"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

160 | novembre 2018

9788894840551

Venezia, la ‘Festa Mobile’: per un atlante in fieri

Luoghi, figure e forme della favola antica nel primo Rinascimento[*]

Francesca Bortoletti, Beatrice Gobbo, Tommaso Elli, Giuseppe Gerbino, Paolo Ciuccarelli

English abstract
Introduzione

“Festa mobile” – prendiamo a prestito il titolo dell’ultima opera di Ernest Hemingway, sostituendo alla Parigi degli anni Venti del Novecento la Venezia degli anni di Marin Sanudo, anni che vedono la Serenissima intensificare il proprio ritmo celebrativo, promuovendo l’arte della festa nelle sedi dello spazio cerimoniale tradizionale e in nuove sedi urbane e marine.

Esisteva a Venezia una regolarità rituale, lodata ad esempio da Francesco Sansovino, all’interno della quale è possibile rintracciare i segni di iniziative personalistiche che contraddistinguevano il tempo della festa – “nelle feste de’ privati si fanno altre cose diverse” (Sansovino 1581, c. 168r) – e che, come nota Raimondo Guarino, stabilivano una sorta di oligarchia del rituale festivo che compensavano le inflessioni monarchiche del cerimoniale (Guarino 1995, 68).

Esisteva a Venezia una fervida comunità di artisti e intellettuali che offriva il proprio supporto artistico e organizzativo e che trovava nel contesto festivo cittadino margini di sperimentazione, sui quali occorre ancora investigare per comprendere i differenti termini di valore simbolico, celebrativo o figurativo in relazione alle occasioni festive, ai luoghi contemplati dal cerimoniale pubblico e privato, e insieme alle forme disarticolate di un vibrante sapere pratico e performativo.

In questo vivace operare, i contenuti mitologici delle regate o delle processioni via terra e via mare si combinavano con le immagini sacre cristiane delle cerimonie per la resurrezione o l’ascensione e si arricchivano delle abilità di performer, poeti-musici e danzatori. Il rapporto con l’antico, vasto e selettivo al tempo stesso, si innestava nel tessuto cittadino misurandosi con le realtà coinvolte, che la storiografia umanistica poi reinterpretava e descriveva usando le parole e le immagini con cui gli antichi narravano di spettacoli e delle loro feste, trasfigurando, attraverso queste, le celebrazioni contemporanee in reviviscenza dei ludi civici romani (Biondo 1559). Come osservavano puntualmente Ferdinando Taviani e Fabrizio Cruciani, “raccontare una favola mitica, quindi descrivere una visione in cui compaiono le antiche immagini degli dei pagani, non è soltanto imitare ciò che avevano fatto i poeti classici, ma innanzitutto raccontare ciò che gli antichi vedevano nei teatri” (Cruciani, Taviani 1988).

All’interno di questa visione, che la scrittura umanistica narra in maniera sostanzialmente organica e coerente, si rintracciano alcuni elementi altrettanto rilevanti che, come vedremo, mettono in luce una mobilità non solo geografica della festa ma anche culturale, mirante a recuperare e reintegrare i modelli degli antichi testi latini e greci e dell’immaginario visivo contemporaneo, in una galleria di personaggi mitologici e di episodi della favola antica, sia essa mitica o comica, di cui non possiamo parlare senza l’aiuto di Ovidio e Virgilio da un lato e del modello plautino e terenziano dall’altro. La ricorrenza di figure dai contenuti mitologici e del repertorio comico classico si legava, infatti, a quella circolarità di forme e temi ampiamente verificabile nell’iconografia, in letteratura, e ancora nella tipografia contemporanea, che anche attraverso la ‘festa’ ricadevano poi in altre forme di poesia e arte.

Ma in che modo si procedeva? “Lo storico – ammoniva Chastel nel ’78 del secolo scorso – deve avere il coraggio di dire che ne sappiamo poco” (Chastel [1978] 1988). Da allora sono stati fatti molti passi in avanti grazie anche al contributo degli studi su teatro e performance [1]. Proseguendo sulle linee tracciate da Jacob Burckhardt (Burckhardt [1860] 2002) e Aby Warburg (Warburg [1932] 2004-2008) intorno all’oggetto festa inteso come un campo specifico di lettura e analisi del Rinascimento italiano ed europeo tra arte, simboli e teatro (Kernodle 1944; Panofski 1969), ravvivate a metà del secolo scorso dai volumi di Jacques Jacquot (Jacquot 1956-60; 1964), Frances Yates (Yates 1959) e dagli studi sulla sopravvivenza dei miti antichi di Jean Seznec (Seznec 1953), queste analisi sulla performance della festa misero in luce tensioni sottese all’arte del rappresentare e alle culture della festa, ampliando sensibilmente la portata dell’analisi socio-politica di questi eventi [2] e stimolando l’interesse per lo studio delle forme simboliche come parte costitutiva dell’immaginario visivo, poetico e performativo del programma festivo [3]. In particolare su Venezia, alle opere di storici e storici dell’arte [4] si accostarono ulteriori ricerche sulle relazioni tra il civico contesto della festa e la coeva cultura visiva, musicale e performativa che, andando oltre la ricomposizione del cerimoniale istituzionale su cui maggiormente la storiografia si era concentrata, sondarono modelli, processi e sistemi creativi e produttivi sfuggiti al setaccio dell’analisi delle arti dello spettacolo come riflesso della storia istituzionale. Occorre proseguire in questa direzione attraverso uno studio della festa – i suoi intermezzi, le entrate trionfali, le rappresentazioni teatrali e le performance coreutico-musicali – che in quanto insieme di azioni viventi – “forme intermedie tra arte e vita”, come teorizzato da Warburg in ripresa della formulazione burckhardtiana (Ghelardi 2005) – riattivavano con significati diversi il modello classico trasfigurandolo nella sfera artistica, sociale e politica come efficace veicolo mnemonico di selezione, trasmissione e creazione di un nuovo sapere.

1 | I tre livelli della festa. Struttura relazionale dell’analisi dell’oggetto festa.

Prendendo, dunque, le mosse dal ‘fatto’ spettacolare, ossia dall’evento festa (primo livello della nostra inchiesta), questo saggio mira in prima istanza a proporre una preliminare ricomposizione dei luoghi della ‘favola antica’ nella geografia festiva e urbana della Serenissima, rintracciando la specificità e varietà delle sue performance nella mobilità della festa. Proseguiremo poi con il tracciare alcune delle reti di relazione tra le comunità degli ‘attori’ coinvolte nella realizzazione dell’evento festivo, quello che abbiamo chiamato il ‘backstage’ della festa, ossia la sua dimensione socio-politica, artistica e culturale, per comprendere la loro funzione nella società e nella cultura veneziana (secondo livello). Identificheremo infine alcuni modelli selezionati dall’antico nell’intento di ricomporre i relativi processi di attualizzazione di questi modelli nel programma poetico-visivo e coreutico-musicale-performativo della festa e quindi la sua ‘memoria’ (terzo livello).

Sono queste le tre linee primarie di investigazione sulle quali in questi anni si è venuto costituendo e sulle quali stiamo progressivamente concettualizzando, a partire dagli esiti raggiunti dalla storiografia dello spettacolo, la struttura di un ‘Atlante della Festa nel primo Rinascimento italiano’. Il progetto prevede la collaborazione di digital designer del Density Design Lab del Politecnico di Milano e di Giuseppe Gerbino (Columbia University) per la parte musicale e sonora, con l’intento di produrre una piattaforma digitale, il cui acronimo è FRIDA (Festivals in Renaissance Italy: Digital Atlas). Questo progetto vede anche la partecipazione dell’Italian Academy for Advanced Studies, Columbia University, che co-ospiterà l’archivio digitale una volta che sarà pronto. Progetto pilota del nostro Atlante è Venezia, cui si aggiungono anche Firenze, Roma, Napoli, e le corti del nord di Milano, Mantova e Ferrara.

Per ciascuna di queste aree geografiche è stata avviata una mappatura delle principali feste tra la metà del 1450 e la metà del 1550, che include feste civico-religiose, feste nuziali, di Carnevale, funerali, feste occasionali per passaggi di ospiti illustri, entrate trionfali, processioni, banchetti, cerimonie liturgiche, danze, musiche, tornei, giostre e rappresentazioni teatrali di commedie, farse, tragedie, in un arco temporale tale che sia possibile cogliere il valore e il senso di contiguità e desuetudini. Si sta pertanto procedendo a un lavoro di archiviazione, digitalizzazione e catalogazione di un corpus eterogeneo di fonti testuali, musicali (poems) e iconografiche (artworks) direttamente o indirettamente legate alle diverse tipologie delle feste ‘mappate’.

Il corpus di testi, immagini e ancora suoni che compone il database del nostro Atlante sarà funzionale alla produzione di sistemi e percorsi di investigazione, visualizzazione e rappresentazione dell’oggetto festa, che verranno generati seguendo i tre livelli analitici sopra descritti, attraverso un serrato lavoro di co-design tra umanisti e IT designer. Per ogni livello di analisi abbiamo identificato modelli e linguaggi visivi applicabili a oggetti digitali elaborati in funzione delle specifiche esigenze di esplorazione dell’evento festivo, come rappresentato nel diagramma della Figura 1. Il diagramma descrive la struttura dell’analisi dell’oggetto ‘festa’ suddivindela su 3 livelli differenti, tra loro connessi da elementi condivisi. Il ‘fatto’ (in posizione centrale) è l’evento in sé, caratterizzato da luoghi (places) e diverse tipologie di performance. Ogni evento festivo ha una dimensione di ‘backstage’ e di ‘memoria’: il primo descrive la rete sociale degli attori (actors) coinvolti in ciascun evento; il secondo riguarda l’insieme di artefatti visivi (artworks/immagini), testuali e sonori (poems/testi) direttamente o indirettamente legati all’evento festivo. Per ogni livello è stato scelto un linguaggio visivo differente elaborato sulla base delle diverse tipologie di dato disponibili: ‘visualizzazione cartografica’ (livello 1); ‘raccolta di networks’ composti da nodi interconnessi (livello 2); ‘analisi associativa di testi e immagini’ resa visibile attraverso la metafora della ‘libreria’ (livello 3).

Questi diversi livelli di indagine e rappresentazione della nostra conoscenza della festa, a partire dai quali prende forma il database del nostro Atlante, permetteranno nel proseguo del nostro progetto di ricomporre la cultura della festa rinascimentale nella sua dimensione intermediale (Jensen 2008) e nella varietà collettiva o individuale di pratiche performative e funzioni artistiche, culturali e politiche. Verranno progressivamente delineate situazioni di organizzazione dello spettacolo, adozioni di parole e immagini e proiezioni di valori e simboli entro un’idea di teatro che, attraverso l’elaborazione di diagrammi, analisi visuali e rappresentazioni visive applicabili a una serie di oggetti digitali, potranno rivelare dati non visibili all’occhio dello storico e creare forme nuove di narrazione trasversale e multimediale a integrazione della tradizionale disposizione narrativa. Il fine non è quello di produrre strutture classificatorie e tassonomiche all’interno dell’arco cronologico coperto dall’Atlante, né di adottare un criterio a fine di esaustività, ma quello di generare, attraverso una mappatura selettiva e associativa, una sorta di racconto ‘storico-analitico’ e ‘geografico-visivo’ delle condizioni molteplici e costanti della festa, ricomponendo i residui di un teatro, quello politico-celebrativo e festivo, che, nutrito da un immaginario poetico-artistico composito che attingeva dalla letteratura e dalla mitologia, continuava a ripetersi dopo l’evento festa attraverso la sopravvivenza di resti nelle arti, nella poesia o nella memoria della città.

2 | Itinerari a confronto — Festa della Sensa e spettacolo diffuso. I punti sulla mappa attuale di Venezia sono stati identificati tramite Google Maps e riportati su una visualizzazione astratta della veduta de’ Barbari.

3 | Itinerario e Tappe. Il Carnevale del 1520. Le singole tappe dell’itinerario sono state visualizzate attraverso singoli scorci della veduta de’ Barbari.

4 | Luoghi della momaria e dello spettacolo teatrale. Visualizzazione topografica della momaria e delle performance teatrali sulla veduta de’ Barbari.

5 | Network Luoghi e Performance.

I. Il ‘fatto’ . I luoghi della festa. Itinerari istituzionali e spettacolo diffuso

L’ambiente naturale della città di Venezia aveva permesso la realizzazione di numerose cerimonie durante le occasioni celebrative della città-stato, processioni, giostre e rituali sociali [5]. La maestosa Piazza San Marco, la Basilica o la Piazzetta verso la laguna erano i luoghi più importanti. Erano il ‘teatro’ delle celebrazioni e degli spettacoli religiosi-civici pubblici, luogo per eccellenza dell’esibizione del potere repubblicano, visibile nell’ordine processionale assegnato di volta in volta alle magistrature, agli uffici dogali o ancora alle corporazioni laiche e religiose. Ne abbiamo numerose testimonianze non solo cronachistiche o nei libri cerimoniali cinquecenteschi, ma anche in celebri rappresentazioni iconografiche: dal dipinto di Gentile Bellini, all’incisione di Matteo Pagan (Muir 1984) e alle raccolte di libri con le eloquenti immagini, rispettivamente, di Cesare Vecellio (Vecellio 1590) e di Giacomo Franco (Franco 1610), che riproducono la stessa iconografia dello stato elaborato durante i rituali festivi.

I luoghi del cerimoniale furono tuttavia a Venezia vari e numerosi, con il susseguirsi della molteplicità delle occasioni festive che accoglieva l’apporto specifico di quei gruppi (scuole, confraternite, compagnie, arti, ect.), che assumevano nuovi ruoli e motivazioni legati alla pianificazione celebrativa intrecciandosi con l’organizzazione politica e sociale e che modificavano i luoghi della città in funzione del rappresentare. Questi luoghi includevano il Bacino di San Marco, il Canal Grande e ancora la zona di Castello, il Lido fino ad arrivare alla foce dell’Adriatico ai Due Castelli, come nel caso del cerimoniale della Festa della Sensa e lo Sposalizio con il mare, descritto in più occasione nelle carte dei Diarii del Sanudo e celebrato dalle cronache del tempo. A partire da queste pagine e dai preziosi studi sul cerimoniale veneziano, fra gli altri di Lina Urban e Edward Muir (Urban [1968] 1998; Muir 1981), abbiamo ricostruito, sopra una rappresentazione astratta della veduta di Venezia, la sequenza di questo cerimoniale che, anche agli occhi degli spettatori stranieri del tempo, si presentava fortemente ritualizzato: “a me pare che habiano una stampa in queste sue cerimonie”, scriveva Isabella d’Este a proposito di questa festa (Luzio-Renier 1890).

Si tratta di un cerimoniale che, cominciato come una benedizione del mare al tempo del mandato del doge Orseolo (991-1009), si era poi trasformato in un evento assai più elaborato, che celebrava l’autorità di Venezia come potenza marittima e il suo dominio sul mare e si mostrava nel XV secolo ormai ben codificato. Proponiamo un preliminare modello di visualizzazione statica delle tappe principali del cerimoniale della Sensa [Fig. 2]: dal molo di Palazzo Ducale, a Sant’Elena, ai Due Castelli, e alla Chiesa di San Nicolò, per poi rientrare da dove si era partiti e far visita in Piazza San Marco al mercato; quindi concludere i festeggiamenti con i banchetti a Palazzo Ducale.

Nel suo ripetersi calendariale, nello scenario acquatico della laguna e con la scenografia mobile del Bucintoro, la festa della Sensa era tuttavia suscettibile di sia pur lievi varianti, legate a eventi contingenti, essenzialmente storici e politici – come selettivamente rappresentato nei quattro itinerari della Fig. 2 (I, II, III, IV) – ma anche, in altri casi, connesse a tentativi di trasgressione dell’uniformità dei rituali, tuttavia controllati dagli editti dei Dieci che esercitavano una ossessiva reiterazione di appelli all’uniformità dei riti e dei culti [6]. Le quattro visualizzazioni rappresentano l’itinerario di un evento festivo e ogni elemento quadrato (o punto) una sua tappa. La rappresentazione dei quattro itinerari mostra elementi di variabilità del rituale canonico della festa della Sensa, ricostruito in quattro momenti temporali diversi seguendo le parole del Sanudo.

Il Sanudo racconta, infatti, che in occasione della festa della Sensa del 1497, il corteo dogale di ritorno dal rito dell’anello al Lido si fermò a San Lio per assistere a un torneo degli Stradioti, variando in parte il suo cerimoniale, che si concluse tragicamente con la morte di uno dei cavalieri, un certo Malacassa Zorzi, che cadde da cavallo trafitto da una lancia durante il combattimento [Fig. 2(I)]. Di tono assai dimesso fu invece la Sensa del 1509 che coincise con il triste evento della disfatta di Agnadello e, questa volta, il Sanudo nota che

El principe […] vene in chiesia di San Marco, ma vestito con manto ormexin cresmesin, che doveva vestirsi d’oro, per mostrar haver dolor[…] Et nota, a la Sensa fo pochissima zente” poiché “tuta la terra era in moto, et la corte piena sempre, da matina, da mezo dì e da sera, per saper qualche nuova (Sanudo Diarii, VIII, col. 257) [Fig. 2(II)].

Questa festa vide, invece, la presenza di ospiti illustri nel maggio del 1520. Il Marchese Federico II Gonzaga, il fratello Ercole (che ritornò per la stessa occasione anche nel 1526), Eleonora, la sorella duchessa di Urbino, e suo marito, Francesco Maria della Rovere, con il seguito delle donne mantovane tra le quali c’era “una favorita dil marchese di Mantoa” – come ripete per ben tre volte Sanudo, senza tuttavia rivelarne il nome (Sanudo Diarii, VIII, col. 257) – presero parte alla processione via mare seguendo il regolare percorso celebrativo. Ma a quell’evento fecero seguito nei giorni successivi altri festeggiamenti, in altri luoghi e altre sedi pubbliche e private della città, che i compagni Immortali organizzarono introducendo nella cornice dello spettacolo istituzionale nuove attività di spettacolo, protratte fino al martedì di Pasqua, che rimasero impresse nella memoria della città [Fig. 2 (III)].

Dopo la messa a San Marco, “fatta dir da l’altar grando” (Sanudo Diarii, XXVIII, coll. 529-530), il marchese Federico Gonzaga insieme con gli altri membri della famiglia presero infatti parte a “una triumphante festa in publico sopra campo”, organizzata in loro onore dagli Immortali che avevano accolto il marchese come membro della compagnia. Per l’occasione fu anche a loro concesso il Bucintoro, animato da lussuosi banchetti e danze. Una regata di uomini e una di donne si svolse poi lungo il Canal Grande, replicata in più occasioni nelle giornate festive, seguendo essenzialmente il medesimo tragitto, in aggiunta a giostre “con palii” fatte con numerose barche. Nei giorni seguenti, una nuova festa fu organizzata sempre dagli Immortali a Ca’ Foscari in San Simon, e di nuovo un’altra, coincidente con il giorno del martedì di Pasqua, a Ca’ Corner de la Piscopia, riservata solo ai compagni e le loro donne invitate (“ne altri possono venir”). Fu qui costruito un solero che discese sul Canal Grande, rallegrato da altre danze e sfarzosi banchetti, per poi recarsi “a cena a la Zueccha in cha’ Dandolo, ch’è signor di la festa”. Quindi a San Marco. Qui sulla Piazza, per concessione del doge, furono eretti due soleri, “uno grando per il signor e donne, et uno altro per la mumaria”, diretta dal maestro di danza Pellegrin e organizzata sempre dagli Immortali: “sicchè la festa si farà in Piaza di San Marco di note: cosa nova e inusitata”, commenta il Sanudo (Sanudo Diarii, XVIII, coll. 532-562). Risultato di una lunga trattativa tra i Compagni e la Signoria, lo spettacolo in Piazza San Marco era riuscito a sfuggire alle restrizioni della pianificazione cerimoniale e insinuare i festeggiamenti degli Immortali in onore del Gonzaga non solo tra le sedi periferiche aristocratiche ma anche nello scenario dogale.

La momaria, forma di spettacolo che assunse “un ruolo egemone” nel cerimoniale veneziano tardo quattrocentesco (Zorzi 1988, 66), penetrava per mano delle giovani associazioni nei luoghi pubblici e istituzionalmente forti dello spettacolo accanto ai trionfi dogali, alle processioni confraternali o alle giostre e tornei delle corporazioni locali: a San Marco, per l’appunto, ma anche nella sala del Maggior Consiglio o nel cortile di Palazzo Ducale. Così accadde, ad esempio, nel 1487 in occasione dei festeggiamenti per Alfonso d’Este, durante i quali fu realizzato dalla compagnia dei Modesti un complesso spettacolo indoor nella sala del Consiglio con l’avallo statale [7]. Similmente, nel 1493, in onore della visita di Beatrice d’Este ed Eleonora d’Aragona, fu realizzata sempre a Palazzo una scenografia somigliante a quella dello spettacolo di strada, accostando motivi prettamente politici a sceneggiature mitologiche: con l’uso di apparati mobili affini a quelli del corteo acquatico, fu qui messa in scena la storia antica di Meleagro, “qual cum balli fu rappresentata dal nascimento fino alla morte”, introducendo la favola antica nella cornice della festa [8].

I luoghi si moltiplicano, dunque, via via che inseriamo nel nostro dataset i diversi momenti della festa o analizziamo nuovi eventi e situazioni festive, che nel cerimoniale potevano includere anche il ponte di Rialto, o ancora San Giorgio e le altre isole, dove spesso il doge o i suoi rappresentanti andavano ad accogliere gli ospiti importanti con memorabili regate in Bucintoro e processioni via mare. Vi erano poi i campi pubblici, la loggia di Rialto, i refettori dei conventi, e ancora, gli spazi privati chiusi delle case dei nobili aristocratici, come annotato dal Sanudo sin dal primo volume dei suoi Diarii:

Et per far fine a questo libro con cosse piacevole, nel qual si contien le nuove di anni do, videlicet 1496 et 1497, fino ultimo fevrer, non senza grande faticha, con l’ajuto di lo Eterno Idio compito, non voglio restar da scriver, come in questa inclita cità di Venexia, licet nostri fusse sta gran spesa, et esservi tutta via, niente, per gran richeza vi hè, fo fato assassime noze, et dato gram dote; perhochè le dote, in questi anni, si dà grande, et quasi tutte più de 3000 ducati fino a 10 milia et più. Et fo uno carlevar molto dolce et tutto festoso, si de mumarie qual di altri piaceri, al dispeto de li nemici. Et sono fate doe feste publice, una a cha’ Loredan a San Polo sul Canal Grande il zuoba di carlevar per una compagnia chiamata Modesti, et un’altra a cha’ da Pexaro a San Beneto il sabato, per l’altra compagnia chiamata li Electi. Sichè tutta la terra fue in festa. E questo a eterna memoria ho voluto qui scriver, et chome si have avisi, etiam il re di romani in Elemagna, e ’l re di Franza a Molines, e ’l re di Napoli a Pozuol, haveano fatto molte feste (Sanudo Diarii, I, col. 886).

Questo quadro, già topograficamente vario sul finire del secolo quindicesimo e fotografato dalle parole del Sanudo a inizio della sua opera, si venne intensificando nel sistema celebrativo e teatrale veneziano degli anni Venti, fedelmente riflesso anche nei volumi successivi dei Diarii, dove non solo appaiono diversificate le sedi pubbliche e private della festa ma, attraverso queste, anche moltiplicate le forme dello spettacolo veneziano e le proposte drammaturgiche, che videro il progressivo affermarsi degli specialisti dell’intrattenimento. In questi luoghi del cerimoniale pubblico e privato della Serenissima si catalizzavano opzioni figurative e tematiche varie, inserendo al loro interno motivi mitologici che dialogavano attivamente con altre forme dell’intrattenimento elitario e con la cultura visiva e poetica del tempo.

Ancora nel 1520, ad esempio, pochi mesi prima dei festeggiamenti per l’ascensione e in onorificenza degli illustri ospiti Gonzaga, la compagnia degli Immortali era stata promotrice, ancora una volta a Ca’ Foscari in San Simon sul Canal Grande, di un altro solenne spettacolo, sempre in onore del nuovo loro illustre membro Federico Gonzaga, ma in coincidenza in questo caso con il Carnevale, cui fecero seguito altre tappe in altre sedi con nuove performance, drammaturgie, danze e lauti banchetti, come ricostruito nel nostro preliminare modello di visualizzazione sulla veduta storica del de’ Barberi, fondativa di un nuovo modo di rappresentare lo spazio urbano [9] [Fig. 3]. Ogni quadrato rappresenta una tappa. Nella zona sottostante è mostrato l’itinerario in linea retta, con indicata la tipologia di performance per ogni tappa. Questa struttura è stata predisposta in modo tale da poter comporre via via moduli narrativi che combineranno una sequenza di rappresentazioni visive, in prospettiva dinamiche, con una selezione mirata di testi, immagini e suoni del programma poetico-visivo e sonoro della festa raccolti nel database che compone l’Atlante.

Un solero mobile, parte coperto parte scoperto ci informa il Sanudo, poggiante su un ponte, connetteva con delle burchielle Ca’ Foscari con la Chiesa di Santa Maria in Nazareth degli Scalzi, per poi muoversi lungo il Canal Grande fino alla chiesa di Cannaregio. Qui fu allestita una momaria diretta dal maestro Tonin, rappresentante quadri mitologici con la presenza del Laocoonte e, in ripresa del mito troiano, con l’edificazione di Troia, costruita sopra delle strutture mobili portate da sei facchini che ballavano insieme a un re con la figlia e uomini vestiti a la villana. Signore della festa era Francesco Sanudo (figlio di Angelo), accettato anch’egli come membro della compagnia insieme al marchese e ad altri due nobili veneziani: Stefano Querini (figlio di Piero) e Federico di Priuli (figlio di Francesco). Il popolo, osserva sempre il nostro cronista, era accorso ad assistere sia lungo le fondamenta che affacciato ai balconi dei palazzi e ancora via mare con piccole e medie imbarcazioni. La momaria proseguì poi via acqua arrivando sino alla chiesa del Corpus domini nel sestiere di Cannaregio per infine ritornare al ponte a Ca’ Foscari, dove fu offerta una cena per 350 persone. Qui fu fatta rappresentare una commedia alla villanesca, in pavano, per opera di Angelo Beolco, il celebre Ruzante. Lo stesso giorno nella corte a Ca’ Loredan in San Marcuola i compagni Trionfanti recitarono una commedia di Terenzio, gli Adelphi; quindi il giorno dopo la Aulularia (Sanudo Diarii, XXVIII, coll. 248, 253-256, 561).

Il mito troiano, cui Venezia faceva risalire le sue origini mitiche, era stato materia di spettacolo anche nella mirabile momaria allestita dagli Eletti – dopo il consueto passaggio in Bucintoro, le regate e le giostre – nella sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, in occasione delle fastose celebrazioni del 1502 in onore di Anna di Foix di Candale, narrate con stupore e ricchezza di dettagli dal patrizio umanista Angelo Gabriel [10].

Il ciclo troiano, nelle sue riviviscenze mitologiche, classiche e riprese romanze, era un tema di alto valore simbolico per la storia mitica di Venezia. Era stato proposto nuovamente nello spettacolo del 1515 in occasione dei festeggiamenti di Carnevale a Ca’ Pesaro in San Benedetto, dove fu fatta “una dimostration di Paris e quelle dee a chi dete il pomo, a Venere” (Sanudo Diarii, XIX, col. 443). Fu preceduta dalla messinscena degli Immortali del Miles gloriosus di Plauto, dagli intermezzi comici di Zuan Polo e Domenico Tajacalze, e infine dalle coreografie di ninfe danzanti. Pochi giorni prima nel refettorio di Santo Stefano era stata fatta recitare “benissimo” anche la Asinaria in volgare da “alcuni homeni dotti” (Sanudo Diarii, XIX, col. 443)). Si ripeterà ancora il medesimo soggetto del mito troiano nella momaria del 1524 alla presenza duca di Urbino della Rovere, in quei giorni di nuovo a Venezia, con la rappresentazione outdoor presso le fondamenta di Cannaregio, di un “rapto de Helena per Paris”, messinscena dai compagni Valorosi, e diretta, come nel Carnevale del ’20, dal maestro Tonin (Sanudo Diarii, XXXVI, col. 459).

Vediamo, perciò, già da queste prime rapide riprese del ‘fatto’ spettacolare come, inseguendo i luoghi della momaria, sia tracciabile una topografia varia e articolata che muove tra il centro istituzionale del cerimoniale civico e le sedi alternative dell’intrattenimento e del tempo libero nello spazio urbano, come visualizzabile nella Fig. 4 che illustra la visualizzazione topografica sulla veduta de’ Barbari della momaria indoor e outdoor e delle performance teatrali a Venezia tra Quattro e Cinquecento.

In questi luoghi diffusi della festa, il terreno anfibio dello spettacolo mitologico della momaria, che si nutriva dell’esperienza di coreografi e maestri di danza veneziani, si intrecciava con altre forme della ‘favola antica’ e dell’eredità comica classica, riattivate dalla cultura umanistica sin da metà del Quattrocento nelle scuole conventuali, e si alternava ad altre forme drammaturgiche – come la commedia ‘alla villanesca’ del Ruzante – e nuove abilità performative, come quelle dei buffoni ‘eccellenti’ Zuan Polo e Tajcalze [11]. Di questa varietà si componeva il programma festivo, sia esso occasionale o calendariale, nutrendo un’idea e una pratica di teatro sulla quale si componevano sequenze di immagini, parole e suoni straordinarie, contenenti le gemme di un nuovo sapere.

Si tratta di una preliminare mappatura che mira progressivamente a ricomporre tempi, luoghi e moduli della festa, per arrivare a sciogliere e visualizzare via via i nodi delle trame di relazione di un universo che ci appare molteplice e stratificato, come mostra la complessa struttura della Fig. 5 (I, II) rappresentante una visione d’insieme dei luoghi e delle performance relativa agli eventi finora ‘mappati’ lungo l’arco cronologico coperto dal nostro Atlante. La rete mostra le relazioni o network tra i luoghi e le tipologie di performance e ‘generi’ di spettacolo che sono state via via identificati attraverso l’analisi della documentazione (manoscritta e a stampa) relativa al corpus delle feste mappate.

Questo percorso di analisi visuale applicato a oggetti digitali mirerà di volta in volta a identificare le linee nascoste di interrelazione tra l’uso degli spazi privati e pubblici e le forme di spettacolo che questi spazi, in maniera occasionale o ricorrente, conquistarono. Si sveleranno allora, come vedremo con qualche esempio a seguire, le interconnessioni tra questa varietà performativa, i luoghi e i gruppi o gli individui che in questi luoghi affermarono la propria eccellenza sociale e/o il proprio prestigio politico, proponendo nel contesto celebrativo competenze performative e organizzative specifiche.

Era una topografia geografica e culturale variegata, un insieme di palcoscenici teatrali al chiuso e all’aperto, in cui prendevano forma tipologie diverse di spettacolo, che Sanudo, il Sabellico, il Sansovino e gli altri cronisti e umanisti descrivono e che il nostro Atlante mira a ricostruire, visualizzando le loro parole in una sequenza di rappresentazioni, in prospettiva ‘dinamiche’, che includeranno una selezione mirata di testi, immagini e suoni del programma poetico-visivo e acustico della festa raccolti nell’Atlante, perseguendo quell’intento di ricomposizione di un racconto storico-geografico e di una narrazione intermediale della festa. Oltre ai più ovvi vantaggi che una visualizzazione geografica può fornire al ricercatore, il sistema di coordinate può consentire l’implementazione di successive rielaborazioni digitali.

Tappa dopo tappa, quadro dopo quadro, visualizzati su scorci della veduta del de’ Barbari [Fig. 3(II)], si procederà pertanto nell’opera di schedatura dei luoghi e di investigazione e rappresentazione dell’evento celebrativo, delle sue funzioni politiche nel tessuto sociale e culturale, e di una visione articolata e complessa dello spettacolo, ricomponendo i moduli performativi – verbali, coreutico-musicali e gestuali – attraverso le trasfigurazioni della scrittura umanistica, le ricorrenze delle cronache, i riferimenti alla documentazione testuale, figurativa e sonora del rituale civico-religioso o delle messinscene delle favole antiche.

6 | Network Attori e Luoghi in tre quadri temporali. La visualizzazione è relativa agli eventi mappati tra il 1450-1550.

7 | Network Attori. Feste 1520 e Ciclo troiano.

II. Il ‘backstage’. Figure e reti sociali della favola antica

Ma nelle feste de’ privati si fanno altre cose diverse
(Sansovino 1581, c. 168r).

Nello spettacolo dei privati, diceva il Sansovino come si è già visto, vi erano “altre cose diverse”. Diverse, cioè, dai rituali che scandivano il tempo del calendario festivo repubblicano di cui il cronista aveva appena parlato nel suo scritto con rigore e cura. Questo commento introduce un passo assai noto e spesso citato dello storico veneziano che merita, tuttavia, di essere ancora una volta ripreso e analizzato per esteso, per il modo eloquente con cui il Sansovino ordisce il suo ritratto, parziale e stratificato al tempo stesso, di quello che doveva comporre una sezione esemplare e ideale del backstage della festa, le sue specializzazioni, la sua materia.

Queste “altre cose diverse” di cui parla il Sansovino erano forme di intrattenimento che riunivano animi differenti di scrittori, artisti, performer e danzatori che ritroviamo sovente coinvolti in un’attività festiva operante ai margini delle scadenze celebrative, come nel caso preso in esame dei festeggiamenti del 1520 organizzati dai giovani compagni Immortali in onore dei Gonzaga, in coincidenza rispettivamente con il Carnevale e l’Ascensione. In questi luoghi dell’intrattenimento oligarchico entravano in contatto tipologie di pratiche performative diverse che includevano per l’appunto lo spettacolo mitologico indoor o outdoor entro un programma diversificato, contemplante, lo abbiamo visto, anche la riproposizione della commedia classica e altre forme ‘nuove’ drammaturgiche. Le stesse documentate anche nella descrizione dei ‘tempi licenziosi’ della ‘festa privata’ dal Sansovino:

Conciossiacosachè ne’ tempi licenziosi antecedenti alla quaresima […] si è usato da molti anni in qua di rappresentare alla città commedie: perciocchè tra i poemi immaginati dagli antichi per insegnare altrui i preceti della vita civile sotto i velami di favole uno fu la commedia, dalla quale si traggono bene spesso regole bellissime e molto giovevoli al vivere umano. Queste hanno sempre avuto gran corso fra i nostri; quantunque corrotte le più volte dai recitanti con invenzioni o personaggi ridicoli, e rappresentate da persone poco intendenti di queste materie (Sansovino 1581, c. 168v).

Le parole del Sansovino denunciano una sfasatura tra l’operare teorico degli umanisti, con il loro intento di far rivivere la materia classica seguendo una funzione pedagogica e morale nella società – documentato a Venezia, ad esempio, dal noto caso di Tito Livio de’ Frulovisi [12] –, e l’attualizzazione delle pratiche performative contemporanee nei luoghi dell’intrattenimento ‘privato’. Là dove il modello classico era sottoposto, secondo Sansovino, al rischio di contaminazione o meglio di “corruzione” con “invenzioni e personaggi ridicoli” introdotti dai “recitanti”, che in realtà della materia antica non conoscevano molto.

Uno di questi inventori fu, sempre secondo il racconto sansoviniano, Francesco de’ Nobili [13]da Lucca, detto Cherea. Tuttavia nell’introdurre il recitante lucchese il Sansovino sembra modificare il tono delle sue osservazioni, riportando la stima che questo “inventore di cose nuove”, supportato anche da Leone X durante il suo periodo romano, aveva suscitato tra il pubblico di nobili signori veneziani.

Ne’ tempi andati ci fu di molto nome Francesco Cherea, il quale favorito da papa Leone X in Roma, tenendo il primo luogo fra’ recitanti in iscena (onde perciò fece acquisto del cognome Terenziano Cherea) si fuggì in queste parti per lo sacco infelice di quella città sotto papa Clemente VII. Egli piacque grandemente ai nostri; ond’è inventore in queste parti di recitar commedie (Sansovino 1581, c. 168v).

Il Cherea, cancelliere, diplomatico e recitante, che conosciamo ormai bene grazie agli studi fra gli altri di Clelia Falletti e Raimondo Guarino (Falletti 1990; Guarino 1995), aveva conquistato il ruolo di promotore a Venezia dello spettacolo cortigiano attraverso un repertorio di volgarizzamenti plautini, egloghe e farse, assemblato e praticato nei luoghi dell’intrattenimento elitario delle altre corti o città-stato italiane: a Roma, dove appunto aveva anche preso il suo soprannome dalla recita della commedia plautina; a Napoli, alla corte teatrale dei Sanseverino, dove Cherea divenne probabilmente familiare del ‘poeta comico regio’, Caracciolo; quindi a Ferrara dove affinò materia e stile che poi utilizzò per le sue performance nelle sale patrizie e nei conventi della Serenissima sin dall’inizio del secolo. Al 1508 risale il suo primo soggiorno a Venezia, con la nota richiesta al Senato del privilegio di stampa di una lunga lista di scritture da recitare – il suo patrimonio performativo, per l’appunto – e con le notizie sulle sue performance nei luoghi periferici di San Cancian in Biri e a Ca’ Corner. Quello stesso anno il Cherea tentava, ma senza riuscirvi, anche la conquista di Rialto, luogo nevralgico della vita civile ed economica della città e dell’oligarchia mercantile. Infine, durante il suo secondo soggiorno veneziano, tornava a proporre la commedia al convento dei Crosechieri nel 1522, intermezzata dalle performance di Zuan Polo e il figlio, quindi interviene nei festeggiamenti del venerdì grasso del 1525 [14]. La presenza del Cherea nella lista del Sansovino apre pertanto le porte di questi circoli di artisti e di convivialità ristretta mettendoli in relazione con un’attività festiva eterogenea e varia sia sul piano topografico che drammaturgico.

Il quadro dipinto dalle parole del Sansovino si popola poi di altri volti della cultura rinascimentale veneta, altri saperi e specializzazioni attoriali: altri “nobili ingegni” che recitarono belle e onorate commedie per diletto o per affare.

Si suscitarono in quei tempi a sua persuasione diversi nobili ingegni, che ne recitarono di belle e onorate: perciocchè allora mise in mano a questa impresa Antonio da Molino, cognominato Burchiella, uomo piacevole, e che parlava in lingua greca e schiavona corrotta con l’italiana, con le più ridicolose e strane invenzioni e chimere del mondo, Frate Armonio dell’Ordine de’ Crocecchieri, organista di San Marco; Valerio Zuccato dal Mosaico, Lodovico Dolce ed altri diversi e fra questi fu notabilissima recitante una Polinia, che poi fu moglie del detto Valerio (Sansovino 1581, c. 168v).

Sono protagonisti noti del Rinascimento veneziano ma che, messi in fila come fa il Sansovino, amplificano la loro eloquenza grazie a una rete di relazioni e presenze nel tempo e nei luoghi della festa, che proviamo qui in parte a ricomporre. Cita allora, il Sansovino, l’Armonio, frate appartenente all’ordine dei Crociferi di formazione agostiniana, organista a San Marco e noto fra il circolo di amici colti e potenti legati al Bembo o al Sabellico per aver scritto e interpretato, nell’intento di restauro del modello classico, la commedia Stephanium in una delle aule del convento, trasformatasi per l’occasione, agli occhi del Sabellico, in un teatro romano [15]. A lui, Sabellico aveva destinato parole di grande stima, elogiando il pregio della sua scrittura e recitazione ed evocando attraverso l’operare del frate, sia sulle carte che sulla scena, la reviviscenza del teatro degli antichi nella Venezia elitaria contemporanea. Ai suoi commenti si erano uniti anche quelli di Paolo da Canal, dell’agostiniano Giacomo Battista da Ravenna e altri celebri umanisti ancora. Ma il suo nome e la purezza del suo operare nel recupero del teatro antico si mischiavano, a distanza di anni, nel ricordo del Sansovino con altri modelli, evidentemente considerati altrettanto esemplari, di performer, recitanti, danzatori e musicisti che, contaminando e corrompendo l’antico, lo rinnovarono.

Tra questi compare allora nella pagina del Sansovino, il Burchiella, poeta e drammaturgo plurilingue che l’Armonio conosceva bene. Insieme avevano fondato un’accademia musicale, nota e apprezzata in città, della cui attività si è tuttavia persa quasi ogni traccia. Ne troviamo testimonianza solo in una lettera di Lodovico Dolce, altro nome della breve lista del Sansovino, dedicata a Giacomo Contarini a introduzione de I fatti e le prodezze di Manoli Blessi Strathioto, in cui, oltre a essergli riconosciuto il merito di aver per primo ‘mutato’ la commedia volgare classica in più lingue, vengono ricordate le sue qualità di performer, danzatore, musicista e abile scrittore, tal che può competere sia con l’arte di un Roscio che con quella dei grandi maestri trecenteschi [16].

L’overview del Sansovino si conclude poi con la menzione al noto mosaicista Valerio Zuccato con la sua futura moglie Polonia e ancora al Dolce “e altri diversi”. Impegnato in quegli anni insieme al fratello Francesco nella composizione dei mosaici della Basilica di San Marco, Valerio è qui ritratto insieme alla ‘notabilisima recitante’ sua sposa nella veste di attore e commediante [17]. Era figlio di Sebastiano che a Venezia aveva una delle botteghe più autorevole nella comunità artistica e sociale locale. Dagli Zuccato era giunto, giovanissimo, anche Tiziano per il suo apprendistato prima di passare alla bottega di Gentile Bellini, che in quegli anni lavorava con Carpaccio agli affreschi nella sala del Gran Consiglio, destinati a rappresentare la storia di Venezia. Lo ricorda ancora Dolce, che non dimentica di riferire di un Tiziano apprendista scalpitante, “che non poteva sofferir la via secca e stentata di Gentile”, suscitando le critiche del maestro, che, da par suo, di Tiziano non gradiva l’“allargarsi” dalla sua strada.

Il zio adunque subito condusse il fanciullo [Tiziano] alla casa di Sebastiano, padre del gentilissimo Valerio e di Francesco Zuccati […]. Ma da questo fu rimesso il fanciullo a Gentil Bellini fratello di Giovanni, ma a lui molto inferiore: che allhora insieme al fratello lavorava nella sala del gran consiglio. Ma Tiziano essendo spinto dalla Natura a maggiori grandezze, et alla perfettione di quest’arte, non poteva sofferir di sequitar quella via secca e stentata del Gentile, ma disegnava gagliardamente e con molta prestezza. Onde gli fu detto da Gentile, che egli non era per far profitto nella pittura, veggendo che molto si allargava dalla sua strada (Dolce 1557, cc. 54v-55v, cit. in Donati 2014, 34-37).

La testimonianza del Dolce su Tiziano manifesta la medesima tensione sperimentale e vitale riconosciuta dal Sansovino a quegli “nobili ingegni” della commedia. Aveva forse a mente, il Sansovino, i convitti a cui, proprio a casa di Tiziano, prendevano parte i fratelli Zuccato insieme a Giulio Camillo, il latinista Francesco Priscianese, il Sansovino [padre: Jacopo], Jacopo Nardi, Donato Giannotti, Fortunio Spira, l’architetto Serlio e alcune donne gentili, Paola Sansovino, Giulia da Ponte, e la sua figliuola, Irene da Spilinbergo, come ricostruito da Molmenti facendo riferimento a una lettera inserita nel trattato Della lingua latina di Francesco Priscianese (Molmenti 1880, 407). A questa compagnia si univa certamente anche l’Aretino i cui legami sia con Sansovino (padre) che con Tiziano sono ormai noti.

La tessitura della rete di relazioni potrebbe continuare. Varrebbe la pena aggiungere altri nomi noti o meno noti alla lista di questi applauditi commedianti, illustri umanisti e artisti, al fine di ricreare, unitamente alle funzioni e situazioni rappresentative delle collettività istituzionali, il network meno definito di comunità o individui e ricomporre così un mosaico sempre più ricco e articolato di un entourage di letterati, poeti, artisti, maestri di danza, musici e performer, che, nei luoghi in cui si rappresentavano le favole antiche sul modello classico, intesero corromperle, creando nuove pratiche di teatro e processi di contaminazione tra forme e figure di arti varie.

Ai diari e alle cronache di umanisti, letterati o nobili signori e signore si aggiungono allora, nel corpus del nostro Atlante, note di archivio, fonti private, editti statali (che queste pratiche miravano a controllare) e altri documenti ancora letterari e figurativi, attraverso cui tracciare le reti, i nodi e le connessioni di una viva e multipla micro-società della festa. Si procede attraverso un’analisi d’insieme di gruppi di attori o specifica su singoli attori, di volta in volta identificati e schedati, al fine di ricomporre il network sociale, artistico e culturale che attivarono nel loro operare individuale o collettivo in relazione alle forme, gli stili e i luoghi che caratterizzavano le loro proposte di spettacolo nella festa.

La nostra narrazione dell’evento-festa combinerà, pertanto, elementi acquisiti da un’analisi cartografica dei luoghi dello spettacolo identificati nel nostro dataset (livello 1) con un’analisi delle interconnessioni tra comunità, spazi, tipologie e forme dei cerimoniali che componevano il programma festivo (livello 2). Questo livello di analisi ha mostrato, sin da una prima fase preliminare, un significativo intensificarsi delle connessioni di rete a partire dalla fine del quattrocento, come documentato nella visualizzazione della figura 6 che distingue in tre fase cronologiche diverse l’excursus temporale del nostro Atlante. La rappresentazione mostra l’evoluzione del network tra attori sociali e luoghi relativa agli eventi festivi mappati entro un arco cronologico che va dal 1450 al 1550, diviso in tre momenti temporali diversi.

Una visione più circostanziata, sebbene ancora provvisoria, di questa vibrante micro-comunità di soggetti sociali e singole abilità, pratiche e tecniche è stata elaborata a partire dagli eventi festivi del 1520 sopra descritti. Seguendo le tracce dei protagonisti di questa storia abbiamo avviato una prima ricostruzione di rete sociale che connette gli ‘attori’ attivi negli eventi singolarmente analizzati del 1520, rispettivamente di Carnevale e della Sensa, con altri momenti festivi.

Abbiamo cioè ricostruito il network degli attori coinvolti durante le feste del ’20, proponendo uno specifico focus analitico, come mostrano le quattro viste della Fig. 7. In prima istanza abbiamo distinto le presenze specifiche dei protagonisti di queste feste da quelli che operarono anche in altre occasioni, legate in questo caso essenzialmente al dogato Loredan e Gritti [Fig. 7(I)]. Abbiamo inoltre identificato il corpus di feste in base al tipo di evento, quindi selezionato una chiave tematica con un focus sul ciclo troiano, mettendo in relazione il network degli attori delle feste prese in esame con le reti di connessione ad altri eventi che, come nel Carnevale del ’20, usarono il mito troiano come nucleo drammaturgico della messinscena mitologica. Si è così registrata una rete di attori la cui presenza agli ‘eventi troiani’ del 1502, 1515, 1520 e 1524 ricorre in maniera consistente [Fig. 7(II)], come per esempio nel focus sugli Immortali, la cui presenza è registrata in quattro differenti feste [Fig. 7(III)]; o del Ruzante [Fig. 7(IV)] a partire dal quale abbiamo iniziato a creare la rete di connessione degli ‘attori’ a lui legati all’interno del social network originato dai partecipanti alle feste che registrano la sua presenza.

Le tracce e le reti di visualizzazioni preliminari delle feste del 1520 mostrano un fervore significativo di convivenza e contaminazione tra specializzazioni attoriali diverse, come testimoniato anche dal network ricomposto nel passo del Sansovino. Dal progressivo inserimento dei dati, che al momento segue in maniera privilegiata la fonte sanudiana [Fig. 7(I)], via via integrata con le altre fonti cronachistiche, d’archivio e letterarie, trae origine un labirinto di tracce che si configurano secondo la forma, metaforica e concettuale, della rete e che producono una mappa della complessa circolazione di materiale culturale e umano, e delle presenze di micro-comunità o singoli individui nell’universo festivo – politico, culturale e performativo – del cerimoniale veneziano e dell’intrattenimento elitario.

Queste reti permettono via via di analizzare i nodi di connessione tra i protagonisti della nostra storia – umanisti, patrizi, dogi, performer, e ancora stampatori o comunità sociali –, le rispettive specializzazioni performative e/o organizzative e/o di leadership, le scelte tematiche che caratterizzavano la loro proposta, e ancora le loro relazioni sociali, culturali e/o politiche nel tempo del cerimoniale festivo e nei luoghi della performance.

Il sistema di analisi della rete sociale degli ‘attori’ su cui stiamo lavorando consente dunque di rendere visibili ‘nodi’ e ‘archi’ importanti all’interno di una mappatura, sia pur selettiva, della festa, rivelando relazioni e circuitazioni di persone, saperi e azioni non sempre percepibili in una visione d’insieme, rendendo comprensibili e accessibili fenomeni complessi attraverso l’uso del linguaggio visuale applicato al nostro oggetto festa. Le nostre prime visualizzazioni sul network sociale della festa non rappresentano l’esito finale dello studio e delle analisi di rete, ma ci permettono di cogliere alcune prime proprietà strutturali, che verranno affinate sul piano analitico, implementate sul piano quantitativo, creando altre esplorazioni di nodi e reti di relazione, e infine supportate da altri strumenti analitici e relativi linguaggi visivi complementari e integrativi sia al sistema di rete sociale che a quello cartografico.

Se la ricomposizione cartografica della festa permette di osservare l’itinerario festivo da un punto di vista visivo-geografico, ricostruendo il ‘fatto-spettacolo’ attraverso la mediazione tra una rappresentazione fedele della Venezia rinascimentale e un sistema moderno di coordinate geografiche; e se l’analisi del social network consente di ricostruire la forma delle relazioni di singoli individui o/e comunità, in funzione del loro ruolo, delle loro connessioni e delle rispettive funzioni artistiche, letterarie, organizzative o politiche nello scenario festivo, ossia di ricomporre il backstage della festa; tuttavia questi due sistemi di investigazione non ci consentono di affrontare questioni relative alla ‘significanza’, ossia ai contenuti della festa, ai suoi modelli e i suoi epigoni. La materia di dati non strutturati che il nostro corpus eterogeneo di testi e immagini contiene è infatti fluida e ambigua per definizione. È pertanto necessaria una struttura analitica complementare che muova su un terreno interdisciplinare e consenta di ricomporre il processo di ricezione, selezione e rappresentazione dell’antico nel programma poetico, visivo e sonoro della festa attraverso il corpus di fonti eterogeneo di cui si compone in vario modo la sua memoria.

8 | La libreria della memoria della festa. Struttura del sistema di analisi associativa e modello di scheda.

III. La ‘memoria’. Le forme della fabula antica

Quando sul finire del Cinquecento Sansovino scriveva il suo passo sul cerimoniale e le feste veneziane relativo a un passato a lui davvero prossimo, le sue parole davano testimonianza della presenza di un profondo contrasto tra gli ideali dell’umanesimo latino e volgare e una tradizione di ricezione e fruizione dell’antico, i cui germi risalivano in realtà alle pratiche di volgarizzamento trecentesche. In questa tesa sfasatura il cronista inseriva la tensione sperimentale di artisti, performer e drammaturghi in direzione di un rinnovamento del teatro classico, che trovava spazio nei tempi licenziosi dell’intrattenimento per poi insinuarsi, come documentato anche dagli eventi esemplificativi del 1520, nel cerimoniale cittadino intrecciandosi con la tensione politica della festa.

In questi luoghi, unitamente alla commedia pluringue del Burchiella o quelle di Ruzante, alle performance dei coniugi Zuccato o dei buffoni Tajacalze e Zuan Polo, e alle rappresentazioni cortigiane del Cherea o delle commedie classiche dei compagni della calza, apparivano le figurazioni omeriche e ovidiane, rappresentate, nella lista ‘diacronica’ del Sansovino, alla presenza del Dolce in una sorta di ‘mitologia mobile’. Qui si esperivano pratiche performative aperte alla contaminazione senza alcun timore del precetto filologico umanistico, similmente a quanto si faceva in quegli stessi anni nelle tipografie veneziane, avviando quella “nuova fase” che elaborava nuovi prodotti letterari e tipografici a cui anche artisti come Tiziano avevano attinto per la propria arte, “incarnandola” (Chastel 1978). Tale pratica di ri-creazione (nel doppio significato che possiede questo termine) apparteneva infatti non solo alla scena teatrale e alle attività della festa, ma anche a quella delle arti visive, letterarie e dell’editoria. Si andava così affermando un nuovo livello di relazione tra ‘lettera’, ‘figura’ e ‘forma’, sul quale lo stesso Dolce, esponente illustre della seconda fase del movimento umanistico volgare, operò con le sue Trasformazioni (1553). Ugualmente agli altri “novelli ingegni” della lista sansoviniana, che nei luoghi della festa privata allestivano commedie e “nuove cose” sin dall’inizio del secolo, così procedeva, lavorando direttamente sul testo latino originale, alla pratica della contaminazione creando nuova poesia.

Pertanto per ricomporre una parte importante del processo di selezione, attivazione e disseminazione dell’immaginario visivo e poetico antico di cui si componeva il programma della festa pubblica o privata, la sua significanza, di cui abbiamo fatto cenno più sopra, i suoi contenuti, la sua memoria, dobbiamo articolare una rete associativa che possa favorire l’accesso alla comprensione di una vasta e complessa elaborazione di opere, generi, forme e stili da cui scaturiva l’esito della performance nella festa per ricadere poi in nuova arte e poesia. E dobbiamo farlo riferendoci prima di tutto alla cultura figurativa e letteraria coeva di matrice classica – ovidiana, virgiliana e delle commedie plautine e terenziane in primis – che ancora per tutto il Quattrocento e buona parte del Cinquecento “più che alla purezza delle fonti rimandava alla contaminazione e capillare circolazione di storie antiche volgarizzate e illustrate” (Guarino 1995, 102).

Venezia è d’altronde la città che dà il via al genere tipografico dei libri illustrati offrendo una “versione figurata” dell’antico che, accanto alla riscoperta dei testi comici classici, portava l’esempio della fortuna ovidiana delle Metamorfosi in volgare, a partire dagli esempi trecenteschi (da cui attinse anche la ricca tradizione dei cantari) che fecero progressivamente perdere il contatto diretto con l’originale. Rinnovato dall’edizione del Giunta nel 1497 dell’Ovidio Metamorphoseos vulgare, scritto negli anni Settanta del Trecento da Giovanni dei Bonsignori – edizione che spostò il centro di diffusione ovidiana da Firenze a Venezia – questo sapere mediato dell’antico aveva favorito sensibilmente l’accesso dei miti classici a vasti ambiti della letteratura, della musica e delle arti figurative e performative [18].

Le glosse e la suddivisione in capitoli seguivano un’interpretazione allegorica delle fabulae, per parola e per immagini (per verba cum figura), che identificavano scene e motivi da essere illustrati, o sovente integrati di nuovi dettagli in una forma narrativa semplice ispirata in molti casi alla novella. Le illustrazioni ne caratterizzavano l’impresa editoriale, esplicitando interessi diversi che la stampa offriva al lettore, scegliendo generalmente una linea non purista di un Ovidio ‘moralizzato’. In questa sfasatura tra il lavoro di riscrittura della fabula antica e la ricezione umanistica delle Metamorfosi si stabilivano interessanti nessi tra le carte e la scena, trovando nella festa la cornice elitaria e pubblica in cui proporre nuovi rifacimenti performativi e drammatici. Esempio eclatante e miliare di un nuovo teatro era stata la Fabula di Orfeo del Poliziano, ormai ricondotta al laborioso entourage mediceo degli anni Settanta del Quattrocento [19]. Fecero poi seguito sul finire del secolo e l’inizio del Cinquecento una serie di testi drammatici, ispirati alle favole ovidiane e messi in scena a celebrazione di principi e consorti e a ricreazione del pubblico di corte, rispettivamente a Ferrara, Mantova e Milano, per giungere, anche grazie all’operare di ‘novelli ingegni’ come il Cherea, pure a Venezia [20]. In laguna, la circolazione di questo sapere, fluido e codificato al tempo stesso, prendeva forma in ‘azioni viventi’ che, come abbiamo visto, contraddistinguevano la trasgressiva erudizione dei trionfi mascherati e delle momarie nello scenario urbano e liturgico dogale e si intrecciavano con le pratiche di un intrattenimento elitario, teso a superare le resistenze di convenzioni tradizionali.

E sempre a Venezia, a partire dagli anni Venti del Cinquecento, un’altra opera di volgarizzamento delle Metamorfosi, quella di Niccolò degli Agostini (1522), che sempre al Bonsignori si ispirava, confermò, unitamente all’opera del Dolce (1553), il ruolo centrale di Venezia nella moda dei temi mitologici nelle arti e nello spettacolo veneziani. Come osserva Guthmüller, “se è lecito giudicare la comparsa sul mercato di nuovi volgarizzamenti come indizio di un mutamento di gusto letterario e delle funzioni attribuite alla traduzione, la ristampa di vecchi volgarizzamenti sta invece ad indicare la continuità” (Guthmüller 2008, 189). E se l’edizione illustrata del Giunta di Bonsignori, presentata in volumi lussuosi e ben ornati, si impose come modello letterario e figurativo nella Venezia del primo Cinquecento – superando anche lo scandalo che le xilografie avevano suscitato a causa della nudità delle figure femminili ‘all’antica’ – la traduzione ‘in versi’ di Agostini per mano di Aristotele de’ Rossi, detto Zoppino, si faceva testimone di un sempre più stretto e sinergetico operare tra le carte, la Piazza e le sedi privilegiate dell’intrattenimento.

Questo accadde in special modo per le parti del racconto in cui è stata riscontrata una maggiore tendenza all’innovazione. Ci riferiamo, ad esempio, alle formule di esordio e commiato, in cui, come nota ancora Guthmüller, Agostini, sul modello dei cantari popolari e cavallereschi a lui assai familiari, incastona il racconto mitico della storia di Giasone e la conquista del Vello d’oro, invita i suoi lettori all’ascolto e, a mo’ di chiusa, introduce un suo commento o un ornamento. La storia di Giasone si arricchisce, inoltre, nelle pagine di Agostini, di amplificazioni rispetto al modello del Bonsignori e di nuovi racconti mitologici in occasione specialmente di “motivi come il saluto, il ricevimento, i banchetti” o ancora temi come “l’amore e la “caccia” (Guthmüller 2008, 227-228). Tale procedura si riscontra anche per altri episodi ovidiani della traduzione di Agostini, come la storia di Perseo e Andromaca o quella di Meleagro o ancora il racconto della caduta di Troia. Non sono molte le fabulae ovidiane che l’Agostini elaborò con la medesima accuratezza, ma è significativa la selezione.

Queste stesse storie i veneziani le videro ‘accadere’ davvero nello scenario lagunare, allestite di volta in volta nei campi, nelle sale o in Piazza San Marco e Palazzo Ducale. “Jasom, quando l’andò a tuor il vellus aureum” fu il tema della momaria allestita dagli Eterni in Campo San Polo in occasione delle nozze di Luca da Lezze e la figlia di Giovanni Battista Foscarini nel 1507 (Sanudo Diarii, VI, col. 161). A Palazzo Ducale quattro carri trionfali ognuno con quattro o cinque figuranti, fu rappresentata con danze “la vita di Meleagro […] dal nascimento fino alla morte”, a conclusione delle celebrazioni in onore della visita di Isabella e Beatrice d’Este nel 1493 (Lettera di Beatrice in Molmenti 1880, 627-630). Bellissima, “con balleti e soni mirabeli”, lodata da tutti gli astanti fu anche la rappresentazione della storia di Andromaca e Perseo nella momaria allestita dai Compagni della Calza nella corte del Palazzo per il Carnevale del 1527 e poi ripresa similmente in Piazza. Fu diretta da maestro Tonin, lo stesso che operò per le messinscena del mito troiano nel Carnevale del 1520 e ancora nel 1524 alla presenza del duca di Urbino.

La coincidenza tematica si fa ancora più interessante in quest’ultimo caso, se notiamo da un lato la cronologia degli eventi di spettacolo – precedenti per la maggior parte all’edizione Zoppino –, e se consideriamo dall’altro, guidati ancora una volta dalle note di Guthmüller, che l’introduzione della guerra di Troia rappresenta un’innovazione di Agostini anche rispetto al Bonsignori. Un’innovazione che forse si legava all’esperienza dello spettacolo e che certamente attingeva dalla tradizione dei cantari mitologici, che proprio queste storie tramandavano in rifacimenti in ottava rima per mano e voce di canterini e rimatori professionisti già dalla fine del Quattrocento [21]. Una tradizione, quella dei cantari, che a sua volta prendeva l’Agostino come ‘repertorio’ letterario da cui ri-attingere, proponendo con poche modifiche i suoi racconti nelle recite di piazza e in stampe autonome come si fosse trattato di libretti a buon mercato. L’allontanamento dall’originale latino sembrava a questo punto non avere una via di ritorno. Almeno fino al sopraggiungere delle nuove versioni delle Metamorfosi, tra cui spicca a metà del secolo quella per l’appunto del Dolce per mano di Gabriel Giolito [22].

Occorre procedere in maniera mirata attraverso un accurato lavoro di schedatura della fonte letteraria (e similmente iconografica), il cui modello di scheda analitica stiamo progressivamente affinando, indicizzando come sottogruppi di topoi letterari e figurativi, temi, motivi, storie, personaggi, fonti, stili, categorie espressive, allegorie, presenti all’interno della singola opera, ponendoli di volta in volta in relazione con il contesto performativo della festa e, attraverso questo, con lo scenario politico, culturale e artistico che li aveva veicolati. Questo modello di scheda e relativo livello di analisi della festa, terzo e ultimo del nostro Atlante, riproduce la metafora e la forma di una ‘libreria interattiva’ – come riassunto nella Fig. 8 –, che consentirà all’utente di esplorare l’intero corpus documentario da diversi punti di accesso. Le opere sono posizionate nello spazio secondo una matrice (come una tabella a doppia entrata), dove l’artefatto è situato in un’area all’incrocio tra tipologia di performance e topos trattato (I), cui progressivamente si aggiungono altri livelli di interrelazione (II). Per ciascun artefatto l’aggiunta dell’interazione associativa permette all’utente di osservare ogni opera singolarmente ed esplorare i contenuti aggiuntivi attraverso cui sia possibile rintracciare intersezioni specifiche fra tipologie di rappresentazioni, temi trattati o altre proprietà degli eventi.

L’analisi diviene più stringente nel caso delle edizioni di libri illustrati, o ancora dei libri di emblemi (altro veicolo fondamentale su cui si concentra il nostro Atlante), là dove all’esame del materiale testuale si affianca anche quello iconografico, verificando i termini di corrispondenza tra parola e immagine all’interno del testo o fra più testi, e ancora tra i testi e il materiale documentario visivo legato alla cultura artistica coeva e al programma della festa. Come nota Piermario Vescovo, nei suoi commenti alle edizioni terenziane di questi anni: “Non si tratta, ovviamente di ‘illustrazioni di spettacolo’ ma di un patrimonio di immagini che nasce in un’epoca in cui la rappresentazione teatrale risultava ancora esperienza compresa e condivisa e dunque poteva servirsi nella figurazione di elementi teatrali contestuali” [23].

Similmente, il rapporto con la pittura rinascimentale veneziana (dall’impianto narrativo dei teleri, alle storie dei cassoni nuziali o alle più importanti committenze) e l’uso dell’antico nell’arte figurativa in genere (artworks), muoveva su un terreno complesso di concetti, simboli e moduli visivi comuni sia all’universo delle arti che alle elaborazioni drammaturgiche coeve, testimoniando la fecondità di una cultura mobile che proprio nella festa trovava la sua unità formalizzante e auto-referenziale [24].

La documentazione di questa circolazione sia in letteratura che nelle arti, nell’editoria o nelle pratiche della performance è pertanto materia estremamente eterogenea e fluida, che il nostro Atlante, per come è stato finora concepito, mira a ricomporre, elaborando attraverso la creazione di un ‘thesaurus indicizzato’ e l’identificazione di voci e keyword, un sistema di viste e associazioni visuali, che mettano in relazione tra loro le opere che compongono il corpus documentario, stabilendo di volta in volta le connessioni tra materiale testuale e quello iconografico [Fig. 8(I)]. Data questa varietà, è stato pertanto scelto di dare accesso a queste informazioni e analisi interne al singolo documento di volta in volta descritto nell’apposita scheda [Fig. 8 (II)], per poi renderle relazionabili attraverso una matrice interattiva, dinamica e configurabile, dotandola di filtri e sfaccettature che possano mettere in evidenza particolari intersezioni fra tipologie di fonti diverse, i loro contenuti o altre proprietà legate agli eventi e finalizzata a rintracciare il meme della festa. Si tratta di un modello analitico e narrativo, che segue la metafora della libreria, e che si compone di schede descrittive sulle quali, unitamente a quelle sugli attori (actors) e i luoghi, (places) si sta forgiando il database del nostro Atlante.

9 | Struttura dell’Atlante.

Epilogo: verso un Atlante della festa

L’enciclopedia di immagini, testi, uomini, ambienti e culture, di cui abbiamo visto comporsi e agire la festa, s’impose come sigillo della magnificenza e di un ricreativo e sperimentale operare nella Venezia del Quattro-Cinquecento, su cui si veniva concettualizzando e praticando la visione di un Theatrum mundi. Quell’idea di teatro, che le teorizzazioni e pratiche dell’arte della memoria avevano assunto tanto come metafora che come esperienza della realtà, si materializzava – come documentato nel disegno del manoscritto di Gradenigo [Fig. 10] – nello scenario dogale, fluttuando nelle acque della laguna da Piazza San Marco lungo il Canal Grande per le occasioni speciali di celebrazione e spettacolo. Portava con sé l’idea di un complesso programma poetico e visivo e insieme politico che, nel selezionare e riattivare l’eredità del mondo antico e della materia mitologica, diventava in quegli eventi festivi e di spettacolo, un luogo anfibio di sintesi e diffrazione di una conoscenza universale, mettendo davanti agli occhi degli astanti – avrebbe detto Giulio Camillo – “tutti gli humani concetti”.

A partire da questa visione e pratica della festa e dai percorsi di investigazione via via avviati, ha preso forma la struttura del nostro Atlante, che raccoglie informazioni riferibili a cinque macro-entità (festa, persone/actors, opere testuali-musicali/poem se opere artistiche/artworks, luoghi/places) e un corpus eterogeneo di materiali letterari, fonti d’archivio, musicali, iconografici riferibili alla feste mappate. I tre livelli di analisi dell’evento festivo (il ‘fatto’, il ‘backstage’, la ‘memoria’) trovano infatti corrispondenza nelle tre sezioni che compongono la struttura dell’Atlante digitale e dell’interfaccia visuale, ognuna delle quali presenta modelli e linguaggi visivi elaborati per l’occasione, come schematizzato nel diagramma visivo di Fig. 9.

10 | Theatrum mundi, Venezia, Biblioteca del Museo Correr, ms. Gradenigo Dolfin 49.

Questo Atlante è stato concepito come una piattaforma flessibile, in costante evoluzione, da cui si andranno componendo una serie di racconti storico-geografici e ‘viste dinamiche’, attraverso l’investigazione e ricomposizione degli itinerari festivi, le analisi di rete sociale, e un sistema di associazioni del set di dati e del corpus di testi e immagini che compongono la materia dell’Atlante. L’obiettivo di una tale struttura è di predisporre un rapido accesso alle informazioni contenute nel dataset degli eventi festivi, permettendo conseguentemente una efficace esplorazione visuale dei contenuti che sono stati raccolti, a partire dallo studio, la schedatura e l’analisi comparativa del documento testuale (poetico, cronachistico, archivistico o musicale) e iconografico, per infine rappresentarlo in una forma nuova di narrazione integrata a quella tradizionale. Seguendo i luoghi, la materia e la metafora stessa di questo Theatrum mundi, il nostro Atlante FRIDA si presenta come un laboratorio di dati, testi, immagini, suoni finalizzato a una analisi intermediale del rituale festivo, inteso non come ciò che scompare (come si intende l’archivio), ma come atto di sopravvivenza e contemporaneamente come strumento di ricomparsa, investigando in questo modo, attraverso la festa, edificazioni alternative della memoria [Fig. 10].

[*]Il presente studio ha ricevuto il supporto della Gladys Krieble Delmas Foundation e del Consortium for the Study of the Premodern World-Andrew W. Mellon Foundation’s award, University of Minnesota. Un ringraziamento a Patricia F. Brown, Raimondo Guarino, Edward Muir e Paola Ventrone per i loro preziosi riscontri, e all’Italian Academy for Advanced Studies, Columbia University, dove il presente progetto FRIDA ha iniziato a prendere forma durante il periodo di residenza del primo autore come fellow nell’a.a. 2014-2015. Afferenze: Francesca Bortoletti: University of Minnesota; Paolo Ciuccarelli, Beatrice Gobbo, Tommaso Elli: Density Design Research Lab, Politecnico di Milano; Giuseppe Gerbino: Columbia University.

Note

1. La bibliografia è assai ampia e ci limitiamo a rimandare a opere classiche come Tafuri 1968; 1969; Cruciani 1972, 1983; Povoledo 1975; Zorzi 1977; Mitchell 1979; Cruciani-Seragnoli-Falletti 1982; Pieri 1983; Guarino 1988; Ventrone 1992; Decroisette-Plaisance 1993; e ai più recenti Plaisance 2008; Bortoletti 2008; Ventrone 2016. E ancora agli studi promossi dalla Society for European Festivals Research (SEFR Book Series): Mulryne-Goldring 2002; Mulryne et al 2004; Mulryne-Aliverti-Testaverde 2015. Nell’ambito degli studi musicali si veda fra gli altri Gallo 1992; Guidobaldi 1995; Loockwood 2009; Gerbino 2009. Fonte documentaria ancora significativa rimane D’Ancona [1877] 1891.

2. Trexler [1980] 1991; Strong 1984; Tafuri 1992; Casini 1996.

3. Zorzi 1988; Ventrone, Gaffuri 2010; Ventrone 2013; Bortoletti 2018. Un importante contributo viene dagli studi sulla memoria tra i quali ci limitiamo a rimandare ai contributi di Mario Praz (1971), Salvatore Settis (1986), David Freedberg (1989), Mary Carruther (1990), Lina Bolzoni (1995) e Carlo Severi (2004).

4. Fra i numerosi studi storico e storico-artistici ricordiamo fra gli altri: Venturi 1909; Urban 1966, 1969, 1980, 1998; Chastel 1978; Puppi 1980; Ginzburg 1980; Muraro 1981, 2004; Muir 1984; Crouzet-Pavan 1992, 1999; Salzberg 2014; Infelise 2016; Matino 2017 e i preziosi lavori di Fortini Brown 1988, 1996.

5. Povoledo 1972; Padoan 1978; Branca 1983; Muir 1984; Zorzi 1977, 1988; Guarino 1995; Fenlon 2007; Vescovo 2011; Bryant-Cecchinato 2016.

6. Crouzet-Pavan 1992, 538-561 in particolare per il caso della festa delle Marie; Casini 1993, 288-294 per l’incoronazione della festa dogale.

7. Biblioteca del Museo Correr cod. Cicogna 2977.

8. Ne danno testimonianza Sabellico 1502, cc. 17v-18r e le stesse Beatrice (in una lettera trascritta in Molmenti 1880, 627-630) e Eleonora (in una lettera trascritta in Chiappini 1956, 84-85).

9. Ringraziamento il Department of Prints and Drawings del Minneapolis Institute of Art (MIA), per avere messo a disposizione una copia digitale della veduta del de’ Barbari della loro collezione.

10. L’evento è stato puntualmente analizzato da Guarino 1995, 119-146. Si trova un riferimento anche in Urban 1980. Un elenco delle fonti dell’entrata di Anna di Foix si trova in Mitchell 1979, 144-145.

11. Preziose sono le tavole topografiche ricostruite da Crouzet-Pavan 1992, carte 1-18.

12. Guarino 1995, 73-86. Si veda anche King 1986, 377-387.

13. Falletti 1990, 301-310, Guarino 1995, 159-184. Si veda anche Padoan 1978, 45-46, Luzio-Renier 1899, 55-56n; Zorzi 1977, 304. Ho avuto occasione di incontrare il de’ Nobili anche nei miei studi sulla produzione poetica e drammaturgica pastorale a Ferrara (Bortoletti 2008) e in area aragonese (Bortoletti 2016).

14. Sanudo Diarii, VII, col. 701; XIV, col. 325; XV, col. 531; XVI, col. 548.

15. Sabellico 1502, c. 52r, cc. 68r-70r; Guarino 1995, 111-118. La commedia è edita in Gentilini 1983.

16. Lettera dedicatoria di Lodovico Dolce a Giacomo Contarino al volume di Antonio Molino, detto Burchiella, I fatti e le prodezze di Manoli Blessi Strathioto, Venezia, Gabriele Giolito de’ Ferrara, 1561.

17. Ai fratelli Zuccati scriverà una delle sue Lettere Andrea Calmo, ricordando il loro “bel inzegno del far de musaico” e insieme la loro abilità a “sonar, cantar, [e ]recitar” (Lettere, 21). Si veda anche D’Ancona [1877] 1891, I, 403; II, 112n; 458; Vescovo 1996.

18. L’edizione del Bonsignori era stata preceduta di qualche anno da una nuova traduzione delle Metamorfosi di Lorenzo Spirito da Perugia, che tuttavia non ebbe grande diffusione tra le corti, e fu stampata solo nel 1519 in un’edizione perugina. Si veda, Guthmüller 2008, 154-175).

19. Sulla questione della datazione dell’Orfeo polizianeo si veda Carrai 1990 e il saggio di Ventrone in Bortoletti 2012, 225-266.

20. Il corpus di testi drammatici si compone della Fabula de Cefalo di Niccolò da Correggio; la Pasitea di Gasparo Visconti, la Danae di Baldassarre Taccone, la Noze de Psiche e Cupidine di Galetto del Carretto. Si veda Tissoni Benvenuti-Mussini Sacchi (1983); Vescovo (2005).

21. Cfr. Ugolini 1933, 135 e Guthmüller 1997, 187-212.

22. Guthmüller 2008, 243-264; Dionisotti 1999, 140-155.

23. Vescovo 2016, 321. Sulla tradizione delle edizioni terenziane si vedano tra gli altri lo studio di Molinari 1999, 1-10; Guardenti 2004, 11-101.

24. Sull’uso dell’antico nell’arte rinascimentale si rimanda fra gli altri a Settis 1986.

Bibliografia
Fonti
Riferimenti bibliografici
English abstract

When trying to handle historical data, it can be confusing and frustrating for the reader to view and understand the information behind the documents. This is where digital technologies can be extremely useful: the article illustrates the ongoing work of a group of scholars for the creation of the atlas “FRIDA” whose objective is to represent all the events linked to Venice in the period between 1450 and 1550, using the famous bird’s eye view of Venice, printed by Jacopo de Barbari in 1500 as a geographical base for mapping events. All information related to civic-religious feasts, wedding parties, Carnival, funerals, occasional parties for passages of illustrious guests, triumphal entries, processions, banquets, liturgical ceremonies, dances, music, tournaments, jousting and theatrical performances of comedies, farces and tragedies of which spatial information was available have been linked to places on the map. The main idea is to visualize the complexity of “mobile feasts” (a description borrowed from Ernest Hemingway), exceeding the limits of the information list. In this way it was possible to begin to identify the places of events, the movements of the processions in the city space, but also the connection of the individual performances, the network of actors and artefacts — images, poems — in the Venice of Marin Sanudo. The Venetian diarist is in fact the main source of information at the base of the mapping made in the interactive atlas which, through three different levels of analysis, manages to bring together the historical, geographical and literary, visual and sound objects that we track in the pages of the Diarii.

Keywords | Venice; FRIDA; Jacopo de Barbari; Mobile Feasts.

Per citare questo articolo: Francesca Bortoletti, Beatrice Gobbo, Tommaso Elli, Giuseppe Gerbino, Paolo Ciuccarelli, Venezia, la “festa mobile” per un atlante in fieri, “La Rivista di Engramma” n. 169, novembre 2018, pp. 47-88 | PDF dell’articolo.



doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2018.160.0006