Per una nuova edizione critica del testo della conferenza di Warburg a Kreuzlingen (21 aprile 1923)
Note preliminari e un saggio dell’edizione critica dell’incipit e dell’explicit del testo Bilder aus dem Gebiet der Pueblo-Indianer in Nord-Amerika
a cura di Giulia Zanon
I. Note preliminari
Questo contributo si propone come una sorta di fotografia che fissa la prima fase del lavoro di ricerca portato avanti nell’ultimo anno (dall’aprile 2022) dal Seminario Mnemosyne attorno al testo de Il Rituale del serpente, una ricerca sviluppata non solo sul fronte filologico che ha prodotto come esito la pubblicazione del numero 201 di “Engramma” (aprile 2023). Relativamente alla sezione filologica della ricerca il risultato previsto per una seconda fase dei lavoro è la pubblicazione di un’edizione critica del testo di Bilder aus dem Gebiet der Pueblo-Indianer in Nord-Amerika – la conferenza che Aby Warburg tenne in data 21 aprile 1923 presso la clinica Bellevue di Kreuzlingen davanti a un pubblico di medici, infermieri e ospiti, commentando alcune diapositive del viaggio americano presso gli indiani Pueblo compiuto due decenni prima, tra il 1895 e il 1896. In questo contributo si presentano alcune delle note preliminari prodromiche all’edizione critica completa del testo, e un saggio dell’edizione critica del testo della conferenza che comprende l’incipit (Einleitung, §§1-11) e il paragrafo finale (Schluss, §131). In Appendice il testo completo dell’edizione pubblicata nella silloge warburghiana Werke in einem Band, a cura di Martin Treml, Sigrid Weigel e Perdita Ladwig, Berlin 2010 (d’ora in avanti: Treml et all. 2010), con l’aggiunta di una numerazione dei paragrafi utile per un orientamento e per i richiami infratestuali.
I.1 Le due redazioni del testo della conferenza [WIA III.93.3; WIA III.93.1]
Il primo dato da tenere in considerazione è che l’archivio Warburg conserva due diversi testi per la conferenza, più un faldone con fogli sparsi, riferibili ad appunti e copie risalenti alle varie fasi del lavoro (per la descrizione degli esemplari, la ricostruzione dei loro rapporti e le ipotesi sulla loro genealogia, si rimanda al contributo di Piermario Vescovo, Ein wenig Licht. Indagini filologiche sullo Schlangenritual, in questo stesso numero di “Engramma”):
1) una redazione più breve, difettosa dei primi tre paragrafi della sezione introduttiva (Einleitung) e dell’integrazione dell’ultima frase del finale, redatta con tutta probabilità come versione ‘in bella copia’ della zona centrale del testo, che riproduce brani del brogliaccio complessivo così come andava via via generandosi nel processo di pensiero e di scrittura. Questa redazione è testimoniata da due copie, che, seguendo la siglatura proposta del contributo di Vescovo, chiameremo d’ora in avanti ‘A’ e ‘A1’ [WIA III.93.3]; da segnalare che A1, che è il testimone delle cui varianti si terrà conto in questa edizione critica, altro non è la copia carbone di A con l’aggiunta di alcune, rare, annotazioni e correzioni manoscritte;
2) una redazione più estesa, in cui le pagine dattiloscritte sono costellate da cancellature e da annotazioni manoscritte di varia natura e in varia posizione, interlineari e a margine del corpo di testo, che chiameremo ‘B’ [WIA III.93.1]. Da notare in particolare che ogni pagina del testimone B reca in alto a sinistra la data di battitura che risulta compresa tra il 31 marzo e il 21 aprile 1923, e che B riporta anche tutte le formule colloquiali, tipiche di un testo destinato a essere recitato in conferenza, di interlocuzione con il pubblico o con l’operatore deputato all’assistenza tecnica (“meine Damen und Herren”; “Mehr licht!”; “Diskussion”).
Dopo l’analisi compiuta da Piermario Vescovo su diverse zone critiche del testo e verificata con prove filologiche sulla variantistica delle due redazioni, appare accertato che il testo approntato per la conferenza, annotato fino a poche ore prima dell’esecuzione in pubblico della stessa, è B. Sulla base di questa nuova acquisizione critica, B è da considerare il testo ultimo e finale che Warburg il 21 aprile 1923 tiene sotto gli occhi per la lettura della sua conferenza. Pertanto la nostra edizione critica del testo della conferenza (sia per questo primo saggio di edizione dei capitoli introduttivi e finale, sia per l’edizione che è in fieri del testo completo) è l’edizione di B.
I.2 Corpo di testo e apparato critico
In questo primo saggio del lavoro di edizione, relativo solo ai primi e all’ultimo paragrafi del testo, presentiamo:
– nel corpo di testo, una nuova edizione della redazione B, che fa tesoro del prezioso lavoro di decifrazione di molte parole manoscritte nella difficile grafia della mano di Warburg già svolto dagli editori che ci hanno preceduto (Treml et all. 2010; A. Warburg, Bilder aus dem Gebiet der Pueblo-Indianer in Nord Amerika, in A. Warburg, Bilder aus dem Gebiet der Pueblo-Indianer in Nord-Amerika. Vorträge und Fotografien, hrsg. von U. Fleckner, Berlin 2018, 65-104).
– in apparato, le varianti testuali comprese in B e il confronto con A1. Non si riportano in apparato le varianti (spesso vere e proprie riscritture di interi brani di testo) presenti nei fogli raccolti in modo disordinato nel faldone dei materiali di lavoro, cui abbiamo fatto cenno più sopra (sul punto, vedi ancora il contributo di Vescovo in questo stesso numero di “Engramma”): delle varianti presenti nelle carte sparse di quel faldone si darà conto nell’edizione critica del testo completo della conferenza.
La scelta è stata di restituire tra corpo di testo e apparato la complessità della redazione della conferenza secondo quanto appare dalla tormentata scrittura di B. Sono state riportate, in corpo di testo e in apparato, tutte le varianti, cancellature e ripensamenti su singole parole o su brani di testo. Ma una difficoltà si è posta nella restituzione in corpo di testo delle glosse interlineari o apposte a margine – difficoltà che gli editori che ci hanno preceduto avevano evitato elidendo l’apparato critico e sostituendolo da sommarie e parziali note alla costituzione del testo. Per quanto concerne le glosse si tratta infatti di interventi di natura varia e diversa, che vanno vagliati criticamente: in alcuni casi si tratta di richiami al tema (una sorta di ‘titoli correnti’) o alle diapositive da proiettare in contemporanea rispetto alla lettura; in altri sono segnali di evidenziazione enfatica di certi passaggi, evidentemente finalizzati alla destinazione orale della conferenza; in altri le glosse sembrano essere state aggiunte in un secondo momento (ad esempio per precisare titoli di opere o richiami bibliografici), in una fase di rilettura del testo avvenuta dopo la conferenza, probabilmente a una qualche distanza temporale da essa (e in almeno un caso la data del 24 dicembre del 1923 apposta a una glossa su una pagina di B conferma questa impressione: vedi ancora, sul punto, il contributo di Vescovo). La scelta della collocazione a testo di questi interventi comporta inevitabilmente di imbattersi in casi in cui si incorre nella difficoltà del vaglio critico, soprattutto nella distinzione tra ciò che riguarda gli interventi sul testo apposti in diretta, per accompagnare la fase della lettura, e le annotazioni postume.
L’apparato critico è stato diviso in due fasce: la prima fascia comprende le varianti presenti in B e segnala, con una distinzione grafica di immediata evidenza, in sottolineato (Shlagen) i passi e le lezioni che il dattiloscritto B presenta come aggiunte o sostituzioni manoscritte, e, con il segno della cancellatura (Shlagen) le lezioni eliminate o sostituite; la seconda fascia evidenzia il confronto, in caso di varianti, tra il testo di B e il testo di A1. Si noti che l’apparato consente di rilevare che alcune aggiunte o alcune cancellature manoscritte in B sono state integrate nel dattiloscritto A1, confermando la cronologia non lineare e sequenziale, ma a tratti sovrapposta e intrecciata, dell’esecuzione dei due esemplari.
I.3 Convenzioni adottate per la restituzione del testo
PARAGRAFATURA | È stata adottata una divisione per paragrafi, numerati da 1 a 131, basata sugli a capo in B, e già restituiti nella prima edizione della redazione B pubblicata nel 2010 da Treml et all. senza numerazione della paragrafatura; per agevolare l’orientamento del lettore e i rimandi al testo, riportiamo in Appendice l’intera edizione Treml et all. 2010, aggiungendovi la numerazione dei paragrafi.
DATE | Come riportato più sopra, ogni pagina del testimone B reca in alto a sinistra la data di battitura (es. //18.4//). La successione delle date non è lineare e il fatto che i fogli seguano, invece, una numerazione precisa e continuativa, conferma il fatto che alcune parti del testo sono state ribattute in momenti successivi e/o paralleli (per una ricostruzione della storia della battitura a macchina del testo, si rimanda ancora ai saggi di Piermario Vescovo e di Monica Centanni, in questo stesso numero di “Engramma”). Dato l’andamento non sempre lineare nella successione delle date, e l’importanza delle stesse date per la costituzione del testo e la relazione tra i testimoni, in questa nostra edizione riportiamo tutte le date, ogniqualvolta compaiano.
SILLABAZIONE | Data l’importanza anche dei minimi dettagli formali per la ricostruzione della successione delle fasi di battitura e quindi per la costituzione del testo, si è ritenuto utile restituire anche la sillabazione delle parole (mediante il segno grafico ‘-’), non già nei casi in cui la sillabazione delle parole cada all’interno di una stessa pagina, ma solo nei casi in cui nel dattiloscritto la parola sia spezzata per il passaggio da una pagina a un’altra: si veda, ad esempio, il paragrafo §5 qui riportato in cui la parola “Le-bensaktivität” è spezzata tra due diverse pagine del dattiloscritto.
TITOLI CORRENTI | Le pagine di B presentano spesso, in alto a sinistra e dattiloscritte, anche la segnatura di ‘titoli correnti’, evidentemente utili all’orientamento del primo utilizzatore, ovvero dello stesso Warburg. A differenza della successione delle date che, come si è detto poc’anzi, a volte non risulta sequenziale, invece i ‘titoli correnti’ sono apposti in modo sequenziale e regolarmente ripetuti di pagina in pagina fino alla fine della sezione a cui fanno riferimento (ad esempio, nei campioni dell’inizio e della fine di cui qui restituiamo l’edizione: “Einleitung”; “Schluss”). Il titolo corrente viene qui riportato una sola volta, in occasione della sua prima occorrenza nel testo.
GLOSSE E VARIANTI | Le aggiunte manoscritte marginali o interlineari sono state messe a testo, dichiarando quando vi siano le perplessità di collocazione o le difficoltà di trascrizione. Alcuni appunti manoscritti rimangono (per il momento) illeggibili: questi vengono segnalati con il segno: […].
NOTE A PIE’ DI PAGINA | Si registrano e si riproducono a piè di pagina, col rinvio attraverso il segno *, le aggiunte identificate come note.
RICHIAMI ALLE DIAPOSITIVE | Nel testo di B compaiono a margine richiami alle diapositive da proiettare nei vari punti del discorso, con numeri e brevi didascalie/descrizioni delle stesse diapositive: tali richiami – non presenti nei paragrafi incipitari e finale, ovvero nelle zone del testo di cui presentiamo l’edizione in questa fase del lavoro – saranno segnalati mediante parentesi graffe {–}).
ABBREVIAZIONI | Sono sciolte le abbreviazioni d’uso corrente del tipo: “d. h.” = das heisst; “m. D. u. H.” = meine Damen und Herren; “sog.” = sogennanter; “z. B.” = zum Beispiel; ma sono sciolte anche altre abbreviazioni del tipo “span.” = spanische, e simili.
II. Saggio di edizione critica dei §§1-11 (Einleitung) e di §131 (Schluss)
Einleitung
//18.4//
[1] Meine Damen und Herren
Wenn ich Ihnen heute Abend Bilder mit begleitenden Worten zeige, die ich auf einer Reise, die schon 27 Jahre zurückliegt (ich zum grössten Teile selbst) aufgenommen habe, so bin ich mir bewusst, dass dieser Versuch einer Erklärung bedarf. Denn ich bin nicht in der Lage gewesen, die alten Erinnerungen in diesen wenigen Wochen, die mir zur Verfügung standen, so aufzufrischen und durchzuarbeiten, dass ich Ihnen eine wirklich zuträgliche Einführung in das Seelenleben der Indianer geben könnte.
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zurückliegt (und die ich; eine wirklichns solide zuträgliche Einführung
A1: manca §
[2] Es kommt hinzu, dass ich schon damals meine Eindrücke nicht vertiefen konnte, da ich die Indianer-Sprache nicht beherrschte. Und damit komme ich auf den Grund, der das Arbeiten über diese Pueblos so schwierig macht. Pueblo-Indianer sprechen, so nahe sie auch aneinander wohnen, so viele und so verschiedene Sprachen, dass selbst amerikanische Gelehrte, die grösste Schwierigkeit haben, auch nur in eine derselben einzudringen.
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konnte, dass ich; macht. Denn die Pueblo-Indianer
A1: manca §
//18.4//
[3] Davon abgesehen konnte eine auf wenige Monate begrenzte Reise keine wirklich tiefgehenden Eindrücke vermitteln. Wenn diese jetzt noch dazu etwas verschwommen sind, so kann ich Ihnen nicht mehr versprechen, als dass ich Ihnen Gedanken über solche entfernte Erinnerungen vortrage, in der Hoffnung, dass Sie wenigstens durch die Unmittelbarkeit der Aufnahmen über das, was ich Ihnen sagen kann hinaus, einen Eindruck von dieser in ihrer Kultur jedenfalls aussterbenden Welt erhalten, und von dem Problem einen Eindruck bekommen, das für unsere ganze Kulturgeschichtsschreibung so entscheidend ist: Worin haben wir hier Wesentliche Charakterzüge primitiven heidnischen Menschentums zu erblicken? Die bildende Kunst der Pueblos mit hiren symbolischen Ornamentik und iherer Maskentanz Kunst soll uns für die Beantwortung dieser Frage vorläufige Anhaltspunkte geben.
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Worin haben bestehet das wir hier Wesentliche des Charakterzüge primitiven heidnischen Menschentums zu erblicken?; Die bildende Kunst der Pueblos mit hiren symbolischen Ornamentik und iherer Maskentanz Kunst soll uns für die Beantwortung dieser Frage vorläufige Anhaltspunkte geben.
A1: manca §
//18.4//
[4] Die Pueblo Indianer, führten ihren Namen, weil sie in Dörfern, spanische Pueblos, sesshafte sind. Im Gegensatz zu den nomadisierenden Jägerstämmen, die bis vor einigen Jahrzehnten in derselben Gegend, wo die Pueblos wohnen, in Neu-Mexiko und Arizona, ihr kriegerisches Jägerleben führten.
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Die Pueblo Indianer, aus deren Leben ich Ich Ihnen einige Augenblicksbilder, die ich vor 27 Jahren aufgenommen habe, zeigen will, heissen Pueblo-Indianer. Sie heissen so, führen ihren Namen, weil; sesshafte Indianer sind
A1: Die Pueblo-Indianer sind führen ihrer Namen, weil sie in Dörfen, span. Pueblos, sesshaft sind
[5] Was mich als Kulturhistoriker interessierte, war, dass inmitten eines Landes, das die technische Kultur zu einer bewundernswerten Präzisions-Waffe in der Hand des intellektuellen Menschen gemacht hatte, eine Enklave primitiven heidnischen Menschentums sich erhalten konnte, das – obgleich dabei durchaus nüchtern tätig im Kampf ums Dasein-mit einer unerschütterlichen Festigkeit gerade für landwirtschaftliche und Jagdzwecke magische Praktiken betreibt, die wir nur als Symptom ganz zurückgebliebenen, Menschentums, zu verurteilen gewohnt sind. Hier aber geht sogenannter Aberglaube Hand in Hand mit Le- //17.4// bensaktivität. Er besteht in einer religiösen Verehrung der Naturphänomene, des Tieres und der Pflanzen*, denen die Indianer aktive Seelen zuschreiben, die sie vor Allem durch ihre Maskentänze beeinflussen zu können, glauben. Uns erscheint dieses Nebeneinander von fantastischer Magie und nüchternem Zwecktun als Symptom der Zerspaltung, für den Indianer ist es nicht „schizoid“, im Gegenteil, ein befreiendes, selbstverstatändliches Erlebnis der schrankenlosen Beziehungsmöglichkeit zwischen Mensch und Umwelt.
* “loi de partecipation” Lévy-Brühl
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primitiven heidnischen Menschentums; obgleich dabei durchaus; zurückgebliebenen, lebensunfähingen Menschentums, das ein finsteret Aberglaube lahmt zu verurteilen suchen gewohnt; befreiendes, selbstverstatändliches Erlebnis der Einheitlichkeit schrankenlosen Beziehungsmöglichkeit zwischen
A1: eine Enklave primitiven heidnischen; dabei durchaus nüchtern im Kampfe ums Dasein tätig – mit einer unerschütterlichen Festigkeit gerade für landwirtschaftliche und Jagdzwecke magische Praktiken betreibt, die wir nur als Symptom eines ganz zurückgebliebenen, lebensunfähingen Menschentums, das ein finsteret Aberglaube lahmt, zu verurteilen suchen gewohnt sind; für den Indianer ist es nicht schizoid, im Gegenteil, ein befreiendes Erlebnis der schrankenlosen Beziehungsmöglichkeit zwischen Mensch und Umwelt.
[6] Indessen ist bei der religionspsychologischen Beurteilung der Pueblo-Indianer aus einem Grund die grösste Vorsicht vonnöten: das Material ist kontaminiert, das heisst zweifach überdeckt. Der amerikanische Urgrund ist seit dem Ende des 16. Jahrhunderts überschichtet durch die Kultivierung spanisch-katholischer Kirchenerziehung, die Ende des 17. Jahrhunderts eine gewaltsame Unterbrechung, erfuhr später zwar wiederkehrte, aber in die Dörfer der Mokis nie wieder offiziell eindrang. Darüber lagert sich die dritte Schicht nordamerikanischer Erziehung.
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zweifach überschichtetdeckt. Der; überschichtet mit einer Lage durch die Kultivierung spanisch-katholischer; Jahrhunderts abgenschüttelt wurde zwar eine gewaltsame Unterbrechung, erfuhr später zwar wiederkehrte
A1: überschichtet mit einer Lage spanisch-katholischer Kirchenerziehung, die Ende des 17. Jahrhunderts eine gewaltsame Unterbrechung erfuhr, später zwar
//17.4//
[7] Beim näheren Studium der heidnischen Religiosität der Pueblos lässt sich (jedoch wenigstens) ein dem Lande selbst erkennen ureigentümlicher objektiver religionsbildender Faktor in der Wasserarmut des Landes. Denn solange die Eisenbahn noch nicht an die Siedlungen heranreichte, fuhrt hier die Wassernot und die Wassersehnsucht zu magischen Praktiken, wie wie sie auf der ganzen Welt bei primitiven heidnischen, untechnischen Kulturen auftreten, um die widerstrebenden Naturgewalten zu bezwingen. Die Wassernot lehrt zaubern und beten.
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ein nur dem Lande selbst erkennen; ureigentümlicher objektiver religionsbildender; Landes erkennen. Denn; Siedlungen heranführtereichte, fuhrt; Wassersehnsucht zu ahnlichen magischen; wie wie sie auf; Welt bei primitiven heidnischen, untechnischen Kulturen auftreten, um.
A1: ein nur dem Lande selbst eigentümlicher objektiver religionsbildender Faktor in der Wasserarmut des Landes erkennen; Siedlungen heranreichte, und die Wassersehnsucht zu ähnlichen magischen Praktiken wie sie auf der ganzen Welt bei primitiven heidnischen, untechnischen Kulturen auftreten bestehen, um die widerstrebenden.
//18.4//
[8] Ich werde Ihnen nach einigen Landschaftsbildern nun erst Bilder von dem rationalen Element der Pueblo-Kultur, das heisst von dem Architektonischen, flüchtig vorführen, die Ihnen den führt und bereits auf Hausbau und einige Proben der angewandten Kunst der Pueblo-Indianer zeigen sollen.
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Ihnen nach einigen Landschaftsbildern nun; den führt und bereits auf Hausbau.
A1: Der erste Teil dieses Aufsatzes soll das rationale Element der Pueblos-Kultur, das heisst das architektonische, im Hausbau und in einigen Proben der angewandten Kunst der Pueblo-Indianer vorführen.
[9] Die Ornamentik der Töpferei zeigt das eigentliche Problem der religiösen Symbolik. Dass anscheinend reine Zierornamente tatsächlich symbolisch und kosmologisch zu deuten sind, das will ich Ihnen dann weiter an einer Zeichnung zeigen, die ich von einem Indianer selbst empfangen habe, und wo neben dem einen Grundelement, der kosmologischen Vorstellung – dem hausförmig aufgefassten Weltall – zugleich eine irrationale Tiergrösse als rätselhafter und gefürchteter Dämon auftaucht: die Schlange.
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Symbolik. Und Dass; dann weiter an.
A1: Töpferei zeigt <...> uns bereits and das eigentliche Problem der religiösen Symbolik. Dass; zu deuten sind, soll dann eine Zeichnung zeigen.
[10] Der animistische, das heisst naturbeseelende Kult der Indianer soll uns dann in der drastischsten Form am ausführlichsten beschäftigen: dem Maskentanz, den Sie im reinen Tiertanz, im Baumkulttanz und schliesslich im Tanz mit lebenden Schlangen sehen sollen.
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A1: Der drastischeste Form des animistichen; naturbeseelenden Kults der der Indianer aber ist der Maskentanz, der als reiner Tiertanz, als Baumkulttanz und schliesslich als Tanz mit lebenden Schlangen gezeigt weden soll.
//16.4//
[11] Ein Ausblick auf ähnliche Erscheinungen im Heidentum Europas soll uns am Schluss zu der Frage führen: Inwieweit gibt diese heidnischer Weltanschauung, sie bei den Pueblo-Indianern noch fortleben, unseinen Massstab für die Entwicklungsvorgänge vom primitiven Heiden über den klassisch-heidnischen Menschen zum modernen?
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Inwieweit gebenibt diese Überlebsel heidnischer; Weltanschauung, wie sie; primitiven Heiden über den klassisch-heidnischen Menschen zum modernen Menschen?
A1: soll uns dann am Schluss; Inwieweit geben gibt diese Überbleibsel heidnischer; wie sie bei den Pueblo-Indianern noch fortlebten; vom primitiven Heiden über den klassisch-heidnischen Menschen zum modernen Menschen?
Schluss
[131] Der moderne Prometheus und der moderne Ikarus, Franklin, der Blitzfänger, und die Gebrüder Wright, die das lenkbar Luftschiff erfunden haben, sind eben jene verhängnisvollen Ferngefühls-Zerstörer, die den //14.4// Erdball wieder ins Chaos zurückzuführen drohen. Telegramm und Telephon zerstören den Kosmos. Das mythische und das symbolische Denken, schaffen im Kampf um die vergeistigte Verknüpfung zwischen Mensch und Umwelt den Raum als Andachtsraum oder Denkraum, den die elektrische Augenblicksverbindung raubt, falls nicht eine disciplinierte Humanität die Hemmung des Gewissens wieder einstellt.
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Franklin, der Blitzfänger, und; Augenblicksverbindung mordet raubt, falls nicht eine disciplinierte Humanität die Hemmung des Gewissens wieder einstellt.
A1: Franklin und die Gebrüder Wright; Telegramm und Telephon zerstören den Kosmos. Das mythische und das symbolische Denken, schaffen im Kampf um die vergeistigte Verknüpfung zwischen Mensch und Umwelt den Raum als Andachtsraum oder Denkraum, den die elektrische Augenblicksverbindung mordet.
Appendice
L’edizione del testo della conferenza di Kreuzlingen secondo l’edizione Treml et all. 2010
Pubblichiamo qui il testo della conferenza Bilder aus dem Gebiet der Pueblo-Indianer in Nord Amerika, così come viene pubblicata nella silloge di scritti di Warburg curata da Martin Treml, Sigrid Wiegel e Perdita Ladwig, Werke in einem Band, pubblicata per Suhrkamp nel 2010. L’edizione 2010 è basata sulla redazione ‘B’ (WIA III.93.1): viene qui riprodotta senza le note dell’apparato critico (che tengono conto, ma solo in parte, di aggiunte manoscritte, cancellazioni e spostamenti) e con l’aggiunta di una numerazione dei paragrafi (§1-§131) che diventa il riferimento per i lavori in corso.
[1] Meine Damen u. Herren
Wenn ich Ihnen heute Abend Bilder mit begleitenden Worten zeige, die ich auf einer Reise, die schon 27 Jahre zurückliegt, (und die ich zum grössten Teile selbst) aufgenommen habe, so bin ich mir bewusst, dass dieser Versuch einer Erklärung bedarf. Denn ich bin nicht in der Lage gewesen, die alten Erinnerungen in diesen wenigen Wochen, die mir zur Verfügung standen, so aufzufrischen und durchzuarbeiten, dass ich Ihnen eine wirklich zuträgliche Einführung in das Seelenleben der Indianer geben könnte.
[2] Es kommt hinzu, dass ich schon damals meine Eindrücke nicht vertiefen konnte, da ich die Indianer-Sprache nicht beherrschte. Und damit komme ich auf den Grund, der das Arbeiten über diese Pueblos so schwierig macht. Pueblo-Indianer sprechen, so nahe sie auch aneinander wohnen, so viele und so verschiedene Sprachen, dass selbst amerikanische Gelehrte die grösste Schwierigkeit haben, auch nur in eine derselben einzudringen.
[3] Davon abgesehen konnte eine auf wenige Monate begrenzte Reise keine wirklich tiefgehenden Eindrücke vermitteln. Wenn diese jetzt noch dazu etwas verschwommen sind, so kann ich Ihnen nicht mehr versprechen, als dass ich Ihnen Gedanken über solche entfernte Erinnerungen vortrage in der Hoffnung, dass Sie wenigstens durch die Unmittelbarkeit der Aufnahmen über das, was ich Ihnen sagen kann hinaus, einen Eindruck von dieser in ihrer Kultur jedenfalls aussterbenden Welt erhalten, und von dem Problem einen Eindruck bekommen, das für unsere ganze Kulturgeschichtsschreibung so entscheidend ist: Worin haben wir hier wesentliche Charakterzüge primitiven heidnischen Menschentums zu erblicken? Die bildende Kunst der Pueblos mit ihrer symbolischen Ornamentik und ihrer Maskentanzkunst soll uns für die Beantwortung dieser Frage vorläufige Anhaltspunkte geben.
[4] Die Pueblo-Indianer führen ihren Namen, weil sie in Dörfern, spanisch Pueblos, sesshaft sind – im Gegensatz zu den nomaclisierenden Jägerstämmen, die bis vor einigen Jahrzehnten in derselben Gegend, wo die Pueblos wohnen, in Neu-Mexiko und Arizona, ihr kriegerisches Jägerleben führten.
[5] Was mich als Kulturhistoriker interessierte, war, dass inmitten eines Landes, das die technische Kultur zu einer bewundernswerten Präzisions-Waffe in der Hand des intellektuellen Menschen gemacht hatte, eine Enklave primitiven heidnischen Menschentums sich erhalten konnte, das – obgleich dabei durchaus nüchtern tätig im Kampf ums Dasein mit einer unerschütterlichen Festigkeit gerade für landwirtschaftliche und Jagdzwecke magische Praktiken betreibt, die wir nur als Symptom ganz zurückgebliebenen Menschentums zu beurteilen gewohnt sind. Hier aber geht sog. Aberglaube Hand in Hand mit Lebensaktivität. Er besteht in einer religiösen Verehrung der Naturphänomene, des Tieres und der Pflanzen, denen die Indianer aktive Seelen zuschreiben, die sie vor Allem durch ihre Maskentänze beeinflussen zu können glauben. Uns erscheint dieses Nebeneinander von fantastischer Magie und nüchternem Zwecktun als Symptom der Zerspaltung, für den Indianer ist es nicht »schizoid«, im Gegenteil, ein befreiendes selbstverständliches Erlebnis der schrankenlosen Beziehungsmöglichkeit zwischen Mensch und Umwelt.
[6] Indessen ist bei der religionspsychologischen Beurteilung der Pueblo-Indianer aus einem Grund die grösste Vorsicht vonnöten: Das Material ist kontaminiert, d.h. zweifach überdeckt. Der amerikanische Urgrund ist seit dem Ende des 16. Jahrhunderts überschichtet durch die Kultivierung spanisch-katholischer Kirchenerziehung, die Ende des 17. Jahrhunderts eine gewaltsame Unterbrechung erfuhr, später zwar wiederkehrte, aber in die Dörfer der Mokis nie wieder offiziell eindrang. Darüber lagert sich die dritte Schicht nordamerikanischer Erziehung.
[7] Beim näheren Studium der heidnischen Religiosität der Pueblos lässt sich (jedoch wenigstens) ein nur dem Lande selbst ureigentümlicher objektiver religionsbildender Faktor erkennen in der Wasserarmut des Landes erkennen. Denn solange die Eisenbahn noch nicht an die Siedlungen heranreichte, führt hier die Wassernot und die Wassersehnsucht zu magischen Praktiken, wie sie auf der ganzen Welt bei primitiven heidnischen, untechnischen Kulturen auftreten, um die widerstrebenden Naturgewalten zu bezwingen. Die Wassernot lehrt zaubern und beten.
[8] Ich werde Ihnen nach einigen Landschaftsbildern nun erst Bilder von dem rationalen Element der Pueblo-Kultur, d.h. von dem architektonischen, flüchtig vorführen, die Ihnen den Hausbau und einige Proben der ange-tvandten Kunst der Pueblo-Indianer zeigen sollen.
[9] Die Ornamentik der Töpferei zeigt das eigentliche Problem der religiösen Symbolik. Dass anscheinend reine Zierornamente tatsächlich symbolisch und kosmologisch zu deuten sind, das will ich Ihnen dann weiter an einer Zeichnung zeigen, die ich von einem Indianer selbst empfangen habe, und wo neben dem einen Grundelement, der kosmologischen Vorstellung – dem hausförmig aufgefassten Weltall –, zugleich eine irrationale Tiergrösse als rätselhafter und gefürchteter Dämon auftaucht: die Schlange.
[10] Der animistische, d.h. naturbeseelende Kult der Indianer soll uns dann in der drastischsten Form am ausführlichsten beschäftigen: dem Maskentanz, den Sie im reinen Tiertanz, im Baumkulttanz und schliesslich im Tanz mit lebenden Schlangen sehen sollen.
[11] Ein Ausblick auf ähnliche Erscheinungen im Heidentum Europas soll uns am Schluss zu der Frage führen: Inwieweit gibt diese heidnische Weltanschauung, wie sie bei den Pueblo-Indianern noch fortlebt, uns einen Masstab für die Entwicklungsvorgänge vom primitiven Heiden über den klassisch-heidnischen Menschen zum modernen?
Zuñi Bild [/] Zuñi Landschaft
[12] Schmidt, Vorgeschichte Amerikas, sagt : »Es ist ein im Ganzen nur kärglich von der Natur ausgestattetes Stück Erde, das sich die vorgeschichtlichen und geschichtlichen Bewohner jener Gegenden zu ihrem Heim erwählt haben. Abgesehen von der schmalen Talrinne im Nordosten, durch welche der Riogrande del Norte dem mexikanischen Golf zuströmt, handelt es sich hier wesentlich um Plateaulandschaften, weithin sich erstreckende, horizontal gelagerte Gesteinsmassen (Kreide oder Tertiär), die hohe, mit steilen Rändern abbrechende Plateaus mit ebener Oberfläche bilden (die Sprache vergleicht sie mit Tischen, mesa) andererseits haben Wasserläufe den Boden tief eingeschnitten, sodass sich bis zu tausend Fuss tiefe Schluchten bilden, sog. Cañons, deren Wände in ihrem oberen Teil fast senkrecht, wie mit der Säge ausgeschnitten, abstürzen. Während des größeren Teiles des Jahres fehlen in der Plateaulandschaft atmosphärische Niederschläge gänzlich und die große Mehrzahl der Cafions ist ganz ausgetrocknet; nur zur Zeit der Schneeschmelze und der kurzen Regenperioden durchbrausen starke Wassermassen die kahlen Schluchten.«
Zu Diapositiv I.
[13] Das ist eine Karte des Colorado-Tafellandes der Rocky-Moumains. In diesem Gebiet, wo die Staaten von Colorado, Utah, Neu-Mexiko und Arizona zusammentreffen, liegen sowohl die Trümmerstätten der prähistorischen Wohnungen, wie auch die heute noch von den Indianern bewohnten Dörfer.
[14] Im Nordwesten des Plateaus befinden sich in Colorado die heute verlassenen Felsendörfer, d.h. Hauseinbauten in den Felsspalten (Ueberlingen). Die östliche Gruppe besteht aus zirka 18 Dörfern, die von Santa Fé und Albuquerque aus einigermassen leicht zu erreichen sind. Die besonders wichtigen Dörfer der Zuñis liegen etwas südwestlicher und sind von Fort Wingate aus in einer Tagesreise zu erreichen. Am schwierigsten erreichbar – und daher am ungetrübtesten ältere Eigentümlichkeiten aufbewahrend – sind die Dörfer der Mokis, im ganzen sechs, die sich auf drei parallel-laufenden hohen Felskämmen erheben. Von dem am westlichsten gelegenen Felsendorf Oraibi werde ich Ihnen noch ausführlicher sprechen können.
Santa Fé [/] Albuquerque
[15] Mitten hineingelagert als mexikanische Siedlung liegt in der Ebene die Hauptstadt von Neu-Mexiko, Santa Fe, das heute nach harten Kämpfen, die noch ins vorige Jahrhundert zurückreichen, unter die Oberherrschaft der Vereinigten Staaten gekommen ist. Von hier aus und von dem benachbarten Albuquerque erreicht man die Hauptzahl der östlichen Pueblo Dörfer ohne größere Schwierigkeit. Ich besuchte von hier aus die Dörfer San Juan, Cochiti und San Ildefonso, von Albuquerque aus Laguna und Acoma. Die weiße Bevölkerung setzt sich aus Mexikanern und Nord-Amerikanern zusammen; ich fand überall die bereitwilligste Förderung bei meinen Versuchen, einerseits das indianische Element und andererseits das Element der amerikanischen Erziehung am Werke zu sehen.
Laguna I.
[16] In der Nähe von Albuquerque liegt das Dorf Laguna, das, wenn auch nicht ganz so hoch gelegen wie die übrigen, immerhin ein sehr gutes Beispiel einer Pueblo-Siedlung gibt. Das eigentliche Dorf liegt jenseits der Bahnlinie Atchison – Topeka – Santa Fé. Die europäische Siedlung schliesst sich in der Ebene unten an die Station an. Ich wohnte dort bei einem Pennsylvania-Deutschen, Matthias Kirch, der nur das gebrochene Deutsch der Pennsylvania-Leute sprach. Er hatte eine Mexikanerin geheiratet und war mir daher nützlich, obgleich er von der eigentlichen Bedeutung meiner Arbeit für die wissenschaftliche Forschung keinen Schimmer hatte.
Laguna 2.
[17] Hier sehen Sie ein zweigeschossiges Haus von Laguna. Eine Frau ist im Begriff in die Haustür zu gehen, d.h. sie steigt die Leiter hinauf, weil eine Türe von unten fehlt. Der Eingang erfolgt von oben. Dieser Typus des Hauses hat ursprünglich wohl den Grund besserer Verteidigung gegen feindliche Angriffe.
[18] Die Pueblo-Indianer haben hier ein Mittelglied zwischen Wohn- und Festungsbau hervorgebracht, das für ihre Zivilisation besonders charakteristisch ist und dessen Typus wahrscheinlich auf amerikanische Vorzeiten zurückgeht. Es ist ein Terrassenhaus, d.h. Häuser, die auf dem Erdgeschoss ein zweites Haus und auf diesem sogar manchmal noch ein drittes solches Konglomerat von Wohngelassen sitzen haben.
[19] Daneben kommen Rundbauten, sog. Kiwas vor in deren unterirdischen Räumen die Ceremonien vor sich gehen.
Innenraum Oraibi
[20] Hier ist ein Innenraum eines Pueblo-Hauses aus Oraibi, der die Frauen beim Bereiten von Brot zeigt. Die Brote werden so zubereitet, dass die Frau mit der Hand, die sie in eine grosse Schüssel mit Maismehl-Brei tunkt, blitzschnell über einen heissen Stein fährt, wodurch eine Brotmasse entsteht, die sich aus solchen ganz papierartigen Mehlblättern von grüner Farbe zusammensetzt.
[21] Die merkwürdige, blumenartig gestaltete Frisur der einen sitzenden Frau geht auf Urzeiten zurück. Coronado hat sie schon Mitte des 16. Jahrhunderts gesehen. Sie wird von den Mokis heute noch getragen, während sie bei den Pueblos, die der Bahn noch näher sind, in Wegfall geraten ist.
[22] Links in der Ecke hängen kleine Puppen, nicht etwa reine Spielzeug-Puppen, sondern sie hängen dort wie im katholischen Bauernhaus Heiligen-Figuren. Es sind sog. Katcina-Puppen, d.h. getreue Nachbildungen der Maskentänzer, wie sie als dämonische Vermittler zwischen Mensch und Natur bei den periodischen Festlichkeiten, die den Jahres-Kreislauf der Ackerbau-Stadien begleiten, auftauchen und zu den merkwürdigsten und eigentümlichsten Äusserungen dieser Bauern- und Jäger Religiosität gehören. – Ueber die Katcina näheres vor den Tanzbildern. An der Wand hängt als Symbol der eindringenden amerikanischen Kultur der Strohbesen.
[23] Das wesentlich kunstgewerbliche Produkt, das praktischen und religiösen Zwecken zugleich dient, ist das Tongefäss, in dem das so notwendige und spärliche Wasser herbeigebracht wird.
Louise Billings
[24] Eine solche Wassenträgerin sehen Sie hier. Sie heisst Luise Billings und ist von Laguna, jenem Dorf, das der Eisenbahn schon so nahe liegt. Infolgedessen trägt sie nicht die Blüten-Seitenlocken mehr. Sie sehen den kurzen schwarzen, wollenen Rock, ein weisses, sauberes Hemdchen, eine kleine schwartze Tunica darüber und Buckskin-Beinbinden. Der Krug, den sie trägt, zeigt als Ornament einen Vogel, der merkwürdig linear zerlegt ist.
Töpferein [/] Vögel
[25] Eine Übersicht über solche Töpfereien zeigt Ihnen dieses Bild. Hier sehen Sie den Stil der Ornamentik der Pueblo Indianer in einer charakteristischen Eigenschaft. Er skelettiert die Erscheinung beinahe. Er zerlegt den Vogel z. B. in seine wesentlichen Bestandteile und zwar so, dass er zum heraldisch geformten Abstraktum wird. Er wird zur Hieroglyphe, die nicht mehr geschaut, sondern gelesen sein soll. Wir haben eine Zwischenstufe zwischen Wirklichkeitsbild und Zeichen, zwischen realistischem Spiegelbild und Schrift. Man kann an dieser Art der Ornamentbehandlung solcher Tiere sofort sehen, wie diese Art des Sehens und Denkens zur symbolischen Bilderschrift führen kann.
[26] Der Vogel spielt in den mythischen Vorstellungen der Indianer eine grosse Rolle, die ja jedem aus der Lederstrumpf Erzählung vertraut ist. Abgesehen von seiner Verehrung, die er wie jedes Tier als imaginäres Abstammungstier, also Totemtier geniesst, erhält er speziell im Gräberkult eine besondere Verehrung. Es scheint sogar, dass in der prähistorischen Sikyatki-Schicht ein räuberischer Seelenvogel zu den Grundvorstellungen der mythischen Phantasie gehört. Zum götzendienstliehen Kult gehört der Vogel auch heute durch seine Federn. Die Indianer haben einen besonderen Gebetsvermittler in kleinen Stöcken, Bahos, die sie – mit Federn verknüpft – vor ihre Fetisch-Altäre stellen und auf die Gräber pflanzen. Es ist nach den glaubwürdigen Erklärungen der befragten Indianer so, dass die Federn als beschwingte Wesen, die Wünsche und Bitten der Indianer ihren dämonischen Wesen in der Natur überbringen (Rudiment eines Seelenvogels).
[27] Es ist keine Frage, dass wir auch in der heutigen Töpferei der Pueblos den Einfluss spanisch-mittelalterlicher Technik zu suchen haben, wie er den Indianern im 16. Jahrhundert von den spanischen Geistlichen beigebracht worden ist. Ich habe selbst im Museum für Kunst und Gewerbe in Harnburg eine Azulejo Kachel gesehen, die denselben grünlichen Luster zeigt, den ich auf drei alten Gefässen in Acoma sah, die ich glücklicher Weise für meine Sammlung, die jetzt im Hamburger Völkerkunde Museum ist, erwerben konnte.
[28] Andererseits ist durch die Ausgrabungen von Fewkes (vgl. dessen »Expedition in Arizona in 1895« in: 17 annual report of the Bureau of American Ethnology, 1895-1896 (Part 2) Washington 1898) unwiderleglich festgestellt, dass eine ältere, von den Spaniern unabhängige Töpferei-Technik existierte, die eben jene heraldischen Vogel-Motive zeigt und daneben auch die Schlange, die bei den Mokis – wie in jeder heidnischen Religionsübung – als lebendigstes Symbol kultliehe Verehrung geniesst.
Töpfereien mit Schlange
[29] Auf diesem Bild sehen Sie auf dem Grund eines modernen Gefässes diese Schlange genau so, wie sie Fewkes auf prähistorischen Gefässen fand: mit einem gefiederten Kopf, geringelt auf dem Boden eines Gefässes, das auf den Rändern vier terrassenförmige Aufsätze zeigt, die kleine Darstellungen von Tieren zeigen. Wir wissen aus den Arbeiten über indianische Mysterien, dass diese Tiere, z. B. Frosch und Spinne, die Himmelsrichtungen vergegenwärtigen und dass solche Gefässe vor den Fetischen in der Kiwa aufgestellt werden.
[30] In der Kiwa, dem unterirdischen Andachtsraum (die sich in Umfang [und] Grundriss in jedem Dorfe in grosser Anzahl finden), steht nun die Schlange als Blitzsymbol im Mittelpunkt der Verehrung.
Cleo Jurino [/] Blitz [/] Kosmos [/] Cochiti
[31] Ich habe von einem Indianer in meinem Hotel in Santa Fé, Cleo Jurino, und von dessen Sohn, Anacleto Jurino, Original-Zeichnungen erhalten, die sie mir nach einigem Widerstreben vor meinen Augen anfertigten, in denen sie mir von ihrem kosmologischen Weltbild eine Skizze mit Buntstiften gaben. Der Vater Cleo war einer der Priester und Maler der Kiwa in Cochiti. Er zeigte mir, wie Sie hier sehen, die Schlange als Wetter-Gottheit. Sie ist allerdings ungefiedert, aber sonst genau so gezeichnet, wie die auf dem Vasenbild, mit der Pfeilspitzen[-]Zunge.
[32] Das Dach des Welthauses trägt einen treppenförmigen Giebel. Über die Mauer spannt sich der Regenbogen und unten entströmt den geballten Wolken der Regen, den man in kleinen Strichen sieht. In der Mitte – als eigentlicher Herr des Gewitter-Welten-Hauses – steht der Fetisch, der keine Schlangenfigur trägt, Yaya oder Yerrick.
[33] Vor solchen Gemälden erzwingt der gläubige Indianer das segensreiche Gewitter durch seine magischen Praktiken, deren für uns erstaunlichste das Hantieren mit lebenden Schlangen ist, weil – wie wir an der Zeichnung des Jurino sehen – die Schlange in ihrer blitzförmigen Gestalt mit dem Blitz magisch-kausal verknüpft wird. Den Tanz und das Hantieren mit solchen lebenden Schlangen werden Sie noch auf einigen Bildern aus Walpi sehen.
[34] Wollen Sie sich das treppenförmig abgedeckte Weltenhaus und die Schlangen-Pfeilspitze sowie die Schlange selbst als konstitutive Elemente in der symbolischen Bildersprache der Indianer bemerken. Es steckt – wie ich hier nur andeuten kann – in der Treppe ohne Zweifel ein panamerikanisches, vielleicht mondiales Symbol des Kosmos.
Kiwa
[35] Ich kann Ihnen leider nur eine Augenblicksaufnahme aus der unterirdischen Kiwa von Zia nach Mrs. Stevenson zeigen, die Ihnen den Aufbau eines geschnitzten Blitzaltars als Mittelpunkt der Opferhandlung zeigt. Sie sehen die Blitzschlange neben Himmelsrichtungs-Symbolen. Es ist ein Altar für die Blitze aus allen Himmelsrichtungen. Die kauernden Indianer vorne haben die Opfergaben vor diesen Altar aufgestellt, und haben das Symbol des vermittelnden Gebetes, die Feder, in der Hand.
Acoma I
[36] Mein Wunsch, die Indianer direkt unter dem Einfluß des offiziellen Katholizismus zu beobachten, wurde durch einen Umstand begünstigt: Ich konnte den hilfsbereiten und freundlichen katholischen Pfarrer, Pere Juillard, den ich am Neujahr 1895 bei Besichtigung eines mexikanischen Matachines-Tanzes getroffen hatte, auf seiner Inspektions-Reise begleiten, die ihn zu dem romantisch gelegenen Dorf Acoma führte.
[37] Wir fuhren durch diese Ginster-bestandene Einöde ungefähr sechs Stunden, bis wir das Dorf aus dem Felsenmeer auftauchen sahen, wie ein Helgoland im Sandmeer. (123:53 Helgoland)
[38] Ehe wir am Fuss des Felsens angekommen waren, begannen die Glocken zu Ehren des Pfarrers zu läuten. Eine Schaar buntgekleideter Rothäute kam blitzschnell den Pfad herabgelaufen, um unser Gepäck hinaufzutragen. Die Wagen blieben unten, was sich als eine verhängnisvolle Notwendigkeit erwies. Denn die Indianer stahlen uns ein Fässchen Wein, das der Pfarrer von den Nonnen von Bernalillo geschenkt bekommen hatte.
[39] Zunächst wurden wir oben von dem Gobernador – es sind immer noch spanische Namen für die regierenden Dorfhäupter in Gebrauch – mit allen Zeichen der Ehrfurcht empfangen. Er führte die Hand des Pfarrers mit einem schlürfenden Geräusch bis an die Lippen, zog gleichsam den Hauch der begrüssten Person als ehrfurchtsvolle Begrüssung ein.
[40] Wir wurden in seinem grossen Hauptzimmer einquartiert, zusammen mit den Kutschern, und ich fing an, ein Vocabular aufzunehmen, wobei mir die ab und zukommenden Indianer freundlichst Hilfe leisteten. Ich versprach dem Pfarrer auf seinen Wunsch, am nächsten Morgen bei der Messe zu assistieren.
[41] Indianer stehen vor der Kirchentüre. Die Indianer sind nicht leicht in die Kirche zu bekommen. Es bedurfte eines kräftigen Rufens in den drei parallelen Dorfstrassen, das vom Häuptling ausgeführt wurde. Schliesslich versammelten sie sich da.
[42] Sie sind, wie Sie hier zum ersten Mal sehen, in malerische Wolltücher eingehüllt, die die nomadisierenden Indianer -Frauen im Freien weben, aber auch von den Pueblos selbst hergestellt werden. Sie sind weiss, rot oder blau ornamentiert und geben einen höchst malerischen Eindruck.
Acoma III.
[43] Das Innere der Kirche hat einen richtigen kleinen Barock-Altar mit Heiligen-Darstellungen. Der Pfarrer, der kein Wort indianisch verstand, musste sich eines Dolmetschers bedienen, der während der Messe jeden Satz übertrug.
Acoma [/] Treppensymbol
[44] Mir fiel während des Gottesdienstes auf, dass die Wand mit heidnisch kosmologischen Symbolen ganz im Stile der mir von Cleo Jurino gezeichneten bedeckt war. Die Kirche von Laguna ist von solchen Malereien, wie ich später feststellen konnte, ebenfalls bedeckt. Sie symbolisieren das Weltall mit dem treppenförmigen Dach. Ich kann Ihnen nur ein Stückehen solcher Treppe zeigen. In der Türe stehen zwei Indianer, rechts von ihnen kommt ein Stückehen von der Malerei heraus. Denn unser Versuch, das Innere der Kirche selbst zu fotografieren, scheiterte an dem Widerstand des Governador, der dem Pfarrer selbst die Schlüssel nicht ausliefern wollte, ein Widerstand, der sich am Nachmittag verstärkt hatte durch den Wein vom Wagen des Pfarrers, den die Indianer sich mittlerweile zu Gemüte geführt hatten. Immerhin sehen Sie deutlich ein Zackenornament, das eine Treppe symbolisiert und zwar nicht die gemauerte, quadratische Treppe, sondern eine viel urtümlichere Form, die aus einem Baum geschnitzte Treppe, die noch bei den Pueblos existiert. Ich fand sie an einer kleinen Scheuer in der Ebene angelehnt.
Acoma [/] Kirche, Treppe [/] Scheuer mit Leiter
[45] Stufe und Leiter sind für den, der das Werden, das Auf und Nieder in der Natur versinnbildlichen will, die Urerfahrung der Menschheit. Sie sind das Symbol für das erkämpfte Auf und Nieder im Raum wie der Kreis – die geringelte Schlange – das Symbol für den Rhythmus der Zeit ist.
[46] Est ist eben Glück für den primitiven Menschen, dass er in die Höhe kann. Die Treppe ist das Symbol für das Emporstreben des gehenden Menschen. Das Aufsteigen ist das Excelsior des Menschen, der von der Erde zum Himmel hinaufstrebt, der eingentlich symbolische Akt, der dem gehenden Menschen den Adel des aufgerichteten, nach oben gewendeten Kopfes gibt.
[47] Der Mensch, der nicht vierfüssig mehr sich bewegt, sondern aufrecht – und dadurch freilich des Hilfsgerätes der Treppe bedarf, um die Schwerkraft, wenn er nach oben schaut, zu überwinden –, hat eben in der Treppe das Instrument erfunden, um seine Minderbegabung dem Tier gegenüber zu adeln.
[48] »Stufen, ihr meine Lieblinge«, sagt der kleine Spitteler. Der Mensch, der im zweiten Jahre sich aufzurichten lernt, empfindet das Glück der Stufe eben so, dass er als Wesen, das gehen lernt, lernen muss, zugleich die Gnade des aufgerichteten Kopfes empfängt. (Das Himmelbeobachten ist Gnade und Fluch der Menschheit.)
[49] Sind diese Weltallsymbole Compromissversuche zwischen katholischer Kirchenlehre und Heidentum? Die Zuñis haben dieses harmonikale System der Weltallorientierung so kunstvoll ausgewogen durchgeführt, dass es einer hellenistischen kosmologischen Sympathie-Lehre nichts nachgiebt und [so] bleibt die Zuordnung von Mensch – Pflanze – Thier – Himmelsrichtung – rein totemistisch willkürlich. Vgl. Cassirer die Begriffsform im mythischen Denken 1922.
Überleitung San Ildefonso
[50] So schafft sich der Indianer das rationale Element in der Kosmologie dadurch, dass er das Weltenhaus gleichsetzt mit seinem Stufenhaus, in das man mit einer Leiter hinein kommt.
[51] Wir wollen uns aber hüten, dieses Weltenhaus als einfachen Niederschlag geistig beruhigter Kosmologie anzusehen. Denn die Herrin in diesem Weltenhaus bleibt das unheimlichste Tier: die Schlange.
[52] Der Pueblo-Indianer ist ausser Ackerbauer auch Jäger – wenn auch nicht in demselben Massstab wie die wilden, früher dort lebenden Stämme. Er braucht zu seinem Lebensunterhalt neben dem Maiskorn das Fleisch. Die Maskentänze, die uns zunächst als festliche Begleiterscheinungen seines alltäglichen Lebens erscheinen, sind in Wirklichkeit durchaus als soziale Lebensmittelfürsorge durch magische Praktik anzusehen. Der Maskentanz, den wir bloss als Spiel zu betrachten gewohnt sind, ist seinem Wesen nach eine ernsthafte, man kann sagen, kriegerische Massregel im Kampf ums Dasein. Vergessen wir nicht, dass diese Tänze, obwohl sie durch das Ausscheiden der blutigen menschenquälerischen Kriegstanz-Gewohnheiten der nomadisierenden Indianer, die die schlimmsten Feinde der Pueblos waren, von diesen grundverschieden sind, doch ihrem Ursprung und der inneren Richtung nach Beutetänze und Opfertänze bleiben. Indem der Jäger oder Ackerbauer sich maskiert, d.h. nachahmend in die Jagdbeute – sie sei nun Tier oder Korn – hineinschlüpft, glaubt er durch geheimnisvolle mimische Verwandlung vorgreifend zu erzwingen, was er gleichzeitig durch nüchterne, tagwache Arbeit als Jäger und Bauer ebenfalls zu erreichen trachtet.
[53] Die soziale Nahrungsmittelfürsorge ist also schizoid: Magie und Technik stossen hier zusammen.
[54] Dieses Nebeneinander von logischer Zivilisation und fantastisch [?] verkörpernder magischer Verursachung zeigt den eigentümlichen Misch- und Übergangs-Zustand, in dem sich diese Pueblo-Indianer befinden. Sie sind keine wirklich primitiven Greif-Menschen mehr, für die eine auf die weitere Zukunft bezogene Tätigkeit nicht existiert, aber sie sind auch noch keine wirklich technologisch beruhigten Europäer, die das zukünftige Ergebnis – als organisch oder mechanisch gesetzmässig eintretend – abwarten. Sie stehen in der Mitte zwischen Magie und Logos und ihr Instrument, mit dem sie sich zurecht finden, ist das Symbol. Zwischen zupackenden Greifmenschen und verharrenden Begriffsmenschen steht der symbolisch verknüpfende. Und für diese Stufe des symbolischen Denkens und Verhaltens sollen die folgenden Bilder von den Tänzen der Pueblo-Indianer noch einige Beispiele geben.
San Ildefonso [/] Antilopen-Tanz
[55] Als ich den Antilopentanz in San Ildefonso zu sehen bekam, machte er auf mich zunächst einen sehr harmlosen und beinahe komischen Eindruck. Für den Folkloristen, der die Wurzeln der menschlichen Kulturäusserungen biologisch erforschen will, gibt es aber keinen gefährlicheren Augenblick, als wenn er bei volkstümlich-komisch erscheinenden Gebräuchen lacht. Wer über das Komische in der Volkskunde lacht, hat Unrecht, dem verschüttet sich im selben Augenblick die Einsicht in das tragische Element.
[56] Die Indianer in San Ildefonso, in einem also schon lange unter amerikanischem Einfluss stehenden Pueblo in der Nähe von Santa Fé, gruppierten sich zum Tanz. Zunächst stellte sich die Musik parat, mit einer grossen Trommel bewaffnet. Sie sehen sie da stehen, im Hintergrund die Mexikaner zu Ross. Dann arrangierten sie sich in zwei Reihen nebeneinander und nahmen in Masken und Stellung den Charakter der Antilope an. Zwei Reihen solcher Tänzer bewegten sich in zwei verschiedenen Arten. Entweder sie ahmten die Gangart des Tieres nach oder sie stützten sich auf die Vorderbeine, d.h. kleine Stöcke, die mit Federn umwunden waren, und machten mit ihnen Bewegungen am Ort. An der Spitze der beiden Reihen war eine weibliche Figur und ein Jäger. Von der weiblichen Figur konnte ich nur in Erfahrung bringen, dass sie die Mutter aller Tiere hiess. An sie wendet sich beschwörend der Tier-Mimiker. Dies ist so ein Jagdtanz, bei dem durch Hineinschlüpfen in die Tiermaske das Tier gleichsam durch Vorgreifen angeeignet wird. Ursprünglich also vorgriffliche Aneignung des Tieres für den Fall des Jagd-Angriffes. Diese Massregel ist nicht etwa spielerisch anzusehen. Denn für den primitiven Menschen bedeuten die Maskentänze in dem Verknüpfungsprozess mit dem ausser-Persönlichsten die weitgehendste Unterordnung unter ein fremdes daemonisches Wesen. Indem der Indianer in seinem nachahmenden Maskenkostüm z. B. ein Tier in Äusserungen und Bewegungen nachahmt, schlüpft er in dieses Tier nicht zum Spass hinein, sondern will durch Verwandlung seiner Persönlichkeit etwas von der Natur magisch erzwingen, was er seiner unerweiterten und unveränderten menschlichen Persönlichkeit zu leisten nicht zutraut. Der Indianer steht zum Tier innerlich ganz anders als der Europäer. Er hält das Tier für ein höheres Wesen, weil das Einheitliche seiner Tierhaftigkeit es zum viel stärker begabten Wesen dem schwächeren Menschen gegenüber macht.
[57] Zur Psychologie des Willens zur Tier-Metamorphose habe ich von Frank Hamilton Cushing, dem Vorkämpfer und Veteranen des Kampfes um die Einsicht in die indianische Seele, diese – persönlich überwältigend neuen – Aufschlüsse erhalten, ehe ich die Reise antrat. Der pockennarbige Mann mit dem spärlichen rötlichen Haar, dessen Alter man nicht erraten konnte, sagte mir zigaretten-rauchend: Ein Indianer habe ihm mal gesagt, warum soll denn der Mensch höher stehen als das Tier? »Sieh mal die Antilope an, die ist nur Laufen und läuft so viel besser als der Mensch – oder den Bären, der ist ganz Kraft. Menschen können nur Etwas und das Tier kann, was es ist, ganz.« Diese märchenhafte Denkweise ist die Vorstufe – so merkwür das klingt – zu unserer naturwissenschaftlich-genetischen Welterklärung. Denn diese indianischen Heiden, wie die Heiden auf der ganzen Welt, setzen sich aus verehrender Furcht in dem, was man Totemismus nennt, mit der Tierwelt dadurch in Verbindung, dass sie an Tiere aller Art als mythische Vorfahren ihrer Stämme glauben. Sie erklären sich also die Welt – durch anorganischen Zusammenhang – gar nicht so sehr verschieden wie der Darwinismus; denn wo wir das Gesetz hineinverlegen in den unbeeinflussbaren Entwicklungsvorgang durch die Natur selbst, versuchen die Heiden diesen durch willkürliche Verknüpfung mit der Tierwelt zu erklären. Es ist, wenn man will, Darwinismus durch mythische Wahlverwandtschaft, der das Leben dieses sog. primitiven Menschen bestimmt.
Übergang zu Katcina
[58] Dass in San Ildefonso die Form des Jagdtanzes überlebt, ist augenfällig. Aber da die Antilope schon seit über drei Generationen dort ausgestorben ist, so könnte es doch sehr wohl sein, dass wir hier im Antilopentanz einen Übergang zu den rein dämonischen Katcinatänzen haben, deren Hauptaufgabe die Fürbitte für das Gedeihen der Saaten ist. Denn in Oraibi existiert auch heute noch ein Antilopen-Clan, dem als Haupt-Aufgabe der Wetter-Zauber zufällt. Während die nachahmenden Tiertänze als mimische Magie der Jägerkultur aufgefasst werden müssen, haben die Katcina-Tänze, die zu den periodisch wiederkehrenden Jahres-Festlichkeiten der Bauern gehören, einen andern Charakter, der sich allerdings erst weiter entfernt von den Stätten der europäischen Kultur in seiner ganzen Eigenart offenbart. Der kultlich-magische, auf die unbelebte Natur selbst wunschhaft gerichtete Maskentanz kann nur da noch einigermassen urtümlich beobachtet werden, wo die Eisenbahn noch nicht hinträgt und wo – wie bei den Mokidörfern – auch der offizielle Schein des Katholizismus nicht mehr existiert.
[59] Vor diesen Katcinas wird den Kindern eine grosse religiöse Scheu beigebracht. Jedes Kind hält die Katcinas für übernatürliche, furchtbare Wesen und der Augenblick, wo das Kind über die Natur der Katcinas aufgeklärt und selbst in die Gesellschaft der Maskentänzer aufgenommen wird, bildet den wichtigsten Wendepunkt in der Erziehung des indianischen Kindes.
[60] An dem entlegensten, westlichen Platz, in Oraibi, habe ich durch einen glücklichen Zufall einen sog. Humiskatcinatanz auf dem Marktplatz des Felsendorfes beobachten können. Hier sah ich im lebendigen Original die Maskentänzer, die ich Ihnen in einer Stube von eben diesem Oraibi schon vorhin als Puppen zeigte.
[61] Ich hatte in Oraibi durch die freundliche Empfehlung der Regierung und der Händler, das Glück, in einem Geistlichen, Herrn Pfarrer Voth, der als Missionar dort am Fusse des Felsendorfes lebte, einen Mann zu finden, der in die Psychologie der indianischen Seele auch wissenschaftlich einzudringen versucht und mich durch die Kenntnis ihrer Symbolik in Sitte und Kunst ausserordentlich förderte.
Holbrook
[62] Um nach Oraibi zu gelangen, musste ich von einer Eisenbahnstation Holbrook aus mit einem leichten Wagen zunächst zwei Tagefahren. Die Eisenbahnstation, von der ich ausging, zeige ich Ihnen, weil sie von der Ödigkeit einer solchen westlichen Eisenbahnstation einen guten Eindruck vermittelt.
Hotel [/] Weben [/] Keam
[63] Und auch das sog. Hotel, vor dem mein Reisewagen steht, zeigt Ihnen die außerordentlich primitive Bauart dieser westlichen Stationen. Der Wagen selbst ist ein sog. Buggy und hat vier leichte Räder, mit denen man sehr gut durch die Sandwüste vorwärts kann, die nur von Ginster bestanden ist. Der Kutscher, Frank Allen, war ein Mormone, der mich die ganze Zeit in dem Gebiet fuhr. Wir erlebten einen sehr starken Sandsturm, der die Wagenspuren, die die einzig Richtung-gebenden Hilfsmittel in der strassenlosen Steppe sind, vollkommen verwehte. Wir hatten aber doch noch Glück, nach zweitägiger Fahrt in Keams Cañon anzukommen, wo uns der freundliche Ire Mr. Keam gastlich aufnahm.
Walpi
[64] Von da aus konnte ich nun die eigentlichen Ausflüge nach den Felsendörfern, die auf drei Tafelbergen [liegen], die parallel verlaufen von Norden nach Süden, machen.
[65] Ich sah vor Allem zunächst das merkwürdige Walpi. Wie eine Felsenmasse auf Felsen getürmt liegt das Treppenhaus-Dorf romantisch auf dem Felsenkamm. Ein schmaler Pfad führt auf dem hohen Felsen an der Häusermasse vorbei. Ich habe nachmittags noch ein Bild aufgenommen, wo Sie sehen, wie verlassen und ernsthaft dieser Felsen mit seinen Häusern in die Welt hineinragt.
Oraibi [/] Humiskatcina
[66] Ganz ähnlich im Gesamtanblick wie Walpi liegt nun Oraibi, wo ich mit Hilfe des Herrn Voth, bei dem ich am Fusse des Berges wohnte, den Humiskatcina-Tanz beobachten konnte. Oben, auf dem Marktplatz des Felsendorfes, wo der alte blinde Mann sitzt mit seiner Ziege, wurde ein Tanzplatz arrangiert. Dieser Humiskatcinatanz ist der Tanz zur Förderung wachsenden Mais Kornes. Ich beobachtete ihn vom 28. April bis 1. Mai 1896. Den Abend vor dem eigentlichen Tanz war ich mit Herrn Voth in der Kiwa, wo die geheimen Zeremonien stattfinden. Ein fetischistischer Altar war da nicht vorhanden. Die Indianer sassen einfach dort und rauchten zeremonial. Ab und zu kam von oben über die Leiter ein Paar braune Beine, an die sich der ganze Mann anschloss.
[67] Die Jungen beschäftigten sich, ihre Masken für den nächsten Tag zu bemalen. Denn sie gebrauchen diese grossen, ledernen Helme immer von Neuem, weil die Neuanschaffung zu kostspielig wäre. Diese Bemalung geschah dadurch, dass sie Wasser in den Mund nahmen, die Ledermaske ansprühten und darauf die Farben verrieben.
[68] Am nächsten Morgen war das ganze Publikum schon auf der Mauer. Wir sehen da zwei Kinder-Gruppen. Das Verhältnis der Indianer zu den Kindern ist ganz ausserordentlich anziehend. Sie werden sanft, aber ordentlich erzogen und sind sehr zutunlich, wenn man ihr Vertrauen etwas erworben hat. Ich habe ganz allerliebste Kinder gefunden.
[69] Und solche Kinder waren da nun auf dem Marktplatz versammelt, voll Spannung aber auch sehr ernsthaft. Denn so ein Mann mit einem künstlichen Kopf, der flösst ihnen umso mehr Schrecken ein, weil [sie] diese Masken schon aus den Puppen als unbeweglich und sehr furchterregend kennen. (Wer weiss, ob unsere Puppen nicht ursprünglich auch solche Dämonen waren?)
[70] Der Tanz wurde ausgeführt durch etwa zwanzig bis dreissig Männer und etwa zehn weibliche Tänzer, d.h. Männer, die Frauentypen darstellten. Sehen wir uns zunächst die Männer an. Diese fünf zeigen uns die vordere Spitze der zweireihigen Tanzfigur. Obgleich das Tanzspiel auf dem Markt vor sich geht, haben sie einen architektonischen Haltepunkt und das ist dieser kleine Steinbau, vor dem eine kleine Zwergpinie eingesteckt und mit Federn behängt ist. Das ist ein kleiner Tempel, bei dem die Fürbitte durch den Maskentanz und die Gesänge, die den Maskentanz begleiten, zur Erhörung vorgetragen werden. Sie werden sehen, dass von diesem Tempelchen der Kult in ganz sinnfälliger Form ausstrahlt.
[71] Die Maske der Tänzer ist grün und rot, diagonal durchschnitten von einem weissen Streifen, auf dem drei Punkte laufen. Das sind, wie mir gesagt wurde, die Regentropfen, und auch die ganze Symbolik auf dem Helm zeigt in erster Linie wieder das aufgetreppte Weltall mit dem Regenspender, immer durch halbkreisförmige Wolken und Striche, die davon ausgehen, gekennzeichnet. Dieselbe Symbolik findet sich auf den gewebten Binden, die sie um den Leib geschlungen haben, rote und grüne Ornamente auf weissem Grund, sehr zierlich gewoben. In der Hand haben die männlichen Tänzer eine Rassel, die aus einem hohlen Kürbis, in dem Steine drin sind, besteht. Und um die Knie herum eine Schildkrötenschale, von der Steine herabhängen, sodass auch von den Knieen her diese Rasselgeräusche kommen.
[72] Der Chor vollführt zwei verschiedene Akte. Entweder die Mädchen sitzen vor den Männern und machen ihre Musik, die sie auf den Ratschen mit einem Holz vollführen, wobei die Tanzfigur der Männer darin besteht, dass einer nach dem andern einfach sich um sich selbst dreht, oder aber die Frauen erheben sich und begleiten die Bewegungen der Männer in dieser Umdrehung um sich selbst. Dabei waren zwei Priester beschäftigt, sie mit geweihtem Mehl zu bestreuen.
[73] Das Tanzkostüm der Frauen besteht in einem Tuch, das die Figur gänzlich verhüllt, schon um nicht zu zeigen, dass es Männer sind. Die Maske trägt oben an den Seiten jenen merkwürdigen, Winden-Blütenartigen Haarschmuck, der der spezifische Schmuck der Pueblo-Mädchen ist. Rotgefärbte Pferdehaare, die von der Maske herunterhängen, symbolisieren den Regen, und Regenornamentik findet sich auch auf ihren Umschlagtüchern und Binden.
[74] Die Tänzer werden, während sie tanzen, von einem Priester mit heiligem Mehl bestreut, während sie immer mit der Spitze der Tanzfiguren angegliedert sind an das kleine Tempelchen.
[75] Der Tanz dauert von Morgen bis Abend. In der Zwischenzeit gehen die Indianer aus dem Dorf heraus auf einen Felsenvorsprung und rasten einen Moment. Wer einen Tänzer ohne Maske sieht, stirbt.
[76] Wie ich Ihnen zeigte, ist das Tempelehen der eigentliche Anlehnungspunkt der Tanzfiguren. Es ist ein Bäumchen, das mit Federn behängt ist. Es sind die sog. Nakwakwocis. Mir und Herrn Voth war aufgefallen, dass das Bäumchen so klein war. Wir gingen daher zum alten Häuptling, der am Ende des Platzes sass, und fragten ihn, warum das Bäumchen so klein sei. Darauf sagte er: Wir haben früher einen grossen Baum gehabt, jetzt haben wir einen kleinen genommen, denn die Seele des Kindes ist rein.
[77] Wir sind also hier in dem Gebiet des perfektesten Baum- und Seelenkultes, wie wir ihn aus den Arbeiten von Mannhardt sowohl im europäischen Heidentum bis auf den heutigen Erntebrauch fortexistierend als allgemein menschlichen mythologischen Ur-Völkergedanken kennen. Es handelt sich hier darum, die Verknüpfung zwischen Naturkraft und Mensch, d.h. das Symbolon, das verbindende, zu schaffen, eben die magische Handlung, die real verknüpft, indem sie als Mittler in diesem Fall einen Baum aussendet, der der Erde nähersteht als der Mensch, weil er in ihr wurzelt. Dieser Baum ist der gegebene, zu den Unterirdischen führende Vermittler. Die Federn werden am nächsten Tag heruntergetragen an eine bestimmte Quelle im Tal und dort eingepflanzt oder als Weihgeschenke aufgehängt. Sie sollen eben dieses Gebet um Befruchtung, dass das Maiskorn gross und breit werde, bewirken.
[78] Pfarrer Voth und ich hatten eine Mittags-Pause gemacht. Als wir dann am Spät-Nachmittag wieder hinaufkamen, standen die Tänzer wieder in ihrer unermüdlichen, ernsthaften Feierlichkeit da und vollführten ihre einförmigen Tanzbewegungen. Als die Sonne versinken wollte, bekamen wir aber ein erstaunliches Schauspiel zu sehen, das in überwältigender Deutlichkeit zeigte, wie feierliche und stille Gelassenheit aus dem Urgrund elementarer Menschlichkeit ihre magischen Kultformen zieht: demgegenüber die uns nahe liegende Einseitigkeit, nur das Element der Vergeistigung in diesen Zeremonien zu sehen, scheitern [und] als eine unzulängliche Erklärungsmethode erscheinen muss.
[79] Es erschienen sechs Figuren, drei mit gelbem Lehm beschmiert, fast völlig nackte Männer, die das Haar hornförmig aufgebunden hatten. Sie waren nur mit einem Schurz bekleidet. Ferner drei Männer, die Weibertracht trugen. Und diese führten, während der Chor mit seinen Priestern ruhig und in ungestörter Andacht seine Tanzbewegungen weiter vollführte, eine überaus derbe Persiflage der Chorbewegungen auf, über die aber kein Mensch lachte, sondern man empfand diese derbe Persiflage nicht als komische Verspottung, vielmehr als eine Art Beihilfe von der Seite der Ausgelassenen her in dem Versuch, ein fruchtbares Kornjahr zu erhalten.
[80] Jeder, der etwas von der antiken Tragödie weiss, sieht hier die Doppelheit von tragischem Chor und Satyrspiel »auf einen Ast geimpfet«. Das Werden und Vergehen der Natur erschaut im anthropomorphen Symbol, aber nicht im Gezeichneten, sondern im wirklich dramatisch nacherlebten Zaubertanz.
Überleitungnzu Walpi
[81] Das Wesen des magischen Einschlüpfens in das Wesen der Gottheit, um ihrer übermenschlichen Kraft teilhaftig zu werden, zeigte in fürchterlich dramatischer Form der mexikanische Gottesdienst. Bei einem Fest wird eine als Maisgöttin auftretende Frau vierzig Tage lang als Göttin verehrt und dann geopfert und in die Haut dieses armen Geschöpfes schlüpft der Priester hinein.
[82] Gegenüber diesem elementarsten wahnsinnigen Annäherungsversuch an die Gottheit erscheint dennoch Alles, was man bei den Pueblos beim [?] Maistanz beobachten kann, zwar im Grunde verwandt, aber nicht mehr kannibalisch, ohne dass man freilich die Bürgschaft hätte, dass nicht im Geheimen noch aus den blutigen Wurzeln des Kultes die Säfte steigen. Schliesslich hat derselbe Erdboden, der die Pueblos trägt, auch die Kriegstänze der wilden, nomadischen Indianer mit ihren Grausamkeiten gesehen, die im Martertod des Feindes ihren Höhepunkt erreichten.
[83] Dennoch hat sich beim Schlangentanz der Moki Indianer eine Stufe unmittelbaren magischen Annäherungsversuches an die Natur durch die Tierwelt selbst erhalten, die seine barbarische Züge trägt. Bei den Moki-Indianern findet [man] Tanz mit lebendigen Schlangen in den Dörfern Oraibi und Walpi. Ich habe diesen Tanz nicht selbst beobachtet, kann Ihnen aber durch einige Fotografien, die Herr Pfarrer Voth aufgenommen hat, eine Vorstellung von dieser heidnischsten aller Zeremonien aus Walpi geben. Dieser Tanz ist Tiertanz und Jahreszeiten-Kulttanz zugleich. In ihm trifft das zu einer höchsten Ausdruckssteigerung zusammen, was wir als Tiertanz in San Ildefonso und als einzelnen symbolisch magischen Fruchtbarkeitstanz im Humiskatcinatanz in Oraibi sahen. Denn im August, wo die Ackerbaukrisis dadurch eintritt, weil vom Gewitterregen das ganze Ergebnis der Ernte abhängt, wird durch einen Tanz mit lebenden Schlangen, der abwechselnd in Oraibi und Walpi stattfindet, das Erlösung bringende Gewitter heraufbeschworen.
Walpi [/] Schlagentanz
[84] Während man in San Ildefonso bloss – wenigstens der Nichteingeweihte – das nachgeahmte Antilopentier im Tanz zu sehen bekommt und der Korntanz uns nur den dämonischen Charakter der Tänzer als Korndämonen durch die Maske bezeugt, findet sich hier in Walpi eine viel urtümlichere Stufe des magischen Zaubertanzes.
[85] Denn hier bilden Tänzer und das lebende Tier noch eine magische Einheit und das Überraschende ist, dass die Indianer in diesen Tanzzeremonien es verstanden haben, mit dem gefährlichsten aller Tiere, der Klapperschlange, so zu verkehren, dass sie es ohne Gewaltanwendung bändigen, dass das Geschöpf willig – oder wenigstens ohne von seinen Raubtier-Eigenschaften Gebrauch zu machen, wenn es nicht gereizt wird – teilnimmt an Tage-langen Zeremonien, die unter den Händen von Europäern gewiss zu Katastrophen führen würden.
[86] Zwei Brüderschafren in den Mokidörfern stellen die Mitwirkenden beim Schlangenfest, die Antilopen und die Schlangen-Brüderschaft, die durch ihre Sagen totemistisch mit den beiden Tieren verknüpft sind.
[87] So macht der Totemismus noch Ernst: Er beweist seinen Zusammenhang mit Vorfahrentieren durch tatsächlich handgreifliche Verknüpfung, wo der Mensch nicht nur in der Maske von Tieren auftritt, sondern wo er mit dem lebendigen gefährlichsten Tier, der Schlange, kultische Handlungen vornimmt. Die Schlangenzeremonie in Walpi steht also zwischen nachahmender mimischer Einfühlung und blutigem Opfer, da in ihm die Tiere nun nicht selbst in der krassesten Form ats Mitspieler im Kult eintreten und zwar nicht, um geopfert zu werden, sondern um – wie der Paho – als Fürbitter für Regen einzuwirken indem sie wieder in die Erde zurückgesandt werden. Denn der Schlangentanz in Walpi ist eine Fürbitte-Erzwingung bei den Schlangen selbst. Sie werden zuerst im August, wo die Gewitter kommen sollen, zu einer 16tägigen Zeremonie in Walpi aus der Wüsten-Ebene lebendig aufgegriffen und dann in jenem unterirdischen Raume, der Kiwa, von den Häuptlingen des Schlangen- und Antilopen-Clans bewacht und in eigentümlichen Zeremonien, von denen die Waschung der Schlangen die bedeutendste und für die Weissen erstaunlichste Rolle spielt, gehalten. Die Schlange wird wie ein Mysterien-Novize behandelt, ihr Kopf wird in geweihtes Wasser, in dem allerlei Medizinen sind, trotz ihres Widerstrebens eingetaucht.
[88] Auf dem Boden der Kiwa befinden sich Sandgemälde. In der einen Kiwa sind vier Blitzschlangen dargestellt, in deren Mitte ein Vierfüssler. In einer andern Kiwa wird auf einem Sand-Gemälde eine Wolkenmasse dargestellt, aus der vier verschiedenfarbige Blitze, den Himmelsrichtungen entsprechend, in Schlangenform herauskommen. Auf dieses erste Sandgemälde werden die Schlangen mit aller Wucht geworfen, wodurch die Zeichnung zerstört wird und die Schlange sich mit dem Sand vermischt.
[89] Mir scheint es unfraglich, dass eben durch diesen magischen Wurf die Schlange gezwungen werden soll, als Blitzerreger oder als Wassererzeuger einzuwirken.
[90] Dass dies der Sinn der ganzen Zeremonie ist, ist ohne weiteres klar, und die darauf folgenden Zeremonien beweisen, dass diese so eingeweihten Schlangen in der krassesten Form in der Vereinigung mit den Indianern zum Erreger und Fürbitter für Regen gemacht werden. Es ist ein lebender Regen-Schlangen-(Ur)Heiliger in Tiergestalt.
[91] Die Schlangen werden – und ganz ohne Zweifel sind von den etwa hundert gefangenen Schlangen eine ganze Reihe wirklicher Klapperschlangen mit (wie man nachgewiesen hat) unausgebrochenen Giftzähnen – in der Kiwa aufbewahrt und werden am letzten Tage des Festes in einem Busch, der von einem Kranz umwunden ist, gefangen gehalten.
[92] Die Zeremonie gipfelt in Folgendem: Annäherung an diesen Busch, Ergreifen und Zusammentragen der lebenden Schlange und Entsendung derselben in die Ebene als Fürbitter. Dieses Pakken und Tragen der Schlange schildern die amerikanischen Forscher als eine unglaublich aufregende Handlung. Sie wird folgendermassen vollführt:
[93] Eine Gruppe zu drei nähert sich diesem Schlangenbusch. Der Oberpriester des Schlangen-Clans zieht aus dem Busch eine Schlange, ein anderer Indianer, das Gesicht bemalt, mit einem Fuchsfell hinten, packt diese Schlange und nimmt sie in den Mund. Ein Gefährte, der ihn bei den Schultern fasst, lenkt die Aufmerksamkeit der Schlange durch die Bewegungen eines Federstockes ab. Der dritte ist der Aufpasser und Schlangenfänger, für den Fall, dass die Schlange dem Munde entgleitet. Der Tanz spielt sich in wenig mehr als einer halben Stunde auf diesem schmalen Platz in Walpi ab. Sowie alle Schlangen eine Zeitlang so zum Geräusch der Klappern getragen sind ¬– die Indianer haben sowohl Klapper-Rasseln wie an ihren Kniegelenken Schildkrötenschalen mit kleinen Steinen, mit denen sie das Geräusch machen – werden sie von den Tänzern blitzschnell in die Ebene gebracht, wo sie verschwinden. Nach dem, was wir über den Mythos der Walpi-Leute wissen, geht diese Verehrung der Schlangen unbedingt auf kosmologische Abstammungssagen zurück. Von einem Heros Ti-yo wird in einem Märchen erzählt, wie er eine Unterweltsfahrt vornimmt, um zu entdecken, wo die Urquelle des so ersehnten Wassers zu suchen ist. Dabei passiert er die verschiedenen Kiwas der Unterweltsregenten und kommt – immer begleitet von einem Spinnenweibchen, das auf seinem rechten Ohr unsichtbar sitzt und ihn geleitet, ein indianischer Vergil, Dantes Führer durch die Unterwelt – schliesslich über die beiden Sonnenhäuser des Westens und des Ostens in die grosse Schlangen Kiwa, wo er den Zauber Baho zum Wettermachen empfängt. Mit ihm zurückgekehrt, werden ihm der Sage nach von zwei Schlangenmädchen, die Ti-yo mit aus der Unterwelt heraufgenommen hat, Kinder geboren in Schlangengestalt, sehr gefährliche Kreaturen, die schliesslich die Stämme zu einer Ortsveränderung zwingen, sodass in diesen Mythos die Schlangen zugleich als Wettergottheiten und als Stammestiere, die Wanderungen der Clans veranlassen, eingeflochten sind.
[94] Die Schlange wird bei diesem Schlangentanz also nicht geopfert, sondern nur durch Weihen und beeinflussende Mimik zum Botschafter umgewandelt und ausgesandt, um zurückgekehrt zu den Seelen der Verstorbenen, sodann in Blitzgestalt das Gewitter am Himmel zu erzeugen.
[95] Das gibt uns einen Einblick, wie Mythos und magische Praxis beim »primitiven« Menschen sich durchdringen.
Schlange [/] Mänaden
[96] Die elementare Entladungsform dieser religiösen Magie der Indianer als Ureigentümlichkeit primitiver Wildheit, von der Europa nichts weiss, anzusehen, liegt dem Unbefangenen nahe. Und doch waren vor 2000 Jahren gerade in dem Ursprungsland unserer europäischen Bildung, in Griechenland, Kultgewohnheiten im Schwange, die an verzerrter Krassheit, das, was wir bei den Indianern sehen, noch übertreffen.
[97] Im orgiastischen Kult des Dionysos z. B. tanzten die Mänaden mit Schlangen in Händen und um ihren Kopf windete sich die lebende Schlange als Diadem, während sie in der andern Hand das Tier hielten, das im ekstatischen Opfertanz zu Ehren des Gottes zerrissen wurde. Das blutige Opfer im ekstatischen Wahnsinn ist – im Gegensatz zu den heutigen Tänzen der Moki-Indianer – der Höhepunkt und der eigentliche Sinn des religiösen Tanzes.
Schlange [/] Laokoon
[98] Die Erlösung vom blutigen Tierkultopfer durchzieht als innerstes Reinigungs-Ideal die religiöse Bewegung vom Orient zum Okzident. Die Schlange macht diesen Sublimierungsprozess in der Religion mit. Das Verhältnis zu ihr kann als Gradmesser des vom Fetischismus zur reinen Erlösungsreligion sich wandelnden Glaubens angesehen werden. Sie ist im alten Testament, wie die Urschlange Tiamat in Babylon, der Geist des Bösen, der Verführung. In Griechenland ist sie auch die gnadenlose unterirdische Fresserin: Die Erinys ist von Schlangen umzuckt, und die Götter entsenden, um zu strafen, die Schlange selbst als Henker. Diese Vorstellung von der Schlange als vernichtender Unterweltsgewalt hat wohl im Mythus und in der Gruppe des Laokoon zum mächtigsten tragischen Symbol geführt. Die Rache der Götter, vollzogen an ihrem eigenen Priester und seinen beiden Söhnen durch die Schlangen als Würger, führte in der bekannten Gruppe der Antike zur sinnfälligen Verkörperung höchsten Menschenleides. Der wahrsagende Priester, der durch eine Warnung seinem Volke wider die Tücke der Griechen zuhilfe kommen wollte, verfällt der Rache der parteiischen Götter. So wird der Tod des Vaters und der Söhne zum Symbol der antiken Passion: Rachetod durch Dämonen ohne Gerechtigkeit und ohne Hoffnung auf Erlösung. Das ist hoffnungsloser tragischer Pessimismius der Antike.
Schlange [/] Asklepios
[99] Der Schlange als Dämon in der pessimistischen Weltanschauung der Antike steht eine Schlangen-Gottheit aus der Antike gegenüber, in der wir endlich den klassischen verklärten menschenfreundlichen Genius begrüssen dürfen. Der Asklepios, der Heilgott der Antike hat die Schlange, die sich um seinen Heilstab windet, als Symbol. Seine Züge sind die Züge, die in der klassisch-plastischen Kunst der Weltenheiland trägt. Es ist bezeichnend, dass auch dieser erhabenste und abgeklärteste antike Gott der abgeschiedenen Seelen im unterirdischen Erdreich wurzelt, wo die Schlange lebendig haust. Er findet seine früheste Verehrung als Schlange. Was sich um seinen Stab ringelt, das ist gewissermassen er selbst, nämlich die abgeschiedene Seele des Verstorbenen, die in Gestalt der Schlange fortdauert und wieder erscheint.
[100] Denn die Schlange ist nicht nur, wie Cushings Indianer sagen würden, erfüllter oder sprungbereiter tödlicher Biss, der gnadenlos vernichtet, sondern sie zeigt an sich selbst, indem sie sich häutet, wie der Leib seine Haut verlassen und – gleichsam aus der leiblichen Hülle schlüpfend – wieder von Neuem weiter dauert. Sie kann hineinschlüpfen in die Erde und wieder herauskommen. Die Rückkehr aus der Erde, wo die Toten ruhen, macht sie – verbunden mit der Fähigkeit zur Erneuerung der Hülle – zum natürlichsten Symbol der Unsterblichkeit und der Wiedergeburt aus Krankheit und Todesnot.
[101] In dem Heiligtum des Asklepios in Kos in Kleinasien stand der Gott in menschlich verklärter Form als plastische Götterfigur, in der Hand den Stab, um den sich die Schlange ringelt. Aber sein eigentlicheres und mächtigeres Wesen war in diesem Heiligtum nicht in einer toten steinernen Maske vorhanden, sondern es lebte als Schlangentier im Innersten des Heiligtums fort und wurde hier im Kultdienst gefüttert, gepflegt und behandelt, wie nur die Mokis ihre Schlangen pflegen können.
Spanischer Kalendar
[102] Noch auf einem spanischen Kalenderblatt aus dem 13. Jahrhundert, das ich in einer vatikanischen Handschrift fand, und das den Asklepios als Monatsregenten im Zeichen des Skorpions versinnbildlicht, kommen die derben und feinen Annäherungsversuche im Kult der Asklepios-Schlange deutlich zum Ausdruck. Hier sehen wir in dreissig Abteilungen aus dem Kult von Kos Handlungen als Kultakte versinnbildlicht hieroglyphisch angedeutet, die identisch sind mit den drastisch-magischen Annäherungsversuchen der Indianer an die Schlange. Da ist der Tempelschlaf, die Schlange, wie sie in Händen getragen wird und wie sie als Quellgottheit verehrt wird.
[103] Davon harte der spanische Maler keine Ahnung mehr, ebenso wenig der deutsche Angeh, der diese Art Kalender 1488 bei Ratdolt in Augsburg publizierte.
Schlange [/] Asklepios-Sternbild
[104] Diese mittelalterliche Handschrift ist astrologisch, d. h. sie gibt diese Kultformen nicht mehr als Vorschriften für Andachtsübungen, wie es früher sicher der Fall war, sondern diese Figuren sind für sie zu Kalender[-]Hieroglyphen geworden für diejenigen, die unter dem Tierkreis[-]Zeichen mit dem Asklepiosbild am Himmel geboren sind. Denn Asklepios ist eben auch zur Sterngottheit geworden und erfährt durch einen Akt der kosmologischen Phantasie eine Umformung, die ihn den Annäherungsversuchen durch die lebende Schlange [des] direkt hantierenden Fetischisten entzieht. Als Fixstern steht er über dem Skorpion im Tierkreis. Er ist von Schlangen umwunden und gilt nun als Gestirn, unter dessen Einfluss die Propheten und Ärzte geboren werden. Durch diese Verstirnung wird der Schlangengott wieder zum verklärten Totem. Er ist der kosmische Vater derer, die in dem Monat geboren werden, wenn er die höchste Sichtbarkeit hat. In der antiken Astrologie trifft eben Mathematik und Magie zusammen. Denn die Schlangenfigur am Himmel, die sich auch sonst noch in der grossen Schlange am Himmel findet, wird zur mathematischen Umfangsbestimmung gebraucht, die glänzenden Punkte werden eingefangen durch ein irdisches Bild, um die Unendlichkeit überhaupt begreifen zu können, die wir nicht etwa anders begreifen können als in der Natur des linear bestimmten Umfangs. So ist Asklepios also mathematische Grenzbestimmung und Fetischhalter zugleich. Die Kultur-Entwicklung zum vernünftigen Zeitalter besteht im selben Mass darin, wie sich eben die greifbar derbe Lebensfülle daemonisch zum mathematischen Zeichen entfärbt. Der Andachtsraum entsteht. Für die elementare Unzerstörbarkeit dieser jedem Versuch der religiösen Aufklärung trotzenden Schlangenkulterinnerung fand ich vor etwa zwanzig Jahren bei uns im Norden an der Elbe auch ein merkwürdiges Beispiel, das aus der Bilder Kunst zugleich nach rückwärts die Verbindungsstrasse zeigen wird, auf der die heidnische Schlange wandert.
Schlange [/] Bibel
[105] Bei einem Ausflug in die Vierlande vor etwa 20 Jahren fand ich in einer protestantischen Kirche in Lüdingworth (?) Bibelillustrationen auf dem sog. Lettner, die sich vielleicht aus einer italienischen illustrierten Bibel im 18. Jahrhundert unter den Händen eines Waudermalers dahin verirrt hatten.
[106] Und hier sah ich plötzlich den Laokoon mit seinen beiden Söhnen in höchster Schlangennot. Wie kam der in die Kirche? Hier wurde der Laokoon erlöst. Wodurch? Weil vor ihm der Asklepiosstab aufragte mit einer Heilschlange, dem entsprechend, was wir im 4. Buch Mosis lesen, dass Moses den Israeliten in der Wüste befohlen hatte zur Heilung vor Schlangenbiss eine eherne Schlange zur Verehrung zu errichten.
[107] Hier stehen wir vor einem überlebenden Stück Götzendienst im Alten Testament. Allerdings wissen wir, dass dies nur eine eingeschobene Stelle sein kann, die die Existenz eines solchen Idols in Jerusalem rückwärts motivierend erklären wollte. Die Haupttatsache bleibt, dass ein uraltes ehernes Schlangenidol von König Hiskias unter dem Einfluss des Propheten Jesaja zerstört worden ist.
[108] Der Menschen-opfernde und Tier-verehrende Götzendienst war ja die feindliche Macht, gegen die die Propheten am erbittertsten kämpften. Und dieser Kampf bildet den Kernpunkt der orientalischen und christlichen Reformation bis in die neueste Zeit hinein.
[109] Dass die Aufrichtung der Schlange im schroffsten Widerspruch zu den allerdings erst später fixierten zehn Geboten steht, ist klar, im schärfsten Gegensatz zu der Bilderfeindlichkeit, die das Wesen der reformierenden Propheten ausmacht.
Schlange im A.T.
[110] Doch lässt sich noch aus einem andern Grunde für jeden Bibelkenner kein herausfordernderes feindliches Symbol denken, als gerade die Schlange. Denn die Schlange am Baum des Paradieses beherrscht den Gang der biblischen Weltordnung als Ursache des Bösen und der Erbsünde. Am Paradiesesholz ist sie doch – im Alten wie im neuen Testament – die satanische Macht, die die ganze Tragödie des erbsündigen Menschen, der auf Erlösung hofft, hervorrief.
Schlange [/] Paulus
[111] Daher stand das frühe Christentum – im Kampfe wider den heidnischen Götzendienst – dem Schlangenkult durchaus feindlich gegenüber. Paulus war in den Augen der Heiden ein gefeiter Sendbote, als er die Viper, die ihn gebissen hatte, ins Feuer schleudern konnte, ohne selbst an dem Schlangenbiss zu sterben. Die giftige Viper gehört ins Feuer.
[112] Und so stark lebte der Eindruck von der Unverletzbarkeit Pauli gegenüber den Vipern in Malta nach, dass sich bis ins 16. Jahrhundert in Italien hinein auf Festlichkeiten und Jahrmärkten Gaukler einfanden, von Schlangen umwunden, die sich als Leute aus dem Hause des heiligen Paulus bezeichneten und Erde von Malta als einzunehmendes Gegengift gegen Schlangenbiss verkauften. Die Immunität des Glaubensstarken ist für den Quacksalber nur als Ergebnis rettend neuerlebender magischer Praktik zu erwerben.
Schlange [/] Typologie
[113] In der mittelalterlichen Theologie sehen wir das Wunder der ehernen Schlange gewissermaßen als Kultverehrung erhalten. Kaum etwas kann die Unzerstörbarkeit des Tierkultes so zeigen als diese Art, wie das Wunder der ehernen Schlange hinübergleitet in die christlich-mittelalterliche Weltanschauung. Denn die mittelalterliche Theologie hat diesen Schlangenkult als Objekt der Überwindung so stark in Erinnerung behalten, dass sie auf Grund dieser doch ganz vereinzelten und dem Sinn und der Theologie des Alten Testaments widersprechenden Stelle das Bild der Schlangenverehrung im typologischen Bilderkreis bis an die Kreuzigung selbst heranbringt. Es wird die Aufrichtung dieses Tierbildes und die Anbetung der vor diesem Asklepiosstab knieenden Menge als eine wenn auch zu überwindende Vorstufe der heilsuchenden Menschheit behandelt und dargestellt.
Schlange [/] Typologie [/] Kreuzlingen
[114] In den plastischen Darstellungen, mit denen das Salemer Münster geschmückt ist, ist diese Dreigliedrigkeit noch vorhanden, die in der Kirche von Kreuzlingen verloren gegangen ist. Hier hat dieser Entwicklungsgedanke zu einer erstaunlichen Parallelsetzung geführt, deren Sinn dem nicht theologisch Eingeweihten so leicht nicht klar wird. An der Decke der berühmten Ölbergkapelle [findet sich], gerade über der Kreuzigung erblickt man [?] [?], die Anbetung dieses heidnischesten Idols mit einem Pathos, das dem der Laokoon-Gruppe nichts nachgibt.
[115] Hier muss Moses, von dem die Bibel erzählt, dass er die Gesetzestafeln zerschlug wegen der Verehrung des goldenen Kalbes, als Schildhalter der Kupferschlange dienen unter dem Hinweis auf eben die Gesetzestafeln, die doch den Götzendienst verboten: Aus dieser Fassung geht der Hauptgedanke nicht mehr klar hervor, dass die Verehrung der kupfernen Schlange als zu überwindende Vorstufe anzusehen ist.
Schluss
[116] Meine Damen u. Herrn
Ich will damit schliessen und zufrieden sein, wenn Ihnen diese Bilder aus dem täglichen und festlichen Leben der Pueblo-Indianer gezeigt haben, dass ihre Masken-Tänze keine Spielerei sind, sondern die primäre heidnische Form der Beantwortung der grossen, quälenden Frage nach dem Warum der Dinge: Der Unfassbarkeit der Vorgänge in der Natur stellt der Indianer dadurch seinen Willen zur Erfassung entgegen, dass er sich in eine solche Ursache der Dinge persönlich verwandelt. Triebhaft setzt er für die unerklärte Folge die Ursache in größtmöglicher Fassbarkeit und Anschaulichkeit. Der Maskentanz ist getanzte mythologische Kausalität. Wenn Religion Verknüpfung heisst, so ist das Symptom der Entwicklung aus diesem Urzustand heraus, dass die Verknüpfung zwischen Mensch und höherem Wesen auf Vergeistigung dadurch hindrängt, dass der Mensch sich mit dem Masken-Symbol nicht mehr zusammenzieht, sondern die Verursachung rein gedanklich vollzieht. Der Wille zur andächtigen Hingabe ist eine veredelte Form der Maskierung. Mit dem, was wir Fortschritt in der Kultur nennen, verliert die Hingabe erheischende Macht immer mehr diese ungeheuerliche Erfassbarkeit und wird schliesslich zum geistigen, unsichtbaren Symbol.
[117] Das heisst: Im Reich der Mythologik herrscht nicht das Gesetz vom kleinsten Kraftmass, es wird nicht nach dem kleinsten Erreger der Gesetzmässigkeit im naturgesetzliehen Ablauf gesucht, sondern es wird um der Fassbarkeit willen ein möglichst mit dämonischer Kraft gesättigtes Wesen eingesetzt, um die Ursache der rätselhaften Geschehnisse wirklich packen zu können. Was wir heute Abend von der Symbolik der Schlange gesehen haben, soll uns, in einer leider nur allzu flüchtigen Skizze, die Wandlung von leibhaftig-wirklicher Symbolik, die handgreiflich aneignet, zu der bloss gedachten andeuten. Bei den Indianern wird die Schlange wirklich gepackt und als Ursache lebendig angeeignet in Stellvertretung des Blitzes. Der Indianer nimmt sie in den Mund, sodass eine wirkliche Vereinigung zwischen der Schlange und dem maskierten oder wenigstens mit Schlangen bemalten Menschen stattfindet. In der Bibel ist die Schlange die Ursache alles Bösen und wird als solche durch Verbannung aus dem Paradies bestraft. Trotzdem schlüpft sie als unverwüstliches heidnisches Symbol – als Heilgott – in ein Kapitel der Bibel selbst wieder hinein.
[118] In der Antike bildet die Schlange ebenfalls den Inbegriff des tiefsten Leides im Tode des Laokoon. Die Antike kann aber auf der andern Seite bereits die unbegreifliche Furchtbarkeit der Schlangengottheit dadurch umwandeln, dass sie den Asklepios als Schlangenherrscher-Heiland darstellt und ihn, den Schlangengott mit der besiegten Schlange in Händen, als Sterngottheit an den Himmel versetzt.
[119] In der mittelalterlichen Theologie weiss die kluge Schlange aufgrund jener Bibelstelle wieder einzutreten als Schicksalssymbol, indem ihre Erhöhung – jedoch ausdrücklich als überwundene Entwicklungsvorstufe – sogar der Kreuzigung an die Seite gesetzt wird.
[120] Die Schlange ist eben ein internationales Antwortsymbol auf die Frage: Woher kommt elementare Zerstörung, Tod und Leid in die Welt? Wie die christologische Idee sich noch im 17 [Jahrhundert] [?] sich der heidnischen Schlangenbildersprache bedient, um den Inbegriff von Leid und Erlösung schlangen-symbolisch auszudrücken, sahen wir in Lüdingworth. Man kann vielleicht sagen: Wo ratloses Menschenleid nach Erlösung sucht, ist die Schlange als erklärende bildhafte Ursache in der Nähe zu finden. Der Schlange gebührt ein eigenes Kapitel in der Philosophie des »Als Ob«. –
[121] Wie löst sich die Menschheit von diesem zwangsmässigen Verknüpftsein mit einem giftigen Reptil als Ursache ? Unser technologisches Zeitalter braucht die Schlange nicht, um den Blitz zu erklären und zu erfassen. Der Blitz schreckt den Stadtbewohner nicht mehr, er ersehnt auch nicht mehr das fruchtbare Gewitter als einzige Wasserquelle. Er hat seine Wasserleitung und die Blitzschlange wird durch den Blitzableiter direkt in den Boden abgeführt. Die naturwissenschaftliche Aufklärung räumt mit der mythologischen Verursachung auf. Wir wissen, die Schlange ist ein Tier, das ernsthafter Bekämpfung unterliegen muss, wenn der Mensch es will. Der Ersatz der mythologischen Verursachung durch die technologische also nimmt ihr den Schrecken, den der primitive Mensch empfindet. Ob sie durch diese Befreiung von der mythologischen Anschauung ihm auch wirklich hilft, die Rätsel des Daseins ausreichend zu beantworten, das wollen wir nicht ohne weiteres behaupten.
[122] Die amerikanische Regierung hat in wirklich bewundernswert energischer Weise Aufklärungsschulen – wie früher die katholische Kirche – zu den Indianern gebracht. Und ihr intellektueller Optimismus hat es anscheinend bewirkt, dass die Indianer-Kinder in artigen Anzügen und Schulschürzen zur Schule gehen und an die heidnischen Dämonen nicht mehr glauben. Das ist auch für die Mehrzahl der Erziehungsobjekte zutreffend. Gewiss mag dies ein Fortschritt sein. Aber ob die bildhaft denkende, wir wollen sagen, poetisch-mythologisch verankerte Seele der Indianer dabei zu ihrem Recht kommt, möchte ich nicht ohne weiteres bejahen.
[123] Ich habe einmal versucht, die Kinder eben dieser Schule ein deutsches Märchen, das sie vorher nicht kannten, Hans Guck in die Luft, illustrieren zu lassen, weil darin ein Gewitter vorkommt, und wollte sehen, ob dabei der Blitz von den Kindern realistisch oder in der Schlangenform gezeichnet wird. Von 14 sehr lebendigen, aber unter dem Einfluss der amerikanischen Schule stehenden Zeichnungen waren 12 realistisch gezeichnet. Aber zwei brachten doch noch das unzerstörbare Symbol der pfeilspitzigen Schlange, wie sie in der Kiwa vorkommt.
[124] Goethe sagt: Der Mensch begreift nie, wie anthropomorph er ist. So bleibt doch das übrig, was der Erdgeist sagt: Du gleichst dem Geist, den Du begreifst, nicht mir. Wir aber wollen unsere Phantasie nicht unter dem Zwang des Schlangenbildes lassen, das zu den unterirdischen Primitiven führt. Wir wollen auf das Dach des Weltenhauses steigen, den Kopf nach oben richten und denken, was Goethe doch gesagt hat: Wär nicht das Auge sonnenhaft – Wie könnt die Sonne es erblicken?
[125] In der Verehrung der Sonne trifft sich die ganze Menschheit. Und sie als das Symbol zu nehmen, das uns aus der nächtlichen Niederung nach oben führt, ist das Recht des Wilden wie des Gebildeten.
[126] Die Kinder stehen vor einer Höhle. Heraufbringen zum Licht ist die Aufgabe nicht bloss der amerikanischen Schule, sondern der Menschheit überhaupt. Als ich in Acoma im Zimmer des Gobernador war, kam sein kleines 4jähriges herein, die Tochter des Gobernadors mit freundlichen braunen Kinderaugen; ich fragte durch Dolmetscher, wie sie hiesse. »Ochatsi« sagte [sie]. Was das hiesse? »Sonne«.
[127] Wo die Kinder solche Namen tragen und wo die reine Kinderseele um Regen beten muss, da ist das Heidentum in seiner Gesinnung keine kulturfeindliche Macht.
Schluss [/] Onkel Sam [/] San Francisco
[128] Das Verhältnis der Erlösungssucher zur Schlange bewegt sich im Kreislauf von kultlicher Verehrung, von derbster sinnlicher Annäherung bis zur Überwindung. Sie war und ist bis auf den heutigen Tag, wie wir an diesen Kulten der Pueblo-Indianer sehen, ein sinnfälliger Masstab für die Entwicklung von triebhaft-magischer Annäherung zur vergeistigenden Distanzierung, die das giftige Reptil als Symbol dessen bezeichnet, was der Mensch äusserlich und innerlich an dämonischen Naturkräften zu überwinden hat.
[129] Ich konnte Ihnen heute Abend nur an einem wirklichen Überlebsei des magischen Schlangen-Kultes, leider nur allzu flüchtig, den Urzustand zeigen, an dessen Verfeinerung und Aufhebung und Ersatz die moderne Kultur arbeitet.
[130] Den Überwinder des Schlangenkults und der Blitzfurcht, den Erben der Ureinwohner und goldsuchenden Verdränger des Indianers konnte ich [als] Symbol auf der Strasse in San Francisco im Augenblicksbilde einfangen. Es ist Onkel Sam mit dem Zylinder, der voll Stolz vor einem nachgeahmten antiken Rundbau die Strasse entlang geht. Über seinem Zylinder zieht sich der elektrische Draht. In dieser Kupferschlange Edisons hat er der Natur den Blitz entwunden. Dem heutigen Amerikaner erregt die Klapperschlange keine Furcht mehr – sie wird getötet, jedenfalls nicht göttlich verehrt. Was ihr entgegengesetzt wird, ist Ausrottung. Der im Draht gefangene Blitz, die gefangene Elektrizität, hat eine Kultur erzeugt, die mit dem Heidentum aufräumt. Was setzt sie an dessen Stelle? Die Naturgewalten werden nicht mehr im anthropomorphen oder biomorphen Umfang gesehen als unendliche Wellen, die meist unsichtbare [?] [?] Teile, die unter dem Handdruck dem Menschen gehorchen. Durch sie zerstört die Kultur des Maschinenzeitalters das, was sich die aus dem Mythos erwachsene Naturwissenschaft mühsam errang, den Andachtsraum, der sich in den Denkraum verwandelte.
[131] Der moderne Prometheus und der moderne Ikarus, Franklin, der Blitzfänger, und die Gebrüder Wright, die das lenkbare Luftschiff erfunden haben, sind eben jene verhängnisvollen Ferngefühl-Zerstörer, die den Erdball wieder ins Chaos zurückzuführen drohen. Telegramm und Telephon zerstören den Kosmos. Das mythische und das symbolische Denken schaffen im Kampf um die vergeistigte Verknüpfung zwischen Mensch und Umwelt den Raum als Andachtsraum oder Denkraum, den die elektrische Augenblicksverbindung raubt, falls nicht eine disciplinierte Humanität die Hemmung des Gewissens wieder einstellt.
English abstract
This contribution is a kind of snapshot of the first phase of the research work carried out over the last year (since April 2022) by the Mnemosyne Seminar around the text of The Serpent Ritual, a research resulting in in the publication of issue 201 of “Engramma” (April 2023). As regards the philological part of the research, the planned outcome of a second phase of the work is the publication of a critical edition of the text of Bilder aus dem Gebiet der Pueblo-Indianer in Nord-Amerika - the lecture Aby Warburg gave on 21 April 1923 at the Bellevue Clinic in Kreuzlingen to the clinc’s doctors, nurses and guests, commenting on some slides of his 1895-1896 American trip to the Pueblo Indians. In this contribution we present some of the preliminary prodromal notes to the complete critical edition of the text, an essay of the critical edition of the lecture text including the incipit (Einleitung, §§1-11), and the final paragraph (Schluss, §131). In the Appendix, we publish the complete text of the edition published in the Warburgian sylloge Werke in einem Band, edited by Martin Treml, Sigrid Weigel and Perdita Ladwig, Berlin 2010, with the addition of paragraph numbering useful for orientation and infratestual references.
keywords | Aby Warburg; Shlangenritual lecture; new critical edition.
Per citare questo articolo / To cite this article: G. Zanon (a cura di), Per una nuova edizione critica del testo della conferenza di Warburg a Kreuzlingen (21 aprile 1923). Note preliminari e un saggio dell’edizione critica dell’incipit e dell’explicit del testo Bilder aus dem Gebiet der Pueblo-Indianer in Nord-Amerika, “La Rivista di Engramma” n. 201, aprile 2023, pp. 63-95 | PDF of the article