Versatilità delle immagini del mito
L’impiego di schemi iconografici nella Licia di IV sec. a.C.
Alessandro Poggio
English abstract
Il mito greco ha potuto travalicare le coordinate spaziali e temporali della civiltà che gli diede forma grazie alla sua adattabilità a diversi contesti culturali. I miti greci – nella doppia accezione letteraria e visiva – non sono elementi propri della sola memoria occidentale (Settis 2004). Questo fenomeno di straordinaria vitalità e continuità ha le sue radici nella “polivalenza delle immagini” mitiche (Gernet 2004).
Tante sono le tessere che compongono il mosaico della diffusione del mito greco in questa prospettiva di lunghissimo periodo. Indubbiamente, in ambito figurativo, lo studio della sua circolazione nel Mediterraneo antico rappresenta la prima importante tappa di questa storia, come dimostrano importanti studi sul mondo etrusco e romano (per esempio, v. de Angelis 2015; Zanker, Ewald 2004).
In questo contributo rivolgerò la mia attenzione alla diffusione e all’impiego di immagini mitologiche nel Mediterraneo orientale prima del periodo ellenistico. In particolare, vorrei avanzare alcune riflessioni su una delle aree che – nel panorama delle regioni del Mediterraneo orientale – spicca per la sua ricettività nei confronti del modello culturale greco: la Licia.
La Licia, regione dell’Anatolia sud-occidentale, fu parte dell’impero persiano per il periodo compreso tra la metà del VI sec. a.C. e la spedizione di Alessandro Magno, con una parentesi nel terzo quarto del V sec. a.C., quando la regione gravitò nella sfera di influenza della lega delio-attica (v. Hoff 2016). Durante questi secoli si individuano in Licia numerosi centri di potere in cui governavano figure definite dalla critica moderna ‘dinasti’, che godevano di un certo grado di autonomia rispetto all’autorità centrale persiana (v. Draycott 2007, 103-104; per la storia di questo periodo, Keen 1998).
Alla Licia di età dinastica si confà la nozione warburghiana di “Zum Bild das Wort”. A questo periodo, infatti, risale una peculiare produzione artistica, prevalentemente di carattere funerario, che si snoda tra VI e IV sec. a.C. Fu invece limitata la produzione di testi in lingua locale. Conosciamo la lingua licia, imparentata con il luvio, soprattutto da iscrizioni lapidee, per lo più di carattere funerario, ma non mancano graffiti e iscrizioni su altro materiale e legende monetarie (v. Bryce 1986, 42; Schweyer 2002). Grande importanza riveste la compresenza, nello stesso contesto, di iscrizioni in licio e altre lingue a noi note: i casi più celebri sono il cosiddetto Pilastro Iscritto di Xanthos (v. Demargne 1958, 79-105; Dönmez, Schürr 2015, con aggiornamenti bibliografici), con iscrizioni in licio e greco, e la Trilingue del Letoon, con testi in licio, greco e aramaico (v. Metzger, Laroche, Dupont-Sommer, Mayrhofer 1979; Adiego 2012; Molina Valero 2016). Ciononostante il licio è solo parzialmente decifrato; è dunque evidente che l’interpretazione dei documenti figurativi assume in Licia un’importanza primaria per comprendere aspetti altrimenti non intelligibili.
Il linguaggio artistico licio di questi secoli si contraddistingue per la compresenza e la fusione di elementi locali e più chiaramente allogeni, di ispirazione anatolica, greca e persiana. Ne conseguono soluzioni originali che rispondevano alle esigenze dei committenti e alle aspettative dell’audience locale.
In questo senso, le immagini del mito sono particolarmente preziose, poiché, se interrogate opportunamente, possono rivelare alcuni aspetti delle società che li hanno concepiti, rielaborati e impiegati in diversi contesti (v. Muth, de Angelis 1999; per la Licia, Poggio 2007). Inoltre, le immagini del mito possono far riflettere sull’impiego di schemi figurativi e sulla loro combinazione in differenti contesti, dunque sulle pratiche di bottega.
La Licia è stata una presenza costante nell’orizzonte del mito greco (v. Bönisch-Meyer 2016). Allo stesso tempo, immagini del mito greco erano presenti, fin dall’inizio, nell’eccezionale produzione artistica licia. È però nel IV sec. a.C. che si assiste a un uso consistente delle immagini mitologiche di impronta ellenica in un articolato linguaggio artistico al servizio dell’ideologia del potere locale. Da un punto di vista architettonico, le tombe dinastiche, la cui tipologia più diffusa tra VI e V secolo a.C. era quella della cosiddetta ‘tomba a pilastro’, assunsero in alcuni casi la forma di edifici templari secondo il modello greco, come il Monumento delle Nereidi di Xanthos (v. Childs, Demargne 1989) e l’heroon di Limyra (v. Borchhardt 1976). Coerentemente, le iconografie presenti nei cicli figurativi mostravano rimandi più stringenti con il mondo greco.
La Licia dimostra una significativa ricettività verso il linguaggio artistico greco. La scelta e il trattamento delle immagini del mito, che di quel linguaggio sono parte integrante, dipendono da diversi fattori, come il riferimento a tradizioni locali e il gusto del momento. Il fenomeno di combinazione e rielaborazione di schemi iconografici interessa diversi contesti figurativi in tutte le fasi della produzione artistica licia di età dinastica, dal VI al IV secolo a.C.; questa flessibilità, basata su un impiego versatile degli schemi iconografici, si riflette anche sulle immagini del mito.
Un caso strettamente legato a significati locali è quello relativo alla fortuna del mito di Bellerofonte e della Chimera nell’arte funeraria licia di IV sec. a.C. Già nei poemi omerici (Il. 6, 155–203) si fa riferimento alle gesta di Bellerofonte, che proprio in Licia, insieme al cavallo alato Pegaso, uccise la Chimera, il mitico mostro con testa e corpo di leone, una testa di capra sulla schiena e un serpente con la testa come coda (v. Benda-Weber 2005, 243-254; Cianferoni, Iozzo, Setari 2012). Questa impresa fu la prima di una serie di prove imposte all’eroe dal re della Licia; il loro superamento aprì la strada al matrimonio di Bellerofonte con la figlia del re locale. Pegaso – con probabile richiamo alle gesta di Bellerofonte – compariva già sulla parete meridionale della tomba a camera dipinta di Kizilbel, nella Licia settentrionale (anni Venti del VI sec. a.C.): la scena, non totalmente preservata, doveva rappresentare il cavallo (qui apparentemente senza ali) e Crisaore che nascono dal corpo decapitato di Medusa, mentre le altre due Gorgoni inseguono Perseo (v. Mellink 1998, 35-36, 57-58, tav. XXVII fig. a; Krauskopf 1988, 314, n. 322).
Uno spiccato interesse per Bellerofonte e la Chimera emerge tuttavia nei cicli figurativi lici di IV sec. a.C. Sull’heroon di Trysa (380-370 a.C.), recinto funerario abbondantemente decorato da rilievi, l’eroe è rappresentato a cavallo di Pegaso mentre incombe sul mostro (v. Benndorf, Niemann 1889, 59; Eichler 1950, 58-59; Landskron 2015, 208; ipotetica è la ricostruzione degli acroteri meridionali dell’heroon di Limyra come Bellerofonte su Pegaso che combatte contro le Amazzoni, v. Borchhardt 1976, 88-91) [Fig. 1].
L’immagine di Bellerofonte che fronteggia il terribile animale si prestava certamente a un processo di attualizzazione secondo il codice dei valori correnti in Licia: nel IV sec. a.C., nell’ambito del rinnovamento figurativo che interessò il linguaggio artistico licio, la caccia si impose come elemento imprescindibile della celebrazione per immagini dei dinasti e delle élite locali. E proprio in quest’ottica si deve interpretare il modo in cui viene usato il mito di Bellerofonte e della Chimera in alcuni contesti lici.
Su una tomba rupestre di Tlos, nella valle del fiume Xanthos, è raffigurato Bellerofonte a cavallo di Pegaso, ma al posto della Chimera è rappresentato un animale reale, forse una pantera (v. Borchhardt 1968, 170 n. 2; Zahle 1979, 325 n. 10; Bruns-Özgan 1987, 273 cat. F 30). Su uno dei sarcofagi monumentali di Xanthos, il cosiddetto sarcofago di Merehi, fa invece capolino la Chimera, insolitamente incalzata da una quadriga con auriga e apobates (v. Demargne 1974, 95-96) [Fig. 2]. In questi due casi si riscontra la scomposizione dell’episodio di Bellerofonte e della Chimera in segmenti sostanzialmente indipendenti – Bellerofonte è un cacciatore particolarmente abile, la Chimera è una preda straordinaria – combinabili con elementi non strettamente mitici: ne consegue che attività reali come la caccia sono proiettate su un piano mitico.
Un procedimento analogo di contaminazione tra rappresentazioni ‘storiche’ e mitiche è stato applicato sul rilievo della trave di colmo della ‘tomba di Ceneo’, da Limyra (terzo quarto del IV sec. a.C.; v. Bruns-Özgan 1987, 279-280 cat. S 12; Borchhardt 2012a, 239-241). Qui la consueta articolazione della caccia multipla – generalmente riferita all’abilità venatoria in vita del defunto – viene variata inserendo, accanto a una caccia alla pantera e al cinghiale, una scena di diverso tenore: un grifone assale un uomo a terra, mentre un cavaliere incombe da sinistra (v. Bruns-Özgan 1987, 183-185). Questo schema iconografico è tratto dalle rappresentazioni della saga degli Arimaspi, popolo leggendario della Scizia: la loro lotta con i grifoni era un tema iconografico diffuso nel IV sec. a.C. Con l’inserimento di un grifone come terza preda nella sequenza di cacce, piano reale e piano mitico si intrecciano allo scopo di porre l’accento sull’eroizzazione dell’impresa venatoria del defunto (v. Colas-Rannou 2013, 57).
Quest’ultimo esempio dimostra come l’importanza delle rappresentazioni di caccia in ambito licio inducesse a utilizzare elementi di saghe mitiche inglobandoli in raffigurazioni di tipo ‘storico’. In questo modo, creando immagini ‘miste’, si proiettava l’attività venatoria su un piano eroico, rafforzando il processo di appropriazione del mito greco. Il caso di Bellerofonte e della Chimera si inserisce nella stessa tendenza: la fortuna di queste figure nel IV sec. a.C. va riferito senz’altro alla volontà delle élite locali di ricollegarsi al mitico eroe licio (v. Brommer 1952-54, 8).
Un altro aspetto che deve essere considerato nella valutazione dell’uso di immagini mitiche nella Licia di IV sec. a.C. sono le tendenze del periodo in un orizzonte geografico largo: la Licia non era una regione isolata, al contrario era partecipe di dinamiche più ampie.
La Centauromachia era un tema diffuso sui monumenti funerari di dinasti e membri delle élite del Mediterraneo orientale. Questo tema compare su due monumenti funerari di altrettanti centri dinastici della Licia: l’heroon di Trysa, dove lo scontro tra Lapiti e Centauri decora sia uno dei fregi della facciata esterna che uno dei fregi interni (v. Landskron 2015, 76-83 e 176-184); la ‘tomba di Ceneo’ da Limyra, su cui la Centauromachia è raffigurata su uno dei lati lunghi della trave di colmo (v. Bruns-Özgan 1987, 185-186; Üblagger 2012) [Fig. 3; Fig. 4]. La presenza della Centauromachia in contesti funerari nel Mediterraneo orientale di IV sec. a.C. non è per nulla eccentrica: un fregio di Centauromachia, oggi molto frammentario, decorava il Mausoleo di Alicarnasso (v. Cook 2005, 65-70), celeberrima tomba del satrapo cario Mausolo, a cui lavorarono a metà del IV sec. a.C., secondo le fonti letterarie, rinomati artisti greci; la Centauromachia decorava poi il rilievo di uno dei lati brevi del Sarcofago Licio della Necropoli Reale di Sidone (primo quarto del IV sec. a.C.), attribuito a uno dei re della città fenicia di età persiana (Schmidt-Dounas 1985, in part. 75-88) [Fig. 6]. Questo processo di appropriazione di temi mitologici greci in contesti diversi da quelli della Grecia vera e propria – funerari piuttosto che sacrali – è un fenomeno tipico del Mediterraneo orientale di questo periodo che gli studiosi hanno attribuito a una crescente valenza escatologica dei miti (v. Laufer 1985, 32) oppure a una volontà di eroizzazione del defunto (v. Barringer 2008, 171-202).
Credo che sia indubitabile la finalità di celebrare le gesta dei dinasti fornendo pendant mitici (v. Poggio 2007). Tuttavia, nella Centauromachia, la particolare iconografia di Ceneo – lo schema della kathodos – sembra favorire un’interpretazione simbolica legata alla sfera della morte (v. Ridgway 1999, 155; per una diversa interpretazione, v. Borchhardt 2012b, 316-317). Ceneo era uno dei Lapiti che parteciparono allo scontro con i Centauri: secondo una versione del mito, egli era stato una fanciulla che aveva ottenuto da Poseidone di diventare un uomo invulnerabile. Per questa ragione, secondo alcune fonti, i Centauri lo fecero sprofondare colpendolo con tronchi: nei documenti figurativi solo una parte del corpo – a un’altezza variabile a seconda delle versioni – è rappresentata al di sopra della linea di terra; talvolta, viene adottato per questa figura lo schema del doppio ginocchio puntato (per esempio, v. Laufer 1990, 887 n. 52). A Ceneo, pertanto, vengono associate diverse Pathosformeln: poiché questi schemi servivano anche a catalizzare l’attenzione dell’audience (v. Settis 2012), la loro presenza in rappresentazioni corali come le Centauromachie era utile per la leggibilità, ad esempio, di lunghi fregi.
Infatti, l’episodio di Ceneo era un elemento irrinunciabile nelle Centauromachie di alcuni dei più importanti templi greci di V sec. a.C., come dimostrano i fregi dell’Hephaisteion ad Atene, del tempio di Poseidone al Sunio, e di quello di Apollo a Bassae (v. Laufer 1990, 888 nn. 54-56). La Licia non fa eccezione: l’episodio di Ceneo costituiva il fulcro visivo – ben riconoscibile – del fregio sulla facciata esterna dell’heroon di Trysa [Fig. 3] e di quello del sarcofago di Limyra [Fig. 4]. L’episodio presenta delle somiglianze nelle versioni di Trysa e Limyra: per esempio, Ceneo, rappresentato frontalmente, soccombe e punta la lama contro il corpo del Centauro alla sua destra. A Limyra questo Centauro – in maniera più consueta – solleva con le mani un masso, pronto a scagliarlo sul Lapita; a Trysa, invece, in maniera più inconsueta, il Centauro solleva un’anfora [Fig. 5].
La presenza dell’anfora a Tyrsa è evidentemente un richiamo al banchetto di nozze di Piritoo e Ippodamia, in occasione del quale si svolge lo scontro tra Lapiti e Centauri (per le rappresentazioni vascolari, Muth 2008, 500-514). Claude Bérard ha sottolineato come questa localizzazione precisa della Centauromachia della facciata – a differenza di quella che decorava la parete interna, priva di tale caratterizzazione – rimandi al tema del banchetto turbato e interrotto, che tornerà più volte nel ciclo decorativo all’interno dell’heroon di Trysa (v. Bérard 1988, 191-192). A questo si può aggiungere che il tema del banchetto rivestiva un ruolo molto importante nell’ideologia dinastica del Mediterraneo orientale, come dimostrano testimonianze figurative, archeologiche e letterarie (v. Poggio c.s.).
Insolita è però l’associazione dell’anfora all’episodio di Ceneo (v. Landskron 2015, 82, con bibliografia). In ambito monumentale, un secondo caso si riscontra sul rilievo del Sarcofago Licio di Sidone, per il quale sono stati richiamati come modelli i fregi dell’Hephaisteion e del tempio di Bassae (ivi, 81) [Fig. 6]. Tuttavia, in questi esempi della Grecia propria i Centauri usano massi come armi: risalta dunque la comune presenza dell’anfora a Trysa e a Sidone.
Sorprende che questa comunanza si verifichi proprio su un monumento di Sidone che rimanda tipologicamente a sarcofagi dalla Licia, come per l’appunto la ‘tomba di Ceneo’; è stata anche avanzata l’ipotesi che il Sarcofago Licio si trovasse originariamente in Licia e poi fosse stato portato a Sidone come bottino di guerra e riusato come sepoltura reale (v. Langer-Karrenbrock 2000, 200-201). Non condivido questa ipotesi e preferisco pensare che il sarcofago fosse stato realizzato per Sidone. Tuttavia, il rapporto del sarcofago fenicio con la produzione licia è indubbio; peraltro, non è l’unico legame tra Licia e Fenicia, come mostrano altri confronti in ambito figurativo (v. Poggio 2011).
Brunilde S. Ridgway ha ipotizzato che, per mezzo di “pattern books”, a Trysa e a Sidone fosse stato riproposto lo schema della metopa S IV del Partenone, su cui il Centauro usa una hydria contro un Lapita, forse Ceneo (v. Ridgway 1999, 175 nota 27). Tuttavia, per le ragioni appena esposte, non si può escludere che le varianti di Trysa e Sidone dell’episodio di Ceneo possano essere interdipendenti, tenendo presente che la mobilità di artisti e modelli greci nel Mediterraneo orientale di IV sec. a.C. giocarono un ruolo importante. D’altronde, le Pathosformeln, oltre a essere catalizzatori di attenzione da parte degli osservatori, avevano una funzione importante nella tradizione artistica e di bottega (v. Settis 2012).
Gli esempi qui citati mostrano un particolare aspetto della forza espansiva del linguaggio artistico greco nel IV sec. a.C. La compresenza di iconografie sovrapponibili su tombe dinastiche contemporanee suggerisce l’esistenza di un mercato artistico che permetteva alle élite del Mediterraneo orientale – comprese quelle della Licia – di richiedere determinate iconografie e agli artisti di offrire temi ricorrenti a partire da schemi versatili.
Sicuramente, le immagini del mito facevano parte di questo bagaglio condiviso. Da una parte, grazie alla loro polivalenza, esse potevano rivestire molteplici significati: trasposizione nel mondo del mito di eventi reali, come guerre e cacce; paradigmi eroici per le élite. Dall’altra, questo repertorio si prestava a una notevole versatilità, come dimostra il caso della Licia: qui le immagini del mito venivano impiegate non solo per se, ma anche come moduli per costruire una grammatica visiva complessa e originale, in cui schemi noti venivano adattati per esigenze locali.
Questo meccanismo fa emergere la Licia di IV sec. a.C. come una regione che recepiva e al tempo stesso rielaborava un patrimonio figurativo ricco come quello greco, in un quadro culturale e artistico estremamente dinamico.
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English abstract
The paper addresses the theme “Zum Bild das Wort” by exploring the use of mythological images in art of the Eastern Mediterranean before the Hellenistic period. Special attention is devoted to Lycia, a region in southwest Anatolia characterised by a peculiar artistic language between the 6th and 4th centuries BC. This region was highly receptive to external cultural trends. In particular, Greek culture and art were very influential, especially in the 4th century BC when mythological images played an important role in the decoration of dynastic and elite tombs. Moving from case studies of Bellerophon and the Chimera, to another of Caeneus, the paper explores the changing use of iconographic schemes in Lycia and specific visual choices used to convey local messages. Moreover, it sheds light on Lycia's place in the broader cultural and artistic horizon of the Eastern Mediterranean.
keywords | Lycia; Mythological images; Art; Bellerophon; Chimera; Iconographic schemes.
Per citare questo articolo / To cite this article: A. Poggio, Versatilità delle immagini del mito. L’impiego di schemi iconografici nella Licia di IV sec. a.C., “La rivista di Engramma” n. 150 vol. 2, ottobre 2017, pp. 301-313 | PDF