Vigne, palmenti e produzione vitivinicola
Gloria Olcese, Andrea Razza, Domenico Michele Surace
English Abstract
1. Vigneti e palmenti della Sicilia
Uno dei principali quesiti aperti dello studio della nascita della viticoltura in Sicilia riguarda l'impatto della colonizzazione greca, con l’importazione di vitigni diversi dagli autoctoni e di nuove tecniche di coltivazione (Ciacci et all. 2012; Scienza et all. 2014).
Grazie alla presenza di diverse culture e di numerosi palmenti, distribuiti eterogeneamente, la Sicilia rappresenta un’area campione esemplare per lo studio dell’intero ciclo di produzione del vino nell’antichità (Scienza et all. 2014). Nello specifico, il recente lavoro di A. Scienza ha permesso di individuare due diverse aree di coltivazione, corrispondenti a quelle di influenza punica nella Sicilia centro-occidentale e a quella di influenza greca nella Sicilia sud-orientale, con caratteristiche peculiari nell’ambito delle attività produttive e del commercio del vino.
In merito alle zone di maggior concentrazione di palmenti rupestri, quelli della Valle dell’Alcantara, in Sicilia orientale, vengono fatti risalire, per struttura e contesto, già agli inizi del primo millennio a.C. (Puglisi 2009); in Sicilia centro meridionale, numerosi sono gli impianti nella zona del Ragusano, nel territorio dell’antica Ibla (Alcuni palmenti del Ragusano sono segnalati in Anelli 2006 e Di Stefano 2010; le immagini di questo contributo sono state realizzate dagli autori nell’ambito del progetto Immensa Aequora, tranne laddove diversamente specificato).
Inoltre, nonostante alcuni recenti progetti come ‘Vinum’ (Ciacci, Zifferero 2005) abbiano portato a importanti risultati in altre zone d’Italia, principalmente in Toscana, la sindrome di domesticazione in vite (vale a dire l’insieme dei caratteri fenotipici che concorrono a determinare l’aspetto e le caratteristiche agronomiche e biochimiche proprie della pianta coltivata), anche per quanto riguarda la Sicilia, non è ancora stata pienamente chiarita (Carrasco et all. 2015).
2. L’impianto di produzione del vino: il palmento
Alla base della vinificazione è la pigiatura che si svolgeva soprattutto nei palmenti (Brun 2012; Masi 2012), strutture di grande fascino, solitamente localizzate in aree isolate, ancora poco indagate di cui spesso non è possibile stabilire la datazione né la funzione effettiva. Poche sono anche le ricerche pubblicate, ad eccezione di alcuni studi pionieristici (ad es. Battistini 2011; Ciacci et all. 2012) o a carattere locale (ad es. Sculli 2002 per Ferruzzano in Calabria; Botti, Thurmond, La Greca 2011 per il Cilento in Campania; Puglisi 2009 per la Valle dell’Alcantara e Amato 2012 per l’Agrigentino in Sicilia).
Lo studio degli impianti produttivi dell’Italia antica, oltre a cercare di fissarne la cronologia, consente di integrare i dati relativi al ciclo di coltivazione e di lavorazione del vino.
Il palmento è solitamente costituito da due vasche comunicanti: l’uva, versata nella superiore, era pigiata e lasciata riposare, quindi, tramite un foro nel tramezzo, si lasciava defluire il mosto nella vasca inferiore di fermentazione (Battistini 2011; Brun 2012) [Fig. 5].
Le testimonianze archeologiche certe di strutture adibite alla vinificazione sono poche e spesso mal conservate. Se ne distinguono tre principali categorie:
1. strumenti e contenitori in legno o in ceramica, provvisti di versatoio, utilizzati fin dall’età del Bronzo (in Grecia, ad esempio) e noti solamente grazie a raffigurazioni su vasi [Fig. 6];
2. impianti in muratura, talora intonacati e infissi nel suolo al pari dei palmenti moderni;
3. impianti rupestri, spesso provvisti di fori per ospitare strutture temporanee per la copertura dell’impianto.
Per la spremitura dell’uva poteva essere utilizzata una pressa, applicata nella vasca di pigiatura attraverso scanalature laterali (Peña Cervantes 2010).
3. Le interpretazioni preliminari sui palmenti
Dalle indagini sui palmenti rupestri siciliani e dal confronto tra i diversi impianti delle regioni italiane effettuati dagli autori nell’ambito del progetto Immensa Aequora, emergono alcune informazioni preliminari:
- le strutture rupestri sono collocate in aree lontane da centri urbani o rurali, distribuite secondo esigenze di carattere insediativo ed economico (Botti, Thurmond, La Greca 2011; Masi 2012), e sfruttano la conformazione e la pendenza del banco roccioso per la creazione delle vasche e per favorire il deflusso del liquido (Micati, Tonelli 2008, 29-35).
In Sicilia un esempio di questo tipo di strutture è rappresentato dal palmento sito a Gallodoro in provincia di Messina [Fig. 2] costituito da due vasche scavate in un grande monolite.
- La datazione degli impianti è quasi sempre incerta a causa del riuso nei secoli e per gli interventi di modifica alla pianta originale. Decisivi risultano pertanto il rinvenimento di ceramiche e di altri reperti datati o la presenza di segni epigrafici, se contemporanei alla costruzione dell’impianto.
Nel caso del palmento del Bosco della Risinata a Sambuca di Sicilia, in provincia di Agrigento [Fig. 1], ad esempio, il rinvenimento nei pressi dell’impianto di alcune ceramiche, in particolare frammenti di bacini databili forse all’epoca classica, ha permesso di ipotizzare il periodo di utilizzo della struttura. Per quanto concerne la zona di Licata, invece, il rinvenimento di anfore greco-italiche nei pressi dei palmenti ha permesso di datarne alcuni all’epoca ellenistica (Amato 2012).
- La destinazione d’uso riguarda numerosi prodotti (oltre al vino, olio, pelli e canapa) o, in alcuni casi, i palmenti avevano una valenza rituale e religiosa. L’identificazione funzionale precisa è possibile solo quando si rinvengono componenti tecnologiche o quando è possibile impiegare le discipline scientifiche, come l’analisi dei residui mediante gascromatografia/spettrometria di massa (McGovern et all. 1993; Garnier et all. 2012; Pecci et all. 2013) per rilevare la presenza in traccia di residui del vino (Jones [2002] 2003; Failla et all. 2012; Foley et all. 2012).
Analisi di gascromatografia/spettrometria di massa sui palmenti della Sicilia e di altri siti dell’Italia tirrenica centro meridionale sono attualmente in corso nell’ambito della nostra ricerca, con la collaborazione di N. Garnier (SAS Laboratoire Nicolas Garnier; si veda Garnier et all. 2013). Obiettivo è la conferma della funzione degli impianti considerati.
- La ricerca archeobotanica consente di riconoscere le parti del paesaggio agrario antico sopravvissute e, in modo particolare, i relitti di antichi vigneti coltivati; permette inoltre di analizzare le caratteristiche genetiche e morfologiche delle viti selvatiche (Scienza et all. 2014). Uno degli obiettivi è quello di comprendere le caratteristiche dei vitigni antichi nelle aree in cui i palmenti erano utilizzati.
4. Il vino, le anfore e i commerci
Come è noto, una volta terminato il ciclo produttivo avvenuto nei palmenti, il vino era imbottigliato, spesso in anfore che ne consentivano il commercio marittimo.
Nell’ambito del progetto in corso, lo studio delle anfore di siti e relitti prescelti avviene con metodi tipologici, epigrafici e archeometrici (metodi chimici – XRF – e mineralogici), con lo scopo di determinarne l’origine, confrontando le composizioni dei contenitori rinvenuti nei siti di consumo e sui relitti con quelle dei contenitori la cui area di produzione è certa, grazie alla banca di dati archeologici e di laboratorio realizzata nel corso del tempo (Olcese 2010; Olcese 2013 e Olcese 2015).
Allo scopo di determinare poi con certezza la natura dei contenuti delle anfore, inoltre, per casi selezionati, vengono effettuate analisi di gascromatografia/spettrometria di massa, metodo che consente di identificare i marcatori specifici dei vari prodotti, nel caso del vino, ad esempio, l’acido tartarico (McGovern et all. 1993; Garnier et all. 2012).
Un esempio di studio è dato da recenti ricerche del progetto Immensa Aequora che hanno evidenziato come alcune aree della Campania fossero attive nella produzione e nel commercio del vino su ampia scala già dal III secolo a.C. (Olcese 2015).
Una testimonianza della circolazione dei vini della Campania è data dalle anfore greco-italiche di tipo IV e V del relitto Filicudi F, affondato nelle acque delle Isole Eolie intorno al 300-280 a.C. Tali anfore, identificate grazie a uno studio archeologico, epigrafico e archeometrico come contenitori prodotti nell’area di Ischia e del Golfo di Napoli, hanno permesso di ricostruire contatti commerciali che legavano la Campania con la Sicilia già prima delle guerre puniche (Olcese 2010, 231-236). Le analisi effettuate hanno inoltre consentito di stabilire che il vino trasportato nelle anfore greco-italiche bollate in greco, di origine campana, era vino rosso (Garnier, Olcese c.s.).
A Ischia, infine, luogo di produzione di alcune delle anfore greco italiche esportate, sono stati rinvenuti numerosi palmenti in corso di studio (Olcese 2010; Olcese 2016).
5. Lo studio dei palmenti: prospettive di ricerca
Le ricerche sui palmenti effettuate nel corso del progetto (preliminarmente presentate in Olcese, Soranna 2013) hanno compreso una serie di ricognizioni nelle regioni tirreniche dell’Italia, con lo scopo di realizzare un censimento degli impianti.
Uno degli obiettivi è quello di incrociare i nuovi dati sui palmenti con quelli relativi ai siti archeologici localizzati nei pressi delle aree di produzione vinicola. Scopo finale di tale lavoro è la ricostruzione dell’intero ciclo vitivinicolo – dalla produzione alla circolazione del vino – grazie a più metodi di indagine.
Un documentario scientifico dal titolo “Fare il vino nell’Italia antica: i palmenti rupestri in Sicilia” (Olcese et all. 2015, prodotto da Class Editori (P. Panerai) e realizzato grazie alla collaborazione di: Soprintendenze di Agrigento, Caltanissetta, Messina, Napoli, Ragusa; Comuni di Forio, Francavilla di Sicilia, Gallodoro, Niscemi, Ragusa, Sambuca di Sicilia; Museo Archeologico Regionale di Camarina, Museo del Contadino di Forio d’Ischia; Aziende Agricole Planeta S.S., Wine Relais Feudi del Pisciotto; F. Capraro, G. Di Stefano, F. La Greca, D. Occhipinti, S. Puglisi, A. Scienza) è stato proiettato a EXPO – Milano 2015, presso il Cluster Biomediterraneo della Sicilia; sono stati inoltre avviati alcuni progetti finalizzati alla valorizzazione dei palmenti e della tradizione vinicola italiana.
È attualmente in corso di preparazione da parte degli autori un Atlante dei palmenti rupestri della Sicilia e delle regioni dell’Italia tirrenica (Olcese et all., in corso di preparazione, a cui hanno collaborato anche C. Loi e G. Soranna), finalizzato alla raccolta di tutti i dati relativi alle strutture produttive antiche censite durante il progetto.
Le ricerche in corso possono avere un impatto anche sulla valorizzazione dei palmenti e delle eccellenze vinicole di alcune aree dell’Italia e in particolare, della Sicilia. La ricostruzione della produzione e dell’economia del mondo antico passa infatti anche attraverso lo studio dei palmenti, in particolare di quelli rupestri, che fanno parte del paesaggio rurale italiano, dove sono spesso ben inseriti. È quindi compito delle comunità locali e degli studiosi tutelare e valorizzare le antiche strutture oggi spesso lasciate in stato di abbandono.
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English Abstract
Wine making has always played a fundamental role in Italian economy, especially in the wake of the Greek colonization. The region of Sicily, thanks to its different cultural components – Greek in the South-East, and Punic in the central West area – is an important case-study in vineyards and wine production. The ancient system that was used for the transformation of grapes into wine was that of the “palmento” millstone, a structure that could be made either of wood or ceramic, brick or rock, or directly carved into the rock. Despite the importance of the ancient wine presses in the county’s economy, the studies carried out on these specific artifacts are scarce or limited to regional cases, and little data is known about the distribution, dating and intended use of the facilities. Therefore, the evaluation of the palmento millstone in combination with the context and the presence of pottery in its surrounding area, assumes considerable importance. Recent research also took advantage of laboratory analysis, such as gas chromatography / mass spectrometry (GC-MS) on organic residues retained on the bottom of the millstones, to determine the actual use of the facilities. Current studies by the authors, as part of the project Immensa Aequora (www.immensaaequora.org), aim to rediscover and better understand the palmento rock millstones through the use of an investigative methodology of multidisciplinary nature, in order to enhance them as cultural assets. A major goal of this project is also that of historically reconstructing the entire wine production process in some important wine areas of ancient Italy, even with the study of the production and circulation of amphorae, in connection with the related areas of wine production.
keywords | Sicily; Greek culture; Wine production; Immensa Aequora.
To cite this article: G. Olcese, A. Razza, D.M. Surace, Vigne, palmenti e produzione vitivinicola, “La Rivista di Engramma” n. 143, marzo 2, pp. 51-59 | PDF of the article