La Danaë di Vadim Zakharov alla Biennale 2013
Un’allegoria del sistema economico e mediatico internazionale*
Carlo Sala
English abstract
La visita alla Biennale di Venezia, specie nei giorni inaugurali riservati alla stampa, ha un carattere forsennato che impone allo sguardo un ‘bombardamento’ di immagini per assecondare le logiche e i tempi del sistema. Il fruitore si trova ad attraversare un gran numero di padiglioni che, sempre più spesso, sono concepiti come dei dispositivi capaci di coinvolgere il corpo nella sua globalità, rendendo così il visitatore un elemento compartecipe alle loro narrazioni. Ricordo con lucidità quando nel maggio del 2013 durante il vernissage della 55a Esposizione Internazionale d’Arte, appena uscito dal Padiglione Russo, ho istintivamente sondato il contenuto della tasca dei pantaloni percependo una superficie fredda che strideva con la calura di quel giorno: era un esemplare di One Danaë, la moneta coniata per l’occasione in 200.000 pezzi dall’artista Vadim Zakharov (Dušanbe, 1959).
Quel ritrovamento mi ha reso evidente come l’opera-dispositivo avesse appena compiuto il processo auspicato dal suo ideatore portandomi a compiere il biasimevole gesto di sottrarre una monetina, dando così sostanza reale al tema dell’avidità. L’autore russo, nume tutelare della scena contemporanea concettuale del suo paese, ha voluto riprendere il tema del mito di Danae che, dopo la nota trasposizione pittorica realizzata da Gustav Klimt a cavallo tra il 1907 e 1908 (conservata alla Galerie Würthle di Vienna), ha visto un sostanziale disinteresse da parte degli autori moderni a eccezione di qualche caso isolato come il dipinto La pioggia d’oro (1933) realizzato da Fausto Pirandello nel pieno fermento della Scuola Romana.
Vadim Zakharov ha deciso di riprendere l’immagine di Danae e adottarla come pretesto per instaurare una serie di riflessioni e “domande attuali: quali sono i valori oggi? Qual è la forma delle relazioni reciproche tra uomo e donna? Perché rubiamo?” (Di Giorgio, Siviero 2013). Il rapporto che Zakharov ha instaurato con l’iconografia tradizionale di Danae è ambivalente perché, da un lato, nel suo intervento vi è una citazione dell’omonimo dipinto di Rembrandt del 1636 custodito al Museo statale Ermitage di San Pietroburgo: tra i vari elementi installativi che compongono il padiglione compare infatti una riproduzione del quadro che l’autore russo ha voluto mostrare attraverso una fotografia scattata all’indomani dell’atto vandalico del 1985 quando uno scellerato ha sfregiato la tela con dell’acido e un coltello, ponendo così l’attenzione sulla resilienza memoriale che possiedono alcune grandi opere del passato.
Per converso, nell’intervento veneziano l’artista ha abbandonato ogni approccio filologico al tema esprimendo la tacita volontà di aprire un nuovo capitolo della vicenda dove la figura mitologica diventa lo strumento attraverso cui indagare i processi economici, sociali e politici odierni legati al mondo della finanza e all’impatto dei mass media sulle vite dei cittadini. Appare esemplificativo che l’autore abbia valutato la figura di Danae “più vicina alla realtà rispetto alla teoria marxista” e al tempo stesso capace di “darci la distanza per vedere il presente in cui l’informazione ha più valore del denaro” (Franetovich 2015). In tal senso l’immagine di Danae è stata dislocata idealmente in vari elementi oggettuali del padiglione, partendo dall’esterno dove veniva impersonificata da tre antenne utilizzate nelle telecomunicazioni come punti ricettori dell’informazione entro cui possono viaggiare i dati che governano i flussi finanziari globali.
Il riferimento al mondo dell’economia era presente anche al primo piano del padiglione dove il visitatore si trovava dinanzi a un performer posto a cavalcioni su una trave che compiva in modo ossessivo un gesto volutamente privo di significato come sbucciare delle noccioline e lasciarne cadere i gusci per terra. Tale personaggio, vestito in modo austero con la giacca e la cravatta, agiva disconnesso dalla realtà fenomenica che aveva intorno, al pari – secondo l’idea dell’artista – dei banchieri ai vertici della finanza internazionale che non riescono a comprendere la condizione dell’uomo comune.
Il fondale su cui si svolgeva questa scena straniante era una scritta sul muro che recava l’ammonimento “Gentleman, time has come to confess our Rudeness, Lust, Narcissism, Demagoguery, Falsehood, Banality and...”. Questa forma espressiva testuale, tipica dei linguaggi neo-concettuali, era lo strumento per colmare la distanza con l’opera e conferire un ruolo attivo al fruitore che si ritrovava dinanzi a un corollario di vizi su cui meditare e, in taluni casi, rispecchiarsi. Il bancario – che per Zakharov incarnava l’avidità dell’uomo e il potere corruttivo del denaro – era una evidente attualizzazione della figura della nutrice (che raccoglie quante più monete possibile nel suo grembiule) presente in numerose trasposizioni pittoriche del mito tra sedicesimo e diciassettesimo secolo.
La mostra assumeva una dimensione fortemente teatrale attraverso una vera e propria pioggia di monete d’oro che poteva essere osservata da una balaustra, cinta da un inginocchiatoio, attraverso cui l’artista imponeva una posa di ammenda al corpo dello spettatore che volesse sporgersi per assecondare la compulsione dello sguardo verso l’accadimento. Il piano terra del padiglione, nei giorni di visita al pubblico, era accessibile solo alle donne che potevano transitare sotto la pioggia dorata riparandosi con un ombrello, per poi raccogliere alcune monete e ricollocarle in un secchio destinato a rinfocolare la macchina che manteneva attiva la performance.
Ogni fruitrice poteva così interpretare il ruolo di una novella Danae che invece di subire passivamente gli eventi ne diviene motore e, con il suo gesto di riporre le monete, alimenta lo svolgimento del dispositivo-padiglione. È doveroso sottolineare come il tema del denaro sia stato centrale in quella peculiare fase della ricerca di Zakharov che l’anno successivo con la mostra di Pechino, intitolata 2014. A Space Odyssey, realizzerà idealmente un secondo capitolo dell’esposizione veneziana concependo per l’occasione un nuovo conio, il One Shit, ispirato all’asino d’oro delle Metamorfosi di Apuleio.
Il Padigione Russia di Vadim Zakharov appare come un’opera aperta di natura performativa dove il pubblico è parte del sistema narrativo e simbolico attraverso le proprie azioni (previste o meno, in un processo che incorpora gli accadimenti casuali), come appropriarsi delle monete, tentare di infrangere il divieto di accesso al piano terra o lanciare degli oggetti dal ballatoio in atteggiamenti che nei mesi di apertura hanno assunto molteplici connotazioni tra il ludico e il misogino. Le reazioni dei visitatori alla divisione spaziale tra uomini e donne hanno inevitabilmente portato la stampa di settore a concentrarsi su un’esegesi del padiglione che ruota attorno alle questioni di genere; la figura di Danae, che nel corso dei secoli è stata portatrice di una pluralità di accezioni della figura femminile – da emblema di castità a oggetto del desiderio sessuale – è così tornata a essere una ‘cartina tornasole’ della forma mentis sociale nei confronti del ruolo della donna. Tale risvolto interpretativo, pur non essendo pienamente previsto dall’autore, ne rivela un metodo di ricerca volto a creare delle opere dal significato aperto, in cui il fruitore possa rispecchiarsi e attivare delle libere associazioni con la propria vicenda personale e culturale.
Il Padiglione Russo è qui come un importante punto d’arrivo nella poetica di Zakharov a compimento di un percorso che dalla fine degli anni Settanta lo ha visto aderire al Concettualismo Moscovita, un movimento che ha fortemente novellato l’arte dell’Unione Sovietica al tempo ancora profondamente legata ai dettami della narrazione ufficiale di stato. In tal senso Zakharov è una figura di primo piano sia come autore che come collezionista e archivista, attraverso un lungo lavoro di documentazione di una serie di pratiche artistiche che hanno accompagnato le profonde riforme politiche e sociali del suo paese, dalla perestrojka alla caduta del Muro di Berlino, fino all’avvento del consumismo capitalista tra benessere e contraddizioni. L’idea di un archivio si riverbera nella stessa struttura espressiva del padiglione veneziano dove la figura di Danae è lo strumento per mettere in connessione la mitologia, la storia del pensiero e dell’arte con il mondo contemporaneo, creando un’allegoria del sistema economico e mediatico internazionale del tempo presente.
*Vadim Zakharov. Danaë, Padiglione Russo, 55. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia (1 giugno – 24 novembre, 2013), Giardini della Biennale, Venezia. Curatore: Udo Kittelmann. Commissario: Stella Kesaeva.
Riferimenti bibliografici
- Di Giorgio, Siviero 2013
F. Di Giorgio, V. Siviero, Vadim Zakharov. Ritrovare se stessi nello specchio di Danae: l’attrazione enciclopedica per il mito, “Espoarte”, anno 14, numero 81, luglio-settembre 2013. - Franetovich 2015
A. Franetovich, L’intervista/Vadim Zakharov, “Exibart.com”, 13 ottobre 2015.
English abstract
The text proposes a review of The Russian Pavilion at the 55th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia in 2013. The exhibition of Vadim Zakharov – one of the most noted artists of the Moscow Conceptual School – contextualized Danaë’s figure in present times through a series of performances and installations, urging spectators to reflect on crucial aspects of contemporary society such as the global financial system, the role of mass media and the condition of women.
keywords | Danaë; Vadim Zakharov; Russian Pavillion; La Biennale di Venezia.
Per citare questo articolo/ To cite this article: La Danaë di Vadim Zakharov alla Biennale 2013. Un’allegoria del sistema economico e mediatico internazionale, a cura di C. Sala, “La Rivista di Engramma” n. 178, dicembre 2020/gennaio 2021, pp. 276-282 | PDF dell’articolo