Malinconico, eroico, Cimone innamorato.
Intorno al dettaglio dell'architrave 8 e della base 14 del fondale della Calunnia di Apelle di Botticelli
Sara Agnoletto
English abstract
La scena decisiva della prima novella della quinta giornata del Decameron – la novella di Cimone ed Efigenia – è quella della contemplazione estatica e trasfigurante della “bellissima giovane” assopita, distesa seminuda su un prato – un “locus” canonicamente “amoenus” – da parte del rozzo e selvaggio Cimone” (Branca 1999, 40).
Questo il testo del Decameron:
Andatosene adunque Cimone alla villa, e quivi nelle cose pertinenti a quella esercitandosi, avvenne che un giorno, passato già il mezzo dì, passando egli da una possessione ad un'altra con un suo bastone in collo, entrò in un boschetto il quale era in quella contrada bellissimo, e, per ciò che del mese di maggio era, tutto era fronzuto; per lo quale andando s'avvenne, sì come la sua fortuna il vi guidò, in un pratello d'altissimi alberi circuito, nell'un de'canti del quale era una bellissima fontana e fredda, allato alla quale vide sopra il verde prato dormire una bellissima giovane con un vestimento in dosso tanto sottile, che quasi niente delle candide carni nascondea, ed era solamente dalla cintura in giù coperta d'una coltre bianchissima e sottile; e a'piè di lei similmente dormivano due femine e uno uomo, servi di questa giovane. La quale come Cimone vide, non altramenti che se mai più forma di femina veduta non avesse, fermatosi sopra il suo bastone, senza dire alcuna cosa, con ammirazione grandissima la incominciò intentissimo a riguardare. E nel rozzo petto, nel quale per mille ammaestramenti non era alcuna impressione di cittadinesco piacere potuta entrare, sentì destarsi un pensiero il quale nella materiale e grossa mente gli ragionava costei essere la più bella cosa che giammai per alcuno vivente veduta fosse. E quinci cominciò a distinguer le parti di lei, lodando i capelli, li quali d'oro estimava, la fronte, il naso e la bocca, la gola e le braccia, e sommamente il petto, poco ancora rilevato; e di lavoratore, di bellezza subitamente giudice divenuto, seco sommamente disiderava di veder gli occhi, li quali essa, da alto sonno gravati, teneva chiusi; e per vedergli, più volte ebbe volontà di destarla. Ma, parendogli oltre modo più bella che l'altre femine per addietro da lui vedute, dubitava non fosse alcuna dea; e pur tanto di sentimento avea, che egli giudicava le divine cose esser di più reverenza degne che le mondane, e per questo si riteneva, aspettando che da sé medesima si svegliasse; e come che lo 'ndugio gli paresse troppo, pur, da non usato piacer preso, non si sapeva partire. Avvenne adunque che dopo lungo spazio la giovane, il cui nome era Efigenia, prima che alcun de' suoi si risentì, e levato il capo e aperti gli occhi, e veggendosi sopra il suo bastone appoggiato star davanti Cimone, si maravigliò forte e disse: «Cimone, che vai tu a questa ora per questo bosco cercando?» Era Cimone, sì per la sua forma e sì per la sua rozzezza e sì per la nobiltà e ricchezza del padre, quasi noto a ciascun del paese. Egli non rispose alle parole d'Efigenia alcuna cosa; ma come gli occhi di lei vide aperti, così in quegli fiso cominciò a guardare, seco stesso parendogli che da quegli una soavità si movesse, la quale il riempisse di piacere mai da lui non provato. […] Essendo adunque a Cimone nel cuore, nel quale niuna dottrina era potuta entrare, entrata la saetta d'Amore per la bellezza d'Efigenia, in brevissimo tempo, d'uno in altro pensiero pervenendo, fece maravigliare il padre e tutti i suoi e ciascuno altro che il conoscea (Boccaccio, Decameron, V I).
Questo passaggio descrive minuziosamente il processo dell'incantamento amoroso, in cui la percezione visiva della bellezza fisica dell'amata ha un ruolo fondamentale. Nel pensamento bassomedioevale e rinascimentale, infatti, l'amore era considerato una malattia, che si trasmette analogamente a un contagio infettivo. Si contrae per mezzo dello spirito emanato dalla figura femminile contemplata che penetra attraverso gli occhi di colui che la contempla, come se di una freccia si trattasse, imprimendo la sua immagine in forma indelebile nello spirito dell'amante (sull'origine platonica della tematica amorosa del Duecento si veda Rosada 1969).
Già Bruno Nardi il quale, commentando il sonetto Amor è uno desio che ven da core del siciliano Jacopo Lentini, argomenta che la nascita di amore ex visione e la successiva affezione prodotta, «immoderata cogitatione», discende ai rimatori volgari da Ovidio per Andrea Cappellano (Nardi [1942] 1985, 9-79). Così recita la celebre definizione contenuta nel Trattato:
Amor est passio quaedam innata procedens ex visione et immoderata cogitatione formae alterius sexus … Quod autem illa passio sit innata, manifesta tibi ratione ostendo, quia passio illa ex nulla oritur actione subtiliter veritate inspecta; sed ex sola cogitatione, quam concipit animus ex eo, quod vidit, passio illa procedit. Nam quum aliquis videt aliquam amori et suo formatam arbitrio, statim eam incipit concupiscere corde; postea vero quotiens de ipsa cogitat, totiens eius magis ardescit amore, quousque ad cogitationem devenirit pleniorem (Andrea Cappellano, De Amori libri tres; cfr. Rosada 1969, 111).
Il topos dell'amore ex visione richiama alla memoria anche un passo dell'Etica Nicomachea di Aristotele, ben noto alla cultura del Duecento per la traduzione di Roberto Grossatesta:
Benevolentia autem amicitiae quidem assimilatur, non tamen est amicitia […] Sed neque matio est: non enim habet distensionem, neque appetitum. Amationem autem haec sequuntur […] Videtur utique principium amicitiae esse, quemadmodum eius quod est amare, ea quae per visum delectatio. Non enim indelectatus specie nullus amat (Roberto Grossatesta, premessa al commento tomistico, lez. V; cfr. Rosada 1969, 111).
L'atteggiamento contemplativo di Cimone di fronte a Efigenia dà luogo a un’iconografia precisa del personaggio che si ripete puntualmente nelle illustrazioni e nelle miniature del Decameron: il rapimento, lo stupor che lascia attonito il giovane, “sopra il suo bastone appoggiato”, è un elemento caratteristico della sua figurazione, tanto nella cerchia fiorentina, sia nelle miniature, diversissime, franco-borgognone e fiamminghe; sia nella produzione manoscritta, sia in quella a stampa.
Il repertorio delle immagini consultate è, in relazione alla postura di Cimone, alquanto omogeneo. Tre sole, tra queste, si differenziano dalle altre, poiché in esse il giovane adotta una postura malinconica: il volto appoggiato alla mano a sorreggere il peso della testa. Due di esse fanno parte della decorazione pittorica del fondale della Calunnia.
Mania erotica, vel melancholia: una digressione
Nel trattato dello pseudo-Aristotele dopo aver affermato la vocazione geniale dei melanconici, si riconosce che una smisurata pulsione all’eros, al limite della lussuria, è una delle loro caratteristiche essenziali, a causa della loro 'natura di spirito':
Il succo dell’uva e il temperamento della bile nera hanno natura di spirito; […] Anche il vino, infatti, ha la potenza dello spirito, ed è per questo che la natura del vino e quella del temperamento sono simili. […] Per questo [perché in esso agisce lo spirito] il vino stimola il desiderio sessuale – si dice giustamente che Dioniso e Afrodite vanno sempre in coppia – e per questo i melancolici sono quasi tutti lascivi. Nel rapporto sessuale, infatti, agisce lo spirito. Un segno è costituito dal pene, poiché aumenta rapidamente di dimensioni a causa del fatto che si gonfia (Problemata XXX, I, 25-37).
E ancora:
In chi ha bile nera abbondante e fredda, osserviamo torpore e apatia; in chi invece ne ha in grandissima quantità e calda, riscontriamo follia e talento, propensione all’amore e facilità a essere mossi da impulsi e desideri, e in qualche caso anche una maggiore loquacità (Problemata XXX, II, 32-37).
Terribile la descrizione che dei malinconici dà, nel XII secolo, Ildegarda von Bingen. Nel capitolo De melancholicis del suo trattato Causae et curae li descrive infatti come dei veri e propri bruti perversi, che violentano le donne e impazziscono di rabbia se non riescono a soddisfare i propri bisogni:
[…] Il loro colorito è forte, perché i loro occhi ignei e viperini, e le loro vene sono dure e forti e trasportano un sangue scuro e robusto, le loro carni sono grosse e dure, e grosse sono le loro ossa, dal midollo scarso, che tuttavia arde con vigore; infatti, con le donne sono come animali e incontinenti come vipere […]; ma sono aspri, avari e insensati, eccessivi nella passione e senza misura con le donne, come asini. Se abbandonano siffatta passione, incorrono facilmente nella follia, al punto di diventare frenetici; e se appagano la loro passione nella relazione con le donne, non soffriranno della follia della mente.
Il disordine erotico figura tra gli attributi tradizionali del temperamento melanconico anche nei trattati medievali sulle virtù e sui vizi. Occorre infatti ricordare che la lussuria, come gli altri peccati di intemperanza (avarizia, prodigalità e gola), hanno la loro radice nell'accidia, la quale “è un “recessus a bono divino”, quasi un'inappetenza spirituale, che genera il disgusto per il bene e spinge l'accidioso a cercare fuori di sé un compenso” (Delcorno 1989). E l'accidia era appunto considerata dai dottori della Chiesa come una species tristitiae. Risultato di questa associazione tra temperamento malinconico e appetito lussurioso è la sintesi figurativa che, nel maestoso mosaico in stile veneto-bizantino raffigurante il Giudizio universale della basilica di Santa Maria Assunta di Torcello, porta a rappresentare uno dei lussuriosi che ardono avvolti nelle fiamme della passione, in postura malinconica.
La malattia d'amore fu scoperta dai medici greci. Galeno (130-200 a.C.) ne descrisse alcuni sintomi, quali il deperimento fisico e l'accelerazione del battito cardiaco, senza però definirla come patologia; sarà solo in autori tardoantichi quando il riferimento all'ἔρως come una malattia mentale divenne esplicito, ed esplicito il nesso con la mania e la malinconia. Tra di essi il medico romano Celio Aureliano (II secolo d. C.), che nel suo libro sulle malattie croniche e acute (De morbis acutis et chronicis libri VIII), all'interno capitolo intitolato De furore sive insania quam Graeci maniam vocant (I, 5), tratta dell'eroticon: Magna Grecorum vetustas manian appellabat, quae nunc mantice dicta est. Item alium, inquit, ex Libero fieri patre: alium ex amore, et appellavit eroticon. Particolarmente importante per la grande influenza che esercitò sulla successiva trattatistica medica araba e medioevale, fu poi la lezione del medico bizantino Oribasio (IV secolo) che nell'opera Synopsis, in un capitolo intitolato Ad eos qui de amore contristantur, quos Greci ton heroton vocant, scrive:
Qui autem de amore egrotant, et contristantur animo et insomnietatem nescientes patiuntur; alii balneum utentis in requiem positi et tenuae dieta utentis in requie positi expenderunt: ex his enim invenimus ton heroton, id est qui de amore consumitur, ex balneis et vini potionem et auditum cogitationes imposuimus; aliis autem timorem indiximus, imponentes tractatos super quod amabat, vix deponenda passionem ad aliquas filonicias excitare et secundum hypotesis, quae praedictae sunt vitae uniuscujusque. Subsecuntur autem quidem amorem languit, quorum sunt haec signa: oculi sunt concavi et non lacrimantur; videntur autem sicut qui laborem sunt pleni; moventur enim eis palpebre frequenter plus ab alio membro, proprium locum quiscant solis heroton (Oribasio, Synopsis, VIII, 8-10, ms. Laon 424; cfr. Lowes 2014, 519).
Dunque ἔρως (variamente tradotto o traslitterato in latino nelle forme eros, ereos, hereos, heroys, amor ereos/hereos, e più raramente, to eroticon, e con gli aggettivi hereosus, herosus, hereseus (-ius), heroicus giunse in occidente attraverso la lezione aristotelica, anche per mediazione della cultura araba, che ne arricchì la semiologia clinica di nuovi sintomi e nuove dottrine, come per esempio il quţrub (coturub), una forma di licantropia che fa assumere all’uomo il comportamento di un lupo; o al-’ishq, termine che fa riferimento all'amore eccessivo, e che Gerardo da Cremona, nella sua traduzione del Canone di Avicenna, renderà nel latino ilisci o amor iliscus.
Già studiata da Rufo da Efeso (I secolo) e Paolo d’Egina (VII secolo) in trattati greci di cui ci restano pochissime tracce, la licantropia come disordine della mente relazionato con il mal d'amore sarà consacrata da alcune pagine dell’enciclopedia medica di Al-Razi (850-923/932), il Kitâb al-Hawi (Continens), tradotto in latino da Gerardo da Cremona nella prima metà del XIII sec. Nel trattatus intitolato De coturub vel ereo, si legge che:
quod pacientes coturub vel ereos incedunt de nocte tanquam canes: et eorum facies sunt croceae propter vigilias et eorum corpora dessicantur: et continue siciunt: et hoc accidit eis post laborem”; e anche che “pacientes coturub vel ereos incedunt stridendo alias vagando et clamando tota nocte et proprie per sepulturas mortuorum usque ad mane: et eorum color est croceus: et eorum oculi debilitantur: et siccantur: et fiunt concaui: et non lachrymantur: et desiccatur eorum lingua: et videtur puluerizata: et habent crustulas vel ulcera quae non possunt consolidari: et hic morbus est de morbis melancholiae.
La persistenza in epoca medievale di uno stretto vincolo tra hereos e mania è evidente se si considera il fatto che, nel Lilium Medicinae (1303), di Gordonius, il capitolo sull'hereus segue immediatamente quello sulla mania e la malinconia; nel Philonium (1418) del portoghese Valescus de Taranta il capitolo De amore hereus precede quello dedicato alla mania; e nel Rosa Medicinæ (1314) del medico inglese Johannes Anglicus, l'amor hereos è trattato all'interno del capitolo De mania desipientia et melancolia, dove viene definito nella seguente maniera: De genere melancoliae est amor hereos in istis mulieribus et viris qui inordinate diligunt.
La malinconia e l'hereus erano entrambi disturbi dovuti a un'alterazione delle facoltà dell'intelletto. L'amore ardente ed eccessivo (al-’ishq), afferma Ad-Damiris, paralizza tutte e tre le facoltà mentali, poiché nessuno può essere eccessivamente e ardentemente innamorato senza trovarsi, nel caso in cui l'oggetto del suo amore venga separato da lui, in uno stato in cui la sua immaginazione, il suo pensiero e la sua memoria non siano mai liberi da quell'oggetto del suo amore. La malinconia secondo Averroè e la successiva medicina scolastica, poteva anch'essa colpire paralizzare tutte e tre le facoltà mentali, definibili, secondo la teoria di scuola aristotelica, come 1. vis imaginativa; 2) vis rationalis o cogitativa; 3) memoria (Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 65-6), o i danni potevano essere parziali, a seconda del suo campo d'azione:
Quando la causa sarà nella parte anteriore del cervello, allora sarà lesa l'immaginazione; e quando sarà nella parte mediana, allora saranno lese la ragione e il pensiero; e quando sarà nella parte posteriore allora saranno lese la memoria e la conservazione dei ricordi.
Questa dottrina divenne via via più importante a partire dal XII e dal XIII sec. “In certi casi si continuarono a comprendere le affezioni della memoria nella nozione più ampia di malinconia; ma sembra che molto più spesso la malinconia venne a coincidere esclusivamente con la laesio virtutis imaginativae seu aestimativae [o cogitative] aut utriusque, mentre i disturbi della memoria furono considerati come una forma particolare di malattia (lithargia)” (Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 87).
A questa distinzione si aggiunse anche quella più sottile tra mania, che lede all'immaginazione, e malinconia, che nuoce all'intelligenza. Così scrive al proposito Arnaldus de Villanova (XIII sec.):
Mania quidem est infectio anterioris cellulae capitis cum priuatione imaginationis […] melancholia: est tristitia timor: et destructio sermonis et locus eius […] est media cellula capitis inter rationalem et fantasticam (Arnaldus, Breviarium; cfr. Lowes 2014, 527).
Stabilire se i due disturbi mentali – mania erotica e malinconia – avessero, oltre ad una base eziologica comune, anche una sintomatologia affine non è impresa facile, data la molteplicità dei sintomi, in prevalenza depressivi, euforici e maniatici, propri della cosiddetta melancholia adusta, una forma di affezione non primaria (‘genetica’, potremmo dire con termonologia moderna) ma secondaria. Così Avicenna:
Se la bile nera che provoca la melanconia è mescolata al sangue, andrà insieme alla gioia e al riso e non sarà accompagnata da profonda tristezza; ma se è mescolata al flegma, va insieme alla pigrizia, alla mancanza di movimento e alla quiete. Se è mescolata alla bile gialla o ne deriva, i suoi sintomi saranno l'agitazione e una specie di ossessione e sarà simile al furore. E se è bile nera pura, ci sarà una grandissima pensosità e minor agitazione o furia, a meno che il paziente non sia provocato e litighi, oppure nutra un odio che non riesce a dimenticare (Avicenna, Liber canonis; cfr. Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 84).
Contrariamente alla patologia umorale prevalente nella medicina clinica, la filosofia naturale del XII secolo affermò una nuova caratteriologia umorale, che riprende e codifica la dottrina dei temperamenti e secondo la quale, mentre la prevalenza di un umore determina il carattere, una “prevalenza esorbitante” di tale umore provoca malattie. È tra queste caratteristiche, che sconfinano dal fisiognomico nello psicologico, che si possono trovare alcuni tratti in comune tra la sintomatologia della malinconia e quella dell'hereus:
Signa distinctiua hereos:
- Insonnia, inappetenza e adipsia: Signa autem sunt quando amittunt somnum, cibum, potum (Bernardus Gordonius). Appetitum … comedendi postponunt et usum negligunt comestionis (Arnaldus de Villanova)
- Macilenza: Et maceratur totum corpus: praeterquam oculi (Bernardus Gordonius). Et potius maceratur (Arnaldus de Villanova). Et fiunt macri (Valescus). Et eorum corpora desiccantur (Al-Razi). Omnia sua membra sunt sicca (Abulkasim). Et sunt omnia membra eius arefacta praeter oculos (Avicenna).
- Carnagione giallastra: Et eorum facies sunt croceae propter vigilias (Al-Razi). Citrui sunt ipsorum colores (Constantino Africano). Color vero faciei est citrinus (Abulkasim).
- Tristezza: Et habent cogitationes occultas et profundas cum suspiriis luctuosis (Bernardus Gordonius).
Attributi umore melanconico:
- Insonnia e disordine alimentario: Hi vigilant studiis, nec mens est detita somno (Regimen Salernitanum; cit. in Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 108). Male digerit, […], inordinatum habet appetitum (Johann von Neuhaus; cit. in Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 109).
- Secchezza: Et ideo sicut iste humor est frigidus et siccus, sic ista complexio est frigida et sicca (Johann von Neuhaus; cit. in Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 108). Il maninconico è freddo e asciutto, […] e magro (Tolosani; cit. in Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 109). Magri (Leonardo Dati; cit. in Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 109).
- Carnagione giallastra o nera: Luteique coloris (Regimen Salernitanum; cit. in Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 108). Corpois niger sicut lutum (Johann von Neuhaus; cit. in Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 109). Resta pallido (Tolosani; cit. in Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 109). Palidi (Leonardo Dati; cit. in Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 109).
- Tristezza: Invidus et tristis (Regimen Salernitanum; cit. in Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 108). Qui est semper tristis et non iocundus (Johann von Neuhaus; cit. in Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 109). E vive in pianto, pena, doglia e lutto (Tolosani; cit. in Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 109). Son senza letitia (Leonardo Dati; cit. in Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 109).
Ficino e il potere (erotico) dell'immaginazione
A differenza del pensiero medico tradizionale, che considerava malinconia e mania erotica unicamente come malattie mentali, Ficino, recuperando la lezione dei Problemata pseudo-Aristotelici, incrociata con la dottrina platonica del furor divinus o alienatio mentis a Deo, recupera anche un senso positivo all’eccesso di umor malinconico e all'eccesso d'amore (l'al-’ishq di ascendenza araba): se infatti, da una parte potevano tendere alla deriva di un'infausta alienazione mentale, dall’altra potevano provocare un motus ad perfectionem.
Plato noster furorem in Phaedro, mentis alienationem definit. Alienationis autem duo genera tradit. Alteram ab humanis morbis, alteram a deo provenire existimat. Insaniam illam, hanc divinum furorem nuncupat. Insaniae morbo infra hominis spetiem homo deicitur et ex homine brtutum quodammodo redditur (Ficino, Commentarium VII, 3; cfr. Granada 1984, 63).
Per il “philosophus Platonicus, Medicus et Theologus”, la malinconia e l'amore comportano entrambi uno stato di alienazione mentale: la pazzia (insania) tipica dell'hereus e della melancholia adusta; e lo stato d'estasi o d'entusiasmo, indotti dal furor heroicus e favoriti dal temperamento malinconico proprio degli uomini intellettualmente eccellenti.
Nel caso dell'alienatio mentis che procede dalla malattia, l'uomo, trascinato dalla pazzia, ridotto al livello della sua nuda corporeità, della materia, della bestialità, si allontana dalla sua dimensione originaria intellettuale e divina.
Per la malattia della stultitia l'uomo cade sotto la spetie dell'uomo, e di huomo quasi bestia diventa: due sono le generatione della stultitia, l'una nasce dal difecto del celabro, l'altra dal difecto del cuore. […] Quegli che sono tormentati dalla collera adusta, benché non sieno da alcuno ingiuriati, acremente s'adirano, gridano forte, adventansi in qualunque si scontra in loco e manomettono sé e altri. Quegli che sono occupati dal sangue adusto trasandano molto nel ridere, sopra tutti si vantano, grande cose di sé promettono, con canti e balli festa fanno. Quegli che sono agravati dalla nera feccia del sangue malinconosi sempre stanno, e certi loro sogni si fingono, e quali in presentia gli spaventano e di futuro gli fanno temere. E queste tre spetie di stultitia dal difecto del cerebro procedono, perché quando quegli humori si ritengono nel cuore angoscia e viltà partoriscono, non proprio pazzia, ma generano propriamente la pazzia quando al capo salgono; e però si dicono quelle spetie di stultitia procedere per difecto di celebro. Ma per difecto di cuore diciamo propriamente venire quella stultitia, dalla quale sono coloro afflicti, e quali si veggono nell'amore perduti (Ficino, El libro dell'Amore, VII, III).
E ancora:
Tra le spetie della pazzia la più strana è quella affannosa cura dalla quale e volgari innamorati sono dì e nocte tormentati, e quali durante l'amore prima dalla collera s'accendono, poi s'aflliggono dall'umore melancolico, onde in furia rovinano e quasi come ciechi non veggono in quale precipitio cascono. Quanto pestilentiale sia questo adulterato amore per le persone amate e per le amanti, copiosamente lo disputa Lysia thebano e Socrate nel Phedro di Platone, e chiaro lo sente qualunque così ama. Ma che può essere peggio che questo, che lo huomo per tale furore diventa bestia? (Ficino, El libro dell'Amore, VII, XII).
Nel caso invece l'alienatio mentis proceda dall'ispirazione divina, l'uomo, esaltato dal furor, si separa dal corpo e la sua mente, rapita, si eleva spiritualmente, ascendendo fino all'indiamento:
Infino qui sia decto della spetie del furore che da malattia procede; ma quella spetie di furore, la quale Dio c'ispira, inalza l'uomo sopra l'uomo e in Dio lo converte. El furore divino è una certa illustratione dell'anima rationale, per la quale Iddio l'anima, dalle cose superiori alle inferiori caduta, sanza dubio dalle inferiori alle superiori ritira (Ficino, El libro dell'Amore, VII, XIII).
La nobiltà di Cimone
Il primo medico che mise in relazione la malattia d'amore con la nobiltà fu Jonannes Affacius, un discepolo di Costantino Africano che, verso il 1100, tradusse a partire dall'originale arabo il capitolo sull'amore del manuale medico per viaggiatori Zad el-Mocafir (Viaticum) di Abou Djafar. All'interno di questo testo, che circolò in forma indipendente con il titolo di Liber de heros morbo, sostituì i termini eriosis e eriosos, che Costantino aveva utilizzato per descrivere gli infermi con heroicus, di modo che i termini heroicus e heros passarono a designare, rispettivamente, il paziente e la infermità.
A partire da questo periodo si trovano già nella letteratura vernacolare cortigiana, abbondanti esempi di nobili che soffrono passioni amorose che si caratterizzano per essere chiaramente ispirate alla sintomatologia dell'hereos (Lacarra Lanz, 2015, 38), e che, ispirati dalla passione, muovono al compimento di gesta eroiche. È in questo contesto che l’‘eroismo’ – con una interessante e felice, per quanto etimologicamente infondata, confusione tra il termine greco ἥρως, ‘eroe’ ed ἔρος ‘amore’ – diventa un valore associato al concetto di nobiltà cavalleresca, ricollegabile con l'appartenenza a una stirpe, con la nobiltà di sangue.
Il caso di Cimone è differente. Egli, seppur bello e appartenente e una famiglia nobile e ricca, è un giovane irrimediabilmente rozzo e illetterato che, solo innamorandosi, si trasforma in un ‘cortegiano’ elegante, colto, raffinato ed esperto in quelle arti che si convengono a un nobile. Cimone dimostra che la sua è “vera nobilitate”, di fatto diviene veramente nobile solo amando, e questo cammino di nobilitazione ha inizio con la visione della bellissima fanciulla addormentata, che segna una svolta, una vera e propria conversione estetica e morale nel giovane.
Nella maggioranza delle raffigurazioni del momento in cui scopre Cimone scopre Efigenia addormentata, il giovane è raffigurato semplicemente inclinato in avanti, appoggiato al suo bastone da villano. Rispetto alla convenzione della serie, l'immagine di Cimone atteggiato nella postura malinconica della mano portata al volto restituisce con maggior pienezza il furor heroicus che pervade il giovane, il suo stupor/θαῦμα il miracolo estatico provocato in lui dalla contemplazione amorosa. La deriva è certo l’alienatio mentis a cui i temperamenti malinconici sono inclini; ma la promessa positiva è che il furor heroicus/eroticus conduca all’emancipazione, converta la ferinitas in humanitas. Implicite in questa postura tutte le codificazioni platoniche e neoplatoniche (ma già, come si è visto, stilnovistiche) sulla contemplazione della bellezza femminile quale suscitatrice di elevazione spirituale e, insieme, di impegno eroico.
All'interno della Calunnia di Botticelli, il ricorso alla postura malinconica rafforza il vincolo visivo tra Cimone e la figura di Metanoia/Penitenza: come è stato argomentato sotto le mentite spoglie di Metanoia si potrebbe nascondere la personificazione di Malinconia (cfr. Agnoletto 2016). Non è questione secondaria che entrambi – sia Cimone, che l’allegoria femminile di Pentimento – siano protagonisti di una storia di conversione: Metanoia/Malinconia, con quel suo volgersi indietro e rivolgere lo sguardo verso Verità, impersona un cambio di rotta, il necessario ravvedimento rispetto all’errore; Cimone è figura di un passaggio senza il quale non può darsi nessuna nobilitazione d'animo. Non a caso, per Ficino, l'amore era, tra tutti i divini furori, il più importante:
Di tutti questi furori el potentissimo e prestantissimo è l'amore: potentissimo dico perché tutti gli altri necessariamente hanno di lui bisogno, perché non possiamo conseguitare poesia, mysterii, divinatione sanza diligente studio, ardente pietà e continuo culto di Dio. Ma lo studio, pietà e culto non è altro che amore, adunque tutti e furori stanno per la potentia d'amore. E' ancora l'amore prestantissimo perché a questo, come ad fine, gli altri tre furori si riferiscono, e questo proximamente con Dio ci copula (Ficino, El libro dell'Amore, VII, XV).
A quanto risulta da tutto quanto siamo andati argomentando, in relazione alla Calunnia di Botticelli nessuna lettura può prescindere dal considerare la “costellazione erotica della malinconia” come una chiave privilegiata di accesso ai complessi significati dell’opera. Per quanto riguarda il nesso amore/melanconia, stretto è quel vincolo, già prima che Saturno fosse convocato, accanto a Venere Humanitas, a declinare positivamente la sua influenza per fare dell'uomo, e in particolare dell’intellettuale e dell’artista, l’essere più nobile della creazione, degno di stare al centro del cosmo rinascimentale.
Riferimenti bibliografici
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La novella di Cimone ed Efigenia è citata secondo l’edizione: Giovanni Boccaccio, Tutte le opere, a cura di V. Branca, Milano 1976. El libro dell'amore di Ficino è disponibile grazie all’edizione: Marsilio Ficino, El libro dell'amore, a cura di S. Niccoli, in Istituto nazionale di studi sul Rinascimento, Studi e testi, vol. 16, Firenze 1987 (la versione italiana è consultabile on line nel sito Bivio. L'opera di Ad-Damiris è citata secondo la traduzione: Ad-Damiris, A zoological lexicon [Haydt al-Hayawdu], traduzione di A. S. G. Jayakar, Londra 1908, vol. II, 1. I brani di Ildegarda von Bingen sono citati secondo l'edizione di Paola Calef: Ildegarda di Bingen, Cause e cure delle infermità, a cura di Paola Calef, Palermo 1997.
English abstract
The most painted scene from the Decameron's first tale of day five shows Cymon stands gazing at Iphigenia, while she is sleeping in the woods. After admiring her beauty, the young nobleman changes from a badly mannered lout to an ideal polymath. Falling instantly in love Cymon turn into wise, becoming a model of the transforming power of beauty. The pictorial tradition usually respects the Decameron's original text and represents Cymon resting on his staff while peering over Iphigenia, in a calm, meditative state of mind. In only a few cases, two of which depict in the Calumny of Botticelli, Cymon’s pose changes to a hand-to-face posture, typical of melancholy figures. In this paper we examine the close connection that joins melancholy and love from Antiquity to the Modern Age, attempted to argue that Cymon's hand-to-face posture is symptomatic of an astonishment, of a mental alienation caused by Love, which is similar to melancholy. Traditionally considered pathological conditions strictly relate to madness, Love insanity and Melancholy become during the Renaissance the only two mental dispositions that make man receptive to divine inspiration. It was Marsilio Ficino, the great Florentine philosopher and commentator on Plato's Dialogues, who gave such unprecedented importance to them, providing also relevance to vision of beauty, through which man's soul may approach heavenly beauty and be reminded of its divine origins.
keywords | Botticelli; Cymon; Iphigenia; Love; Melancholy; Renaissance.
Per citare questo articolo/ To cite this article: Malinconico, eroico, Cimone innamorato. Intorno al dettaglio dell'architrave 8 e della base 14 del fondale della Calunnia di Apelle di Botticelli, a cura di S. Agnoletto, “La Rivista di Engramma” n. 149, settembre 2017, pp. 31-46 | PDF dell’articolo