, Wittkower, Wind, Frances Amelia Yates e Klein. Su Warburg ha scritto bene Klein:
Questo storico ha creato una disciplina che, all’opposto di tante altre, esiste ma non ha nome, e che si fonda essenzialmente sullo studio delle credenze scientifiche, parascientifiche e religiose considerate dal punto di vista della tradizione delle espressioni simboliche e artistiche che esse hanno avuto.
L’astrologia e, in particolare il mito di Saturno, hanno sempre vivamente interessato Warburg e i suoi amici. L’energia che è nella figura sta all’origine della psicologia estetica di Warburg, la sua scienza d’arte si affonda nel pullulare dei segni e nella vita delle forme.
Nietzsche aveva rinvenuto la nascita della tragedia nello spirito della musica, Warburg ha scoperto la nascita dell’opera d’arte nello spirito della danza, nella “vita in movimento”. Ornamento e struttura, linee e simboli, nell’arte derivano da impulsi antichi, arcani e pagani; c’è, in Warburg, una religione della forma, formatasi nei documenti del tempo. Profondità abissali e pathos del ritrovamento muovono questo studioso nei suoi progetti “rompicapo e mozzafiato”, verso la scoperta delle tracce dell’antico che riemerge, in una “storia sottile” che congiunge, e fa reagire, l’umore astrologico e lo stato delle finanze di un committente, un abito da cerimonia e un albero genealogico, l’effige su una moneta e un rituale indiano, il centauro e la sirena, la ninfa e il melanconico dio fluviale, il gesto e il passo, la chimera e il geroglifico. Fatato e fatale è l’universo di Warburg, nella sua scienza logica e magia fioriscono sul medesimo stelo.
Ma Gombrich, già nella introduzione, insiste, con poca decenza, sul “precario equilibrio della salute mentale” di Warburg, sulla “ovvia eccitazione”, sull’ansietà: una “mente impressionabile”, sopraffatta da difficoltà e paralisi, “da agonie”, da terrori. Depressioni, ansie, ossessioni, confusioni e frustrazioni, progetti abbandonati e tormento nel pubblicare. E, a tratti, il professore presuntuoso prende le distanze dal maestro: “non potevo condividere”.
Il nobile soffrire a causa della scienza, la melanconia di chi conosce le profondità, il profetismo di chi vive su di sé “le correnti di pensiero e di sentimenti”, vengono ridotti, dal biografo di Warburg che pure ne ha studiato le carte e i manoscritti, ad un caso clinico, qualcosa da osservare da lontano, negando.
La freschezza, la squisitezza, l’alta eleganza di un grande studioso, libero dalle istituzioni ma avvinto, come il Laocoonte, nelle spire della forma, cosmopolita e spiritoso, ricco di scoperte e di dimostrazioni, dotata di immaginazione storica e capace di spiegare l’essenza degli arcani, vengono adombrate come qualcosa di orrendo e di strano, che attraversa tutto il libro e sembra voler togliere a Warburg la sua perfetta e chiara energia. Il male di Warburg, segnato dalla profezia, dalla melanconia e dalla coscienza del tremendo, è, invece, una fuga con ritorno, una “fuga per rescissione”, come quella che Calasso ha attribuito a Walser, una orfica discesa nell’Acheronte per conoscere come possano coniugarsi agire e patire, per spezzare nel pathos delle forme il cerchio di Saturno e la complessione mostruosa che si torce in ognuno.
Warburg si cura da solo, e torna agli studi, dopo cinque anni di silenzio, firmandosi “Warburg Redux”. Reduce dalla oscura esperienza del pullulare di impressioni e sensazioni, dalla “casa del tuono cosmico”, e, ancora, capace di indicare la via del passaggio dalla complessione mostruosa al buon ordine del simbolo.
In una stroncatura durissima, apparsa senza firma sul “Times Literary Supplement” nel ’71 ed ora ripresa in una raccolta di saggi sull’eloquenza dei simboli, Edgar Wind aveva affermato che dal tono deprimente di questa biografia appariva quanto il professore Gombrich si fosse trovato di fronte “ad un compito a lui non congeniale”. “Lo stile incisivo di Warburg – dice Wind – è perduto nello sciame pullulante di notazioni effimere, dal quale l’uomo emerge, come uno spettro, alla guisa di un mollusco tormentato”. Wind denuncia anche le “argomentazioni lillipuziane” di Gombrich sulle presunte preoccupazioni accademiche di Warburg, e critica l’eccesso di certezze e l’incompletezza della bibliografia.
Il libro di Gombrich è ricco di notizie ma fragile nella interpretazione, necessario ma non sufficiente, la prima fonte di studi su Warburg: non quella definitiva.
English abstract
This article was firstly published on the newspaper “il manifesto”, on January 15, 1984. It is the critical review of Guglielmo Bilancioni on the Italian translation of Ernst Gombrich’s biography of Aby Warburg published by Feltrinelli in 1983.
keywords | Warburg; Gombrich; Feltrinelli; Il manifesto; Guglielmo Bilancioni.
Per citare questo articolo: G. Bilancioni, Aby Warburg, il gran signore del labirinto. A proposito dell’edizione italiana di Ernst Gombrich, Aby Warburg. Una biografia intellettuale (da “il manifesto”, 15 gennaio 1984), “La Rivista di Engramma” n.34, giugno/luglio 2004, pp. 77-79 | PDF