Pubblichiamo la traduzione in italiano dell’introduzione, a cura di Roberto Ohrt e Axel Heil, al catalogo Aby Warburg, Bilderatlas Mnemosyne – The Original (Hatje Cantz, 2020) della omonima mostra allestita presso l’HKW – Haus der Kulturen der Welt di Berlino (4 settembre-30 novembre 2020).
Vista retrospettivamente, la storia che ha condotto alla creazione nel 1929 dell’Atlas Mnemosyne potrebbe essere raccontata come una sequenza ordinata di eventi. Hanno giocato un ruolo alcune condizioni preliminari, come, all'inizio del XX secolo, il progressivo miglioramento delle possibilità tecniche di riproduzione o, nello stesso periodo, la produzione libraria in rapido aumento; ci sono anche precondizioni specifiche attribuibili alle decisioni prese all'interno della famiglia Warburg e dello stesso Aby Warburg, tra tutte l’autonomia con la quale era capace di espandere la sua ricerca. Si potrebbero individuare anche concrete fasi preliminari, primi accenni della forma elaborati nella fase di concezione effettiva alla fine degli anni Venti. C’è una logica del percorso, specialmente se guardiamo al contenuto, poichè l’ultimo lavoro di Warburg riassume quasi tutte le ricerche dei decenni precedenti. Comunque, abbiamo a che fare con l’invenzione di uno strumento finora sconosciuto – e per decenni rigettato – dagli studi accademici. Quindi nessuno dovrebbe sorprendersi delle difficoltà legate a questo progetto già dal momento della sua costruzione. Tuttavia, dopo la morte di Warburg, queste sono proliferate in molteplici forme e con gravi conseguenze. Il fatto che il Bilderatlas sia rimasto ampiamente invisibile per così tanto tempo, o sembrasse perduto, deve essere tenuto a mente come un altro dei misteri riguardanti questa opera insolita.
Ma cominciamo ritracciando i passaggi iniziali facilmente comprensibili.
Quando Aby Warburg stava progettando una conferenza su Dürer ad Amburgo nel 1905, organizzò una piccola mostra per il suo pubblico, dove illustrò i processi dei suoi pensieri sul tema. Allo stesso tempo, commissionò un’apposita pubblicazione, che riassumeva alcune delle opere discusse su tre tavole e che venne distribuita a tutti gli ascoltatori [1].
Entrambi gli aspetti, la mostra e le tre stampe, sono passi fondamentali nel lungo percorso al Bilderatlas Mnemosyne, che è stato originariamente concepito come progetto di un libro. Non era in alcun modo prevedibile – e tanto meno comprensibile – che il processo della sua elaborazione, culminato montando le immagini sui pannelli, avrebbe avuto più in comune con il medium della mostra.
La nostra conoscenza di questo aspetto della storia è di per sé un colpo di fortuna; non sempre gli archivi forniscono informazioni su come un laboratorio impieghi le sue risorse per tali esperimenti. Un’altra sorpresa della storia è che alla fine i pannelli illustrati sono rimasti l’unico risultato, perfettamente documentato fotograficamente e tuttavia intangibile. E diciamo in piena coscienza intangibile, o invisibile, dal momento che gli originali in realtà sembravano essere andati perduti e fino ad ora le riproduzioni pubblicate erano scarsamente leggibili.
Già prima della conferenza su Dürer, Warburg aveva esteso le sue ricerche a tutto il primo Rinascimento, e presto parlò della necessità di pubblicare un’opera completa sull’argomento. È a questo riguardo che apparve per la prima volta il riferimento a un “Atlas”, ma i termini Bilderatlas (letteralmente ‘Atlante di immagini’) e Tafel (‘tavola/pannello’) avevano un significato molto generale nell’industria editoriale dell’epoca: l’atlante illustrato (Bilderatlas) indicava il volume delle illustrazioni che, in quanto supplemento del volume di testo, doveva essere ancora stampato con una tecnica diversa e su carta differente. Lo stesso valeva per le tavole incluse nel volume di testo: erano sempre rilegate separatamente, o come fogli singoli o in sezioni abitualmente sistemate alla fine. Il Bilderatlas era già un prodotto indipendente alla fine del XIX secolo, come libro illustrato a sé stante di grande formato, centrato su un particolare campo di conoscenza. Tendeva a essere considerato didattico e consisteva principalmente di tavole contenenti una molteplicità di piccole illustrazioni. In altre parole si dava la priorità all’aspetto attraente, mentre i testi esplicativi erano per lo più generali e brevi. I progressi nella tecnologia di stampa successivi alla Seconda Guerra Mondiale hanno permesso una combinazione più libera di testo e immagine, con l’esito che gli antichi termini Bilderatlas e Tafel sono caduti in disuso. Oggi essi sono usati quasi esclusivamente in associazione al progetto di Warburg, veicolando un significato e un’esclusività che non possedevano all’inizio del XX secolo.
Quando Warburg tenne una serie di conferenze ad Amburgo, nel 1909, la gamma delle sue argomentazioni era già ampia come nel successivo Bilderatlas: in sette capitoli molto densi spaziò da Petrarca fino a Dürer. Per chiarificare l’ordine delle immagini proiettate, egli aveva preparato uno schema che assomigliava al profilo di quelle Bilderreihen (‘serie di immagini’) che avrebbe prodotto solo sedici anni dopo [2]. Nei rapidi appunti dei suoi pensieri risulta evidente la necessità di una forma diversa. La complessità delle connessioni che ha voluto dimostrare tra le opere d’arte trascende ora la struttura lineare della proiezione di diapositive che Warburg stava ancora usando a quel tempo.
Warburg tenne la conferenza L’ingresso dello stile anticheggiante nella pittura del primo Rinascimento a Firenze, il 20 aprile 1914, presso il Kunsthistorisches Institut, prendendo in considerazione nel suo discorso non meno di duecento anni di storia visiva [3]. C’era qualcosa di dimostrativo nell’atto di far collassare distanze di tale portata, connettendole con la vita postuma di particolari forme, gesti e immagini, e con le tensioni coinvolte nella loro attualizzazione. Warburg voleva rendere comprensibile l’intangibile: voleva sapere come era potuto accadere ciò che sembrava scontato a posteriori. Questo era il percorso che va dall’Arco di Costantino, realizzato a Roma nel 135 d.C., all’affresco della Battaglia di Costantino, dipinto in Vaticano negli anni Venti del Cinquecento. Un viaggio che va dalla soppressione dell’arte classica ai conflitti attivati dalla sua riscoperta nel XV secolo.
Solo quattro mesi dopo, l’Europa è trascinata nella Prima Guerra Mondiale dall’élite al potere. Warburg applica per la prima volta la sua ricerca visuale ai nuovi media contemporanei, concependo gli schizzi per tre pannelli che sono strutturati come doppie pagine di una rivista [4]. Questa incursione nella violenza della propaganda di guerra può sembrare lontana dai suoi interessi di ricerca effettivi, intorno alla storia dell’arte. Ciò che essa rivela è la base materiale su cui si basano gli studi culturali: le tecnologie della moderna comunicazione, che erano decisive per la vita delle immagini, per il loro movimento o la loro mobilità, ma che nel 1914 sono state responsabili della morte di esseri umani.
Una grande sfida nella seconda metà del XIX secolo è consistita nel portare nelle metropoli del mondo occidentale monumenti di architettura e arte delle epoche più diverse e delle regioni più remote utilizzando le nuove tecniche di registrazione. L’“età della riproducibilità tecnica” comincia nelle condizioni del potere coloniale che guida l’espansione territoriale all’esterno e persegue il rigore scientifico all’interno. I beni culturali che la fotografia aveva reso mobili avrebbero dovuto giovare all’educazione della popolazione. Un primo esempio della spinta alla modernizzazione e dei suoi legami stretti con il progresso industriale è stato l’iniziativa delle élites inglesi di fondare il South Kensington Museum (ora Victoria and Albert Museum). Ogni forma di riproduzione è stata usata per rendere disponibile opere d’arte di ogni tempo sotto forma di una esibizione mondiale permanente. Il prodotto più spettacolare è stato la riproduzione a grandezza naturale della Colonna Traiana, che è ancora oggi in mostra al Victoria and Albert Museum [5].
Il collezionismo di riproduzioni era una cosa ovvia nella pratica artistica della fine del XIX secolo. Appuntate sui muri delle accademie e degli studi, esse aiutavano a orientare le possibilità creative, suggerivano diverse interpretazioni o facilitavano l’adattamento al canone, che era in gran parte basato sullo studio dell’antichità e che voleva venire realizzato sulla scorta di quell’ideale.
Le possibilità di manipolare elementi formali offerti da riproduzioni a stampa su carta hanno anche portato occasionalmente a esperimenti simili alle tecniche del collage e del montaggio che erano emersi nel ventesimo secolo [6]. Anche dopo gli studi di Wölfflin sui caratteri stilistici rinascimentali e barocchi, è risultato evidente che il modo con cui l’arte viene presentata nei libri ha effetti diretti su come essa viena compresa; un fenomeno che è diventato un argomento di discussione in più di una occasione [7]. Ma documenti relativi al modo in cui sono state trattate le riproduzioni nei contesti accademici sono rari. Warburg si è avvalso delle possibilità della fotografia e ha parlato dei suoi vantaggi, e abbiamo una vasta conoscenza di questa sua pratica perché egli documentava scrupolosamente il suo lavoro e considerava attentamente ogni fase [8]. Per contro, poco si sa sui modi con cui i media erano usati nella ricerca. A questo proposito, l’Internationale Ausstellung für Buchgewerbe und Graphik, che fu inaugurata a Lipsia poco prima della Prima Guerra Mondiale, rappresenta un’eccezione: vi venne infatti impiegato – anche per ragioni tematiche – un numero assai elevato di immagini [9]. Karl Lamprecht, uno dei maestri di Warburg, venne coinvolto, e in termini sia di forma che di contenuto questa impresa mostra stupefacenti similarità con le Bilderreihen e il Bilderatlas.
Un altro precoce esempio di uso sistematico delle riproduzioni si verifica nell'immediato dopoguerra. Nel 1918 Fritz Saxl, sin dal 1912 uno dei più prossimi collaboratori di Warburg, organizzò una serie di esposizioni didattiche a Vienna in cui usò esclusivamente delle riproduzioni [10]. Poco si sa sulla sua ideazione, ma egli voleva chiaramente portare l’arte come mezzo di conoscenza a fasce più ampie della popolazione, e convincere il pubblico a porsi delle domande che erano state sovrastate dal chiasso della propaganda di guerra. Quando, nel 1924, Warburg fece ritorno ad Amburgo dal sanatorio, Saxl preparò una piccola esposizione per accoglierlo, utilizzando esempi di immagini prese dall’area di ricerca di Warburg. Uno dei miti sulla genesi del Bilderatlas è che questo sia stato il momento in cui Saxl mostrò al ‘révenant’ nuove modalità di lavoro intorno all’arte e pose le fondamenta del Bilderatlas. In realtà ciò non corrisponde ai fatti. Warburg aveva cominciato a costruire una collezione fotografica in una fase molto precedente, sia per avanzare con la sua ricerca che con lo scopo di comunicarne i risultati. La creazione di Bilderreihen e l’utilizzo di illustrazioni per comunicare le sue scoperte a un piccolo circolo di ascoltatori, infatti, era già parte della sua pratica prima della Prima Guerra Mondiale. La Kulturwissenschaftliche Bibliothek Warburg (KBW) impiegava sistematicamente questo strumento; una volta che il nuovo edificio fu completato, nel 1926, esso disponeva anche di un laboratorio fotografico e di nuove tecniche di riproduzione.
Lasciando da parte l’effettivo significato dell’esposizione di benvenuto a Warburg organizzata da Saxl, i due ricercatori decisero allora a quei tempi – e forse incoraggiati dalle possibilità della fotografia – di realizzare un Bilderatlas sulla storia del Rinascimento. Gertrud Bing, una dottoranda di Erwin Panofsky, entrò nel circolo in questo momento e divenne presto l’assistente personale di Warburg. Bing è stata in ultima analisi la persona coinvolta più profondamente nello sviluppo del Bilderatlas. Per l’impianto di quest’ultimo si rivelò decisivo un concetto più lato di spiegazione ed educazione. L’idea era che il libro avrebbe aperto una nuova prospettiva sui convenziali valori dell’arte, sia per gli esperti che per il più ampio pubblico. Warburg divenne la forza motrice del progetto, sempre inteso però come un’impresa collettiva: ‘Il nostro Atlas’, in effetti, emergeva pezzo dopo pezzo dalla ‘comunità di ricercatori’ della Biblioteca Warburg. Le Bilderreihen allestite nella sala di lettura tra il 1926 e il 1928 rappresentano questa prima fase [11]. La presentazione in contesti semi-pubblici era generalmente preceduta da un’intensa discussione interna, o anche da sessioni di prova. Allora Warburg dava al suo pubblico spiegazioni dettagliate sui temi presentati (e sui mezzi impiegati) dalle costellazioni di immagini, strutturate in modo complesso. Vari ospiti esterni erano invitati a seconda dell’occasione, e tutti quelli che avevano studiato, fatto ricerca o insegnato alla Biblioteca Warburg potevano partecipare.
Nella primavera del 1928 vennero utilizzati per la prima volta pannelli di formato verticale. Si trattava di tavole ricoperte di tela scura, di circa 150 centimetri di lunghezza e 125 di larghezza. Quello di formato costituiva un cambiamento importante: fino ad allora le serie di immagini avevano avuto un formato orizzontale [12]. La realizzazione in forma di libro era chiaramente in programma e si stava prendendo in considerazione il formato di pubblicazione standard. Da ottobre 1929 vennero fatte tre versioni più o meno chiaramente distinguibili del Bilderatlas, tutte documentate fotograficamente [13]. La prima, della primavera del 1928, comprendeva 43 pannelli. La seconda, con 68 pannelli, era la più voluminosa, e può essere datata all’autunno 1928, prima del viaggio a Roma dove fu fatta la ‘prova generale’ del Bilderatlas con la leggendaria conferenza alla Biblioteca Hertziana [14]. Di ritorno dall’Italia, Warburg rivide radicalmente il piano, applicando una struttura cronologica ed elaborando la versione finale [15]. Mentre il contenuto dei pannelli, di cui a questo stadio ne esistevano 63, è notevolmente più chiaro nella terza versione, nuove irregolarità appaiono nella sequenza della numerazione: un vuoto tra il pannelo n. 9 e il n. 19 e uno, più piccolo, tra il n. 65 e il n. 69. Alcuni pannelli con più numeri – nn. 28-29, nn. 50-51 e nn. 61-62-63-64 – dovevano evidentemente essere ulteriormente sviluppati, e altri due erano stati contrassegnati con delle lettere minuscole in quanto ampliamenti: il n. 23a e il n. 41a furono probabilmente inseriti soltanto quando troppi altri pannelli della sezione erano già stati impostati in via definitiva.
Dunque è fuor di dubbio che anche quest’ultima versione non era intesa come quella finale. La ragione è facile da spiegare: Warburg morì il 26 ottobre 1929. Alcune delle fotografie che documentano l’ultima configurazione furono certamente scattate solo dopo la sua morte. Egli applicò la nuova struttura cronologica a quasi tutti i pannelli, ma era ben lungi dall’aver finito. Ottenere una visione d’insieme dell’ordine e della numerazione previste è stato tanto necessario quanto difficile. Abbiamo identificato venti pannelli nelle prime versioni le cui immagini sono completamente assenti dall’ultimo, e sono dunque riprodotte in grande formato per la prima volta in questo volume [16].
Poiché la nuova strutturazione aveva comportato una modifica complessiva, quei pannelli non potevano andare a colmare gli spazi vuoti della versione precedente, mentre per creare altri spazi – che corrispondessero alla stratificazione temporale – la numerazione avrebbe dovuto essere reimpostata daccapo. Tuttavia è del tutto inimmaginabile che argomenti così importanti come Perseus o Bildpropaganda zur Zeit Luthers venissero semplicemente lasciati cadere.
A quel tempo, nel 1929, il Bilderatlas Mnemosyne non era concepito come una esposizione, ma non era nemmeno mai stato esposto nella sua interezza. Lungo la struttura curva dello scaffale della sala di lettura ovale – il fondale per le Bilderreihen – c’era solo spazio per mostrare circa dieci pannelli alla volta. L’architettura della stanza, nel cui progetto lo stesso Warburg è stato fortemente coinvolto, ha comunque svolto un ruolo notevole nella strutturazione del Bilderatlas. Pare che Warburg avesse elaborato i pannelli in gruppi di dieci (continuando con il n. 20 e n. 70 rispettivamente dopo i due vuoti), all’interno dei quali è possibile individuare un grado di coerenza: i numeri da 1 a 8 rappresentano l’arte dell’Antichità, gli ‘antichi modelli’; i numeri dal 20 al 27 il ritorno degli dèi dall’esilio arabo e il loro arrivo a Palazzo Schifanoia; i numeri dal 28-29 al 39 la prima fase dello sviluppo, a Firenze, fino a Botticelli; i numeri dal 40 fino al 48 la seconda fase, fino a Ghirlandaio, la Ninfa e Fortuna; i numeri dal 49 al 59 le sue più tarde emanazioni (Mantegna, Roma, Raffaello, Manet, Michelangelo, Dürer); i numeri dal 60 fino al 61-64 l’Età di Nettuno, con la conquista dell’Atlantico come nuovo accesso al potere; i numeri dal 70 fino al 76 Rembrandt e l’Antico; e i numeri dal 77 fino al 79 l’attualità e una sorta di résumé, controparte della base costituita all’inizio dalle prime tre tavole, contrassegnate da lettere.
Gertrud Bing, Fritz Saxl e Edgar Wind, i membri più impegnati della KBW, hanno proseguito con il progetto della pubblicazione del Bilderatlas Mnemosyne fino agli anni Quaranta, nelle ultime fasi presso il Warburg Institute di Londra, dove questo laboratorio unico di studi culturali si trasferì per salvarsi dal Nazismo. Quando la collezione fotografica fu spedita, nel dicembre del 1933, comprendeva circa quindicimila fogli singoli, includendo più di duemila immagini che Warburg aveva selezionato per il Bilderatlas. È improbabile che i Gestelle – i ‘telai’ (come lo stesso Warburg ogni tanto chiamava i supporti di legno per i pannelli) – fossero arrivati a Londra. Di certo non sono mai riapparsi. Nel 1936 Ernst Gombrich fu appositamente incaricato da Gertrud Bing di predisporre una forma di pubblicazione del Bilderatlas. Tuttavia, nel 1937, tutto quello che aveva da mostrare era un timido accenno, ma niente che avrebbe mai potuto avvicinarsi al progetto del libro. Negli anni Quaranta Bing proseguì il suo progetto di pubblicare il tardo lavoro di Warburg, ma fu incapace di imporsi a Gombrich [17].
La storia non finisce qui, purtroppo. Per il mancato assolvimento del suo compito, Gombrich ha dato la colpa al promotore stesso del progetto. Nella sua cosiddetta Intellectual Biography egli ha descritto Warburg come privo del necessario talento organizzativo e rigore metodologico per completare il Bilderatlas [18]. In altre parole, le mancanze del suo creatore sono iscritte nel Bilderatlas come un problema strutturale o concettuale irrisolvibile. Questo giudizio ha determinato il Nachleben di Mnemosyne per decenni e, alla fine, rappresenta uno dei motivi principali per cui le illustrazioni originali sono rimaste dimenticate nella Photographic Collection del Warburg Institute per quasi un secolo. Mentre la comunità dei ricercatori è arrivata a credere che l’Atlas fosse andato perso, a un certo punto nel corso degli anni Trenta le 971 fotografie sono state riordinate nella Collezione Fotografica – senza un inventario della loro esatta collocazione. L’ultima evidenza rimanente dei singoli elementi relativi ai 63 pallelli andò persa negli anni Quaranta, quando la Collection fu indicizzata su base iconografica, su suggerimento di Rudolf Wittkower. Dal 2019 la Collezione Fotografica è cresciuta di quattrocentomila pezzi: un mare di immagini dal quale bisognava a questo punto recuperare gli originali [19].
Nella sua versione finale il Bilderatlas rimane un frammento bruscamente troncato nel processo del suo sviluppo. Eppure non ha alcuna somiglianza con un caleidoscopio, dove la rotazione continua potrebbe creare un nuovo modello casuale di bei colori. I pannelli guadagnano definitivamente in precisione dalla prima versione all’ultima; essi sono sempre più chiaramente strutturati e leggibili. Sarebbe irragionevole – e improduttivo – trattarli come momenti transitori in un continuo cambiamento, sia professando simpatia per il loro ‘carattere artistico’ sia – come ha fatto Gombrich - asserendo una mancanza di rigore scientifico. Tutte le presentazioni del Bilderatlas precedenti questo volume, sia nella forma del libro che come esposizione, si sono basate sulle fotografie in bianco e nero del degli anni Venti [20]. Per l’osservatore di oggi il nostro recupero degli originali relativizza l’effetto di uniformità e rafforza – per dirla senza mezzi termini – l’impressione delle componenti visuali distribuite caoticamente (che riflette precisamente i pregiudizi dei critici e sostenitori in passato). Quindi, a prima vista, ‘l’originale’ può sembrare confermare ciò che così a lungo ne ha ostacolato il corretto apprezzamento. Assenza di chiarezza e attestazione del fatto che si tratta di un work in progress, che può distrarre dalla precisione del contenuto o, semplicemente, causare irritazione. La visibilità delle differenti fonti mette però in evidenza anche la natura sperimentale dell’impresa. L’elemento del montaggio diventa più evidente, così come l’impulso a estrarre qualcosa di nuovo dalle fonti – e questo dobbiamo concedere a Warburg, anche se comprendiamo la sua avventura concettuale come una lotta per la chiarezza e per capire più acutamente i pensieri che ha formulato tra le immagini. Le riproduzioni, nelle dimensioni in cui sono state rese in questo volume, permettono ora di esaminare nel dettaglio i pannelli. Quindi diventa possibile utilizzarli, facendone uno strumento; e ciò dovrebbe contribuire a dissipare le riserve di lunga data.
In una certa misura, le tonalità di colore originali del Bilderatlas Mnemosyne riportano indietro al momento della sua invenzione, e necessariamente a tutte le difficoltà legate a qualcosa per cui non c’erano o quasi modelli. Non tutte queste difficoltà sono state risolte – e a questo punto è obsoleto farlo – ma non si può neppure semplicemente evitarle. Il libro di Warburg avrebbe avuto indubbiamente un diverso aspetto. I pannelli non erano concepiti come l’espressione finale del suo progetto. Tuttavia in questa forma essi ci offrono una duplice opportunità: da un lato, quella di esplorare appieno la complessità e la precisione di un processo che è stato interrotto il 26 ottobre del 1929 e di affrontare la stessa sfida di Warburg; dall’altro, la potenzialità generata dalla natura frammentaria e incompleta dell’opera non deve essere vincolata dalla richiesta di una conclusione definitiva. Ci auguriamo, al contrario, che la presente pubblicazione possa servire come strumento per future avventure.
Non è quindi nostro intento quello di recuperare le riproduzioni e presentare queste come ‘originali’. In primo luogo, speriamo di fare un tributo al corpo di un’opera che Warburg ha cercato di plasmare fino alla fine della sua vita, sperando di raggiungere una precisione tematica e una certa apertura, che egli ha ritenuto necessaria mantenere rispetto al materiale estetico indagato. Occasionalmente egli ha definito il suo metodo come ‘polifonico’ e ‘multidimensionale’, ed è per questo che il Bilderatlas è stato così eccezionalmente difficile da completare [21]. Fino ad oggi, l’apprezzamento del suo lavoro gli è stato negato. Di per sé, il presente libro esige una forma, una dimensione e delle qualità particolari; e per quanto siamo consapevoli di non potere realizzare l’opera che Warburg sperava di realizzare, le sue ambizioni – e il potenziale della biblioteca che ha creato – sono state la chiave del nostro impegno: “Uso i libri come strumenti in un laboratorio scientifico”.
Note
[1] Marcus A. Hurttig, Die entfesselte Antike: Aby Warburg und die Geburt der Pathosformel in Hamburg, Köln 2012.
[2] Aby Warburg. Il primo Rinascimento italiano, sette conferenze inedite, a cura di G. Targia, Torino 2013, gli schizzi a pagina 145 e seguenti. Già in uno schizzo che fu realizzato nel 1904/1905, durante la preparazione della conferenza su Dürer (edito da Marcus Hurttig, op. cit., 60), emerge il conflitto con la linearità propria di una proiezione di diapositive. Vedi anche: Zur Einführung, in Der Mnemosyne Bilderatlas, Karlsruhe 2016, Baustelle 1.4.
[3] Martin Treml, Sigrid Weigel, Perdita Ladwig (Hrsg.) Aby Warburg: Werke in einem Band, Berlin 2010, 281 segg.
[4] Steffen Haug ha ricostruito questi pannelli in qualità di Frances Yates Fellow al Warburg Institute (2017-2018), nell’ambito di un progetto sulla Prima Guerra Mondiale.
[5] ‘Salvare’ il passato è frequentemente inteso come ‘salvare dal deterioramento’ o ‘riportare in vita’, un atteggiamo che spesso si riscontra anche nella consapevolezza che emerge nelle collezioni coloniali rispetto alle testimonianze di culture lontane.
[6] Vedi Roberto Ohrt, Die Erinnerung im Archiv ihrer technischen Reproduzierbarkeit, in Cafè Dolly, Picabia, Schnabel, Willumsen. Hybrid Painting, Frederikssund 2013.
[7] Heinrich Wölfllin, Renaissance und Barock: eine Untersuchung uber Wesen und Entstehung des Barockstils in Italien, München 1888.
[8] In Aby Warburg, Bildniskunst und florentinisches Bürgertum [1902], Gesammelte Schriften: Studienausgabe, vol. I.I, e vol. I.2, hrsg. v. Hoerst Bredekamp, Michael Diers, Berlin, 1998, 89 e segg., specialmente 101; vedi anche Mick Finch, The Technical Apparatus of the Warburg Haus, “Journal of Visual Art Practice” XV, no. 2-3, 94-106.
[9] Halle der Kultur, Internationale Austellung für Buchgewerbe und Graphik, Leipzig 1914. Ringraziamo Marcus A. Hurttig per averci indicato questa esposizione, che ha avuto 2,3 milioni di visitatori. Si veda anche il libretto a corredo della mostra Aby Warburg, Mnemosyne Bilderatlas: Rekonstruktion-Kommentar-Aktualisierung, exh. cat. ZKM (Karlsruhe 2016).
[10] Steffen Haug, Fritz Saxl’s Exhibitions in Vienna (1919), in Image Journeys: The Warburg Institute and a British Art History, ed. by Joanne W. Anderson, Mick Finch and Johannes von Müller, Passau 2019, 105-13. È stato purtroppo impossibile trovare alcuna documentazione fotografica su questa mostra.
[11] Aby Warburg, Gesammelte Schriften, vol. II.2, Bilderreihen und Ausstellungen, ed. by Fleckner and Woldt, Berlin 2012. Il libro avanza l’ipotesi che le Bilderreihen erano create solo per il lavoro preparatorio per l’Atlante. Ci sono varie prove della consapevolezza del gruppo di ricerca che si è formata presso la KBW, in primo luogo: la dedica a Aby Warburg, in Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento di Ernst Cassirer (Amburgo 1926); e la rivista collettanea della Biblioteca Warburg, Gesemmelte Schriften, vol. VII: “il nostro Atlas”, 148).
[12] Non è possibile determinare le dimensioni con più precisione, poiché la posizione dell’obiettivo in relazione ai pannelli variava.
[13] La seconda – e più vasta – versione è infatti documentata con tre differenti serie di numeri; il contenuto e la misura dei pannelli varia poco. Nella seconda variante, ad esempio, vengono ordinate tre tavole e nella terza variante ci sono disposizioni divergenti su 11 tavole, che Warburg aveva nuovamente fotografato. Occasionalmente i numeri erano anche modificati sui negativi.
[14] Sulla conferenza alla Biblioteca Hertziana si veda Aby Warburg, Gesammelte Schriften, vol. II.2, Bilderreihen und Ausstellungen (si veda la nota 10).
[15] La ricerca sulle prime versioni è in fase nascente. Katia Mazzucco distingue cinque differenti fasi dell’Atlante (Katia Mazzucco, Il Progetto Mnemosyne di Aby Warburg, tesi di Dottorato, Università di Siena, 2006), Joacim Sprung sei (Joacim Sprung, Bilderatlas askadnig och reproduktion: Aby Warburgs Mnemosyne-atlas och visualiseringen av konsthistoria kring 1800/1900, tedi di Dottorato, Copenhagen University, 2011, 16 e segg.). Per il gusto della semplicità ci limitiamo qui alle tre versioni; le versioni intermedie differiscono principalmente per la loro numerazione ma in misura molto minore per le immagini stesse. I pannelli delle prime versioni sono stati pubblicati solo sporadicamente e in modo asistematico.
[16] Creare un indice per questi pannelli andrebbe al di là delle intenzioni del presente progetto. La concordanza dà almeno indicazioni per l'orientamento tematico.
[17] La versione di Gombrich fu presentata a Max Warburg in occasione del suo settantesimo compleanno ed è riportato nella letteratura come il Birthday Atlas (Geburtstagsatlas). Alcuni dei suoi ‘pannelli’ sono stati pubblicati in vari libri come documenti storici. Sulla sfortunata relazione tra Gombrich e il Warburg Institut si veda Claudia Wedepohl, Critical Detachment – Ernst Gombrich as Interpreter of Aby Warburg, in Vorträge aus dem Warburg-Haus, vol. 12, The Afterlife of the Kultur-wissenschaftliche Bibliothek Warburg, ed. by Uwe Flecker and Peter Mack, Berlin 2015.
[18] Ernest H. Gombrich, Aby Warburg. An Intellectual Biography, 2nd ed., Chicago 1986.
[19] Per dettagli sul recupero si veda il nostro contributo: On the Recovery of the Bilderatlas Mnemosyne and the Completion of the Captions in questo stesso volume.
[20] La prima serie di mostre è stata avviata nel 1993 dal gruppo Daedalus a Vienna, la seconda nel 2012 dal gruppo di ricerca Mnemosyne (Amburgo, 8° Salone). Entrambi hanno prodotto ristampe in bianco e nero per esaminare l'Atlante nel dettaglio.
[21] Warburg ha usato i pannelli ‘multidimensionali’ come strumenti nella sua ricerca per costruire l’Atlas fino agli ultimi giorni della sua vita. Quindi è erroneo e ingannevole assumere che nell’estate del 1929 egli abbia utilizzato una cartella con pannelli non legati come soluzione alla difficile questione della più ottimale forma di pubblicazione dell’Atlas. Infatti egli aveva già trovato questa ‘soluzione unidimensionale’ 24 anni prima nel corso della preparazione della sua conferenza su Dürer. (Cf. Christine Kreft, Adolph Goldschmidt und Aby M. Warburg, Weimar 2010: Warburg nelle sue lettere a Goldschmidt, 145 e 220. L’ultima citazione è presa dalla lettera scritta nel 1918, vedi in proposito: Dorothea McEwan, Ausreiten der Ecken. Die Aby Warburg-Fritz Saxl Kirrespondenz 1910 bis 1919, Hamburg 1998,16.
English Abstract
We publish the Italian translation of the Introduction, edited by Roberto Ohrt and Axel Heil, to the catalogue Aby Warburg, Bilderatlas Mnemosyne – The Original (Hatje Cantz, 2020) of the homonymous exhibition at the HKW – Haus der Kulturen der Welt in Berlin (4 September.30 November 2020). In this introduction the curators trace the history of the genesis of Bilderatlas Mnemosyne and and explain the reasons that guided the exhibition.
keywords | Bilderatlas Mnemosyne; Haus der Kulturen der Welt – Berlin; exhibition Berlin 2020.
Per citare questo articolo/ To cite this article: R. Ohrt, A. Heil Sul Nachleben di Mnemosyne, “La Rivista di Engramma” n. 176, ottobre 2020, pp. 199-211 | PDF of the article