L’altare di Caius Titurnius Florus a Sant‘Angelo della Polvere
Tracce di insediamenti antichi scomparsi nella Laguna di Venezia*
Maddalena Bassani
English abstract
Il tema sviluppato in questo convegno offre la possibilità di presentare una rilettura di documenti ottocenteschi relativi a un ritrovamento archeologico nella laguna di Venezia. In effetti, la prospettiva di analizzare il divenire storico della città e della sua laguna alla luce di una continua alternanza fra vuoti e pieni, si adatta perfettamente a raccontare il passato del bacino lagunare veneziano, costituito, per l'appunto, da una poliedrica presenza-assenza, o se vogliamo apparente assenza-comprovata presenza, di tracce antropiche antiche.
Lo spunto viene dato da alcune pagine manoscritte di un fondo conservato nella Biblioteca del Museo Correr di Venezia e attribuito a Giovanni Casoni, un ingegnere veneziano attivo nella prima metà del Diciannovesimo secolo e famoso per aver scritto una storia dell'Arsenale, oltre che per aver partecipato attivamente alla vita pubblica cittadina (Casoni 1829[1]). Egli era conosciuto anche in ambito antichistico e storico-antiquario per il suo vivo interesse di fronte alle scoperte archeologiche che si susseguivano a Venezia e soprattutto in laguna e non stupisce pertanto ritrovare nei suoi diari, oggetto di un'analisi esaustiva da parte di chi vi parla, dati importanti in merito a una scoperta archeologica avvenuta in un'isola della Laguna di Venezia.
La scoperta
L'isola in questione è quella nota con il nome di Sant'Angelo della Polvere o della Contorta, dove, nel 1849, veniva rinvenuto in maniera del tutto fortuita un altare funerario con iscrizione dedicatoria ora al Museo Archeologico di Venezia (inv. 293).
I militari che occupavano l'isola negli anni dell'assedio austriaco di Venezia cercavano infatti una sorgente d'acqua potabile, carente non solo nell'isola ma in tutta la città. Essi si imbatterono in un manufatto che appariva importante sia per la sua evidente vetustà, sia perché si trovava collocato perfettamente in piedi a oltre 2 metri in sottosuolo, motivo per cui il comandante Francesco Tavolin decise di interrompere lo scavo. Egli avvisò immediatamente Giovanni Casoni, che poté verificare di persona il manufatto e la natura degli strati di terreno 'smontati' dai militari, annotando ogni dato utile nei suoi diari [1]. Vale allora leggere direttamente le note manoscritte di Casoni, pensate forse per essere lette in pubblico, che qui si riportano mantenendo i caratteri e segni grafici originali:
Cippo di Titurnio: ora all'Archeologico.
Le incombenze del mio ufficio mi costrinsero a vedere alcuna volta l'umile e solitaria isoletta – S. Angelo di Contorta, più conosciuta come S. Angelo della Polvere a cui manca affatto ogni cisterna. Ivi, in tempo alla grande scarsezza (c. 31) d'acqua potabile, (una delle grandi sciagure che afflissero questa città nei due lunghissimi decorsi anni), venne in pensiero ad un milite, di tentare quel suolo, nella speranza che l'arte potesse supplire al difetto della località, ed alla inclemenza della natura, ed unito ai suoi compagni intraprese la escavazione d'una vasca nel centro appunto dell'Isola. Vana lusinga! L'acqua comparve immediatamente ma salsa, ma contaminata, onde qui convenne rinunciare all'impresa e contentarsi di bere acqua scarsa e mal sana, che (c. 32) con piccole barche, e framezzo a continui pericoli, procuravano di portare a quell'isola.
Pure, quel tentativo se non riuscì al contemplato fine, valse però a procurare un decoroso aumento a questo Museo Palatino, essendosi in quello scavo, verso la metà del Gennaio 1849 – sotto un'antico smalto a terrazzo, alla profondità di Metri 2:75 dal fior di terreno, rinvenuto un bello e ben conservato monumento sepolcrale di Pietra lapidica, con la solita capsula cineraria e con questa iscrizione (c. 33) C. Titurnio C. L. Grato Patrono C. Titurnius C. L. Florus fieri iussit.
Perché questo monumento non rimanga negletto, e sia invece raccolto e conservato, s'interessava la dotta e operosa solerzia del rinomatissimo nostro Cavaliere Cicogna alle cui cure associate le mie, ne ottenni il dono da chi allora era nella posizione di farlo, ed il martedì 13 marzo 1849 l'ho depositato in questo museo.
Consiste quel cippo in un parallelepipedo alto (c. 34) metri 0,92 con piccola colonna intagliata a cadauno de' quattro lati, maggiori, e con Base e Cornice. La iscrizione è scolpita, in belli caratteri romani (e, come avete sentito nello stile semplice e conciso de' migliori tempi del Lazio), su l'una delle due più grandi faccie.
Il nome Titurnio, qui dato ad un liberto, non è nuovo nelle schede degli archeologi, e già a quest'ora alcuni studi si sono fatti per una illustrazione.
Forse il monumento anticamente esisteva a Sant Ilario, Paese e Abbazia, le cui rovine, coperte di musco, vengono additate al curioso, nelle fangose solitudini presso il (c. 35) margine della Laguna, di fronte alla stessa isola di Contorta, dove idoletti di Bronzo, vasi di Figulo, urne di vetro, amuleti, iscrizioni, ed altri consimili oggetti sovente vengono dissotterrati.
Venezia 27 maggio 1850.
L‘analisi
Prima di soffermarsi ad analizzare il manufatto e i dati conservati nel manoscritto, vale sottolineare come della scoperta dell'altare abbiano fatto riferimento alcuni studiosi (Cicogna 1824-1853, vol. V, 457; Valentinelli 1866, 179-180, n. 227; Marzemin 1941, 513; Dorigo 1983, II, 360; Canal 2013, 166), tra cui si segnala il lavoro di Giuseppe Marzemin, il quale propose pure la ricostruzione dello scavo (Fig. 1), basandosi su uno schizzo realizzato dallo stesso Casoni a lato di uno dei suoi appunti manoscritti.
Se si escludono le osservazioni proposte da Ernesto Canal su tale scoperta, ciò che emerge nella maggior parte delle pubblicazioni fin qui note è l'assenza di una valutazione dell'ara da un punto di vista tipologico ed entro il contesto topografico-archeologico di riferimento: occorre quindi riconsiderare tutte le informazioni disponibili, cercando di inquadrarle alla luce del panorama archeologico recente della laguna di Venezia. Da un punto di vista tipologico, il manufatto corrisponde a un altare funerario parallelepipedo di una certa altezza (h 0,94 m, largh. 0,60 m, prof. 0,42 m), scolpito in pietra di Aurisina e decorato su ciascun angolo da pseudocolonnine abbellite da motivi floreali con capitelli corinzi (cfr. Mirabella Roberti 1997). Sia la base che la parte sommitale presentano una decorazione molto semplice, mentre il retro dell'altare risulta non lavorato, dato, questo, che consente di immaginare che l'ara fosse posizionata a ridosso di un muro. Sulla superficie superiore vi è una cavità circolare di 20 cm di diametro, destinata ad ospitare le ceneri del defunto, che doveva essere coperta da un elemento conico o semisferico, andato disperso.
Si tratta di un tipo di manufatti datati fra la tarda età repubblicana e la prima età imperiale, che risultano ben attestati nel Lazio (Dieber 1983), mentre sono più rari nel Veneto (Ghedini 1989, 57-58). Per la semplicità dell'apparato decorativo, si ritiene che questo tipo di altari fosse preferito da persone di estrazione sociale modesta; ed è quanto si ricava anche nel caso di quest'ara, la cui iscrizione, presente nel Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL V, 2272), riporta una dedica di un liberto:
C(aio) Titurnio / C(aii) l(iberto) Grato / patrono / C(aius) Titurnius C(aii) l(ibertus) / Florus / fieri iussit.
Il liberto Caius Titurnius Florus, dunque, aveva commissionato il monumento funerario in onore del suo patrono Gaio Titurnio Grato, a sua volta liberto di un Caius, nel secondo quarto del I secolo d.C. Ma come valutare tale reperto nell'isola di Sant'Angelo della Polvere? Si trattava di uno spolium portato dalla terraferma in epoca post-antica oppure sono possibili altre ipotesi interpretative?
Un‘interpretazione
Per prima cosa occorre prestare attenzione alle informazioni registrate dal Casoni in merito allo scavo (Fig. 1). I militari dovettero intercettare almeno quattro strati: il primo, quello immediatamente sotto il piano di calpestio dell'epoca, era profondo circa 70 cm ed era costituito da terra; ci si imbatté poi in un 'terrazzo' alla veneziana, corrispondente, è probabile, a un pavimento pertinente a un piano di calpestio forse di epoca medievale o rinascimentale (Lazzarini 2008). Sotto di questo si rinvenne uno strato di terra e pietre che sovrastavano il monumento funerario, quest'ultimo collocato con precisione a 2,75 m di profondità. E tale livello di profondità coincide perfettamente con la quota in cui mediamente sono stati rinvenuti, grazie a scavi stratigrafici e indagini recenti, i contesti archeologici di epoca romana nella laguna di Venezia (cfr. in partic. Canal 2013).
Dunque, se i dati forniti dal Casoni sono corretti, e non vi è motivo per dubitarne, il luogo di ritrovamento dell'altare acquisisce un'importanza del tutto nuova: l'isola di Sant’Angelo della Polvere verrebbe infatti a configurarsi come una delle tante aree perilagunari che in epoca antica dovettero essere completamente emerse ed utilizzate per un insediamento stabile, un insediamento che nel corso dei secoli andò via via scemando in concomitanza con il progressivo innalzamento del livello medio del mare e dei profondi mutamenti geomorfologici in laguna (Bondesan, Meneghel 2004).
Del resto, quest'isola si trovava in prossimità di Fusina, Moranzani e Sant’Ilario, dove lo stesso Casoni ricordava il recupero di molti altri reperti antichi, per lo più di epoca imperiale (Fig. 2): come segnala la Carta Archeologica del Veneto (Carta Archeologica del Veneto 1994, vol. IV, 71-72, nn. 280-283.2, con ampia bibliografia di riferimento; su Sant'Ilario: Calaon, Ferri 2008), nella vicinissima Fusina alcuni scavi del 1756 portarono in luce due tratti di pavimenti di epoca romana, uno rivestito con mattoni quadrati, l'altro a mosaico. Si crede che tali piani pavimentali fossero pertinenti a un edificio rustico non lontano da una necropoli: si trassero infatti numerose urne cinerarie, balsamari, recipienti in ceramica a pareti sottili, molte lucerne, monete, anfore, ma anche alcune iscrizioni funerarie. Inoltre, presso la limitrofa isola di San Marco in Bocca Lama, oggi quasi totalmente sommersa, oltre a edifici e imbarcazioni medievali (D'Agostino, Medas 2003-2004; Canal 2013, 170-172), sono state individuate anche le strutture pertinenti a un edificio più antico, probabilmente di età imperiale.
L'isola di Sant’Angelo della Polvere va dunque reinterpretata come uno dei tanti siti archeologici ormai noti nella laguna veneziana e come tale va spiegata come una traccia tangibile di quell'insediamento diffuso in età preromana e soprattutto romana favorito dall'ampia regressione marina e dalla presenza di fiumi, i quali costituivano non solo elementi di un paesaggio profondamente diverso da quello odierno, ma anche vie di percorrenza servite da un complesso sistema di canali artificiali (le fossae) e da strade consolari quali la Via Annia e la Via Popilia e forse, secondo una recente e innovativa proposta di L. Braccesi, anche la Via Claudia Augusta (cfr. in questo numero il contributo a sua firma).
Parallelamente, la presenza di un altare funerario di un liberto, forse legato alla gens dei Titurni di cui abbiamo menzione in una lettera di Cicerone (Cic. ad fam. XIII 39; cfr. Schulze 1966 [2], 244), potrebbe far immaginare che un ramo di questa famiglia fosse presente proprio nella Cisalpina, con possedimenti forse anche nelle propaggini estreme della laguna veneziana: ne costituirebbero un'eco quei piani pavimentali più sopra ricordati proprio tra Fusina e Moranzani pertinenti a un edificio rustico e gli altri manufatti funerari attribuibili a una necropoli registrati nella Carta Archeologica del Veneto.
Gli orizzonti che si profilano anche grazie ai diari manoscritti di Giovanni Casoni sono dunque estremamente interessanti e forieri di nuove prospettive di ricerca.
Note
[1] I dati manoscritti relativi a tale scoperta si trovano nella Biblioteca del Museo Correr di Venezia, di seguito abbreviata con la sigla BMCVe, nel fondo ‘Giovanni Casoni-Scritti diversi’, costituito da 65 buste.
[2] BMCVe, ms Cicogna, n. 3348 (ex 3635), 20; BMCVe, ms Cicogna, n. 3351 (ex 3638). In particolare negli Atti delle adunanze dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 1850 (tomo I, ser. II, p. 31), viene riportata la sintesi della comunicazione fatta dal Casoni all’Istituto in merito ai suoi studi di ingegneria e di archeologia, tra cui, appunto, la segnalazione dell’altare dall’isola di Sant’Angelo della Polvere.
Bibliografia
- Bassani 2012
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D. Calaon, M. Ferri, Il monastero dei dogi. SS. Ilario e Benedetto ai margini della laguna veneziana, in S. Gelichi (a cura di), Missioni Archeologiche e Progetti di Ricerca e Scavo dell’Università Ca’ Foscari – Venezia, VI Giornata di Studio, 12 maggio 2008, Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Vicino Oriente, Università Ca’ Foscari, Venezia 2008, 185-197. - Canal 2013
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G. Valentinelli, Marmi scolpiti del Museo Archeologico della Marciana di Venezia, Prato 1866.
*Il testo presentato in questa sede si propone come una prima versione di un articolo più ampio in corso di stampa (Bassani c.s.), a cui si rimanda per ulteriori approfondimenti.
English abstract
The paper aims at offering a reinterpretation of some unpublished manuscripts by Giovanni Casoni, a Venetian engineer, who lived in the 19th Century. Casoni's Diaries were dedicated to the discovery of a funerary altar with an interesting inscription, in Sant'Angelo della Polvere Island, collocated in the central part of the Venice Lagoon. Thanks to a study on archaeological elements in the manuscripts preserved in the Museo Correr in Venice, and thanks to a contextualization of the altar in the ancient settlements, a new perspective on the artefact is proposed.
keywords | Giovanni Casoni, funerary altar, Sant’Angelo della Polvere island, Correr Museum, Venice.
Per citare questo articolo / To cite this article: M. Bassani, L’altare di Caius Titurnius Florus a Sant’Angelo della Polvere. Tracce di insediamenti antichi scomparsi nella Laguna di Venezia, ”La rivista di Engramma” n.155, aprile 2018, pp. 131-140 | PDF