Stazioni di servizio e motel, dall’Italia all’Africa
L’esportazione di un modello negli anni del ‘miracolo economico’*
Marco Ferrari
English abstract
Meno di un decennio dopo la fine della Seconda guerra mondiale, l’industria italiana del petrolio torna ad affacciarsi in quelli che erano stati i territori coloniali in suolo africano del Regno d’Italia. Lo fa attraverso l’Eni, ente statale fortemente voluto da Enrico Mattei, di cui la vecchia Agip rappresenta ora la principale struttura operativa. D’altronde, dal punto di vista politico e strategico, il momento è reso propizio da una ritrovata legittimità in campo internazionale del governo di Roma. Legittimità che riceverà il suggello decisivo con l’ammissione dell’Italia, nel 1955, all’Organizzazione delle Nazioni Unite.
L’attività dell’Eni in Africa è in gran parte ricostruibile dai molti articoli a essa dedicati da “Il Gatto Selvatico”, il giornale aziendale fondato nel 1955 e particolarmente impegnato nel propagandare la politica ‘non colonialista’ dell’ente verso i paesi in via di sviluppo (Belloni 2014, 2-14). Già nel 1953 hanno luogo i primi contatti con la Somalia e, a seguire, con Eritrea, Etiopia e Libia dove l’Agip s’impegna prima nel ripristino dei vecchi impianti abbandonati o distrutti, poi nell’attivazione di nuovi. Negli anni successivi, gli interessi commerciali di Eni si rivolgono anche ad altri stati africani tradizionalmente legati a grandi potenze coloniali come Inghilterra e Francia.
Nel 1954 avviene il cruciale incontro con Nasser che inaugurerà la cosiddetta ‘formula Mattei’ basata su “collaborazione invece di sfruttamento” (Valli 1963, 5) e condurrà alla sottoscrizione, in tutta segretezza nel 1955, di un contratto volto a consentire all’Italia di avviare operazioni di ricerca e utilizzo delle risorse energetiche nei territori bagnati dal Nilo e affacciati sul Mar Rosso. Dopo l’Egitto è il turno di Tanganika, Ghana, Nigeria, Kenya, Uganda, Tanzania e, soprattutto, di tutta l’area del Maghreb: nel 1958 nasce Somip, società marocchino-italiana per la ricerca e la produzione di idrocarburi a cui si deve la realizzazione in circa quattro anni della raffineria di Mohammedia (la prima costruita in Africa in accordo con un governo locale); nel dicembre del 1963 si inaugura l’impianto di Biserta in Tunisia e nel 1966 a Genova arriva il primo carico di greggio proveniente dal giacimento di El Borma, nell’estremo sud-est della Tunisia. È noto, infine, il sostegno di Mattei al progetto d’indipendenza algerina e sono noti i contatti che l’Eni stabilisce in vario modo già con il Governo Provvisorio della Repubblica Algerina (GPRA) avviando quelle trattative che porteranno, quasi due decenni dopo, alla realizzazione del primo gasdotto sottomarino transcontinentale (Nardi 2011, 40-46).
Parallelamente, in quello stesso periodo a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, all’interno dei suoi confini, l’Italia attraversa una fase di crescita economica assolutamente eccezionale. Tuttavia, all’inizio degli anni Cinquanta, il livello di motorizzazione della popolazione è ancora piuttosto basso, tanto che solo un abitante su sessanta è in possesso di un’automobile (un terzo di quanto si registra, nello stesso momento, negli Stati Uniti). E anche la rete stradale, per quanto capillarmente ancorata a un sistema millenario di vie e tracciati che collegano tra loro città principali e piccoli borghi, è tutt’altro che efficiente. Nel maggio del 1955 il Parlamento italiano vara tuttavia la legge che consentirà l’inizio della realizzazione dell’Autostrada del Sole, dando un impulso decisivo al processo di modernizzazione del Paese. In tal senso è significativo ricordare che la posa della prima pietra avviene proprio a Metanopoli, il nuovo centro amministrativo dell’Eni allora in costruzione: l’ente simbolicamente si candida così a partner essenziale di quel processo.
Con la progressiva apertura dei nuovi tratti autostradali (il primo, tra Milano e Piacenza, già nel 1958) muta anche la politica dell’Agip – e dunque dell’Eni – per quelle che erano le proprie stazioni di rifornimento. Le quali, nella rete stradale secondaria restano semplici punti di sosta funzionali, ma all’interno della viabilità principale e di quella autostradale in via di costruzione diventano vere e proprie aree di servizio, dove è possibile trovare la necessaria assistenza all’auto e, allo stesso tempo, pranzare, fare acquisti o riposare. Si tratta dunque di un sistema infrastrutturale, puntuale e diffuso, di supporto a quell’Italia del lavoro che è impegnata nel dar vita al ‘miracolo economico’, ma anche a quella che, assieme ai primi turisti nordeuropei, inizia a viaggiare per conoscere le molte facce del Belpaese.
Già prima della realizzazione dell’Autosole, l’Agip e Mattei avevano però capito l’importanza comunicativa della loro rete di stazioni di rifornimento e deciso di affidare all’architetto Mario Bacciocchi – l’autore per l’Eni anche del piano urbano di Metanopoli (Savorra 2019, 27-33) – lo studio di un modello tipo. Ciò che uscirà dalla matita dell’architetto piacentino sarà uno spettro di tredici varianti che si differenziano prevalentemente a partire dalla dimensione, ma che si basano tutte sull’adozione di una coraggiosa e leggera pensilina (nota come ‘la bacciocca’), rastremata e ripiegata in corrispondenza dello sbalzo dove sono posti anche la scritta o il simbolo pubblicitario dell’azienda con il famoso cane a sei zampe. In alcuni casi, la semplice pensilina diventa una più articolata e linguisticamente spregiudicata struttura che si innalza sul retro con un’ulteriore piega e si collega a terra attraverso un parete anch’essa rastremata. Il rigore dell’opera ingegneristica e del calcolo si stempera dunque in una scrittura leggera e quasi spensierata, in stile googie come lo definisce Massimiliano Savorra (Savorra 2019, 27-33), che ben si coordina con le linee morbide del volume sottostante (staccato dalla pensilina attraverso un nastro vetrato continuo) diventando il simbolo di una modernità benevola, amica e certamente accogliente [Fig. 1].
Negli anni successivi tale modello subirà diverse revisioni che ne prevedono in alcuni casi una sostanziale semplificazione formale e strutturale (si elimina ‘la coda’ sul retro e la parete di fondo), in altri una maggiore articolazione volumetrica e funzionale (soluzione ad angolo e con piano superiore, per ospitare autolavaggio, alloggio gestore o ampliamento del ristorante). Nel regesto delle opere dell’architetto piacentino compilato da Italo e Luca Bottale si riporta che, in tutto, le varianti saranno ben 54 (Bottale, Bottale 2014). Mario Bacciocchi è anche l’architetto che inaugura, per l’Agip, la stagione dei motel (Deschermeier, 2006/07; Greco 2010). E non solo perché sviluppa una tipologia di edificio standardizzato come ulteriore declinazione del modello della stazione di servizio, ma anche perché, nel 1964, realizza a Metanopoli – e anche in questo caso non casualmente – il primo ‘albergo per camionisti’, nel quale adotta un linguaggio piuttosto vernacolare caratterizzato da un tetto ad un’unica falda e rivestimenti in legno e pietra. Ma sul tema del motel si cimentarono anche altri ‘architetti dell’Eni’ quali Edoardo Gellner (che realizza quello di Cortina e progetta quello di Cervinia) e soprattutto lo studio Bacigalupo e Ratti al quale si devono i motel di San Donato, Firenze, Pisticci (i primi due caratterizzati da volumi verticali e sistemi di facciata continua; il terzo, nei pressi di Matera, da un lungo corpo orizzontale sospeso su pilotis) e, più tardi, quelli di Vicenza e Modena.
Anche se l’Agip, attraverso i tecnici della Snam, metterà comunque a punto due modelli (il ‘motel 59’ e il ‘motel 61’, dall’anno in cui furono studiati), volti ad essere ripetuti secondo dimensioni e aggregazioni diverse lungo i tracciati delle autostrade italiane, quello del motel è comunque un tema che, più di quello delle stazioni di servizio, assume dimensioni e soprattutto caratteri molto diversi a secondo della centralità e dell’attrattività dei luoghi nei quali si inserisce. E di questo l’Agip è perfettamente consapevole se affida ad architetti diversi il compito di realizzare alcuni dei suoi presidi più significativi e se, già nel 1958, sempre sulle pagine del giornale aziendale, un giornalista americano può scrivere:
C’è tuttavia da augurarsi che lo sviluppo dei motel avvenga con qualche limitazione e considerazione per la bellezza del paesaggio italiano. Forse l’Agip ha già stabilito un modello che gli altri seguiranno. Ho trovato che al Brennero, a San Donato e a Cortina d’Ampezzo la dignità architettonica è stata adattata a fini pratici. Qui gli edifici non hanno rovinato il paesaggio ma si sono conformati ai dintorni per realizzare la loro finalità (Lucas 1959, 19).
Con le necessarie semplificazioni, il modello italiano di configurazione di una rete di supporto tecnico e commerciale all’automobilista è trasportato dall’Eni anche in Africa, dove in molti stati, dopo la riconquistata indipendenza politica, sono in corso importanti piani di ricostruzione della viabilità stradale. Piani ai quali l’Eni stesso si offre di collaborare attraverso l’intervento di sue società di supporto. Pertanto a quell’impegno primario in ambito industriale e produttivo, sinteticamente richiamato in apertura del presente testo, si accompagna una sempre più intensa presenza dell’Agip nel mercato della distribuzione e vendita al pubblico dei carburanti con l’apertura, anche al di là del Mediterraneo, di numerose stazioni di rifornimento. Dal punto di vista architettonico il riferimento sono sempre gli esempi studiati da Bacciocchi per la rete italiana (e già esportati in diversi stati dell’Europa occidentale) anche se spesso essi vengono applicati nella loro declinazione più semplice che prevede la pensilina isolata e sollevata su esili pilastri, posta di fronte o affiancata ad alcuni volumi di servizio [Fig. 2].
Tra i documenti conservati presso l’archivio Eni si possono anche osservare disegni dei primissimi anni Sessanta (con tutta probabilità non ascrivibili a Bacciocchi, ma predisposti da tecnici degli uffici interni Agip) che prevedono delle ulteriori elaborazioni dei modelli iniziali, in cui la pensilina mantiene la caratteristica veletta terminale, ma perde tutte, o quasi, le sue precedenti, qualificazioni. In una versione – che potremmo definire ‘la rustica’ e che riporta esplicitamente la dicitura ‘annullato’– essa si riduce addirittura a una copertura in legno con travi a vista nell’intradosso posta a coprire, con un leggero sbalzo, un chiosco anch’esso notevolmente semplificato [Fig. 3]. In un’altra si trasforma invece in una piatta e sottile soletta in calcestruzzo leggermente inclinata, sorretta da due travi disposte parallelamente alla veletta frontale, a loro volta appoggiate sulla struttura di un chiosco che – come nella versione ‘rustica’ – ha definitivamente perso le sue originali linee morbide ed è invece caratterizzato da due setti leggermente sporgenti dal piano di facciata con una connotazione vagamente tettonica ed elementarista [Fig. 4]. Anche questa versione sembrerebbe essere stata poi abbandonata (nei disegni si legge infatti l’annotazione “nov. 61, respinto”), tuttavia alcune foto testimoniano la realizzazione di chioschi molto simili nei quali la pensilina ritrova – alla fine, si potrebbe dire – il suo caratteristico profilo rastremato [Fig. 5]. In modi diversi, con vicissitudini non sempre chiaramente ricostruibili e con numerose declinazioni, la ‘bacciocca’, dunque, entra a far parte integrante non solo del paesaggio italiano, ma, seppur più timidamente, anche di quello di Casablanca, Tunisi, Tripoli, Mogadiscio, Asmara e di molti altri centri abitati, anche minori, di questi paesi desiderosi di aprirsi alla modernità e al futuro almeno quanto l’Italia di quegli anni.
Non più localizzate all’interno dei contesti rassicuranti evocati dalle viste prospettiche dell’architetto lombardo, queste strutture si confrontano ora con ambienti urbani indubbiamente poveri (anche se forse non molto più di quelli di alcune aree dell’Italia meridionale di quegli anni), spesso composti da un’edilizia minuta, ancora in costruzione, fatta di pochi e umili materiali. Talvolta compaiono improvvisamente ai limiti di aree predesertiche, lungo strade che sono poco più di percorsi in terra battuta; eppure esse sembrano funzionare bene, si rivelano perfettamente in grado di assolvere il loro compito di oggetti dalla vocazione pubblicitaria, restando al tempo stesso neutri e quasi discreti. D’altronde, se si escludono i tipi pensati appositamente per le aree di alta montagna, le ambientazioni di Bacciocchi erano rivolte non tanto a dimostrare come il modello si potesse declinare rispetto alle varie condizioni contestuali, quanto, piuttosto, come esso ‘resisteva’ a esse e, in fin dei conti, ‘apparteneva’ a esse: come cioè riusciva a mantenere il suo portato di modernità, pur senza proporre un’immagine impositiva e straniante.
Per paradosso, l’esilità e la leggerezza (linguistica oltre che strutturale) della pensilina Bacciocchi, si adegua con ancor più facilità ad alcuni di quei contesti in parte già abituati ad accogliere declinazioni ‘esotiche’ del Moderno, come potrebbero ben dimostrare il successo di alcuni lavori di architetti francesi e italiani a cavallo della Seconda guerra mondiale. Si pensi, solo per limitarci a un paio di esempi, a progetti come la villa Sami Suissa a Casablanca realizzata da Jean François Zevaco nel 1947, oppure alle molte architetture moderniste di Asmara e, su tutte, alla stazione di servizio – evidentemente un tipo che ben si presta alle sperimentazioni architettoniche – di Fiat Tagliero progettata da Giuseppe Pettazzi nel 1938.
Anche letta dal punto di vista quantitativo, la vicenda della trasposizione del modello delle stazioni di servizio Agip in Africa è tutt’altro che marginale. I numeri non sono ovviamente paragonabili a quelli italiani e tuttavia appaiono certamente significativi. Un articolo del 1961 de “Il Gatto Selvatico” ci informa, ad esempio, di come in Libia la rete di distributori ASSEIL (la sigla dell’Agip in quel paese) sia arrivata, in pochissimo tempo, a occupare una quota pari alla metà dell’intero mercato della rivendita di carburante (Morra 1961, 43). Sempre in quello stesso anno, ancora “Il Gatto Selvatico”, a pagina 13 del n. 7, dà conto di come in Tunisia oltre a due stazioni già entrate in servizio “altre nove sono in avanzato stato di costruzione [...] ispirandosi per le caratteristiche architettoniche e strutturali a quelle che sono già in funzione in Italia”.
Come nel nostro Paese, anche in Africa, alle semplici stazioni di servizio si affiancheranno progressivamente i Motel. Apripista saranno, ancora una volta, Libia, Somalia ed Eritrea, dove l’Eni operava da più tempo e dove la realizzazione di queste strutture – come segnala sempre “Il Gatto Selvatico” a pagina 11 del numero di gennaio del 1962 – inizia già tra il 1960 e 1961 (ma, in quegli stessi anni, si predispongono progetti, poi non realizzati, anche per città dell’Etiopia, del Madagascar, del Ghana e del Tanganika). Ad esse seguiranno il motel a Hadjeb-el-Ajoun in Tunisia (realizzato tra il 1965 e il 1966-66) e quello a Mohammedia (iniziato nel 1968 e terminato nel 1970). In una didascalia di commento ad alcune foto che ritraggano proprio quest’ultima struttura e conservate presso l’Archivio Fotografico Eni si legge:
Il Motel, dotato di piscina, ottanta stanze con centosessanta posti letto, aria condizionata e ristorante è il primo costruito dall’Agip in Marocco. Sarà il sesto della rete Agip in Africa: cinque infatti sono già stati realizzati in altrettanti paesi africani, mentre altri sono allo studio […] L’iniziativa dell’Agip porterà quindi un contributo di non scarsa rilevanza allo sviluppo dell’industria turistica del Marocco, un paese che sta rapidamente diventando una tra le mete preferite del turismo internazionale.
La localizzazione è infatti tutt’altro che casuale, Mohammedia non solo è la sede della raffineria costruita dall’Eni, ma anche un’importante località turistica affacciata sull’Atlantico e posta immediatamente a nord di Casablanca, già allora la più dinamica città del paese. Per quanto realizzato in un luogo decisamente meno centrale, anche il motel di Hadjeb-el-Ajoun si colloca in una posizione di fatto strategica e cioè lungo la direttrice che dalle principali località delle coste tunisine, che allora cominciano ad assistere al sorgere dei primissimi insediamenti turistici, scende diagonalmente verso le città-oasi presahariane di Gafsa, Tozuer e Nefta. Più ancora che per le stazioni di servizio, i numeri dei motel realizzati in suolo africano non sono confrontabili con quanto fatto in Italia dove, solo tra il 1954 e il 1962 – anno della morte di Mattei – se ne realizzarono più di trenta. Tuttavia sono indicativi di una precisa volontà dell’Eni di avere un ruolo strategico e assolutamente innovativo nello sviluppo economico di quei paesi, visto che queste strutture rappresentavano per l’intera Africa un’assoluta novità.
Purtroppo la consultazione dei documenti conservati presso l’Archivio Eni ha permesso di risalire solo ad alcuni dei progetti immaginati dall’Agip (tra l’altro quasi tutti relativi a interventi non realizzati), rivelando comunque atteggiamenti diversi e di un certo interesse. Se ad esempio quello del motel per Dar Es Salaam (1961) mostra più di qualche similitudine con l’impostazione volumetrica e di facciata dei modelli 59’ e 61’ – per il volume regolare e piuttosto compatto, il coronamento con intelaiatura a vista, le finestre binate in corrispondenza delle strutture verticali e il marcapiano in evidenza – [Fig. 6] quelli di Tananarive (Madagascar, 1962) [Fig. 7] e Kumasi (Ghana, 1961) [Fig. 8] rivelano invece la loro diretta derivazione dal motel realizzato a Pisticci dallo studio degli architetti Bacigalupo e Ratti in quegli stessi anni (il progetto è del 1961, la realizzazione risale agli anni 1962-64). Il quale, come scrive Laura Greco, è, tra le diverse strutture ricettive da loro disegnate, quella che più esprime un “delicato equilibrio tra artigianalità e innovazione testimoniata dal doppio involucro dell’edificio” (Greco 2010, 183-184), forse anche in virtù della sua collocazione in un’area del paese (la Basilicata) ancora piuttosto arretrata. In questi due ultimi esempi africani, il volume fortemente longitudinale sviluppato su due livelli e sollevato da terra su un piano a pilotis utilizzato a parcheggi, la continuità orizzontale delle finestre e dell’elemento parapetto-solaio, lo sbalzo accentuato della copertura piana, il grigliato che chiude il sistema distributivo a ballatoio sul retro e persino la soluzione dei pluviali staccati dalla facciata ripropongono, di fatto con variazione minime, lo schema di Pisticci. Così, anche se nei disegni non è riportato il nome dello studio milanese, si può ben immaginare che vi sia stato un suo diretto coinvolgimento o, quantomeno, qualche tipo di approvazione alla ripetizione del “prototipo” che si stava mettendo appunto in Italia esattamente nello stesso periodo. Il progetto per Kumasi mostra anche un’attenzione particolare all’articolazione del suolo, il quale, modellato attraverso una successione di terrapieni, nel dividere le aree per le diverse funzioni (stazione di servizio, ristorante, motel, parcheggio) definisce un piccolo, nuovo, paesaggio autostradale.
Diversi sono invece i casi dei motel di Addis Abeba e Mohammedia; quest’ultimo, in particolare, a giudicare dalle poche immagini che è stato possibile visionare, non sembra infatti riferirsi ad alcuno dei modelli noti, presentando una sequenza di terrazze in elementi prefabbricati che rimandano a soluzioni mutuate dall’edilizia dei villaggi turistici più che da quella di un’architettura ‘da strada’. Ciò che nel complesso emerge è indubbiamente una politica diversificata che in alcuni casi sembra voler riutilizzare esempi già sperimentati in Italia, in altri appare decisa ad affidarsi a soluzioni del tutto nuove e soprattutto per gli edifici realizzati dopo il 1962 come quello di Mohammedia, non di particolare qualità.
Come se per dare forma alle più rappresentative tra le strutture “civili” dell’Agip in Africa, non fosse sempre necessario affidarsi alla competenza linguistica e tecnica dei progettisti più affidabili. Forse è possibile leggere questa assenza dell’architettura come il segno di una mutata linea culturale all’interno dell’Eni dopo la morte di Mattei (e ciò spiegherebbe anche l’abbandono dei modelli, più colti, studiati per il Ghana e il Madagascar). O forse, più semplicemente, si tratta di riconoscere che i tempi non erano del tutto maturi: in Africa, il petrolio non sempre aveva bisogno dell’architettura.
*I contenuti del saggio riprendono e sviluppano le riflessioni elaborate in occasione della ricerca CAMU (Circulation et adaptation des modèles d’urbanisme en Méditerranée, XXe et XXIe siècle) finanziato dal Ministère de la Culture Francaise, 2018-2019 che, oltre all’autore, per l’Università IUAV di Venezia, ha coinvolto in diversi modi Fernanda De Maio, Lorenzo Fabian, Luca Iuorio e Daniela Ruggeri, che si ringrazia in particolare per l’aiuto fornito nelle ricerche all’Archivio Storico Eni.
Riferimenti bibliografici
- Belloni 2014
E. Belloni, L’Eni e il terzo mondo. L’anticolonialismo di Enrico Mattei nelle pagine de “Il Gatto Selvatico”, “Progressus” 2 (2014), 2-14. - Bottale, Bottale 2014
I. Bottale, L. Bottale, Regesto delle opere, in Hommage à Bacciocchi, catalogo della mostra, Biffi Arte, Piacenza 2014. - Deschermeier 2006/07
D. Deschermeier, Avventure urbanistiche e architettoniche nell’Eni di Enrico Mattei (1953-1962). Tra progetto e strategia aziendale, Dottorato di ricerca in storia dell’arte, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, relatrice prof.sa Pier Paola Penzo, a.a. 2006/07 - Greco 2010
L. Greco, Architetture autostradali in Italia, Roma 2010. - Lucas 1958
W. Lucas, La straordinaria avventura dei motel in America, “Il Gatto Selvatico” 5 (1958), 18-19. - Morra 1961
S. Morra, Italiano in Libia, “Il Gatto Selvatico” 8 (1961), 43. - Nardi 2011
L. Nardi, La “Diplomazia Parallela” dell’Eni e il ruolo degli “uomini di Mattei” nei paesi dell’Africa del Nord, in Enrico Mattei e l’Algeria, Atti del Convegno organizzato il 7 dicembre 2010 a Algeri sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Algerina Democratica e Popolare, dall’Ambasciata d’Italia in Algeria e dall’Istituto Italiano di Cultura di Algeri in collaborazione con la Direzione Generale degli Archivi Nazionali algerini, Eni e O.N.C.I, Ambasciata italiana e Istituto Italiano di Cultura di Algeri, 2010, 40-46. - Savorra 2019
M. Savorra, Mario Bacciocchi e le ‘invenzioni’ per Enrico Mattei, “Ark” 30 (2019), 27-33. - Valli 1963
B. Valli, L’Eni in Africa, “Il Gatto Selvatico” 10 (1963), 5-6.
English abstract
Starting from the mid-fifties, and throughout the following decade, Enrico Mattei and Eni began an intense activity of economic relationships with several African countries. In parallel to its main commitment related with the industrial and production sector, Eni started an intense presence in the market for the distribution and sale of fuels. The model of the gas stations studied by Mario Bacciocchi for the Italian territory is then transported, with some simplifications, beyond the Mediterranean sea. Even in those countries, ‘La bacciocca’, with its projecting roof symbol of a carefree and brave language, becomes the symbol of a welcoming modernity. Together with the gas stations, Eni also built some motels which, although limited in number, are the clear signal of the desire to have a strategic and innovative role in the economic development of those countries.
keywords | Agip; Enrico Mattei; Mario Bacciocchi; Casablanca; Gas stations.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio.
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: Marco Ferrari, Stazioni di servizio e motel: dall’Italia all’Africa. L’esportazione di un modello negli anni del ‘miracolo economico’, “La Rivista di Engramma” n. 169, ottobre 2019, pp. 175-187 | PDF dell’articolo