"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

163 | marzo 2019

9788894840582

Arianna di Nanni Balestrini

con una Introduzione di Andrea Cortellessa e una nota redazionale di Silvia De Laude

English abstract
I fili di Arianna*

Sbaglierebbe di grosso, chi pensasse contrapposte alla dimensione del mito – connotato antropologico irriducibile dell’immaginare umano – le sperimentazioni più spericolate dell’avanguardia e, in generale, dell’arte moderna. Basterebbe, a smentire tale miope postulato, il «metodo mitico» che struttura e innerva l’opera-totem della modernità letteraria, l’Ulisse di Joyce. Quello da cui bensì rifugge l’artista moderno, si capisce, è ovviamente un consumo passivo, cioè regressivo, del mito: quello che è il carburante primo, invece, del midcult letterario di tutte le stagioni. Come per ogni materiale da lui impiegato, di contro, il mito diventa sede privilegiata del suo operare che è, come insegnato una volta per tutte da Baudelaire agli albori stessi dell’arte moderna, un operare critico. Cioè analitico. In questo, a dirla tutta, l’artista moderno – l’artista d’avanguardia – si rivela, piuttosto, il più coerente e conseguente interprete del mito: se è vero che la sua natura, ha insegnato un filosofo come Hans Blumenberg, è quella di vivere solo nelle sue successive interpretazioni, cioè deformazioni. Natura effettiva del mito essendo quella di non avere origine, cioè di non avere in effetti una propria natura. L’artista d’avanguardia lo sa: e, deformando ulteriormente il mito ricevuto dalla tradizione, lo tiene in vita.

Prendendo spunto dagli allora recenti Miti d’oggi di Roland Barthes, è quanto diceva Edoardo Sanguineti in un acuminato saggio dal titolo Poesia e mitologia, uno dei due che accompagnavano i suoi versi, nel 1961, nell’antologia-big bang della Neoavanguardia italiana, I Novissimi. Si tratta ogni volta, per Sanguineti, di “ridurre il significante mitico al segno”, in sede appunto critica: il che non esclude affatto, anzi!, che a questa elaborazione del mito (per dirla con la formula un po’ freudiana di Blumenberg) non si possa avere una “partecipazione inconscia”, persino “mistica, irrazionale-sensibile”; è però fondamentale, davanti al mito, passare da una posizione solo “contemplativa”, cioè “disinteressata” e passiva, a una “pratica”, cioè “interessata” e attiva. Si tratta, in altri termini, di operare una “verifica pratica del mito”. Cioè di stabilire, qui e ora, in che modo quel mito continui ad avere senso, e soprattutto produrlo, per noi: appunto qui e ora.

Se è il teatro il luogo canonico in cui si manifesta, fuor di metafora, il nostro qui e ora, non deve stupire che sia stato proprio a un certo punto del suo percorso teatrale – che, per quanto produttivamente sottotraccia, è stato significativo per tutti i poeti Novissimi: i quali sulla scena, in effetti, vollero mettere i loro testi all’atto fondativo del Gruppo 63, nella Settimana della Nuova Musica al Teatro Massimo di Palermo, nell’ottobre di quell’annus mirabilis – il più pratico di loro, Nanni Balestrini, abbia scelto di confrontarsi con tre grandi miti della tradizione scenica. La trilogia dell’operapoesia, come la chiama Nanni, esordisce nel 1993 con Salomè, prosegue nel 2000 con Elettra, e giunge ora al compimento – dopo un’edizione parziale nel 2008 – con Arianna. I rispettivi testi sono stati pubblicati insieme in forma integrale, per la prima volta, all’inizio di quest’anno nel terzo volume degli Opera omnia poetici, edito da DeriveApprodi col titolo Caosmogonia e altro; e ora, grazie alla complicità collaudata di Luigi Cinque, anche la terza anta del trittico giunge finalmente sulla scena.

Il collante più evidente, fra le tre opere, è quello che segue la selezione già operata, nei confronti del repertorio mitico, dalla premiata ditta composta da Hugo von Hofmannsthal e Richard Strauss: dopo la Salome, scritta e musicata nel 1905 dal solo compositore bavarese, fu la volta di Elektra, andata in scena nel 1909, e di Ariadne auf Naxos, in prima rappresentazione nel 1912: episodi che videro, fra lui e il poeta viennese, la più avanzata e spregiudicata collaborazione (testimoniata da un appassionante carteggio). Dunque Balestrini deliberatamente si iscrive in una tradizione mitologica doppia: prima in quella classica, poi in quella protomodernista (che già si valeva oltretutto, per Salome, della precedente riscrittura da parte di Oscar Wilde). E, nel proseguirle, la stravolge. Anzi, la fa letteralmente a pezzi.

Lo dice, Balestrini, in un componimento meta-teatrale, Che cos’è l’operapoesia, pubblicato per la prima volta nel summenzionato terzo volume degli Omnia poetici: «adesso fallo dopo te lo segni / a metà cominciamo a rompere / una cosa che mi viene perfettamente». Proprio nel segno della rottura, in effetti, è il tipo di lavoro che Nanni compie, qui, a tutti i livelli. Nei confronti della presunta compattezza del mito, s’è detto, come tutta la tradizione del moderno prima di lui. Ma anche aggredendo le stesse rotture che lo hanno preceduto. Rompendo l’unità di quei personaggi-icona (come Arianna, che al primo apparire “si sgretola magnificamente”). Rompendo l’unità della rappresentazione. E infine materialmente “rompendo” l’articolazione scenica e, come sua abitudine (una cosa che, si può davvero dire, gli viene perfettamente), le strutture linguistiche e la compagine verbale che quell’articolazione dovrebbero sorreggere.

Non è un caso che la trilogia dell’operapoesia s’incentri su tre protagoniste femminili: la parcellizzazione del corpo del desiderio è stimmate precisa dell’immaginario erotico maschile che la poesia lirica, almeno da Petrarca in poi, ha sempre praticato; ma in questo caso il funzionamento della sconnessione fisica, e di quella verbale che la significa, ha in questo teatro anatomico un palese valore allegorico di (auto)denuncia: se è vero che essa funziona in modo assai simile, a ben vedere, a quella della Signorina Richmond nel ciclo delle Ballate che precede la trilogia teatrale (e si legge, a sua volta ricostruito, nel secondo volume degli Omnia). Questa artaudiana crudeltà è infatti, a ben vedere, tanto masochistica che sadica: se è vero che le tre eroine dell’operapoesia, come la Signorina Richmond prima di loro, sono altresì allegoria del linguaggio stesso che in questo modo la maltratta, cioè appunto della poesia.

Elaborare il mito, cioè operarlo criticamente, non può che voler dire, per un artista come Balestrini, de-costruirlo analiticamente. Cioè sottoporlo a montaggio. Quel montaggio che è procedimento canonico, insegnava sempre Sanguineti, delle avanguardie moderne. Il filo mitico che la principessa di Creta consegna a Teseo per sconfiggere il labirinto – figura ossessiva, questa, tanto per Nanni che per l’autore di Laborintus – non è più uno. Sono molti, i fili qui chiamati a intrecciarsi: “filamenti / lunghi protesi verso”, come balestrinianamente ci s’interrompe sul più bello nella terza “scena” di Arianna.

Così che all’improvviso scopriamo, agli albori del secolo che riprende in mano i pezzi della modernità e deve capire cosa farci, che “Arianna e la sua storia” possono essere per noi, qui e ora, “per una strana coincidenza / il simbolo di una resistenza necessaria / agli oscurantismi di qualsiasi colore”: il simbolo del “movimento di un immaginario planetario / che è poi il bisogno di ridefinizione del mondo / e delle sue possibilità di rappresentazione”. Come dicono i versi di Che cos’è l’opera poesia, siamo giunti alla “fine della pausa”. In camerino lampeggia l’avviso, è arrivato il nostro turno. Adesso “entriamo noi”.

Nota redazionale

Nanni Balestrini, nato a Milano nel 1935, è stato negli anni sessanta fra i principali animatori della “neoavanguardia”. L’edizione completa delle sue opere (romanzi e numerose raccolte di poesia) è in corso da DeriveApprodi. Il testo che presentiamo è l’ultimo della trilogia ribattezzata dall’autore “operapoesia”, dopo Salomé, andata in scena al Teatro Grassi di Milano con la regia di Franco Brambilla nel 1993, e Elettra, musicata da Luigi Cinque, in scena a Tokio nel 2000 (primi sette cori pubblicati in Elettra operapoesia, Luca Sossella, Roma 2001). Un primo frammento di Arianna era apparso nella plaquette Sconnessioni (Fermenti, Roma 2008). Le tre “operepoesie” sono state pubblicate ora per la prima volta insieme e in forma integrale in Caosmogonia e altro. Poesie complete. Volume terzo (1990-2017), DeriveApprodi, Roma 2018. Arianna è andata in scena all’Auditorium Mecenate di Roma il 28 ottobre 2018. Progetto/musica di Luigi Cinque; interpreti Ilaria Drago (voce), Nanni Balestrini (voce), Luigi Cinque (clarinetto, sassofoni, live electrics), Valerio Corzani (washtub bass & cagean sounds). A introdurre l’allestimento, una conversazione di Cecilia Bello Minciacchi e Andrea Cortellessa.

*Si propone qui la presentazione della messa in scena di Arianna, «operapoesia» di Nanni Balestrini, all’Auditorium Mecenate di Roma, 28 ottobre 2018, uscita anche in Linee di montaggio, numero monografico a cura di Stefano Chiodi e Daniele Giglioli de “il verri”, LXII, 68, ottobre 2018, pp. 144-7.


1

si sgretola magnificamente
rimbalzano infinite

albe inquinate
appese al cielo

appena scavato
affiorano spazi

ventose afferrano
galleggiano sparsi

frammenti freschi
sul tetto giallo

pagine strappate
parole posticce

affondano sgonfie
dolorose cicale

risuonano nei buchi
ancora abitati

lasciano passare
soltanto poca luce

lentamente si srotola
l’ultima attesa

niente più come prima
nel vetro sanguinano

resta sola la fragile
inutile scintilla

filamento sospeso
percussioni scalfiscono

invisibili orizzonti
se ne sta andando

la pelle strappata
non conta più niente

chiusi dentro senza
appoggiare le mani

senza denti soffiando
un ritmo instabile

incessanti figure
sfilano assenti

avide tentazioni
tentacoli spenti

incrociando le dita
imitazioni effimere

barcollante insegui
quello che rimane

perdutamente in
perimetri di ghiaccio

fatiscenti orme
l’imbuto del presente

più giù più giù
tuffo nel buio

divincolando invano
smettere impossibile

2

Arianna e la sua storia
per una strana coincidenza
            il simbolo di una resistenza necessaria
            agli oscurantismi di qualsiasi colore


            sovraesposti in quella frammentarietà di ricerca
            nei giorni di trasformazione impercettibili
e stati d’animo minimali e definitivi
esplorati con dolcezza


fatti di corpi e di emozionalità esasperate
mostra dissonanze sgradevolezze
            ma in modo secco senza décor e senza realismo
            con tutta l’utopia e la trasgressione


            la sessualità l’orgasmo diventano anche atto
            divorante dell’altro
mentre li bacia li azzanna
assapora la carne nella sua totalità


perché la denuncia passa di là dal corpo dal cuore
in pezzi di musica che scoppiano ritmano inseguono
            spostano il limite quasi azzerando i presupposti
            o quantomeno disseminandoli altrove


            la stessa dimensione di un virus incontrollabile
            dopo la vertigine dell’immagine
che esplode e si diffonde e chiede
dosi sempre più alte nella percezione dello spettatore


tutto si gioca sul mondo interiore del personaggio
ne ascoltiamo i monologhi interiori
            che non appartengono al disagio esistenziale
            al melò doloroso degli amori perduti


            il rosso del sangue che sfuma nel giallocra e nel marrone
            impasto cromatico di desiderio e disperazione
di una corporeità che fatica a ricomporsi
e a ritrovare un modo diretto per vivere


è come quando si osserva qualcosa al suo interno
ma da fuori senza esserne parte
            senza neppure una vera consapevolezza
            dell’intimità un po’ sfuggente e complicata


            dell’incontro dell’emozione fuori dalle regole
            verso una libertà del piacere e del corpo
potente che muta la prospettiva
sotto il cielo profondo silenzioso

3

ci siamo appena
articolando incrostati

incontrati liquefatti
tra un silenzio e l’altro

tutto sudato
fino al collo

fra le gambe
l’orizzonte scavato

lì in fondo alla
dove veniva un grido

gli occhi aperti
non ti vedo

lentamente scompaiono
lentamente dissolti

urtandoti appena
cedono finalmente

provando a sentire
un po’ sotto il ginocchio

mettiamoci tutto
giriamo in fretta

golosa vibrando
dall’altra parte

ti sento muovendoti
se tutto va bene

incollati immersi
voltati adesso

inaspettate profonde
onde nascondono

nascono filamenti
lunghi protesi verso

aspirando e commozione
cede e si rompe

dalla testa ai piedi
vetro insaziabile

immutabile crescita
del desiderio stanato

stanotte ripetilo
visto sul muro

spariva riappare
alla fine del gomito

gomitolo suoni
perduti arrivano

affonda la lama
ma penetra immobile

mancava l’ascella
non ho niente da

possiamo parlare
non ci sono parole

tra poche ore
segnale irripetibile

4

il movimento di un immaginario planetario
che è poi il bisogno di ridefinizione del mondo
            e delle sue possibilità di rappresentazione
            memoria e futuro i poli che oscillano

            sovraesposti in quella frammentarietà di ricerca
            nei giorni di trasformazione impercettibili
e stati d’animo minimali e definitivi
esplorati con dolcezza

luci sensuali magma freddo-caldo
che avvolgono una città dalle superfici multiple
            il piacere che scava nelle carni fino alle viscere
            le strappa e gioca col sangue e sperma

            la sessualità l’orgasmo diventano anche atto
            divorante dell’altro
mentre li bacia li azzanna
assapora la carne nella sua totalità

fino ai nervi più nascosti
coprendosi del rosso che diventa graffiti sulla pelle
            usando il corpo l’emozionalità concreta
            che cerca nuovi spazi di vita

            dopo la vertigine dell’immagine
            la stessa dimensione di un virus incontrollabile
che esplode e si diffonde e chiede
dosi sempre più alte

la dipendenza è il corpo il sesso
l’erotismo il contatto della carne
            il piacere che è una sfida
            notturno i colori scuri e densi

            il rosso del sangue che sfuma nel giallocra e nel marrone
            impasto cromatico di desiderio e disperazione
di una corporeità che fatica a ricomporsi
e a ritrovare un modo diretto per vivere

racconta un fantasma quello dell’amore
del battito di carne vene sangue
            delle carezze delle labbra della sensualità
            le scene d’amore sono magnifiche

            dell’incontro dell’emozione fuori dalle regole
            verso una libertà del piacere e del corpo
potente che muta la prospettiva
sotto il cielo profondo silenzioso

5

iride l’occhio
la perduta figura

ritorna uguale
uguale a cosa

tienti forte
tienti sveglio

svegliami quando
qua manca poco

dalla testa ai piedi
si muove sul fondo

sullo sfondo appare
a testa in giù

momenti in cui
sempre più in fondo

fondeva il cielo
ci siamo sentiti

non basta ancora
si sente bene

tutte le volte che siamo
non somiglia più a niente

con le braccia così
muoviti un poco

colato appena
guardalo adesso

sul pavimento azzurro
come il cielo domani

domande invisibili
le labbra appese

nessuno può sapere
provvisorie sensazioni

minime mimetizzate
quanto tempo è passato

da una parte all’altra
movimenti discontinui

mimati ancora
attaccàti ancora

per la prossima volta
nella finestra accesa

silenzio adesso
sei sicuro di non

che cosa mi ha fatto
diventa tutta bianca

l’alba indecente
prova a guardare

pochi occhi per
vedere tutta

tutta intinta nel
sciogliti dalle

scivola via dal
mancano altre

6

Arianna e la sua storia
per una strana coincidenza
            il simbolo di una resistenza necessaria
            agli oscurantismi di qualsiasi colore

            ci trascina in un universo inaspettato non reale
            per contaminarla per iniettarvi altri virus
miscelando in orizzontale spezzoni di immaginario
denso irriverente fisico

fatto di corpi e di emozionalità esasperate
mostra dissonanze sgradevolezze
            ma in modo secco senza décor e senza realismo
            con tutta l’utopia e la trasgressione

            in leggerezza ma anche con quella libertà
            di gioco di spazio di aderenza ai corpi
ai volti al respiro allo sguardo
è questo che irrita e che infastidisce la libertà

perché la denuncia passa di là dal corpo dal cuore
in pezzi di musica che scoppiano ritmano inseguono
            spostano il limite quasi azzerando i presupposti
            o quantomeno disseminandoli altrove

            nelle voci narranti fuori campo
            che avvolgono i fatti nella loro emozionalità
mescolando i piani narrativi
nella percezione dello spettatore

tutto si gioca sul mondo interiore del personaggio
ne ascoltiamo i monologhi interiori
            che non appartengono al disagio esistenziale
            al melò doloroso degli amori perduti

            incursioni nell’emozionalità estrema
            in quel rituale crudele del desiderio
di sogni impossibili e passioni rischiose
quell’alchimia irresistibile di corpi e di cuori

è come quando si osserva qualcosa al suo interno
ma da fuori senza esserne parte
            senza neppure una vera consapevolezza
            dell’intimità un po’ sfuggente e complicata

            del personaggio e dei suoi scontri emotivi
            distillati però fuori dell’affresco
quasi a giocare dissacrandola
la dimensione dello spettatore

7

a tutti i costi
se dimentica tutto

buttata via travolta
direzioni ottuse

insensate simulazioni
nevicate salate

una gran sete
aspettami piagata

tamburo bucato
l’orrore lineare

perdendo tutto
le labbra cucite

la lebbra verbale
ricoperta di ruggine

esce molto sangue
lenta litania

posizione contratta
piccoli pezzi senza

non vedo più niente
spenzola fuori

si sgonfiano pallidi
rimasugli di pena

trascinati stravolti
non ho più tempo

nel silenzio del corpo
accendono e spengono

spingono via
con la testa di fuori

labbra ostinate
infangate attese

distacco dal tempo
infinite palpebre

accecano volanti
immobili strati

lamenti silenziosi
si insinuano leccando

percorso obbligato
svenano profili

si affollano precipitano
impossibili deviazioni

a occhi chiusi
instancabili contorsioni

corruzione finale
cavalca il mare

fin dove arriva
si alza e si abbassa

liquida scintilla
percorso interrotto

sbarrato sul vuoto
non c’è dopo e niente

Che cos’è l’operapoesia

io entro da sola
qui entri tu
su questa cosa cominci tu
entro io
cominciamo a rompere questa cosa
da quando parte lei
giochiamoci questa cosa con una certa
ascoltiamoci pure noi e poi di nuovo rientro
adesso cerchiamo di capire la struttura
vai
vieni vicino a me


è meglio così
ti dicevo
anche la libertà che ti puoi prendere riprendiamo scusa
da dove
vai vai vai continua
un po’ più forte
un po’ meno incerto ecco
il primo pezzo era bello
no non ce l’ho
se me lo dai
quello che avete fatto


in realtà ci dovevo essere anch’io
lo vogliamo rifare tutto
prendiamoci il tempo
ci siamo
adesso ti dico cosa vedrai
adesso andiamo avanti
poi ti dico
poi lo sviluppiamo come se fosse una cosa
io ho come riferimento la
quando lei finisce entro io
tu eri già entrata prima


e sei andata via
la seconda volta
non era brutto
facciamolo tutto fino alla fine
la fine della pausa
entriamo noi
segnatelo questo
sì lo faccio
adesso fallo dopo te lo segni
a metà cominciamo a rompere
una cosa che mi viene perfettamente


che cosa state dicendo
questo fa male
bisogna vedere che cosa ci si mette in mezzo
facciamo un po’ prima della fine
da poco prima
non mi hai sentito
stavo parlando
quando comincio a mettermi
dopo la metà
la facciamo tutta
cioè la prosegui


una cosa quasi ostinata
no non devi fare quello
io ci sono
vogliamo andare
poi cominci tu
lasciamola un po’ sola
adesso si mette male qua
partiamo insieme
partivo io veramente
parti tu
devo comunicare anche con gli occhi


che c’è
perché ridi
perché cerchi di mescolare le carte
di non fare capire agli altri
quello che vuoi fare
guarda la mia mano
guarda in alto
guardalo e carezzalo
ancora un po’
mi interesso di tutto e credo in tutto
non sei obbligato a parlare solo di te stesso


guarda qui
guarda più in giù
sollevati
vai giù
stop
gira quella gamba più in là
guarda qua
la mano la vedi
quando dico là guarda là
è buonissima
bevi ancora

 

English abstract

Nanni Balestrini, born in Milan in 1935, was among the leading animators of the “Nuova Avanguardia” movement in the Sixties. The complete edition of his works (novels and numerous collections of poetry) is published by DeriveApprodi. The text that we are presenting is the latest in the trilogy he named “operapoesia", after Salomé, staged at the Teatro Grassi in Milan under the direction of Franco Brambilla in 1993, and Elettra, with music by Luigi Cinque, staged in Tokyo in 2000 (first seven choirs published in Elettra operapoesia, Luca Sossella, Roma 2001). A first fragment of Arianna appeared in the plaquette Sconnessioni (Fermenti, Roma 2008). The three “operepoesia” have been published for the first time together and in Caosmogonia e altro. Poesie complete. Volume III (1990-2017), DeriveApprodi, Rome 2018. Arianna was staged at the Auditorium Mecenate in Rome on 28 October 2018. Design and music by Luigi Cinque; performers Ilaria Drago (voice), Nanni Balestrini (vocals), Luigi Cinque (clarinet, saxophones, live electrics), Valerio Corzani (washtub bass and cagean sounds). Introducing the exhibition, a conversation by Cecilia Bello Minciacchi and Andrea Cortellessa.

Keywords | Nanni Balestrini; “operapoesia”; Arianna. 

Per citare questo articolo: Arianna di Nanni Balestrini, con una introduzione di Andrea Cortellessa “La Rivista di Engramma” n. 163, marzo 2019, pp. 223-242 | PDF dell’articolo.

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2019.163.0014