“Le orride convulsioni di una rana decapitata”
Sulla redazione degli esemplari B e A della conferenza di Aby Warburg a Kreuzlingen (21 aprile 1923)
Monica Centanni
English abstract
Un po’ di luce
Il testo della conferenza che Warburg tenne a Kreuzlingen il 21 aprile 1923 è senza ombra di dubbio lo scritto di Warburg più famoso e diffuso nel mondo. Dopo la prima traduzione in inglese pubblicata in “The Journal of the Warburg Institute” (Mainland 1939), dopo la prima edizione italiana, eccezionale anche per acribìa filologica (Carchia 1984), dal 1988, a partire dall’editio princeps del testo tedesco (Raulff 1988), esplode la fortuna del testo, proposto come una vera e propria ‘opera’, con la produzione di innumerevoli edizioni e traduzioni in diverse versioni e in svariate lingue del mondo (per misurare i confini del successo globale di questo scritto, basti menzionare qui la versione giapponese del testo nel 2008, con il titolo 蛇儀礼, nella collana 岩波文庫/Iwanami Bunko).
Il successo del testo warburghiano intitolato editorialmente “Il rituale del serpente” (quasi tutte le edizioni adottano la titolazione che ricalca The Serpent Ritual, titolo della prima edizione in lingua inglese del 1939) si spiega per la concorrenza di varie ragioni che non è questa la sede per analizzare e per descrivere. Sta di fatto che uno scritto concepito dall’autore come il brogliaccio per una conferenza, non destinato a essere pubblicato, è diventato il ‘libro’ in assoluto più noto di Warburg, e quel testo, lontanissimo per struttura e per rigore metodologico dai saggi pubblicati da Warburg ma anche dalle bozze di altre sue conferenze, è responsabile non solo, in positivo, della fama globale del nome di Warburg, ma anche, in parallelo, di tanti fraintendimenti che hanno offuscato il suo pensiero, il suo metodo, e lo stesso profilo disciplinare delle sue ricerca, spesso e volentieri ricondotta, e appiattita tutta, all’antropologia culturale (sul punto, rimando alle note in Centanni 2022a, 321, 362-365). Il faro di luce che investe il Rituale, ha gettato un cono d’ombra sulle opere maggiori dell’intellettuale amburghese: i saggi editi, tutti dopo un meticoloso, e qualche volta annoso e ossessivo, lavoro di revisione da parte dell’autore, una serie di pochi ma straordinari contributi scientifici, esemplari per chiarezza argomentativa e per impianto metodologico, ancora tutto da valorizzare; la Biblioteca, trasferita a Londra da Amburgo nel 1933, da considerare come l’opera più importante realizzata da Warburg e il Mnemosyne Atlas, l’opera più innovativa, anche dal punto di vista del formato, lasciata incompiuta da Warburg al momento della sua morte (sull’importanza della Biblioteca anche in relazione al Mnemosyne Atlas, si vedano almeno Settis [1985] 2022, 169-ss; Forster [1999] 2022, 294-303; sui materiali e la genesi del Mnemosyne Atlas, rimando alla sezione dedicata in “Engramma”, Seminario Mnemosyne 2012-).
Il testo del “Rituale del serpente”, pur essendo stato, come si è detto, oggetto di svariate edizioni a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, non è stato sottoposto finora a una adeguata ricognizione filologica basata sugli esemplari che lo hanno trasmesso e conservato e sulla relazione che fra essi intercorre. Per stare solo alle edizioni del testo tedesco, l’editio princeps Raulff 1988, come riassunto nello schema qui sotto, è stata condotta senza una ricognizione diretta sugli esemplari conservati presso l’Archivio del Warburg Institute; le edizioni di Treml et all. 2010 e Fleckner 2018 sono preziosissime in quanto, rispetto a Raulff 1988, restituiscono una edizione della redazione più estesa del testo e decrittano molti appunti manoscritti, con ciò fornendo il supporto di una perizia grafologica imprescindibile per il futuro editore, essendo la grafia di Warburg notoriamente “impossibile” (Freud dixit! così in Stimilli 2005a, 44). Nessuno degli editori tedeschi però – e di conseguenza tanto meno i traduttori che lavorano alle edizioni in altre lingue e che sulle edizioni tedesche correttamente si basano – dà conto della situazione materiale degli esemplari, di cosa contenga ciascuno di essi, e delle relazioni, anche rispetto alla banale cronologia delle diverse stesure, che tra loro intercorrono. Eccezione lodevolissima è la traduzione in “aut aut” di Carchia 1984 che, avvalendosi della collaborazione con Alessandro Dal Lago – che in quello stesso periodo frequentava l’Archivio del Warburg Institute in vista della traduzione della Biografia intellettuale di Ernst Gombrich (pubblicata in Italia alla fine del 1983) – traduce il finale dell’ultima redazione, secondo l’appunto di Warburg che di quel finale cambia radicalmente il senso: il finale corretto e integrato sarà poi nuovamente obliterato a partire dall’edizione Raulff 1988 (per il recupero del finale integrato bisognerà aspettare le edizioni di Treml et all. 2010 e di Fleckner 2018).
Dobbiamo a Piermario Vescovo, nel contributo pubblicato in questo stesso numero di “Engramma”, l’impresa di affrontare il tema della complessa genesi e trasmissione del testo della conferenza di Kreuzlingen, avvalendosi della cassetta degli attrezzi del filologo (Vescovo 2023). Dal suo lavoro abbiamo finalmente “un po’ di luce” sulla storia del testo: riassumo qui gli esiti di quella ricognizione per avere ben chiari tutti gli elementi che giustificano la scrittura di questa mia Nota.
– A1 è il nome dell’esemplare contrassegnato all’Archivio del Warburg Institute con la sigla WIA III.93.3, un dattiloscritto con poche note manoscritte aggiunte che contiene una redazione parziale del testo, mancante dei capitoli iniziali e del finale. Si tratta di una versione che contiene rare correzioni, aggiunte e glosse apposte sulla copia carbone di un esemplare A, anch’esso conservato, che non contiene alcuna nota manoscritta;
– B è il nome dell’esemplare contrassegnato all’Archivio del Warburg Institute con la sigla WIA III.93.1, un dattiloscritto su cui, apposta in capo a ciascun foglio si legge la data dattiloscritta (a differenza di A che non riporta alcuna data): le pagine sono costellate da cancellature, correzioni e glosse interlineari e marginali manoscritte di vario tipo.
La recensio e la collatio è stata condotta da Vescovo analizzando le caratteristiche materiali dei due testimoni e operando un confronto tra le lezioni per campionatura multipla su varie zone del testo (si vedano i vari esempi di collatio riportati in Vescovo 2023). Questa accurata ricognizione – la prima nella storia della tradizione del testo della conferenza di Kreuzlingen che sia stata condotta avvalendosi della strumentazione filologica di base, in particolare dell’analisi meccanica e delle dinamiche della variantistica, ovvero con l’accuratezza e la strumentazione tecnico-disciplinare adeguata – ha portato a una conclusione che appare, sotto il profilo filologico, inoppugnabile e che si lascia così sintetizzare:
– B è il testo finale che Warburg tiene sotto agli occhi durante la conferenza: comprende varie correzioni e annotazioni assenti in A-A1, compreso l’importante finale;
– A-A1 è una copia di lavoro di B, spesso antecedente rispetto a B come si ricava dal confronto con le lezioni di B: si tratta di una sorta di ‘messa in bella’, eseguita in parallelo rispetto alla redazione del testo vero e proprio della conferenza (B).
Per gli aggiustamenti e le notazioni che complicano, senza smentirlo, lo schema che qui propongo in modo semplificato, rimando alla lettura dettagliata di Vescovo 2023; allo stesso contributo rimando anche per la relazione di A e B con il faldone di carte sparse e di materiali di lavoro [WIA III.93.2], e con gli appunti paralleli intitolati Reise-Erinnerungen, i “ricordi di viaggio” che Warburg stende a Kreuzlingen nello stesso periodo (WIA III.93.4: un’ottima edizione in Ghelardi 2006a; nello stesso volume si veda anche l’importante saggio Ghelardi 2006b). Il risultato a cui Vescovo approda comporta un decisa sovversione della communis opinio trasmessa, in modo più o meno esplicitato, in tutti gli studi sul Rituale. Secondo quanto si ricava dalla letteratura critica, il testo conservato in A-A1 sarebbe l’esito di un’operazione di riscrittura e di – per quanto sommaria – ‘edizione’ del testo, a opera di Fritz Saxl, di Gertrud Bing o di Edgar Wind, realizzata in un momento successivo a partire da B, per ottenere un testo leggibile e quindi pubblicabile in forma di saggio. Viceversa, dal quadro che Vescovo propone sulla base dell’analisi filologica degli esemplari e delle varianti in essi contenute, la relazione tra A-A1 e B risulta ribaltata: B è il testo finale, A-A1 è precedente alla stesura definitiva predisposta per la conferenza.
Sulla scorta di questo esito, per ricostruire la genesi dello scritto e per fornirne un’edizione critica, si rende necessaria una edizione del testo di B, da pubblicare finalmente con un apparato critico che dia conto, passo per passo, delle varianti di A-A1: l’edizione critica di B è in fieri (si veda il saggio di edizione proposto da Zanon 2023 in questo stesso numero di “Engramma”).
“La convulsione di una rana decapitata”
È significativo che l’accelerazione per la preparazione della conferenza avvenga dopo una data che si pone come fatale nella storia clinica di Warburg: quel 4 febbraio 1923 quando, nonostante l’opposizione di Binswanger e le resistenze dello stesso Warburg, la famiglia convoca un consulto con Eric Kraepelin che correggerà la diagnosi di schizofrenia sotto cui fino ad allora era stata rubricata la malattia mentale di Warburg in “manisch-depressiver Mischzustand”, stato misto maniaco-depressivo. Il vecchio clinico inaspettatamente apriva l’orizzonte alla salvezza psichica di Aby, dando a Warburg la possibilità di riconoscere nel nome della sua malattia la stessa struttura dialettica, polare, a cui aveva dedicato un nucleo fondamentale delle sue riflessioni e dei suoi studi: Warburg poteva chiamare il suo male non più con l’etichetta della (inguaribile) schizofrenia, ma con un nome felicemente doppio – la mania della Ninfa, la depressione del Fiume malinconico – una formula che gli era simpateticamente prossima perché rappresentava il nome della sua infermità psichica ma anche della polarità che era un importante filo tematico della sua ricerca (sulla svolta nella prognosi di Warburg dopo la diagnosi di Kraepelin, si vedano Stimilli 2005b, 10-18; De Laude 2015, 45-53; Inglese 2020; Centanni 2022a, 403-405).
Il dialogo tra Warburg e Ludwig Binswanger sull’opportunità dell’iniziativa, e sul tema della conferenza, era comunque già avviato almeno dall’ottobre del 1922, quando Warburg scrive alla moglie che riferisca al fratello Fritz di portargli da Amburgo i vecchi materiali, i quaderni di schizzi, gli appunti, i manoscritti, le fotografie e le diapositive appositamente realizzate per le precedenti conferenze (Wedepohl 2011, 130-132). Lo spunto per il tema della conferenza, come ha argomentato Dorothea McEwan, venne a Warburg da una conferenza di Cassirer:
Erst als kranker Mann, im Sanatorium 1922 und 1923, griff er das Thema Magie, Heilung und symbolische Bildersprache wieder auf. Die Hopi-Forschung war fast 30Jahre lang im Hintergrund geblieben, bis ihm Saxl 1921 von einem Vortrag Ernst Cassirers in der „Religionswissenschaftlichen Gesellschaft“ in Berlin berichtete, der auf die Arbeit des amerikanischen Ethnologen Frank Hamilton Cushing über die Zuñi zurückging, die ihre Kosmologie nicht mit Astrologie, sondern mit dem Totemtier verknüpften. Warburg las den Text und beschloss mit Einverständnis seines behandelnden Arztes, Ludwig Binswanger, seine eigenen Ideen über seine Lebensgeschichte, die Amerikareise und die Geschichte seiner Krankheit zu Papier zu bringen. [...] Aus einem autobiograschen Schreibvorhaben war rasch ein Vortragsprojekt geworden, in dem das Thema „Hopi“ den Kristallisationspunkt zur Diskussion von Furcht und Furchtbannung, Beschwörung, Leiden und Pathophobie darstellte (McEwan 2012, 74)
Saxl, dunque, con il consenso di Ludwig Binswanger aveva fatto leggere a Warburg il testo della conferenza di Ernst Cassirer sugli Zuñi e sulla relazione tra simbolo e animale totemico, ed è quella lettura che riattiva in Warburg, dopo quasi trent’anni, le memorie del viaggio tra gli Hopi che erano rimaste negli archivi della sua psiche: è lo spunto che gli viene dalle riflessioni sulla natura del ‘mondo simbolico’ che spinge Warburg a creare un positivo cortocircuito tra la sua vita, il viaggio in America, la storia della sua malattia e a mettere su carta le riflessioni che da là scaturirono. E così la riattivazione del ricordo biografico si configura non solo come una vera e propria anamnesi, che ripercorre la catabasi freudiana dell’Acheronta movebo, ma si traduce anche in progetto di conferenza, in cui “Hopi” non è tanto il tema ma il “Kristallisationspunkte” – dice bene McEwan – il punto di precipitazione e cristallizzazione della fobia e della presa di distanza dalla stessa fobia, un tracciato della sua sofferenza e, insieme, lo spiraglio di una via di fuga dalla malattia.
In una lettera del 19 dicembre 1922 leggiamo che Aby conversa con il figlio Max “sulla prevista conferenza sugli indiani” (Stimilli 2005a, 121). Certo è che a quella conferenza che poteva dare (e costituirà) una svolta importante all’andamento della sua malattia, Warburg si era preparato da mesi, e alla stesura del testo, stando alle date ben leggibili sulle pagine di B, lavora ininterrottamente, dal 18 marzo al 21 aprile 1923 il giorno stesso in cui ha luogo la conferenza, con un grandissimo impegno intellettuale ed emotivo: come ben ricostruisce McEwan, Warburg è consapevole che si tratta di una sorta di ordalia, passata la quale potrà far ritorno alla sua vita di uomo e di studioso (e così in effetti sarà, anche se la dimissione da Kreuzlingen avverrà solo nell’agosto del 1924). E in questo senso, per quell’obiettivo, Warburg si impegna molto in quel lavoro – e al suo fianco ha la fortuna di avere Fritz Saxl, senza il quale, come riconoscerà più volte anche negli anni successivi, quel lavoro non avrebbe mai potuto venire alla luce. Nella sua biografia su Saxl, Dorothea McEwan ricostruisce il rapporto intenso che si stabilisce tra Warburg e Saxl in generale negli anni di Bellevue e in particolare nelle settimane, dal 12 marzo (data di arrivo di Saxl a Kreuzlingen) al 21 di aprile, il periodo in cui preparano la conferenza (McEwan 2011, 72-80). È di tutta evidenza la generosa dedizione di Saxl che si libera di tutti i suoi impegni di ricerca e di docenza, ritardando la preparazione delle lezioni per i suoi corsi universitari e procrastinando la consegna di diversi saggi (McEwan 2011, 72), per dedicarsi toto corde alla missione di fare di quella conferenza insieme il farmaco e la prova che Warburg può uscire dalla malattia, che può virare in senso positivo il potenziale delle sue energie psichiche, incanalando nuovamente la forza delle sue tensioni sui binari del lavoro di ricerca (Wedepohl 2011, 130-135; McEwan 2012, 72-80; 1).
Comunque l’idea della conferenza era stata con tutta probabilità proposta da Binswanger per testare la capacità di Warburg di concentrazione e di studio, dopo i progressi nel controllo di pensieri e azioni che, se pure in modo desultorio, il medico aveva registrato fin dalla primavera del 1922. Era un modo perché Warburg potesse dar conto anche della sua tenuta fisica e intellettuale in occasione di una lezione in pubblico, e in questo senso la lezione ha un esito nettamente positivo: Binswanger, pur stigmatizzando la disorganizzazione e le difficoltà tecniche di una lettura che accompagnava la proiezione di diapositive e il fatto che la portata scientifica del tema e l’articolazione, spesso digressiva del discorso, fosse ardua e specialistica, comunque inadeguata rispetto al pubblico degli ascoltatori, registrerà favorevolmente la “grande prestazione dinamica” e la “sorprendente padronanza mentale del paziente” (Stimilli 2005a, 125-126).
Vari testimoni riferiscono del fatto che non solo Binswanger e Saxl furono soddisfatti dell’esito del test, ma lo stesso Warburg afferma la sua soddisfazione per il successo dell’esperimento: è la consapevolezza, in diretta, che l’obiettivo è raggiunto, che quella prova è il punto di svolta verso la guarigione e il ritorno alla vita. È certo che, anche dal punto di vista del tema, dopo la riattivazione dell’interesse per gli Hopi (che avviene, come abbiamo visto grazie all’impulso della lettura di Cassirer), Warburg riprende il filo di quella comparazione a distanza: ancora alla fine del 1923 appunta almeno una nota (datata) sul testo di B, e in contemporanea lavora ai ricordi del viaggio nel New Mexico (Ghelardi 2006a). Ma ciò non significa affatto che considerasse quel testo un lavoro scientifico degno di essere pubblicato, o che volesse farne un saggio. Come noto, il 26 aprile scrive a Saxl la famosa lettera in cui proibisce qualsiasi forma di pubblicazione del testo:
Caro dottore, Le chiedo solennemente di non mostrare a nessuno, senza il mio espresso consenso, il manoscritto della mia conferenza del 21 aprile 1923 alla casa di cura Bellevue sul tema “Immagini dalla regione degli Indiani Pueblo del Nordamerica”. La conferenza è infatti così confusa e filologicamente così debole che potrebbe avere - forse - qualche valore solo a condizione di ampliarla con alcuni documenti sulla storia del pensiero simbolico. Ma per farlo in modo attendibile sarebbe necessaria una nuova, completa rielaborazione. Potrà mostrare questa orrida convulsione di una rana decapitata solo alla mia cara consorte, in parte al dottor Embden e a mio fratello Max e al professor Cassirer. A quest’ultimo rivolgerei altresì la preghiera di dare uno sguardo, se ha tempo, ai frammenti iniziati in America. Di questa roba non voglio però che si pubblichi assolutamente nulla. [...] (Aby Warburg, Lettera a Fritz Saxl, Kreuzlingen 26 aprile 1923 in Carchia, Cuniberto 1998, 67-68).
“Gräulichen Zuckungen eines enthaupteten Frosches”, “le orride convulsioni di una rana decapitata”: il modo in cui Warburg, soltanto pochi giorni dopo la conferenza, descrive le condizioni in cui ha preparato il testo, sembrerebbe in contrasto con l’entusiasmo che Saxl e lo stesso Binswanger registrano in quei mesi in cui Warburg finalmente torna, dopo un periodo così lungo di esilio allo studio e alla scrittura, ritrovando la carica delle energie e della passione della sua vita activa. Ma, a ben leggere, l’espressione non è così contradditoria. A quanto mi risulta nessuno ha rintracciato la fonte – e quindi ha inteso il preciso significato – della strana, e macabra, immagine della “rana decapitata”: si tratta della citazione di un testo che sappiamo Warburg aveva particolarmente apprezzato, un libro che aveva trovato nei suoi anni fiorentini alla Biblioteca Nazionale di Firenze e per il quale aveva annotato nel suo diario “Finalmente un libro che mi è utile” (citato in Gombrich [1970] 1983, 71). In quel volume – L'espressione delle emozioni negli animali e nell’uomo di Charles Darwin – leggiamo:
Un gran numero dei movimenti complessi è riflesso. L’esempio migliore che si possa dare è quello della rana decapitata che non può sentire né può eseguire alcun movimento in modo cosciente. Eppure se si mette una goccia di acido sulla superficie inferiore della coscia di una rana che si trova in questo stato, essa allontanerà la goccia con la superficie inferiore del piede della stessa zampa […]. Dopo alcuni sforzi infruttuosi desisterà dal tentare questa via e apparirà agitata come se stesse cercando qualche altra soluzione […]. Si deve notare che qui non abbiamo semplicemente la contrazione di qualche muscolo, ma contrazioni combinate e armonizzate di molti muscoli, nella sequenza giusta, per uno scopo preciso. Si tratta di movimenti e azioni che hanno tutta l'apparenza di essere guidati dall'intelligenza e suscitati dalla volontà, in un animale al quale, invece, è stato asportato l'organo dell'intelligenza e della volontà (Darwin [1872] 1999, 77-78).
Come prova di presenza e di tenuta fisica e mentale, la conferenza di Kreuzlingen è andata bene, ma da un altro punto di vista, valutando il valore oggettivo di quel lavoro, Warburg lo considera la contrazione involontaria di una rana darwiniana, un moto deprivato della volontà e del governo dell’intelligenza. Come la mera reazione della rana darwiniana, la conferenza è da considerarsi lo spasmo nervoso che viene da un essere decapitato nelle funzioni di governo del pensiero – ovvero che non ha il controllo diretto sui testi e sui materiali che sarebbero necessari per la preparazione di un vero testo scientifico, né la libertà nella scelta dei tempi e nei modi dell’esecuzione. Warburg, sarà il caso di ripetere, è più che soddisfatto dell’esito della conferenza, ma soltanto per il fine pratico che essa doveva avere: dimostrare che era in grado di tenere un discorso in pubblico, di una certa estensione (di 45 minuti, secondo McEwan 2012, 75; di un’ora e tre quarti, secondo Binswanger in Stimilli 2005a, 126). Ma quella soddisfazione non interferisce con un’altra consapevolezza: “La conferenza è infatti così confusa e filologicamente così debole che potrebbe avere – forse – qualche valore solo a condizione di ampliarla con alcuni documenti sulla storia del pensiero simbolico”. Pare chiaro che il riferimento è, ancora, a Cassirer, ed è infatti dal filosofo che Warburg sollecita, via Saxl, un riscontro, è con lui che vuole discutere delle sue intuizioni,e confrontarsi per sapere da lui se le sue idee non gli paiano troppo “deboli” (così McEwan 2012, 79). Non sono gli Hopi in sé che interessano Warburg: è la relazione tra pensiero magico e pensiero razionale, è lo spazio del pensiero, che è anche quella spaziatura tra phobos e logos, tra pathos e sophrosyne, che il rito magico suggella e garantisce: gli Hopi non interessano a Warburg se non come pietra di paragone, come analogon che, dalla distanza culturale di una dimensione completamente altra rispetto alle coordinate storiche e geografiche su cui imposta i suoi studi, gli consentono di vedere meglio, di studiare meglio, la sempre reversibile transizione dal pensiero magico al pensiero logico, che è l’oggetto dei suoi studi, ma anche un altro modo di dire la sua malattia (su questa linea interpretativa, vedi, in questo numero di “Engramma”, Ferrando 2023 e Settis [2006] 2023).
“Die Logik in der Magie des primitiven Menschen”: questo è propriamente il primo titolo, e il tema delle sue riflessioni sugli Hopi. Lo spunto e poi la stesura della conferenza nascono dall’intuizione di un parallelo praticabile, dell’applicazione dell’idea di “rinascimento” alla fase culturale di cui gli Hopi sono testimoni (per dirla con Settis).
“Le chiedo solennemente di non mostrare a nessuno, senza il mio espresso consenso, il manoscritto della mia conferenza del 21 aprile 1923”. Handschrift: con questo termine Warburg si riferisce al testo della conferenza nella lettera a Saxl del 26 aprile. E la scelta della parola non è casuale, né può essere una svista: il testo a cui si riferisce è bensì il dattiloscritto da Saxl, ma per i copiosi interventi apposti a mano è di fatto un ‘manoscritto’: un brogliaccio che, sconnesso dal sistema nervoso della sua biblioteca, è la “convulsione di una rana decapitata”. Questo è quel che resta della conferenza di Kreuzlingen. E la storia finisce qui: a meno – scrive Warburg – di non “ampliarla con alcuni documenti sulla storia del pensiero simbolico”, che si può tradurre così: “a meno di non studiare, con tutti gli strumenti che servono”; e, soprattutto, “a meno di non lavorarci con Cassirer”. Se non ci saranno quelle condizioni l’esito di quel lavoro per Warburg è – e deve restare – il “manoscritto” B.
I progetti di edizione del testo della conferenza (Londra 1934-1988)
Nel primo “Annual Report of The Warburg Institute”, datato 1934-1935, leggiamo quale sia l’agenda che si prefiggono di realizzare i prosecutori dell’impresa di Warburg, trasmigrati a Londra:
Before new English works are taken in hand, we are however faced with the task of completing those already begun in Germany. An essential piece of work of this kind we consider to be the edition of Professor’s Warburg collected works, two volumes of which appeared earlier (Gesamelte Schriften, Band I und 2: Die Erneuerung der heidnischen Antike, Kulturwissenschaftliche Beiträge zur Geschichte der europäischen Renaissance; mit einem Anhang unveröffentlicher Zusätze unter Mitarbeit von Fritz Rougemont herausgegeben von Gertrud Bing; Berlin Leipzig 1932). An “Atlas”, which will contain his hitherto unpublished work on “the history of the Expression and Gesture in the Renaissance”, with special reference to the influence of classical sources, is being prepared by Dr. Bing. Dr. Wind is working on an edition of Warburg’s studies of “Snake Dance and Ritual”.
Riassumendo, dunque: prima di mettere mano ai nuovi lavori in inglese, il gruppo del Warburgkreis – composto allora da Fritz Saxl, Gertrud Bing, Edgar Wind, Rudolph Wittkower – si ripropone di pubblicare “with the task of completing those already begun in Germany” (ovvero evidentemente in tedesco) gli inediti di Warburg: in primis Mnemosyne, a cui sta lavorando Bing e che viene definito “un atlante sulla storia dell’espressione e del gesto nel Rinascimento, con particolare riferimento all’influenza delle fonti antiche”; ma subito a seguire è in programma un’edizione degli “studi sulla danza e il rituale del serpente” a cui sta lavorando Edgar Wind (sulla relazione, stretta e necessaria, che si instaura dal 1926 tra il giovane Wind e Warburg ho scritto in Centanni 2022b, 77-78).
Per quanto riguarda specificamente il nostro tema, si noti che a quanto si legge nel “Report 1934-1935”, Wind risulta incaricato non già di pubblicare il testo della conferenza di Kreuzlingen, ma, a completamento dei due volumi pubblicati da Teubner nel 1932, di pubblicare gli “studies” (al plurale) di Warburg “of Snake Dance and Ritual”, evidentemente in lingua tedesca (così si ricava dal testo del “Report”: “Before new English works are taken in hand”). A quanto ci è dato di capire dalla sommaria descrizione del progetto, Wind avrebbe dovuto collazionare i vari testi prodotti da Warburg sul tema che includevano, probabilmente, anche il testo della conferenza del 1923, ma anche gli appunti e i “ricordi” del viaggio tra gli Hopi (per intenderci i testi che possiamo leggere in italiano grazie a Ghelardi 2006a).
Sta di fatto che di questo progetto presentato nell’“Annual Report” 1934-1935, gli studiosi del Warburgkreis non riusciranno a portare a compimento né la pubblicazione, affidata a Wind, degli “studi sulla danza e rituale del serpente”, né il primo punto all’ordine del giorno, ovvero l’edizione di Mnemosyne, affidata a Gertrud Bing (sull’urgenza disattesa della pubblicazione del Mnemosyne Atlas che Bing ancora rilancia negli anni ’40, ho scritto in Centanni 2022b, 100-ss.). In realtà, gli eredi di Warburg a Londra non riusciranno né a completare l’edizione in tedesco delle opere di Warburg con l’Atlante e gli scritti sul Rituale, né a promuovere, nei decenni successivi, come ripetutamente metteranno in programma, la traduzione in lingua inglese dei saggi editi di Warburg, che sarà realizzata soltanto nel 1999, per le edizioni del Getty Institute di Los Angeles, grazie a un progetto fortemente voluto da Salvatore Settis e da Kurt W. Forster (Forster 1999).
L’unico scritto che sarà pubblicato alla fine degli anni ’30, ma in traduzione, sarà invece A lecture on Serpent Ritual, una versione della conferenza di Kreuzlingen pubblicata nel secondo volume del “Journal of the Warburg Institute” (Mainland 1939). Questo testo resterà, per sessant’anni, il solo scritto di Warburg disponibile in lingua inglese.
A quanto risulta dai documenti e dalle note apposte sulle schede dell’Archivio del Warburg Institute, per la confezione di questa traduzione, qualcuno – con tutta probabilità Fritz Saxl o Gertrud Bing (non già Edgar Wind, come è stato anche indicato, equivocando, credo, sull’affidamento a Wind dell’edizione – in tedesco! – degli “studi sul Rituale” annunciata nel “Report” 1934-1935), passa a Mainland una copia dichiaratamente “abbreviata” della conferenza: come ha dimostrato Piermario Vescovo si tratta di un fascicolo che viene composto ad hoc mettendo insieme il corpo di una redazione ‘pulita’ del testo (A-A1, o una copia ribattuta per l’occasione da A), con aggiunti in testa i primi paragrafi del testo che mancano in A-A1, estratti da B, e in coda l’importante clausola che integra il finale indirizzandolo in un senso tutto diverso dal testo che si legge in A-A1 (Vescovo 2023).
La traduzione inglese di Mainland 1939, esemplata sul sommario e pasticciato montaggio da esemplari diversi (B per i primi paragrafi; A-A1 per il corpo del testo; la nota manoscritta di B per il finale) si presenta apertis verbis come una versione abbreviata della conferenza, non tiene conto pressoché di nessuna delle varianti ‘finali’ che si leggono in B, ma comunque restituisce il finale in forma integrata e corretta. Così sarà anche per i frammenti della conferenza che Gombrich pubblicherà nel 1970 all’interno della Intellectual Biography, basandosi evidentemente sul testo conservato nell’esemplare B (sul fatto che Gombrich per la Biografia utilizzi i materiali che erano stati predisposti da Gertrud Bing ho scritto in Centanni 2020).
Ma quando cinquant’anni più tardi, nel 1988, da Londra viene inviata una copia del testo per l’editio princeps tedesca, l’archivista, con tutta probabilità da identificare in Anne Marie Meyer, invia a Ulrich Raulff una ‘copia pulita’ di A, con l’integrazione dei paragrafi iniziali ma mancante dell’importante finale (di cui pure avevano tenuto conto Gombrich 1970 e Carchia 1984). Di qui deriva il testo che circola in tutte le edizioni nelle varie traduzioni (prima delle meritorie nuove edizioni Treml et all. 2010, Fleckner 2018) che è pertanto il testo della redazione di A-A1 senza le ultime integrazioni e mutilato del finale.
Sul processo di redazione materiale di B e di A (con un omaggio all’anonima dattilografa di Kreuzlingen)
Qualche considerazione sulla redazione, e sugli autori materiali del dattiloscritto/manoscritto che leggiamo in B. Le studiose che hanno avuto modo di accedere direttamente alle carte dell’archivio – Dorothea McEwan e Claudia Wedepohl – sono concordi nel sostenere l’ipotesi che sia stato Saxl a battere a macchina il testo che vediamo dattiloscritto. “Grazie a documenti in parte ancora inediti e all’analisi critica dei testi” l’idea è che “il dattiloscritto fu realizzato non solo dal punto di vista tecnico, ma molto probabilmente anche da quello contenutistico, in collaborazione con Fritz Saxl” (così Wedepohl 2011, 130-132). La presenza di due grafie diverse nelle correzioni e nelle aggiunte, rende più che probabile che lo stesso Saxl, oltre che Warburg, abbiano poi interpolato la versione dattiloscritta intervenendo con appunti apposti a mano sui fogli. “Warburg diktierte an den Nachmittagen, Saxl tippte abends die Texte und las sie am nächsten Vormittag vor” (così McEwan 2012, 75): stando a quanto ricostruisce McEwan la redazione del testo passa almeno per tre fasi – dettatura di Warburg nel pomeriggio, con Saxl che, a quanto par di capire, trascrive quanto Warburg dice in appunti manoscritti; battitura a macchina di Saxl la sera; lettura comune del testo dattiloscritto la mattina seguente – e questa procedura prevede che nella fase di rilettura Saxl apponesse sui fogli le correzioni che Warburg via via indicava. A seguire, stando all’evidenza degli appunti di mano dello stesso Warburg sulle pagine, il dattiloscritto restava all’autore che lo rileggeva e lo ricorreggeva fino a poco prima della conferenza. Saxl si impegnò giorno dopo giorno a correggere il testo, aiutando Warburg anche nella selezione della serie di immagini da proiettare che, stando all’ultimo titolo scelto per la lezione “Bilder aus dem Gebiet der Pueblo-Indianer in Nord-Amerika” costituivano il vero e proprio filo rosso della conferenza.
Possiamo bene immaginare come fossero vivaci e animate le sedute che seguivano alla prima dettatura, con la rilettura e la correzione del dattiloscritto, e quanto quelle giornate siano state impegnative per Warburg ma anche per Saxl, il quale con un significativo lapsus nel conteggio del tempo speso nell’impresa registra come “sette settimane” un periodo di tempo che in realtà – a partire dal 18 marzo – di settimane ne copre quattro piene che, arrotondando, si possono conteggiare al massimo come cinque. L’esito di questo lavoro è B con tutte le sue note e appunti, cancellature e ripensamenti. Si è molto insistito sulla scrittura “tormentatissima” di Warburg nel suo periodo di ricovero, leggendo nelle incertezze e difficoltà di quella grafia un segno del tormento psichico del paziente di Bellevue: ma se è vero che negli anni del ricovero la scrittura di Warburg peggiora fino ai limiti dell’intelligibilità, è altrettanto certo che la grafia di Warburg, in tutti i periodi della sua vita, non fu mai una scrittura chiara e lineare. Da segnalare altresì che, come ha ben visto Piermario Vescovo, l’appunto di Warburg sull’effetto dell’oppio sui suoi pensieri (e quindi sulla sua scrittura) non è da datare ai mesi di marzo e aprile del 1923, in cui prepara il testo della conferenza, ma all’estate successiva: anche stando a quanto riportato nelle cartelle cliniche, dal 18 marzo 1923 la somministrazione dell’oppio viene sospesa (Stimilli 2005a, 124).
Di fatto, a ben vedere, se lasciamo perdere l’intrigante immagine dell’intellettuale travagliato dalla malattia mentale che scrive ossessionato dai suoi demoni e in preda all’oppio dalla stanza del manicomio, le pagine di B ci appaiono molto ‘normali’: quei fogli non presentano un aspetto difforme rispetto ai dattiloscritti che ogni studioso, fino ai nostri giorni, predispone – oggi battendoseli da sé al computer – per le sue lezioni o conferenze. Si prenda a campione e come confronto il fascicolo qualunque di un testo che chiunque di noi prepara per un intervento da tenere a un convegno o per una lettura pubblica, e lo si ponga accanto ai fogli di B: si apprezzeranno i medesimi segni e sintomi di “tormento”. Le correzioni, le note, le glosse, le sottolineature, anche segnacci di aiuto alla lettura che servono solo a dare evidenza a una porzione di frase su cui appoggiare la voce, le segnature a margine del numero della slide del PowerPoint da allineare ai passi da leggere, o gli appunti che marcano la corrispondenza tra testo e immagine: tutte interpolazioni apposte fino a pochi minuti prima del momento in cui il testo viene letto, o tenuto sotto gli occhi come traccia per la recitazione. In sostanza, più che essere una prova del disagio psichico di Warburg, B pare invece la perfetta prova in corpore vili del ritorno alla vita normale di uno studioso che ‘normalmente’ mette mano alla traccia del testo fino all’ultimo minuto prima della conferenza. È un lavorìo che mira a guadagnare la ripulitura concettuale e formale del testo e che però, sotto il profilo materiale, sporca di segni e segnacci la carta della pagina: un lavorìo che per di più, nel caso di Warburg, è complicato dal fatto di avere una interlocuzione aperta con un collaboratore devoto e servizievole come Saxl che interviene attivamente in tutte le fasi della stesura del testo, dalla battitura a macchina alla revisione di idee, dalla correzione di singole parole alla sostituzione di frasi diversamente formulate. Niente di più e niente di meno di questo è B: della stessa natura, per fattura e per travagliata composizione, dei testi preparatori di una conferenza o di una lezione che teniamo nelle cartelle dei nostri archivi personali.
Accanto a B [WIA III.93.1] c’è poi A-A1 [WIA III.93.3] e il faldone di fogli sparsi [WIA III.93.2] che contiene anche alcune parti di B trascritte ‘in bella copia’ (su questa ulteriore copia di lavoro sono in corso una serie di verifiche per una nuova edizione critica: Zanon 2023). Ma si pone qui un interrogativo: chi ha scritto materialmente il testo trasmesso da A-A1? Sulla base della ricognizione filologica di Vescovo, come si è visto è da escludere che A-A1 registri, come è stato ripetuto finora, una redazione successiva a B: è ora acclarato che A-A1 registra una redazione del testo eseguita in parallelo e in molti luoghi precedente rispetto alle correzioni e alle varianti introdotte nella redazione B. In attesa di verifiche tecniche sulle caratteristiche fisiche dell’esemplare A-A1 che ne consentano una datazione certa (filigrana della carta, caratteristiche meccaniche della macchina da scrivere) possiamo provvisoriamente ammettere che, come attestano le note apposte sulle schede del Warburg Institute Archive, l’esemplare contrassegnato dalla sigla III.93.3 sia, dal punto di vista materiale, una copia esemplata in un’epoca successiva, messa a punto con l’obiettivo funzionale di procurare un testo leggibile e chiaro al fine della traduzione o dell’edizione. La copiatura di A-A1 può essere avvenuta o in occasione della predisposizione della versione inglese di Mainland 1939 o, più tardi, nel 1988 in occasione dell’invio del testo su cui Raulff basa la sua editio princeps (edizione basata su quel testimone unico, riprodotto meccanicamente, senza recensio o collatio su altri esemplari). Ma se pure si confermasse che A-A1 è una copia postuma e tardiva, realizzata dopo il trasferimento a Londra, la ricostruzione di Vescovo fa (un bel po’ di) luce sul fatto che A-A1, anche se quella copia fosse stata realizzata a una certa distanza, geografica e temporale, dalla redazione di Kreuzlingen, è comunque l’apografo di una ‘copia in bella’ del testo che la variantistica attesta essere stata dattiloscritta tra il 18 marzo e il 21 aprile a Kreuzlingen, che registrava una redazione precedente alla redazione ultima e finale testimoniata da B. Ma se, come abbiamo detto, Saxl collaborava battendo a macchina e poi correggendo fianco a fianco a Warburg il testo di B, parallelamente a quel testo che Warburg tenne sotto gli occhi per la sua conferenza, chi ha battuto a macchina il testo ‘in bella’ trasmesso da A-A1? In altri termini: sia A-A1 un esemplare realizzato a Kreuzlingen, o sia esso un apografo recenziore redatto a Londra – comunque sia, chi ha dattiloscritto A-A1, o il suo antigrafo?
In una lettera di Fritz Saxl a Fritz Warburg, fratello minore di Aby, datata 21 settembre 1922 troviamo questa notizia:
Wir besprachen, welche arbeit Herr Professor eventuell als nächste machen könnte und einigten uns, dass es die Herausgabe einer Schrift von ihm sei, die nur auf italienisch erschienen ist. Die Frage regte ihn so an, dass er sofort begann, mir neue Einsichten zu diktieren. Er hat den Wunsch geäussest, seine Gedanken über seine eigene Krankheit und über Fragen von Zusammenhängen in der Natur zu diktieren, wofür ihm Dr. Binswanger ein Schreibfräulein zugesagt hat (WIA GC/13861=Lettera di Fritz Saxl a Fritz Warburg, 21 settembre 1922: la lettera è citata in traduzione anche in Stimilli 2005a).
Dal settembre 1922, dunque, a quanto Saxl notifica nella lettera a Fritz, Warburg nel momento in cui recupera le energie necessarie per rimettersi al lavoro, dapprima pensa di confezionare una versione in tedesco di un suo “lavoro apparso solo in italiano” (probabilmente il saggio sui costumi del Buontalenti) poi comincia a dettare a Saxl spunti per nuove idee e quindi, avendo espresso il desiderio di “dettare i suoi pensieri”, chiede e ottiene da Binswanger di avere una “Schreibfräulein”. Possiamo ipotizzare che anche qualche mese dopo, a cavallo tra marzo e aprile 1923, quando scrive e trascrive e riscrive il testo della conferenza, oltre ad avvalersi del prezioso aiuto di Saxl nel ruolo di dattilografo oltre che di consulente, Warburg abbia al suo servizio anche quella dattilografa che gli era stata messa a disposizione su sua richiesta.
A quanto risulta dall’evidenza di alcune pagine lasciate parzialmente a metà (v. ancora Vescovo 2023), a quella “signorina” Warburg e Saxl probabilmente passavano via via porzioni del testo che consideravano, ottimisticamente, definitive: pagine il cui testo veniva poi invece superato dalla copia di lavoro vera e propria, ovvero da B che registrava via via le modifiche di Saxl e di Warburg, con ripensamenti e ritocchi anche importanti che interferivano con le lezioni sia nella parte dattiloscritta del testo che nelle note manoscritte appuntate interlinea o a margine del testo, fino alle ore immediatamente prima della conferenza quando Warburg, rimasto solo perché Saxl è ripartito, segna a matita le parti di testo da enfatizzare per la resa del parlato, i punti tematici, e i numeri delle diapositive collegate ai paragrafi di testo. Esattamente come fa chiunque di noi.
Dunque, chi ha battuto a macchina A-A1 (o l’antigrafo di cui A-A1 è l’apografo) è con tutta probabilità quella dattilografa che batteva diligentemente in pulito una redazione del testo, destinata a non essere utilizzata in occasione della conferenza ma che paradossalmente, proprio in forza della sua pulizia, avrebbe avuto tanta fortuna nella storia editoriale del cosiddetto “Rituale del serpente”.
La preparazione sulla conferenza procedeva in modo inaspettatamente rapido ed “entusiasta”, pur soffrendo Warburg della mancanza dei libri e dei materiali di lavoro che, come scrive Saxl, “lamentava che gli impediva di passare dalla filosofia alla materia”. Quell’impegno quotidiano era il modo “per uscire dal mondo degli spiriti ed entrare nel mondo della salute” (McEwan 2012, 76). Ma purtuttavia, da quanto possiamo ricostruire, la vita di Saxl non fu facile in quel periodo, e quei venticinque giorni di lavoro dovettero essere molto pesanti se gli parvero lunghi “sette settimane”. E quella fatica non era che un anticipo di quel che sarebbe avvenuto dopo, al ritorno di Warburg ad Amburgo quando Saxl dovrà fare i conti con il ritorno del redux; quando Aby, pur grato al suo “instancabile collaboratore” che gli era stato così vicino nel periodo di Kreuzlingen, grato in particolare per come la Biblioteca era stata gestita in sua assenza dallo stesso Saxl e dalla neo-assunta Gertrud Bing, esprimerà le sue perplessità sul profilo etico e deontologico di Saxl, arrivando a tacciarlo, nelle confidenze alla moglie Mary, di essere attaccato al denaro più che agli studi comuni, e mettendo in dubbio anche la sua caratura di intellettuale (McEwan 2012, 80). L’ombra di sospetto e di diffidenza di cui Saxl è fatto oggetto da parte di Warburg, e non solo in questa circostanza, sarà invece del tutto assente nell’atteggiamento tutto luminoso di Warburg verso Gertrud Bing, che conoscerà personalmente al ritorno ad Amburgo, e verso Edgar Wind, che incontrerà nel 1926 – i nuovi giovani amici in cui Warburg riconoscerà i suoi veri eredi.
Ma torniamo, per chiudere, a quei giorni tra marzo e aprile 1923 e ai personaggi presenti sulla scena di Kreuzlingen quando Warburg preparava la sua conferenza-pharmakon. Leggendo le lettere di Saxl e quanto annotato nelle cartelle cliniche, i modi con cui Warburg trattava il personale che aveva intorno erano a dir poco scostanti, e se era stata dura la vita di Saxl, possiamo immaginare quanto sia stata dura, in quei giorni, la vita di quella “signorina”. A quella anonima ragazza, che diligentemente metteva ‘in bella’ copia, con la sua macchina da scrivere, pagine che nell’immediato non sarebbero servite a niente, ma che avrebbero ingenerato tanti equivoci nella tradizione di quel testo, va tutta la nostra, complice, simpatia. Anzi, al suo lavoro che il 21 aprile 1923 rimase inutilizzato, ma che poi sarebbe stato abusato per cent’anni e fino ad oggi – proprio al lavoro paziente della dattilografa di Kreuzlingen, chi scrive insieme a tutti gli studiosi che hanno collaborato per lunghi mesi ai lavori di questo numero della rivista, dedichiamo l’intero numero di “Engramma” 201.
Riferimenti bibliografici
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G. Zanon, Per una nuova edizione critica del testo della conferenza di Warburg a Kreuzlingen (21 aprile 1923). Note preliminari e un saggio dell’edizione critica dell’incipit e dell’explicit del testo Bilder aus dem Gebiet der Pueblo-Indianer in Nord-Amerika, “La Rivista di Engramma” n. 201 (aprile 2023).
English abstract
The text of the lecture Warburg gave in Kreuzlingen on 21 April 1923 is no doubt his most famous and widely circulated work. To date, however, no precise philological analysis has been made of the typescripts preserved at the Warburg Institute Archive in London which transmitted the text. We owe to Piermario Vescovo and to his great philological accurancy, the tracing of the complex genesis and transmission of the Kreuzlingen Lecture text. Warburg, as known, forbade the text to be published, and described it as the convulsions “of a decapitated frog”. The source of the image Warburg adopts is first identified in this contribution in a passage from Charles Darwin’s The expression of the emotions in man and animals. On the basis of Vescovo’s research which precisely delineates the relationship between the different versions of the text, the paper focuses on the materiality of the typescripts, and on their material making. The text B [WIA III.93.1] is the troubled fruit of Warburg’s own repeated revision of the text with the collaboration of Fritz Saxl; the text A [WIA III.93.1] had hitherto been regarded as the later, cleaned-up version of the text and had thus offered the basis of its translations in different languages. According to Vescovo’s reconstruction, however it is a version of an earlier text than B. Vescovo assumes that the person who physically typed the text preserved in A-A1 was the typist-girl who, according to Saxl’s testimony, Binswanger sent to Warburg from September 1922.
keywords | Warburg; Kreuzlingen lecture; Typewritten versions.
Per citare questo articolo / To cite this article: M. Centanni, “Le orride convulsioni di una rana decapitata”. Sulla redazione degli esemplari B e A della conferenza di Aby Warburg a Kreuzlingen (21 aprile 1923), “La Rivista di Engramma” n. 201, aprile 2023, pp. 47-62 | PDF of the article