"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

169 | novembre 2019

97888948401

Paesaggio come ricordo

Enrico Mattei e il ‘campo’ di Bascapè; un memoriale nella fabbrica Olivetti*

Luigi Latini

English abstract
1. I luoghi e le persone

Pietro Porcinai, Memoriale Mattei, Bascapè (Pavia), 1963. Dettaglio del recinto interno. 

La vicinanza di Pietro Porcinai ad alcune figure chiave del mondo industriale italiano del dopoguerra è stata in taluni casi suggellata dalla richiesta di dar forma con un progetto di paesaggio a spazi che esprimessero il senso del ricordo, la misura dell’assenza che fa seguito a una prematura scomparsa.

Si tratta di momenti di una vita professionale che non si manifestano mai con il protagonismo di chi è depositario di geniali soluzioni, nemmeno con la retorica che in genere accompagna questo tipo di lavori, ma si dispiegano coerentemente a una sorta di ‘spirito di servizio’ che permea lo slancio inventivo e il sapere tecnico di Porcinai. Del resto, l’esperienza di lavoro per Adriano Olivetti alla fabbrica di Pozzuoli, e non solo, così come le numerose collaborazioni con l’Eni si concretizzano attraverso uno straordinario lavoro di interazione con architetti, ingegneri e tecnici, che si traduce in una qualità progettuale raramente raggiunta nel campo del paesaggismo italiano.

Il progetto per il memoriale di Enrico Mattei - il ‘campo di Bascapè’, così chiamato da Porcinai in una lettera a Bruno Zevi [1] del 1963- si colloca a metà strada tra due lavori che appartengono a questo lato meno noto della vita professionale del paesaggista toscano: prima la collaborazione con Luigi Cosenza alla realizzazione del piccolo memoriale Olivetti, nel cuore della fabbrica di Pozzuoli, poi il ‘passaggio’ da San Vito di Altivole, dove Carlo Scarpa progetta il celebre recinto funebre per i coniugi Brion. Sono incursioni che s’intersecano con figure di spicco dell’architettura italiana e che, nelle mani di Porcinai, diventano riflessioni acute sui paesaggi italiani, dal ‘dolce piano’ lombardo a un campo ai piedi delle colline asolane, fino allo stordimento di luce sotto il cielo della costa flegrea. Porcinai attraversa questi mondi con lo spessore e la maturità delle molte conoscenze tecniche e con la misura culturale di uno sguardo pietoso che cerca di dar volto a paesaggi che esprimono il ricordo di figure che, come lui, ne hanno immaginato con fiducia il cambiamento [2].

A due anni dalla scomparsa di Adriano Olivetti (il memoriale di Pozzuoli verrà inaugurato nel 1961) muore in volo Enrico Mattei, fondatore e allora presidente dell’Eni. Porcinai, già attivo nell’orbita dell’azienda, sarà chiamato a progettare un ‘memoriale’ nello stesso luogo della tragedia, nella campagna a sud di Milano. Vale la pena ricordare come in questo caso si affidi a un paesaggista, non a un architetto, il compito di evocare la scomparsa di una persona importante, con un linguaggio che non sarà quello rigoroso dell’architettura. Qualcosa di analogo accade a Pozzuoli, nell’ambito della collaborazione tra Cosenza e Porcinai nella progettazione del memoriale Olivetti [3].

Potremmo così immaginare la figura di Porcinai intercettare nel proprio lavoro due viaggi tra nord e sud – il volo di Mattei di ritorno da Gela, dove sta progettando un villaggio operaio e il disegno olivettiano per Pozzuoli – due esistenze che sono espressione di un ideale socio-economico di grande respiro che trova eco anche in luoghi puntiformi nei quali, con l’arte del paesaggio, si segnala l’interruzione di queste esistenze: a Bascapè, nell’invaso silenzioso di un colonnato di Taxodium, a Pozzuoli, tra un olivo e un muro-memoriale di pietre che recita le parole di un atto di nascita, e cioè l’inaugurazione di una fabbrica “elevata in rispetto della bellezza dei luoghi e affinché la bellezza fosse di conforto al lavoro di ogni giorno” [4].

Il memoriale progettato per Enrico Mattei s’inquadra lievemente nella geometria semplice della pianura lombarda e, nonostante un lungo periodo di oblio e la fragilità della sua ‘architettura’ in gran parte costituita da materiale vegetale, oggi s’impone con la maturità di forme e la nettezza di un disegno pensato da Porcinai con commovente precisione, soprattutto nel saper immaginare una puntuale corrispondenza tra il solenne processo di crescita delle piante e la misura geometrica del disegno di partenza. Questa volta è nelle mani di un ‘architetto del giardino’ – come lui si definisce più volte – che prende forma e vita un luogo (paesaggio e non architettura), legato alla dimensione del ricordo e della sepoltura. Evitando l’abusato binomio paesaggio-memoria parleremo qui di ricordo, come misura di un distacco reso visibile nelle forme rinnovate dello stesso paesaggio che è stato teatro di quelle esistenze evocate.

Vale la pena ricordare come anche in questo campo il contributo di Porcinai si avvicini a un tema – paesaggio e luoghi di sepoltura – che nel mondo mediterraneo esercita ancora un interesse obliquo e marginale, in una condizione che ha visto i cimiteri – e la loro originaria concezione paesaggistica – maturare nell’arco della seconda metà del Novecento una condizione di solitudine e di perdita dei caratteri originari, talvolta di misera sopravvivenza al margine dei grandi cambiamenti sociali [5].

2. La vicenda e il paesaggio

Il 26 ottobre 1962 il bireattore che dalla Sicilia porta Mattei a Milano esplode in volo e precipita a duecento metri dalla cascina Albaredo, nella campagna di Bascapè, piccolo centro a sud Milano. Muoiono insieme a Mattei le altre due persone a bordo, il comandante Bertuzzi e William F.McHane, giornalista intento in quel periodo a scrivere una biografia sull’industriale italiano.

Nelle pagine dei quotidiani la testimonianza dei primi soccorritori registra una scena che vede la coda del velivolo conficcata nel terreno e, intorno, i resti del bireattore e dei suoi occupanti, dispersi “a duecento metri circa dalla cascina Albaredo, sul limite di un filare di giovani pioppi, a pochi metri da una roggia gonfia d’acqua” [6]. Questa telegrafica notazione sulla scena dell’accaduto – un filare e una roggia e il disegno delle strade vicinali – anticipa il tema dal quale lo sguardo progettuale di Porcinai prenderà le mosse.

Nella primavera del 1963, a pochi mesi dalla scomparsa di Mattei, Porcinai riceve dalla SNAM l’incarico “di sistemare, con pochi mezzi, il terreno che raccoglie i resti” del tragico evento. Il lavoro procede con grande rapidità e sarà inaugurato in occasione del primo anniversario della morte, la domenica del 27 ottobre 1963 [7]. Le immagini fotografiche di questo lavoro che documentano il giorno dell’inaugurazione (per molto tempo le uniche che si è pubblicato), mostrano un quadro nel quale è stato predisposto l’intero impianto delle piantagioni – alberi, siepi, tappezzanti, prato che ancora oggi vediamo. La pratica, ricorrente nel lavoro di Porcinai e, in genere, nel mondo del giardino fatta di ripensamenti in situ e molte correzioni di tiro, qui si ridimensiona e si converte in una esemplare tensione verso la semplicità, verso una ricerca di sobrietà che coglie l’essenza del paesaggio della pianura padana.

Quello che da una prima lettura delle carte parrebbe un’esercitazione tutta giocata sul piano della figura bidimensionale – un campo rettangolare con le sue variazioni geometriche, tracciate in sintonia con il disegno del paesaggio esterno – si rivela invece, nell’evoluzione temporale del progetto, un luogo d’intensa qualità nella sua dimensione volumetrica. Gli scarti di quota interpretano magistralmente i caratteri del paesaggio padano, la solenne architettura delle masse vegetali esprime, più di ogni altro elemento, il valore ‘memoriale’ di questo giardino del ricordo, incessantemente mutevole e parlante nell’arco delle stagioni (non solo nella spettacolare vestitura autunnale dei Taxodium), degli anni, delle ore del giorno negli oltre cinquanta anni di vita vissuta.

Vale la pena ripercorrere i passaggi essenziali della vicenda progettuale, e ragionare su come la finezza intuitiva di Porcinai sviluppi anche in questo caso una speciale empatia con il luogo, così da ricavare dagli imprevisti e dalle modifiche imposte dal committente un’occasione di approfondimento. Tutto parte, dunque, da un campo al “limite di un filare di giovani pioppi, a pochi metri da una roggia gonfia d’acqua”.

3. Il progetto

Pietro Porcinai, Memoriale Mattei, Bascapè (Pavia), 1963. Disegno prospettico della prima proposta. 

La mappa catastale e poi il rilievo eseguito per il progetto commissionato al paesaggista registrano i pochi dati che saranno il cuore del progetto: i campi, l’intersezione di due strade bianche e una roggia che descrive un gomito in corrispondenza di questo incrocio, uno sparuto filare di pioppi. L’idea di Porcinai consiste nel tracciare il perimetro di una figura semplice, rettangolare, che ‘accoglie’ questo piccolo nodo, lo contiene con un “recinto” percorribile, un argine associato a un filare di alberi monumentali, a cavallo tra il tempo della memoria e quello del lavoro quotidiano.

All’interno di questo perimetro di terra si dispiega la narrazione ‘antiretorica’ del ricordo: un campo – chiamato nel primo disegno “prateria” – e un recinto interno, fatto di pietre, che segnala il luogo della scomparsa di tre uomini e ne evoca la presenza con l’immagine di tre querce che qui vengono messe a dimora. Ai piedi delle querce, una pietra con i nomi. La misura territoriale del paesaggio coltivato si riconosce nel grande rettangolo descritto dall’argine; quella raccolta del giardino del ricordo si manifesta nel recinto più piccolo, di blocchi appoggiati sul prato. Pochi i materiali usati: cemento per i grandi blocchi e le lastre di pavimentazione, rivestimenti in ciottoli bianchi e neri, listelli di porfido. Una siepe attorno, un filare di Taxodium disticum, tre querce (Quercus coccinea).

L’argine descrive con la sua figura netta la geometria della pianura coltivata e permette a chi lo percorre in quota, la vista ‘pietosa’ sul campo e la scena che ricorda l’accaduto. Questo artefatto di terra è dunque il confine e al tempo stesso lo spartiacque che segnala il significato della visita: un cammino che si svolge seguendo il doppio registro dello sguardo raccolto sul campo del ricordo e della vista distesa sui campi dove fluisce la vita quotidiana. Tra le molte postazioni visive che nella storia del paesaggio si è costruito, vale la pena salire sulla sommità di una piramide di terra, e ricordare un’iscrizione dettata due secoli prima: “le tombe sono le cime di monti di un nuovo lontano mondo” (Gräber sind die Bergspitzen einer ferner neuen Welt) – queste le parole che il barone von Pukckler Muskau fa incidere al culmine di una delle sue piramidi a Braniz, nel punto in cui lo sguardo spazia sullo spettacolo della memoria che il nuovo paesaggio progettato ha reso leggibile [8].

Pietro Porcinai, Memoriale Mattei, Bascapè (Pavia), 1963. Il campo appena inaugurato. 

Il lieve cammino che accompagna la strada lungo l’argine del memoriale, con le sue leggere rampe, il basso affaccio dall’arengo esprime questo desiderio di provocare, con mezzi inediti e semplici, una condizione di ricordo legata al distacco da una persona, visibile nel paesaggio sotto i nostri occhi.
Nella prima versione del progetto, del 26 aprile 1963, sono chiaramente delineati i due recinti con la cortina di alberi, la grande siepe, le tre querce (tav. 1426/1, Planimetria e variante) la roggia e i pioppi preesistenti annessi al disegno del grande campo. Episodio saliente della narrazione, più tardi abbandonato, è la roggia che, oltre la barriera dell’argine, solca il piano del prato interno, ‘entra’ nel secondo recinto di pietre e lambisce, descrivendo un gomito, l’area delle tre querce.

Il progetto non intende dunque sottomettere il paesaggio esistente a una diversa configurazione, ma ne assume gli elementi significativi, secondo un procedimento familiare al lavoro di Porcinai, quello di costruire un giardino come “esercizio di ascolto” di un paesaggio, con un lavoro di sottrazione piuttosto che aggiunta di elementi compositi. La roggia Bascapera, che attraversa il piano erboso al centro del recinto, è qui forse l’espressione più significativa di questa sua mentalità [9].

Nel giugno del 1963, a pochi mesi di distanza dalla prima proposta, abbandonata per problemi tecnici, non senza resistenza, l’idea di far entrare la roggia nel recinto, Porcinai consegna il progetto definitivo, così come verrà realizzato, con l’acqua che, in prossimità dell’argine, prende una doppia direzione e scorre lungo tutto il suo perimetro per ritrovare più tardi il percorso originario. In questo nuovo assetto, dal paese si entra nell’area memoriale attraversando un ponte che scavalca la roggia e immette in un parcheggio-vestibolo, una sottile striscia interna al recinto alberato, ma non al perimetro dell’argine, e da qui si ha accesso all’aera memoriale, un grande rettangolo scandito a terra da un motivo di percorsi ortogonali in acciottolato (in origine a lastre di cemento) che inquadrano il secondo recinto, delimitato da massi (prefabbricati in cemento e rivestiti di ciottoli bianchi). L’essenzialità del disegno a terra appare evidente mentre si percorre la sommità dell’argine e, soprattutto, quando ci soffermiamo sul piano inghiaiato dell’arengo, una terrazza che alla stessa quota dell’argine si sporge verso il prato. Da qui, il visitatore, in posizione soprelevata e circondato dagli alberi, guarda il campo e la campagna oltre l’argine. Il campo di Bascapè appare in questo nuovo assetto come un “camposanto” costruito con mezzi espressivi nuovi, un terreno consacrato al ricordo che registra fedelmente i dati della topografia che hanno visto la scena della morte.

Alla fine dell’estate, poco prima dell’inaugurazione dell’opera, Porcinai scriverà a Bruno Zevi segnalando con l’invio di alcuni disegni il lavoro nel “campo di Bascapè”, svolto con il compito di “sistemare, con pochi mezzi, il terreno che raccoglie i resti”. La lettera, nella quale si associa la figura di Mattei a Olivetti e che avrà come esito la pubblicazione del progetto, appartiene a una pratica ‘promozionale’ familiare a Porcinai che ci aiuta però a capire i molti legami e le passioni condivise che accompagnano il suo lavoro. È un luogo “solenne proprio perché rifugge da ogni rettorica” – così dirà Zevi sulle pagine de “L’Espresso” [10] –, senza assi né punti focali, come ci si aspetterebbe da un luogo monumentale. Gli ingressi e le rampe sono defilati; il gruppo delle tre querce con la stele, decentrato, si ricongiunge al filare dei pioppi che in quel punto accompagnava la strada demolita. L’arengo, con la sua posizione lievemente elevata, allude con la sua postura all’importanza dello sguardo sul campo, alla percezione d’insieme di un luogo e di un ricordo.

Troviamo in questo lavoro un modo di procedere che appartiene alla mentalità e all’orientamento compositivo di alcuni importanti progetti eseguiti da Porcinai alla metà degli anni Sessanta, progetti che esprimono una maturità professionale e la piena capacità di far convergere nell’“esteticità raccolta” di un giardino il significato di contesti e di esigenze sociali specifiche. Nel guardare alla topografia del memoriale possiamo leggere lo stesso gioco di superfici, gli stessi scarti di quota e ‘moderne’ partizioni geometriche che appartengono al giardino Theobald; la condizione spaziale e lo sguardo sospeso che appartengono all’arengo che si sporge sul campo ci richiama altre ‘invenzioni’, artifici discreti ma risolutivi che permettono di indirizzare la visione e sottolineare la risonanza evocativa di un luogo, come avviene nel teatrino dell’Apparita a Siena che, rivolto all’immagine della città in lontananza, ne amplifica con mezzi moderni la percezione [11].

Pietro Porcinai, Memoriale Mattei, Bascapè (Pavia), 1963. L’argine perimetrale in autunno.

A cinquant’anni dalla sua inaugurazione, il campo appare oggi nel pieno di quel processo in divenire che è la vita di un giardino. Il motivo asciutto e la trama geometrica degli acciottolati sul piano erboso, la massa placida dell’argine perimetrale e degli arbusti che ne accompagnano il disegno, risultano ora contrapposti allo slancio verticale dei grandi Taxodium distichum che Porcinai scelse per formare la solenne cortina perimetrale, emergente dal piano inclinato delle scarpate.

Appare ora perfetta, in ogni momento dell’anno, anche quando il rosso manto autunnale si dissolve, la configurazione di spazi e di figure vegetali che si stringono intorno a questo laico ‘camposanto’, immaginato nella pianura lombarda. Perduto il segno della roggia che scorre all’interno del recinto, ora l’acqua ne descrive l’intero perimetro. Il ponte che l’attraversa ci introduce a un recinto fatto di elementi chiusi – la siepe esterna, il grande rettangolo di alberi, l’argine e, infine, il perimetro dei massi che si stringe intorno a tre querce: è qui, nel giardino dei morti, che si depongono ancora oggi fiori nei giorni della commemorazione.

4. Pozzuoli, il memoriale per Adriano Olivetti

Luigi Cosenza, Memoriale per Adriano Olivetti, fotografia di una prova di simulazione dell’inserimento nel giardino della fabbrica Olivetti a Pozzuoli, opera di Pietro Porcinai.

Non più nella distesa aperta del paesaggio agrario lombardo, ma al centro di un edificio industriale a Pozzuoli, Porcinai si misura assieme a Luigi Cosenza con il tema del ricordo nel grande spazio centrale della fabbrica Olivetti, dove il terreno digrada guardando nord-ovest verso il bordo irregolare della vasca disegnata dal paesaggista toscano.

Con la scomparsa di Olivetti nel 1960, la partecipazione di Porcinai alla costruzione della fabbrica appare messa in disparte dalla direzione dell’azienda. Così si legge nella corrispondenza conservata in archivio, nella quale vediamo Cosenza battersi perché il rapporto di collaborazione instaurato con il paesaggista abbia una continuità di dialogo e sostegno istituzionale, e lo farà a tal punto che, nel momento dei riconoscimenti ufficiali, il giorno dell’inaugurazione del memoriale e dell’ampliamento della fabbrica nel maggio 1961, il professore napoletano invierà a Fiesole la medaglia a lui consegnata, amareggiato per il mancato giusto riconoscimento al paesaggista toscano [12].

Quando nel 1960 nasce da parte degli operai e della direzione l’esigenza di costruire un memoriale all’industriale scomparso, Cosenza sottopone a Porcinai un’idea con la quale dichiara di aver “scartato qualsiasi soluzione retorico-figurativa e proposto di piantare un grande, bellissimo albero, composto con un muro di granito delle Alpi valdostane”. Quello che apparentemente qui si presenta come richiesta di parere tecnico sui materiali e sulla compatibilità con il progetto da poco inaugurato, costituisce invece la ripresa di un dialogo appassionato, nel corso del quale Cosenza esprime un interesse più che mai aperto alla condivisione del lavoro. Cosi concluderà infatti una delle prime lettere: “[...] chiedo naturalmente la tua collaborazione e non solo per la tua competenza. Insieme abbiamo realizzato lo stabilimento, insieme vogliamo dare questo contributo alla memoria dell’amico scomparso” [13].

Il problema non semplice di realizzare nel cuore della fabbrica un memoriale verrà discusso dai due progettisti, sebbene a distanza, con passione e severa attenzione. Ne sono testimonianza le diverse simulazioni, eseguite con l’aiuto di fotografie e modelli realizzati sul posto, inviate da Cosenza allo studio fiesolano per capire il modo nel quale il nuovo manufatto possa al meglio inserirsi nel disegno appena predisposto da Porcinai per lo spazio centrale dell’edificio. Non si tratta, infatti, di una “variante” al progetto appena concluso, ma di un gesto che si collochi in una condizione di continuità con l’esistente ed esprima con la giusta misura il ricordo della persona che ne era stata committente.

A distanza, e in un momento d’intensa attività professionale e frequenti spostamenti, con l’aiuto di un solo sopralluogo nel febbraio 1961, Porcinai discute il progetto e concorda ogni dettaglio, affidando alla società fiorentina “Nuovi Giardini”, capeggiata dal giardiniere Rafanelli e già coinvolta nel lavoro di Pozzuoli, l’esecuzione in loco delle piantagioni. I tempi, la scelta e le modalità di impianto dell’unico albero sono concordate in modo scrupoloso, così come la scelta delle pietre nel muro, “pietre della Bessa manipolate dai celti e dai romani per l’estrazione dell’oro”, che Porcinai suggerisce e che lui stesso sceglierà con un sopralluogo nel biellese [14].

Il muro curvo lungo dieci metri a sostegno del terreno scavato, l’olivo messo a dimora compongono nel progetto eseguito una scena compiuta, bene inserita nel declivio del giardino, e non senza richiami simbolici: l’olivo rappresenta la forza e la dignità del lavoro, le pietre la terra di origine della famiglia Olivetti. Nel muro l’iscrizione goethiana, in origine progettata da Cosenza come omaggio alle qualità dell’uomo. Così recita nel progetto della lapide il testo originario:

IO HO CERCATO DI ARRIVARE / PIÙ IN ALTO CHE HO POTUTO / IN QUELLE COSE ALLE QUALI / MI SENTIVO SPINTO DALLA / MIA NATURA - HO LAVORATO / CON PASSIONE - NON HO MAI / MISURATO FATICHE NÉ SFORZI / PER REALIZZARE LA MIA OPERA.

sarà modificata utilizzando un brano tratto dal discorso inaugurale, pronunciato da Olivetti nel giorno dell’inaugurazione della fabbrica [15]. La postura del muro, idealmente aperto al “golfo più singolare del mondo” esprime con solenne semplicità il significato di un progetto che ha visto due uomini ancora una volta discutere con strumenti e conoscenze diverse un progetto che riconosce nella bellezza di un luogo il principio ispiratore di un ricordo legato alla scomparsa di una persona.

La vicenda di Pozzuoli si conferma come momento esemplare di collaborazione tra un paesaggista e un ingegnere-architetto realmente attento alle ragioni del paesaggio, rispettoso della reciproca dignità-autonomia di azione tra conoscenze e professioni diverse. Una volta recuperato il giusto riconoscimento di Porcinai in quest’ultima fase del cantiere di Pozzuoli, Cosenza scriverà: “... così si chiude un altro capitolo della tormentata storia di Pozzuoli, e con un’altra vittoria del ‘verde’ sull’oscurantismo” [16].

Note

*Il presente testo viene pubblicato per gentile concessione dell’autore e dell’editore Marsilio. L. Latini, Paesaggio come ricordo. Enrico Mattei e il“campo” di Bascapè, un memoriale nella fabbrica Olivetti, in L. Latini, M. Cunico, Pietro Porcinai. Il progetto del paesaggio nel XX secolo, Venezia 2012, 215-236.

[1] Lettera del 30 settembre 1963. Memorial Mattei, fasc. 102, Archivio Pietro Porcinai (d’ora in poi APP).
Il fascicolo conservato presso l’archivio fiesolano comprende la corrispondenza e la copia eliografica dei disegni relativi al progetto. L’archivio conserva inoltre un inserto con fotografie scattate durante la realizzazione e il giorno dell’inaugurazione (foto Sala Dino, Milano).

[2] Sul tema dei luoghi di sepoltura e il paesaggio nell’Italia del XX secolo, si veda di L. Latini, The Mediterranean Cemetery: Landscape as Collective Memory, in M. Treib (a cura di) Spatial Recall: Memory in Architecture and Landscape, New York 2009, pp. 154-175 (atti dell’omonimo convegno, University of California, Berkeley 9-10 marzo 2007) e L. Latini, Cimiteri e disegno del giardino nel paesaggio italiano del Novecento, in AA.VV., All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne. I cimiteri urbani in Europa a duecento anni dall’editto di Saint Cloud, Bologna 2007, pp. 197-211 (atti dell’omonimo convegno, Bologna 24-26 novembre 2004).

[3] Tra i lavori di Porcinai svolti nell’orbita Eni, oltre al fascicolo per il progetto del Memoriale Mattei (APP, fasc. 102), segnalo i documenti relativi al lavoro per la progettazione degli spazi esterni del Palazzo Uffici Snam San Donato Milanese di Marcello Nizzoli e G. Mario Olivieri (1957-1958) e il Centro Uffici e le Case Eni a Roma Eur (1961-1962) (APP, fasc. 63 e 102). Si veda inoltre D. Deschermeier, Impero Eni. L’architettura aziendale e l’urbanistica di Enrico Mattei, Bologna 2008.

[4] Nella pietra vengono incise le parole tratte dal discorso pronunciato da Olivetti in occasione della inaugurazione della fabbrica, riportato in G. Cosenza (a cura di) Luigi Cosenza. La fabbrica Olivetti a Pozzuoli. The Olivetti Factory in Pozzuoli, Napoli 2006.

[5] Nel 1965 Porcinai ritorna sul tema funerario con un altro progetto, non realizzato. Si tratta del cimitero per le vittime di guerra a Trivero, un progetto che evoca l’idea antica del tumulo funerario, formato da una collinetta rivestita di cipressi, con percorso circolare esterno e due tunnel che immettono nell’area ricavata all’interno, dove sono collocate le sepolture. Cfr. M. Matteini, Pietro Porcinai architetto del giardino e del paesaggio, Milano 1991, p. 165.
Ancora sul tema delle sepolture, Porcinai disegna nel 1975 il piccolo recinto con quattro stele della tomba Bacchi, nel cimitero israelitico del Lido di Venezia (APP, fasc. 357). Sui progetti per le sepolture della famiglia Porcinai a Settignano cfr. I. Romitti, Pietro Porcinai. L’identità dei giardini fiesolani. Il paesaggio come “immenso giardino”, Firenze 2011, pp. 237-241. Sulla partecipazione di Porcinai alla vicenda scarpiana della tomba Brion, segnalo il mio 
Porcinai a San Vito di Altivole. Il contributo del paesaggista fiorentino, in Memoriæ Causa. Carlo Scarpa e il complesso monumentale Brion 1969-1978, Treviso 2006, pp. 24-25.

[6] Cfr. F. Bellini, A. Previdi, L’assassinio di Enrico Mattei, Milano 1970, p. 240. Le foto della tragedia sono pubblicate in Mattei e l’Agip. Un album di famiglia, Agip SpA, Roma 1986.

[7] Lettera di Pietro Porcinai a Zevi, 30.9.1963. Il memoriale sarà inaugurato in occasione del primo anniversario della tragedia, domenica 27 ottobre, a Bascapè, alla presenza di Giorgio Bo, Ministro delle Partecipazioni Statali.

[8] Jan Piper, Semilassos letzer Weltgang. Der Totenhain des Fürsten Pückler-Muskau in Branitz,“Daidalos”, 38, 1990, pp. 60-79.

[9] L’idea di conservare il tracciato della roggia all’interno del recinto non trova accoglienza per via della cattiva qualità delle sue acque. Porcinai si batte per conservare il progetto originario e invia una seconda proposta che prevede una deviazione del corso d’acqua. Nel punto di immissione della roggia nel recinto una deviazione sotterranea avrebbe condotto le acque luride e un nuovo fontanile avrebbe alimentato l’alveo del fosso originario. Nello stesso punto, e inglobato nell’argine, un ambiente tecnico avrebbe dato vita a uno sfioro e una cascatella di acqua pulita e ospitato una pompa per l’irrigazione. Lettera del 13.6.63, tav. 1462/2 del 12 giugno 1963 e tav. 1426/6 del 25 giugno 1963. La sistemazione definitiva è del 28 giugno 1963, Nuova planimetria generale, tav. 1426/7 (APP, SNAM Memorial Mattei, fasc.102).

[10] Lettera di Pietro Porcinai a Zevi, 30.9.1963 (APP). Si veda inoltre B. Zevi, In memoria di Enrico Mattei. Un monumento contro la retorica, “L’Espresso” 15 dicembre 1963.

[11] Cfr. L. Latini, Tra archivio e giardino: percorsi di lettura del lavoro di un paesaggista del XX secolo, in Natura, scienza, architettura. L’eclettismo nell’opera di Pietro Porcinai, a cura di T. Grifoni, Firenze 2006, pp. 143-155.

[12] APP, Onoranze Olivetti, fasc. 60, lettera del 20.5.1961, di accompagnamento di una medaglia che Porcinai restituirà all’amico napoletano. All’interno della vasta bibliografia su Cosenza e il lavoro di Pozzuoli, mi limito a segnalare la monografia G. Cosenza (a cura di) Luigi Cosenza. La fabbrica Olivetti a Pozzuoli, cit, oltre a F. D. Moccia (a cura di) Luigi Cosenza. Scritti e progetti di architettura, Napoli 1994.

[13] APP, Onoranze Olivetti, fasc. 60, lettera del 23.3.1960.

[14] Porcinai suggerisce per il muro“pietra dei Celti pari a grosse bocce che trovasi sulla Serra che divide il Canavese dal Biellese”. APP, Onoranze Olivetti, fasc. 60, lettere dell’11.4.1960 e 10.9.1960. 

[15] Il testo del discorso inaugurale del 23.4.1955 e riportato in G. Cosenza (a cura di) Luigi Cosenza. La fabbrica Olivetti a Pozzuoli, cit, p. 124.

[16] APP, Onoranze Olivetti, fasc. 60, lettera del 25.1.1961.

Riferimenti bibliografici
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    I. Romitti, Pietro Porcinai. L’identità dei giardini fiesolani. Il paesaggio come “immenso giardino” , Firenze 2011.
  • Zevi 1963
    Zevi, In memoria di Enrico Mattei. Un monumento contro la retorica, “L’Espresso”, 15 dicembre 1963.
English abstract

The landscape designer Pietro Porcinai is the author of Mattei Memorial at Bascapè, the place where Mattei’s airplane fell in October 1962. Porcinai around the same years collaborates with Carlo Scarpa for the Brion cemetery and with Luigi Cosenza for Olivetti Memorial at Pozzuoli. The essay reconstructs the making of the memorial, compares it to other works by Porcinai, and highlights the anti-rhetoric narrative of the work. It also recalls the vicissitudes of Olivetti Memorial and the fair relationship between Cosenza and Porcinai. 

keywords | Pietro Porcinai; Carlo Scarpa; Enrico Mattei; Adriano Olivetti; Luigi Cosenza; Bascapè; Pozzuoli; memorial design.

Per citare questo articolo / To cite this article: Luigi Latini, Paesaggio come ricordo. Enrico Mattei e il ‘campo’ di Bascapè; un memoriale nella fabbrica Olivetti, “La Rivista di Engramma” n. 169, ottobre 2019, pp. 51-66 | PDF dell’articolo

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2019.169.0022