Arianna di Nanni Balestrini
con una Introduzione di Andrea Cortellessa e una nota redazionale di Silvia De Laude
English abstract
I fili di Arianna*
Sbaglierebbe di grosso, chi pensasse contrapposte alla dimensione del mito – connotato antropologico irriducibile dell’immaginare umano – le sperimentazioni più spericolate dell’avanguardia e, in generale, dell’arte moderna. Basterebbe, a smentire tale miope postulato, il «metodo mitico» che struttura e innerva l’opera-totem della modernità letteraria, l’Ulisse di Joyce. Quello da cui bensì rifugge l’artista moderno, si capisce, è ovviamente un consumo passivo, cioè regressivo, del mito: quello che è il carburante primo, invece, del midcult letterario di tutte le stagioni. Come per ogni materiale da lui impiegato, di contro, il mito diventa sede privilegiata del suo operare che è, come insegnato una volta per tutte da Baudelaire agli albori stessi dell’arte moderna, un operare critico. Cioè analitico. In questo, a dirla tutta, l’artista moderno – l’artista d’avanguardia – si rivela, piuttosto, il più coerente e conseguente interprete del mito: se è vero che la sua natura, ha insegnato un filosofo come Hans Blumenberg, è quella di vivere solo nelle sue successive interpretazioni, cioè deformazioni. Natura effettiva del mito essendo quella di non avere origine, cioè di non avere in effetti una propria natura. L’artista d’avanguardia lo sa: e, deformando ulteriormente il mito ricevuto dalla tradizione, lo tiene in vita.
Prendendo spunto dagli allora recenti Miti d’oggi di Roland Barthes, è quanto diceva Edoardo Sanguineti in un acuminato saggio dal titolo Poesia e mitologia, uno dei due che accompagnavano i suoi versi, nel 1961, nell’antologia-big bang della Neoavanguardia italiana, I Novissimi. Si tratta ogni volta, per Sanguineti, di “ridurre il significante mitico al segno”, in sede appunto critica: il che non esclude affatto, anzi!, che a questa elaborazione del mito (per dirla con la formula un po’ freudiana di Blumenberg) non si possa avere una “partecipazione inconscia”, persino “mistica, irrazionale-sensibile”; è però fondamentale, davanti al mito, passare da una posizione solo “contemplativa”, cioè “disinteressata” e passiva, a una “pratica”, cioè “interessata” e attiva. Si tratta, in altri termini, di operare una “verifica pratica del mito”. Cioè di stabilire, qui e ora, in che modo quel mito continui ad avere senso, e soprattutto produrlo, per noi: appunto qui e ora.
Se è il teatro il luogo canonico in cui si manifesta, fuor di metafora, il nostro qui e ora, non deve stupire che sia stato proprio a un certo punto del suo percorso teatrale – che, per quanto produttivamente sottotraccia, è stato significativo per tutti i poeti Novissimi: i quali sulla scena, in effetti, vollero mettere i loro testi all’atto fondativo del Gruppo 63, nella Settimana della Nuova Musica al Teatro Massimo di Palermo, nell’ottobre di quell’annus mirabilis – il più pratico di loro, Nanni Balestrini, abbia scelto di confrontarsi con tre grandi miti della tradizione scenica. La trilogia dell’operapoesia, come la chiama Nanni, esordisce nel 1993 con Salomè, prosegue nel 2000 con Elettra, e giunge ora al compimento – dopo un’edizione parziale nel 2008 – con Arianna. I rispettivi testi sono stati pubblicati insieme in forma integrale, per la prima volta, all’inizio di quest’anno nel terzo volume degli Opera omnia poetici, edito da DeriveApprodi col titolo Caosmogonia e altro; e ora, grazie alla complicità collaudata di Luigi Cinque, anche la terza anta del trittico giunge finalmente sulla scena.
Il collante più evidente, fra le tre opere, è quello che segue la selezione già operata, nei confronti del repertorio mitico, dalla premiata ditta composta da Hugo von Hofmannsthal e Richard Strauss: dopo la Salome, scritta e musicata nel 1905 dal solo compositore bavarese, fu la volta di Elektra, andata in scena nel 1909, e di Ariadne auf Naxos, in prima rappresentazione nel 1912: episodi che videro, fra lui e il poeta viennese, la più avanzata e spregiudicata collaborazione (testimoniata da un appassionante carteggio). Dunque Balestrini deliberatamente si iscrive in una tradizione mitologica doppia: prima in quella classica, poi in quella protomodernista (che già si valeva oltretutto, per Salome, della precedente riscrittura da parte di Oscar Wilde). E, nel proseguirle, la stravolge. Anzi, la fa letteralmente a pezzi.
Lo dice, Balestrini, in un componimento meta-teatrale, Che cos’è l’operapoesia, pubblicato per la prima volta nel summenzionato terzo volume degli Omnia poetici: «adesso fallo dopo te lo segni / a metà cominciamo a rompere / una cosa che mi viene perfettamente». Proprio nel segno della rottura, in effetti, è il tipo di lavoro che Nanni compie, qui, a tutti i livelli. Nei confronti della presunta compattezza del mito, s’è detto, come tutta la tradizione del moderno prima di lui. Ma anche aggredendo le stesse rotture che lo hanno preceduto. Rompendo l’unità di quei personaggi-icona (come Arianna, che al primo apparire “si sgretola magnificamente”). Rompendo l’unità della rappresentazione. E infine materialmente “rompendo” l’articolazione scenica e, come sua abitudine (una cosa che, si può davvero dire, gli viene perfettamente), le strutture linguistiche e la compagine verbale che quell’articolazione dovrebbero sorreggere.
Non è un caso che la trilogia dell’operapoesia s’incentri su tre protagoniste femminili: la parcellizzazione del corpo del desiderio è stimmate precisa dell’immaginario erotico maschile che la poesia lirica, almeno da Petrarca in poi, ha sempre praticato; ma in questo caso il funzionamento della sconnessione fisica, e di quella verbale che la significa, ha in questo teatro anatomico un palese valore allegorico di (auto)denuncia: se è vero che essa funziona in modo assai simile, a ben vedere, a quella della Signorina Richmond nel ciclo delle Ballate che precede la trilogia teatrale (e si legge, a sua volta ricostruito, nel secondo volume degli Omnia). Questa artaudiana crudeltà è infatti, a ben vedere, tanto masochistica che sadica: se è vero che le tre eroine dell’operapoesia, come la Signorina Richmond prima di loro, sono altresì allegoria del linguaggio stesso che in questo modo la maltratta, cioè appunto della poesia.
Elaborare il mito, cioè operarlo criticamente, non può che voler dire, per un artista come Balestrini, de-costruirlo analiticamente. Cioè sottoporlo a montaggio. Quel montaggio che è procedimento canonico, insegnava sempre Sanguineti, delle avanguardie moderne. Il filo mitico che la principessa di Creta consegna a Teseo per sconfiggere il labirinto – figura ossessiva, questa, tanto per Nanni che per l’autore di Laborintus – non è più uno. Sono molti, i fili qui chiamati a intrecciarsi: “filamenti / lunghi protesi verso”, come balestrinianamente ci s’interrompe sul più bello nella terza “scena” di Arianna.
Così che all’improvviso scopriamo, agli albori del secolo che riprende in mano i pezzi della modernità e deve capire cosa farci, che “Arianna e la sua storia” possono essere per noi, qui e ora, “per una strana coincidenza / il simbolo di una resistenza necessaria / agli oscurantismi di qualsiasi colore”: il simbolo del “movimento di un immaginario planetario / che è poi il bisogno di ridefinizione del mondo / e delle sue possibilità di rappresentazione”. Come dicono i versi di Che cos’è l’opera poesia, siamo giunti alla “fine della pausa”. In camerino lampeggia l’avviso, è arrivato il nostro turno. Adesso “entriamo noi”.
Nota redazionale
Nanni Balestrini, nato a Milano nel 1935, è stato negli anni sessanta fra i principali animatori della “neoavanguardia”. L’edizione completa delle sue opere (romanzi e numerose raccolte di poesia) è in corso da DeriveApprodi. Il testo che presentiamo è l’ultimo della trilogia ribattezzata dall’autore “operapoesia”, dopo Salomé, andata in scena al Teatro Grassi di Milano con la regia di Franco Brambilla nel 1993, e Elettra, musicata da Luigi Cinque, in scena a Tokio nel 2000 (primi sette cori pubblicati in Elettra operapoesia, Luca Sossella, Roma 2001). Un primo frammento di Arianna era apparso nella plaquette Sconnessioni (Fermenti, Roma 2008). Le tre “operepoesie” sono state pubblicate ora per la prima volta insieme e in forma integrale in Caosmogonia e altro. Poesie complete. Volume terzo (1990-2017), DeriveApprodi, Roma 2018. Arianna è andata in scena all’Auditorium Mecenate di Roma il 28 ottobre 2018. Progetto/musica di Luigi Cinque; interpreti Ilaria Drago (voce), Nanni Balestrini (voce), Luigi Cinque (clarinetto, sassofoni, live electrics), Valerio Corzani (washtub bass & cagean sounds). A introdurre l’allestimento, una conversazione di Cecilia Bello Minciacchi e Andrea Cortellessa.
*Si propone qui la presentazione della messa in scena di Arianna, «operapoesia» di Nanni Balestrini, all’Auditorium Mecenate di Roma, 28 ottobre 2018, uscita anche in Linee di montaggio, numero monografico a cura di Stefano Chiodi e Daniele Giglioli de “il verri”, LXII, 68, ottobre 2018, pp. 144-7.
1
si sgretola magnificamente
rimbalzano infinite
albe inquinate
appese al cielo
appena scavato
affiorano spazi
ventose afferrano
galleggiano sparsi
frammenti freschi
sul tetto giallo
pagine strappate
parole posticce
affondano sgonfie
dolorose cicale
risuonano nei buchi
ancora abitati
lasciano passare
soltanto poca luce
lentamente si srotola
l’ultima attesa
niente più come prima
nel vetro sanguinano
resta sola la fragile
inutile scintilla
filamento sospeso
percussioni scalfiscono
invisibili orizzonti
se ne sta andando
la pelle strappata
non conta più niente
chiusi dentro senza
appoggiare le mani
senza denti soffiando
un ritmo instabile
incessanti figure
sfilano assenti
avide tentazioni
tentacoli spenti
incrociando le dita
imitazioni effimere
barcollante insegui
quello che rimane
perdutamente in
perimetri di ghiaccio
fatiscenti orme
l’imbuto del presente
più giù più giù
tuffo nel buio
divincolando invano
smettere impossibile
2
Arianna e la sua storia
per una strana coincidenza
il simbolo di una resistenza necessaria
agli oscurantismi di qualsiasi colore
sovraesposti in quella frammentarietà di ricerca
nei giorni di trasformazione impercettibili
e stati d’animo minimali e definitivi
esplorati con dolcezza
fatti di corpi e di emozionalità esasperate
mostra dissonanze sgradevolezze
ma in modo secco senza décor e senza realismo
con tutta l’utopia e la trasgressione
la sessualità l’orgasmo diventano anche atto
divorante dell’altro
mentre li bacia li azzanna
assapora la carne nella sua totalità
perché la denuncia passa di là dal corpo dal cuore
in pezzi di musica che scoppiano ritmano inseguono
spostano il limite quasi azzerando i presupposti
o quantomeno disseminandoli altrove
la stessa dimensione di un virus incontrollabile
dopo la vertigine dell’immagine
che esplode e si diffonde e chiede
dosi sempre più alte nella percezione dello spettatore
tutto si gioca sul mondo interiore del personaggio
ne ascoltiamo i monologhi interiori
che non appartengono al disagio esistenziale
al melò doloroso degli amori perduti
il rosso del sangue che sfuma nel giallocra e nel marrone
impasto cromatico di desiderio e disperazione
di una corporeità che fatica a ricomporsi
e a ritrovare un modo diretto per vivere
è come quando si osserva qualcosa al suo interno
ma da fuori senza esserne parte
senza neppure una vera consapevolezza
dell’intimità un po’ sfuggente e complicata
dell’incontro dell’emozione fuori dalle regole
verso una libertà del piacere e del corpo
potente che muta la prospettiva
sotto il cielo profondo silenzioso
3
ci siamo appena
articolando incrostati
incontrati liquefatti
tra un silenzio e l’altro
tutto sudato
fino al collo
fra le gambe
l’orizzonte scavato
lì in fondo alla
dove veniva un grido
gli occhi aperti
non ti vedo
lentamente scompaiono
lentamente dissolti
urtandoti appena
cedono finalmente
provando a sentire
un po’ sotto il ginocchio
mettiamoci tutto
giriamo in fretta
golosa vibrando
dall’altra parte
ti sento muovendoti
se tutto va bene
incollati immersi
voltati adesso
inaspettate profonde
onde nascondono
nascono filamenti
lunghi protesi verso
aspirando e commozione
cede e si rompe
dalla testa ai piedi
vetro insaziabile
immutabile crescita
del desiderio stanato
stanotte ripetilo
visto sul muro
spariva riappare
alla fine del gomito
gomitolo suoni
perduti arrivano
affonda la lama
ma penetra immobile
mancava l’ascella
non ho niente da
possiamo parlare
non ci sono parole
tra poche ore
segnale irripetibile
4
il movimento di un immaginario planetario
che è poi il bisogno di ridefinizione del mondo
e delle sue possibilità di rappresentazione
memoria e futuro i poli che oscillano
sovraesposti in quella frammentarietà di ricerca
nei giorni di trasformazione impercettibili
e stati d’animo minimali e definitivi
esplorati con dolcezza
luci sensuali magma freddo-caldo
che avvolgono una città dalle superfici multiple
il piacere che scava nelle carni fino alle viscere
le strappa e gioca col sangue e sperma
la sessualità l’orgasmo diventano anche atto
divorante dell’altro
mentre li bacia li azzanna
assapora la carne nella sua totalità
fino ai nervi più nascosti
coprendosi del rosso che diventa graffiti sulla pelle
usando il corpo l’emozionalità concreta
che cerca nuovi spazi di vita
dopo la vertigine dell’immagine
la stessa dimensione di un virus incontrollabile
che esplode e si diffonde e chiede
dosi sempre più alte
la dipendenza è il corpo il sesso
l’erotismo il contatto della carne
il piacere che è una sfida
notturno i colori scuri e densi
il rosso del sangue che sfuma nel giallocra e nel marrone
impasto cromatico di desiderio e disperazione
di una corporeità che fatica a ricomporsi
e a ritrovare un modo diretto per vivere
racconta un fantasma quello dell’amore
del battito di carne vene sangue
delle carezze delle labbra della sensualità
le scene d’amore sono magnifiche
dell’incontro dell’emozione fuori dalle regole
verso una libertà del piacere e del corpo
potente che muta la prospettiva
sotto il cielo profondo silenzioso
5
iride l’occhio
la perduta figura
ritorna uguale
uguale a cosa
tienti forte
tienti sveglio
svegliami quando
qua manca poco
dalla testa ai piedi
si muove sul fondo
sullo sfondo appare
a testa in giù
momenti in cui
sempre più in fondo
fondeva il cielo
ci siamo sentiti
non basta ancora
si sente bene
tutte le volte che siamo
non somiglia più a niente
con le braccia così
muoviti un poco
colato appena
guardalo adesso
sul pavimento azzurro
come il cielo domani
domande invisibili
le labbra appese
nessuno può sapere
provvisorie sensazioni
minime mimetizzate
quanto tempo è passato
da una parte all’altra
movimenti discontinui
mimati ancora
attaccàti ancora
per la prossima volta
nella finestra accesa
silenzio adesso
sei sicuro di non
che cosa mi ha fatto
diventa tutta bianca
l’alba indecente
prova a guardare
pochi occhi per
vedere tutta
tutta intinta nel
sciogliti dalle
scivola via dal
mancano altre
6
Arianna e la sua storia
per una strana coincidenza
il simbolo di una resistenza necessaria
agli oscurantismi di qualsiasi colore
ci trascina in un universo inaspettato non reale
per contaminarla per iniettarvi altri virus
miscelando in orizzontale spezzoni di immaginario
denso irriverente fisico
fatto di corpi e di emozionalità esasperate
mostra dissonanze sgradevolezze
ma in modo secco senza décor e senza realismo
con tutta l’utopia e la trasgressione
in leggerezza ma anche con quella libertà
di gioco di spazio di aderenza ai corpi
ai volti al respiro allo sguardo
è questo che irrita e che infastidisce la libertà
perché la denuncia passa di là dal corpo dal cuore
in pezzi di musica che scoppiano ritmano inseguono
spostano il limite quasi azzerando i presupposti
o quantomeno disseminandoli altrove
nelle voci narranti fuori campo
che avvolgono i fatti nella loro emozionalità
mescolando i piani narrativi
nella percezione dello spettatore
tutto si gioca sul mondo interiore del personaggio
ne ascoltiamo i monologhi interiori
che non appartengono al disagio esistenziale
al melò doloroso degli amori perduti
incursioni nell’emozionalità estrema
in quel rituale crudele del desiderio
di sogni impossibili e passioni rischiose
quell’alchimia irresistibile di corpi e di cuori
è come quando si osserva qualcosa al suo interno
ma da fuori senza esserne parte
senza neppure una vera consapevolezza
dell’intimità un po’ sfuggente e complicata
del personaggio e dei suoi scontri emotivi
distillati però fuori dell’affresco
quasi a giocare dissacrandola
la dimensione dello spettatore
7
a tutti i costi
se dimentica tutto
buttata via travolta
direzioni ottuse
insensate simulazioni
nevicate salate
una gran sete
aspettami piagata
tamburo bucato
l’orrore lineare
perdendo tutto
le labbra cucite
la lebbra verbale
ricoperta di ruggine
esce molto sangue
lenta litania
posizione contratta
piccoli pezzi senza
non vedo più niente
spenzola fuori
si sgonfiano pallidi
rimasugli di pena
trascinati stravolti
non ho più tempo
nel silenzio del corpo
accendono e spengono
spingono via
con la testa di fuori
labbra ostinate
infangate attese
distacco dal tempo
infinite palpebre
accecano volanti
immobili strati
lamenti silenziosi
si insinuano leccando
percorso obbligato
svenano profili
si affollano precipitano
impossibili deviazioni
a occhi chiusi
instancabili contorsioni
corruzione finale
cavalca il mare
fin dove arriva
si alza e si abbassa
liquida scintilla
percorso interrotto
sbarrato sul vuoto
non c’è dopo e niente
Che cos’è l’operapoesia
io entro da sola
qui entri tu
su questa cosa cominci tu
entro io
cominciamo a rompere questa cosa
da quando parte lei
giochiamoci questa cosa con una certa
ascoltiamoci pure noi e poi di nuovo rientro
adesso cerchiamo di capire la struttura
vai
vieni vicino a me
è meglio così
ti dicevo
anche la libertà che ti puoi prendere riprendiamo scusa
da dove
vai vai vai continua
un po’ più forte
un po’ meno incerto ecco
il primo pezzo era bello
no non ce l’ho
se me lo dai
quello che avete fatto
in realtà ci dovevo essere anch’io
lo vogliamo rifare tutto
prendiamoci il tempo
ci siamo
adesso ti dico cosa vedrai
adesso andiamo avanti
poi ti dico
poi lo sviluppiamo come se fosse una cosa
io ho come riferimento la
quando lei finisce entro io
tu eri già entrata prima
e sei andata via
la seconda volta
non era brutto
facciamolo tutto fino alla fine
la fine della pausa
entriamo noi
segnatelo questo
sì lo faccio
adesso fallo dopo te lo segni
a metà cominciamo a rompere
una cosa che mi viene perfettamente
che cosa state dicendo
questo fa male
bisogna vedere che cosa ci si mette in mezzo
facciamo un po’ prima della fine
da poco prima
non mi hai sentito
stavo parlando
quando comincio a mettermi
dopo la metà
la facciamo tutta
cioè la prosegui
una cosa quasi ostinata
no non devi fare quello
io ci sono
vogliamo andare
poi cominci tu
lasciamola un po’ sola
adesso si mette male qua
partiamo insieme
partivo io veramente
parti tu
devo comunicare anche con gli occhi
che c’è
perché ridi
perché cerchi di mescolare le carte
di non fare capire agli altri
quello che vuoi fare
guarda la mia mano
guarda in alto
guardalo e carezzalo
ancora un po’
mi interesso di tutto e credo in tutto
non sei obbligato a parlare solo di te stesso
guarda qui
guarda più in giù
sollevati
vai giù
stop
gira quella gamba più in là
guarda qua
la mano la vedi
quando dico là guarda là
è buonissima
bevi ancora
English abstract
Nanni Balestrini, born in Milan in 1935, was among the leading animators of the “Nuova Avanguardia” movement in the Sixties. The complete edition of his works (novels and numerous collections of poetry) is published by DeriveApprodi. The text that we are presenting is the latest in the trilogy he named “operapoesia", after Salomé, staged at the Teatro Grassi in Milan under the direction of Franco Brambilla in 1993, and Elettra, with music by Luigi Cinque, staged in Tokyo in 2000 (first seven choirs published in Elettra operapoesia, Luca Sossella, Roma 2001). A first fragment of Arianna appeared in the plaquette Sconnessioni (Fermenti, Roma 2008). The three “operepoesia” have been published for the first time together and in Caosmogonia e altro. Poesie complete. Volume III (1990-2017), DeriveApprodi, Rome 2018. Arianna was staged at the Auditorium Mecenate in Rome on 28 October 2018. Design and music by Luigi Cinque; performers Ilaria Drago (voice), Nanni Balestrini (vocals), Luigi Cinque (clarinet, saxophones, live electrics), Valerio Corzani (washtub bass and cagean sounds). Introducing the exhibition, a conversation by Cecilia Bello Minciacchi and Andrea Cortellessa.
Keywords | Nanni Balestrini; “operapoesia”; Arianna.
Per citare questo articolo: Arianna di Nanni Balestrini, con una introduzione di Andrea Cortellessa “La Rivista di Engramma” n. 163, marzo 2019, pp. 223-242 | PDF dell’articolo.