L’immaginario del gesto isterico nella Francia di fine Ottocento: tra mimo e malattia
Silvia De Min
English abstract
I. Introduzione. Circolazione di un’immagine inconsueta
Il 20 marzo 1834, nella rivista “Teatro, arti, letteratura”, venne data testimonianza, in forma di lista, di quelle che venivano chiamate le “pubbliche esposizioni in Bologna”:
Un microscopio solare acromatico, mediante il quale 50 persone possono vedere ad un tempo l’oggetto stesso ingrandito sei milioni. […] - Molte figure di grandezza naturale, le quali rinnovano alla mente alcuni fatti famosi, la maggior parte atroci ed avvenuti di recente. Fra questi i più orribili sono: Antonio Leger nel bosco di Versailles uccide e divora una fanciulla; Debois, celebre avvocato di Parigi, in atto di uccidere la quinta moglie, solleticandole i piedi, dopo averla strettissimamente fasciata: il fratello di lei accorre in soccorso e la salva: il barbaro si dà alla fuga. Luogo della Esposizione la Sala del Leon d’oro. - Una donna dell’altezza di 6 piedi, pollici 2 e mezzo di Francia, ed un nano che all’età di 37 anni non oltrepassa le 21 once. [...] Luogo della Esposizione la Sala delle Accuse.
L’esposizione di stranezze era una pratica spettacolare di cui ci sono testimonianze ben precedenti. È sufficiente osservare qualcuna delle tele di Pietro Longhi per trovare rinoceronti, uomini dalle misure fuori norma, pseudo-scienziati pronti a vendere elisir miracolosi, esposti nei campi veneziani della metà del Settecento come momenti di vera e propria spettacolarità.
Nel 1834, questa spettacolarità di piazza sembra fare leva, da un lato, sull’effetto stupefacente dello sguardo ‘scientifico’ e, dall’altro, su una sorta di gusto grandguignolesco avant la lettre. Alessandro Cervellati, che fu cultore e storico del teatro di strada, scrisse che negli anni ‘30 dell’Ottocento girava l’Italia “un Museo di Figure di Cera di Grandezza Naturale” che presentava fattacci di cronaca nera, messi in scena in forma pantomimica (Cervellati 1959, 116). Questa forma di spettacoli di piazza, soprattutto lì dove il potenziale attrattivo si limita all’esposizione del corpo - non normato o coinvolto in un’azione eccentrica -, attraversa le epoche e potrebbe costituire un importante bacino di ricerca. Ma quello che attira qui l’attenzione è il riferimento al fatto di cronaca che vide coinvolto l’avvocato Debois, “ritratto” nel tentativo di ammazzare la moglie solleticandole i piedi. Questa micro-azione, per quanto singolare, sembra diventare, nel corso del XIX secolo, una sorta di topos letterario, artistico e performativo.
Facendo un salto improvviso ai nostri giorni, ritroviamo questa stessa immagine in Annette, film musicale di Leos Carax, uscito nelle sale nel 2021. Il film racconta la storia d’amore tra un attore comico e una cantante lirica. Ad interessare, in questo frangente, non è tanto la vicenda raccontata e il suo esito tragico, quanto una scena centrale del film. Henry, l’attore di stand-up comedy protagonista, assorbito dalla paternità e schiacciato dal sempre maggior successo della compagna cantante, vede improvvisamente precipitare la propria carriera. La scena che ne sancisce il definitivo insuccesso lo vede interpretare un pezzo in cui immagina di aver ucciso la moglie attraverso il solletico. Henry, sul palco, mima le due parti: la mania “solleticante” che lo coglie irrefrenabile e il corpo della povera compagna, soggetta a contorsioni sempre più laceranti fino al momento finale dell’irrigidimento mortale. Nel film, il pubblico non ride, protesta, grida allo scandalo, decretando così la fine della carriera dell’attore e l’inizio del suo crollo emotivo. Rispetto a questo episodio del film, in un’intervista riportata nel dossier de presse, Leos Carax dichiara:
I was consulting an American friend, Lauren Sedovsky, on the project. She knows a lot, about everything: art, literature, philosophy, ... She told me about this old mime play by Paul Margueritte, called Pierrot assassin de sa femme, in which Pierrot searches for the best way to kill his wife, and finally decides to tickle her to death. It was the perfect inspiration for our laughter, breath and death theme. [...] There is the same morbidity, and obscenity, in singing and laughing. And sex. Tickling is sexual too. If you’re going to make a film in songs, you have to show all these more or less taboo things, people fucking and doing those other things you never see in musicals for some reason.
(Intervista a Leos Carax di Aliza Ma, 16 luglio 2021, https://medias.unifrance.org/medias/83/178/242259/presse/annette-dossier-de-presse-anglais.pdf)
La scena del film, in effetti, rimanda proprio alla pantomima di Paul Margueritte che sarà oggetto di queste pagine. Ancora oggi, ad essa viene affidata una morbosità oltraggiosa, capace di convocare in un solo gesto la vitalità del sesso e la rigidità della morte, un contrasto che attira e disgusta il pubblico rappresentato nel film di Carax mentre assiste all’esibizione di Henry e, di riflesso, quello presente in sala oggi. Lo stesso effetto perturbante, probabilmente, percorreva le piazze d’Italia della prima metà dell’Ottocento quando veniva esposta la scena dell’avvocato Debois.
II. Pierrot assassin de sa femme
Pierrot assassin de sa femme [1] è una pantomima scritta e interpretata da Paul Margueritte (1860-1918) nel 1882, presentata nella sua forma definitiva nel 1887, con l’accompagnamento musicale di Paul Vidal. La vicenda ha inizio con il rientro a casa di Pierrot dopo il funerale della propria sposa, Colombina, che lui stesso ha ucciso, facendola crepare dalle risate provocate da un folle solletico. Sotto l’influsso del ritratto della moglie, che sembra fissarlo con uno sguardo che porta su di sé la potenza dell’amore e del crimine, Pierrot rivive il femminicidio, mimando la scena e gli spasmi dei corpi, quello della vittima e quello del carnefice. La rievocazione del dramma provoca una tale angoscia in Pierrot che egli viene colto da un impeto auto-distruttivo che, prima nelle forme dell’auto-solleticamento e poi nell’atto di incendiare la propria casa lo porta, a sua volta, alla morte. L’espediente metateatrale si mostra in tutto il suo potenziale: l’effetto di realtà conclusivo – la morte di Pierrot – è la diretta conseguenza della messa in scena di un episodio passato.
Il tema della tortura o della morte per solletico era ricorrente e Margueritte non aveva inventato l’episodio dal nulla. Nel 1910, in un’opera dal titolo Nos tréteaux in cui raccoglieva le pantomime da lui scritte, Margueritte racconta che le fonti di ispirazione per il Pierrot erano due: i versi del Pierrot posthume di Théophile Gautier citati nell’epigrafe che apre il libretto della pantomima e un racconto di Henri Rivière, Pierrot, del 1860. In un passaggio della scena XIV dell’arlequinade in un atto di Gautier, scritta nel 1847 e ben nota a Margueritte che la portava in scena, il protagonista Pierrot fa in effetti riferimento a un fatto di cronaca: un marito avrebbe ammazzato la propria sposa per mezzo di un folle premeditato solletico. Negli anni ’30 dell’Ottocento, evidentemente, circolavano voci rispetto a un femminicidio perpetrato attraverso quest’atto di tortura (Bonnet 1939, t. 9, 63) e sono probabilmente quelle stesse voci che suggerirono l’esposizione bolognese citata in apertura.
Paul Margueritte interpretava in prima persona il personaggio di Pierrot; come scrive Catherine Thomas in un articolo che ne ricostruisce la figura (2003), egli aveva una fisionomia lugubre e triste e agli occhi di chi lo frequentava appariva soggetto a un costante stato nervoso che sembrava coprire una qualche malattia. Come ricorda Jules Lemaître nelle sue Impressions de théâtre, Margueritte avrebbe scritto una premessa alla pantomima in cui dichiarava di aver costruito un Pierrot personale: “[…] tel que je le sentais et tel que je le traduisis, paraît-il, ce fut un être moderne, névrosé, tragique, fantomal” (Lemaître 1888-1898).
In effetti, il testo di Margueritte evoca chiaramente l’immaginario del corpo nervoso diffuso in Francia (e in Europa) nella seconda metà dell’Ottocento. Paolo Mantegazza, medico, igienista e antropologo, nel 1887, pubblicava Il secolo nevrosico, in cui leggeva gli ultimi decenni del secolo nei termini dell’eccitabilità, dell’irrequietezza, della concezione frenetica e competitiva di un’esistenza sempre più condizionata dalla tecnologia imperante. Prima di lui, nel 1882, George M. Beard introdusse la nevrastenia (esaurimento nervoso) tra le malattie psichiatriche, stabilendo un nesso tra la malattia e l’aumento del ritmo della vita; sulla stessa scia Cesare Lombroso, antropologo criminale, ne Il delinquente e il pazzo nel dramma e nel romanzo moderno (1901) osservava una moltiplicazione di casi di pazzia (nevrosi, isteria, pazzia morale) legati alla logica capitalista. La prospettiva adottata in questo contributo vorrebbe tuttavia tenere conto di una constatazione ulteriore: il corpo nervoso, se da un lato viene identificato come corpo malato, frammentato, degenerato, soggetto ad automatismi paralizzanti, soggetto al contagio, dall’altro viene esplicitamente percepito, almeno dalla fine dell’Ottocento (ma implicitamente forse da molto prima), come corpo artistico e creativo.
Il testo del Pierrot assassin de sa femme è la descrizione dell’azione mimata, a cui si aggiunge la parola che potremmo udire se il personaggio coinvolto parlasse. Ne risulta un testo piuttosto tradizionale, costituito da didascalie e battute che rimandano a una parola che, in scena, dovrà evincersi soltanto dalle attitudini fisiche. In che modo vengono descritti gli atteggiamenti del corpo? Come analizzare le lunghe didascalie che scompongono gesti e azioni secondo una precisa tecnica di scrittura dell’immagine scenica? Per tentare una risposta a queste domande, conviene ricordare la parentela tra Paul Margueritte e Stéphane Mallarmé, suo primo cugino e primo estimatore del Pierrot assassin de sa femme. Proprio Mallarmé aveva voluto presentare la pantomima a Valvins, lì dove aveva preso dimora e dato vita a una sorta teatro privato, dove un gruppo di giovani amici si divertiva a inscenare farse, pantomime o qualche lazzo della Commedia dell’Arte (Margueritte, Nos tréteaux, II, 11-13). Del resto, nella breve prosa poetica Mimique (1897), Mallarmé, tessendo un’ode al silenzio musicale, fa riferimento proprio al Pierrot del cugino:
Ainsi ce Pierrot assassin de sa femme […], soliloque muet que, tout du long à son âme tient et du visage et des gestes le fantôme blanc comme une page pas encore écrite […]. Voici — « La scène n’illustre que l’idée, pas une action effective, dans un hymen (d’où procède le Rêve), vicieux mais sacré, entre le désir et l’accomplissement, la perpétration et son souvenir : ici devançant, là remémorant, au futur, au passé, sous une apparence fausse de présent. Tel opère le Mime, dont le jeu se borne à une allusion perpétuelle sans briser la glace : il installe, ainsi, un milieu, pur, de fiction. » Moins qu’un millier de lignes, le rôle, qui le lit, tout de suite comprend les règles comme placé devant un tréteau, leur dépositaire humble. Surprise, accompagnant l’artifice d’une notation de sentiments par phrases point proférées — que, dans le seul cas, peut-être, avec authenticité, entre les feuillets et le regard règne un silence encore, condition et délice de la lecture.
Il mimo richiama una dimensione atemporale a cui solo la pratica gestuale sembra poter alludere: ne conseguono i riferimenti metaforici alla pagina non scritta, all’unione tra il desiderio e la sua realizzazione, al presente che è solo un’apparenza, perché carico di segni che si riferiscono tanto al passato quanto al futuro. Mallarmé offre una chiave di lettura del testo, considerando la parola scritta come depositaria dell’immagine mentale che precede ogni scrittura. E in effetti, tutto ciò che è scritto è un atto performativo che può avvenire soltanto nel gesto puro e silente o nell’atto immobile della lettura silenziosa. Come la scrittura che si realizza sulla scena di cui Mallarmé parla in Crayonné au Théâtre (1897), quella del mimo è una forma di scrittura che non si compie con gli strumenti dello scriba, perché avviene “dal vivo” e il poeta mette in scena il proprio testo nel momento stesso in cui lo abolisce.
Il Pierrot assassin de sa femme si apre con il canonico elenco dei personaggi (Pierrot e il becchino) ed è seguito da un Nota Bene iniziale che suggerisce la regola di lettura e di immaginazione:
NB: Pierrot semble parler? - Pure fiction littéraire! - Pierrot è muet, et ce drame, d’un bout à l’autre, mimé.
Ciò che leggeremo, sottolinea il suo autore, non troverà nessuna vocalizzazione in scena ma è concepito come pura finzione letteraria. L’effetto è quello di una sorta di drammaturgia al contrario, dove le didascalie occupano lo spazio principale del testo mentre le battute sono ridotte ai minimi termini. Ariane Martinez, in un articolo dedicato alle forme mute del dialogo della pantomima di fine ’800, scrive: “Mais le dialogue, et en particulier le dialogue de théâtre, destiné à la scène, peut-il s’installer au cœur du silence, et nier toute vocalisation? Utopique en apparence, une telle tentative existe; elle est au cœur des textes pantomimiques de la fin de siècle” (Martinez 2005, 30-36). Pierrot entra in scena a rimorchio del becchino e il suo incedere è vacillante. Egli barcolla, cade, sviene, “un ravage lent de la pensée qui l’obsède fait passer son visage en quelques secondes par des impressions de crainte, de colère, de tristesse, d’étonnement”. È ubriaco e il suo stato d’animo cambia repentinamente. Scoppia a ridere in modo convulso, sta per aprire bocca come a voler fare un’enorme confessione ma, diffidente, si ferma. Pierrot, incapace di svelare ad alta voce il proprio segreto, si condanna alla sua rievocazione:
Pierrot, comme somnambulesque, reproduit son crime, et dans son hallucination le passé devient le présent.
Il corpo della maschera incarna uno sdoppiamento: Pierrot sarà anche Colombina, sarà uomo e donna, vittima e carnefice. Quello che segue è il passaggio in cui egli diventa doppio, con l’oscillazione pronominale che ne consegue:
[…] (il se jette d’une pièce sur le lit et, se transformant, donne à son corps la raideur d’un corps ficelé, il agite frénétiquement ses pieds chatouillés, il dégage sa bouche du bandeau, il devient, il est Colombine. Elle s’éveille: C’est toi, Pierrot, ah! ah! ah! tu me chatouilles, oh! oh! oh! finis, ah, finis! ah! ah! ah! je vais casser les cordes, oh! oh! oh! tu me fais mal!.. ah! ah! tu me fais mal!…Pierrot se rejette au pied du lit et chatouille, sans parler, sans rire, la mine patibulaire. Soudain, il s’arrête.) J’ai entendu… (il s’avance, porte une main à son oreille, l’autre à son cœur) j’entends… quoi donc ? mon cœur bat. Fort! Plus fort! Plus fort! (Et sa main marque les battements grandissants, et l’œil dans l’orbite, hagard, terrifié, luit.) Le bruit décroit. Mon cœur bat. Moins fort! Moins fort! Posément. Là. Plus rien. (Ses mains retombent.) Quitte pour la peur. Et maintenant, chatouillons: Colombine s’est toi qui paieras ça. (Et il chatouille éperdu, il chatouille farouche, il chatouille encore, il chatouille sans trêve, puis se jette sur le lit et redevient Colombine. Elle (il) se tord en une affreuse gaieté. Un de ses bras devient libre et rend libre l’autre bras, et ces deux bras en démence maudissent Pierrot. Elle (il) éclate d’un rire vrai, strident, mortel ; et se dresse à mi-corps ; et veut se jeter hors du lit ; et toujours ses pieds dansent, chatouillés, torturés, épileptiques. C’est l’agonie. Elle (il) se soulève une ou deux fois – spasme suprême! – ouvre sa bouche pour une dernière malédiction, et rabat en arrière, hors du lit, sa tête et ses bras pendants. Pierrot redevient Pierrot. Au pied du lit, il gratte encore, éreinté, anhélant, mais victorieux. Il s’étonne.) Quoi! Plus rien! Elle ne bouge plus. Est-ce que?...morte ! oui, mais tout de bon! Voyons donc : le cœur? Sans mouvement. Le pouls? Éteint. Les yeux? Renversés. La langue? Pendante. Morte! c’est fini. Arrangeons ça. La tête d’abord, sur l’oreiller : rectifions l’expression. (Sous les doigts sacrilèges de Pierrot, la figure de la morte devient peu à peu calme et souriante.) Enlevons les cordes.
La grafia del testo, che qui viene riprodotta fedelmente rispetto all’originale, aiuta la lettura silenziosa: in tondo e in carattere minore le didascalie; in corsivo le battute, in carattere minore quelle attribuite a Colombina, in carattere maggiore quelle attribuite a Pierrot. Nonostante le parentesi tonde, battute e didascalie sono di fatto un tutt’uno, come si vede dall’impaginazione. Pierrot assassin de sa femme non è un testo di prosa, ma è un testo teatrale rovesciato, in cui battute e didascalie si susseguono senza soluzione di continuità, procedendo allo stesso ritmo, dominate dalla paratassi; medesimo è anche il lessico. La pantomima scrive l’allucinazione e, in questo stato falsato delle percezioni, i piani si mescolano e le funzioni della lingua si sovrappongono.
Segue il torpore e la trasformazione del corpo di Pierrot in statua, immobile. Poi, come già prima era avvenuto, egli ricade in una sorta di crisi epilettica causata dal solletico che il proprio piede sembra subire dal nulla. Il testo, a questo punto, non mescola più i pronomi e Pierrot si scopre vittima di un vero e proprio contagio:
([…] il voit avec stupeur, puis effroi, son pied secoué d’une danse involontaire, d’une trépidation d’alcoolisé. La trépidation monte, prend l’autre pied et l’autre jambe. Pierrot se dresse et flageole. Plus de doute! Le chatouillement de Colombine, comme un mal contagieux et vengeur, l’a pris. Pierrot parcourt en tous sens sa chambre sur la pointe de ses pieds dressés. Ses bras, larges comme des ailes, battent l’air, fous et tragiques :) Arrêtez-vous, o par pitié, arrêtez-vous, mes pieds… (La trépidation cesse. Pierrot retombe sur la plante des pieds et sombre, prend une résolution soudaine.)
La soluzione è l’affondo nell’alcol, soluzione drammaturgica che consente di portare sulla scena l’acutizzazione dei sensi. Un ulteriore momento allucinatorio, infatti, segue questa scena: il letto sembra animarsi, il ritratto di Colombina sembra illuminarsi e la sposa sembra ridere in faccia a Pierrot. Il perturbante accompagna alla conclusione della pantomima ma, prima di arrivare alla scena finale, conviene aprire una parentesi.
III. Lo spettacolo dell’isteria alla Salpêtrière di Parigi
I passaggi riportati del Pierrot assassin de sa femme sono intessuti di precisi rimandi all’immaginario del corpo affetto da isteria che, negli stessi anni in cui Margueritte scrisse la pantomima, si era diffuso a Parigi attraverso le lezioni pubbliche di Jean-Martin Charcot, il medico che per primo parlò dell’isteria in termini di malattia neurologica. Charcot esercitava un grande fascino sulla società intellettuale dell’epoca e divenne presto una sorta di leggenda la cui complessità viene ricostruita da Bertrand Marquer (2008). Georges Didi-Huberman racconta quel periodo come gli anni dell’invenzione dell’isteria (2012 [1982]): Charcot, rendendo visibile il dolore delle donne affette dal male, credeva di svelarne i meccanismi e di costruire una mappatura visiva dell’intero spettro della sintomatologia. Ma in che modo l’isteria diventava visibile? Studiando da vicino le crisi isteriche delle pazienti ricoverate, Charcot trovò il modo di riprodurre quelle stesse crisi in momenti estemporanei, rendendole fotografabili e, teoricamente, controllabili. Lo straordinario documento dell’epoca è infatti una raccolta di fotografie e descrizioni, i volumi de l’Iconographie photographique de la Salpêtrière, pubblicati tra il 1876 e il 1880.
Nel corso delle leçons du mardi, Charcot sottoponeva ad ipnosi le donne isteriche ricoverate all’ospedale della Pitié Salpêtrière di Parigi, ospedale che veniva in quell’occasione trasformato in “museo patologico vivente” (Charcot 1886-1893, vol. III, 4) e spazio di performatività. Attraverso l’ipnosi, le pazienti venivano indotte alla riproduzione di quei sintomi spettacolari che le condannavano alla reclusione ospedaliera. Se in questo modo il medico poteva indurre stati nervosi, provocare la crisi isterica, o convocare la paralisi degli arti, tutto ciò, secondo Charcot, forniva la prova dell’origine neurologica della malattia. L’isteria diventava così, sul finire dell’Ottocento, una malattia spettacolare e il corpo femminile veniva esposto in una sorta di atto medico-performativo. Alle lezioni del martedì partecipava un pubblico vario, costituito da curiosi, intellettuali e artisti che pare cercassero l’ispirazione creativa proprio nelle forme dell’isteria.
Non sappiamo se Paul Margueritte partecipasse alle lezioni del martedì di Charcot, ma è certo che fosse legato da amicizia a numerosi frequentatori, tra i quali c’erano lo stesso Mallarmé o i fratelli Goncourt. Pierrot assassin de sa femme è dunque intessuto di rimandi all’immaginario isterico (Rykner 2014) e, prima di raccontare la conclusione della pantomima, conviene esplicitarne alcuni, per iniziare così a conoscere più da vicino uno stato fisico e psicologico di cui ancora oggi si parla molto.
Senza entrare nel merito della storia clinica della nevrosi isterica, che andrà ricostruita a partire dall’idea del corpo come “teatro dei nervi” che prende piede in ambito medico a inizio Ottocento (Violi 2004), ci si limiterà a valutare la lettura che di essa veniva data negli anni della nostra pantomima. Il corpo isterico era, innanzitutto, un corpo ‘a nervi scoperti’, particolarmente sensibile alle sollecitazioni e capace di riprodurre i sintomi che lo affliggevano se sottoposto a precise stimolazioni. L’ipnosi, come detto, fu una pratica usata in questo senso, per provocare artificialmente una crisi. Sull’efficacia terapeutica di questa pratica, però, Charcot non fu mai chiaro. Al nesso ipnosi-isteria converrà tornare però in altra occasione, tanto più che un’altra pantomima di Paul Margueritte, che faceva coppia con il Pierrot assassin de sa femme e dal titolo Colombine pardonnée, ruota proprio attorno a questo binomio.
Usate prima allo scopo di calmare le crisi, ma con effetto poi contrario e quindi in fondo capaci di indurre a loro volta le forme e i contenuti dei deliri isterici, vi erano anche certe sostanze tossiche (droghe e alcol) che finivano per generare una vera e propria dipendenza nelle ricoverate. Prendeva così forma un delirio indotto, “un délire semblable à celui qu’on observe durant les séries d’attaques: loquacité, confidences involontaires, hallucinations, modification variées de la physionomie, etc.” (Iconographie photographique de la Salpetrière, 1878, vol. II.,158.). Cosa racconta il Pierrot assassin de sa femme se non questa sorta di delirio? Che i sensi di Pierrot siano acutizzati e sottoposti a sostanze alienanti è chiaro fin dal primo svenimento del personaggio, quando la tecnica per farlo rinvenire consiste nel fargli annusare il fazzoletto sporco del becchino. E poi, soprattutto, Pierrot è soverchiato dalla vertigine dell’alcol.
Inoltre, persino il fatto che egli, incapace di rivelare il terribile segreto che lo attanaglia, sia costretto ad incarnarlo, è un processo molto simile a quanto pare vivessero le ragazze isteriche nel corso di una crisi indotta quando, secondo Charcot, riproducevano mimeticamente il trauma originario da cui avrebbe preso avvio la nevrosi. Le isteriche, secondo il noto neurologo, avrebbero infatti sofferto della reminiscenza inconscia di un momento doloroso, chiamato la scène première, spesso legato a una violenza sessuale che ritornava nelle forme di un disturbo post-traumatico (Didi-Huberman 2014, 214-215). Quando Margueritte parla di un atteggiamento sonnambolico di riproduzione del crimine e di un’allucinazione che porta alla perdita di ogni riferimento temporale fino al ripiegamento di un passato che diventa costantemente presente nel momento della crisi, sembra utilizzare lo stesso lessico medico che possiamo ritrovare nelle descrizioni delle crisi isteriche appuntate da Charcot. Quest’ultimo aveva ipotizzato infatti che l’attacco isterico, come ripetizione – da intendersi sia come iterazione che come forma di riproduzione della messa in scena nel corso della prova teatrale (cf. il francese répétition) – del trauma, potesse comportare da parte dell’isterica la perdita di ogni riferimento spazio-temporale, fino all’assunzione, in piena crisi, del proprio ruolo e di quello del proprio carnefice. Da questo sarebbe derivata una tensione auto-erotica che caratterizzava le donne affette da isteria. Tra i casi della Salpêtrière è noto quello di Augustine: la ragazza ripeteva la propria infelicità rievocando, nell’atto della grande crisi, la scena originaria del proprio dolore, la violenza subita. Augustine incarnava a ripetizione, nei gesti, questa violenza, interpretando inconsciamente le parti del violentatore e della vittima: due corpi in uno, uomo e donna insieme. Didi-Huberman (2014, 215) riporta e commenta come segue questa ripetizione della scène première:
[…] dans cette répétition du malheur sexuel, du viol, Augustine ne jouait pas seulement son “propre” rôle, qui eût été douleur ou seule “passivité”; elle concertait, d’un même mouvement, sa souffrance avec l’acte agressif, elle jouait aussi le corps agresseur, et son effroi se relayait enfin sur une espèce d’intense satisfaction, une satisfaction… auto-érotique! Et Fascinante. Cette combinaison est un véritable prodige de plasticité, un véritable prodige de théâtralité: deux corps en un, corps où «la femme n’est pas seulement intérieurement unie à l’homme, mais hideusement visible, agités qu’ils sont dans un spasme d’hystérique, par un rire aigu qui convulse leurs genoux et leurs mains», comme put l’écrire Proust. L’hystérique n’a donc pas de rôle propre. Elle assume tout, omni-actrice de sa mémoire, elle est bien, bien loin d'être sage comme une image.
Esattamente questo accade al Pierrot di Paul Margueritte, con la differenza – tutta teatrale – che il soggetto maschile finisce per incarnare una malattia che era considerata principalmente, anche se non esclusivamente, femminile. Lo sdoppiamento pronominale traccia sulla carta la coesistenza, in uno stesso corpo, di carnefice e vittima. In questo scambio di soggetti possiamo anche leggere il principio del contagio isterico perché se l’isteria fu da subito considerata una malattia spettacolare, ciò accadde anche perché essa sembrava diffondersi con la semplicità dell’imitazione mimetica: la crisi di una paziente poteva scatenare la crisi di un’altra e così via, fino a veri e propri accessi di follia che ricordano le epidemie medievali.
Arriviamo dunque alla scena finale della pantomima di Paul Margueritte, una didascalia che scompone i gesti e le pose di quello che comprenderemo essere un vero e proprio attacco isterico:
Pierrot dans la rouge clarté, tord son corps pris de folie. Il tourne sur lui-même, trois fois: ses bras errent, ses doigts griffent le vide. Voici que la trépidation ancienne, que l’horrible chatouillement secouent frénétiquement ce corps, et que dans le sanglot funèbre et dernier de sa gorge, passe le rire ancien, exactement le rire des affres de Colombine…Brusque alors, aux pieds de sa victime peinte qui rit toujours, tout d’un grand coup, en arrière et bras en croix, le cadavre de Pierrot s’abat.
La sequenza evocata, come altri passaggi citati, sembra rimandare alla scrittura didascalica del grande attacco isterico, ricondotto dai medici della Salpêtrière a una precisa partitura suddivisa in un prologo (definito aura) e quattro fasi: periodo epilettoide, periodo del clownismo, periodo delle attitudini passionali, periodo del delirio. Sfogliando i volumi che compongono l’Iconographie photographique de la Salpêtrière (1876-1880), vero e proprio repertorio composto di descrizioni e immagini dei sintomi della nevrosi isterica, si potranno trovare numerose corrispondenze con le pose e i gesti del corpo scomposto, contratto e contorto, di Pierrot.
Margueritte, con la sua pantomima, tentava il salto mortale: in teatro, lo stravolgimento isterico dello stato psico-fisico veniva imposto non tanto (e non solo) alla vittima (nella sua reincarnazione) ma anche al carnefice, trasformato definitivamente in vittima/carnefice di se stesso.
IV. Evocazione di immaginari: dalla musica all’iconografia
La scrittura della pantomima di Margueritte, nel ritmo che la paratassi impone, nelle spezzature di frase e nelle interruzioni, è una sorta di scrittura iconica del gesto, accompagnata dalla musica composta da Paul Vidal e pubblicata, nel 1892, nel settimanale musicale Le Ménestrel.
Alla fine dell’Ottocento, proprio attorno alla maschera di Pierrot, si era sviluppato un genere minore di teatro musicale. Un nutrito gruppo di letterati, musicisti e intellettuali, nel 1888, aveva fondato il Cercle Funambolesque al preciso scopo di rilanciare la pantomima classica con l’introduzione di una novità nello stile degli spettacoli: come ricorda Matteo Sansone (2020, 159), “a supporto e commento dello spettacolo, i compositori dovevano scrivere della musica originale sincronizzata all’intera l’azione”. Paul Vidal compose la musica per il Pierrot assassin de sa femme:
Vidal lavorò a stretto contatto con la produzione e suonò il suo spartito durante lo spettacolo. La sua musica accompagnava e commentava la mimica facciale, gli atteggiamenti, i gesti del nevrotico Pierrot/Margueritte. Lo stesso Vidal, intervistato da Hugounet, menzionò le difficoltà incontrate nell’individuare il ritmo giusto per accompagnare Pierrot mentre solleticava i piedi di Colombina. Decise infine per una Tarantella, che si rivelò scelta efficace. (Sansone 2020, 173).
Pur non entrando nel merito della musica di Vidal, che proprio la tarantella sia la musica associata al momento di maggior espressione della crisi isterica porta ad aprire una parentesi rispetto alla rappresentazione dell’isteria, una volta riconosciuta come malattia, e all’immaginario complesso e stratificato dietro i sintomi più apparenti. È noto infatti che, se i sintomi finora evocati furono trattati con un approccio scientifico per la prima volta nel XIX secolo, precedentemente essi venivano ricondotti a forme di possessione demoniaca. Se Vidal scelse una tarantella per accompagnare la scena della crisi convulsiva legata al solletico, si trattava di un chiaro rimando a questo universo che andrebbe ulteriormente indagato anche per svelare più nel profondo la stratificazione di significati che si cela dietro un collegamento di immagini e immaginari che appare, ancora oggi, immediato. La tarantella non è una danza di possessione demoniaca, come a volte si crede, eppure ha anch’essa un legame con l’isteria che viene esplicitato come segue da uno dei padri dell’etnomusicologia francese, Gilbert Rouget (1990, 305):
La possession doit alors être vue comme une thérapeutique de l’adversité mettant en œuvre une hystérie institutionnalisée, ou, si l’on préfère, une socialisation de l’hystérie. […] Dans le tarentulisme, la tarentelle (musique et danse) n’a pas pour fonction de guérir la tarentulée de son hystérie, mais au contraire de lui fournir le moyen de se comporter publiquement en hystérique, suivant un modèle reconnu de tous, de manière à la délivrer de son malheur intérieur. Comment? En lui donnant le moyen de sortir d'elle-même et de communiquer avec le monde, avec la société, avec elle-même».
Il frontespizio della pubblicazione del 1892 del Pierrot assassin de sa femme era decorato da quattro disegni, quattro focalizzazioni sul gesto che mostrano contratture degli arti e tensioni muscolari riconducibili all’iconografia della patologia isterica. Ma ci sono anche altre fonti iconografiche significative, come le immagini pubblicate in accompagnamento alla pantomima (o in riferimento diretto ad essa) sui giornali illustrati dell’epoca. Lo stesso Margueritte, a qualche anno di distanza, scriveva in un passo dei già citati Nos tréteaux:
On retrouverait dans les feuilletons de Jules Lemaître et de Sarcey, dans une planche de l’Illustration historiée de Pierrots macabres, et aussi dans le Journal d’Edmond de Goncourt, l’impression laissée par cette incarnation blanche où je réalisai, vaille que vaille, le rêve théâtral de mes vingt ans.
Si trattava di veri e propri récits iconiques che, al di là della testimonianza iconografica necessariamente legata alla pratica spettacolare del tempo, nella selezione di gesti e pose, raccontano il complesso immaginario isterico che circolava a Parigi negli ultimi anni del XIX secolo.
Adolphe Willette, nell’immagine pubblicata nella “Revue illustrée” nel gennaio 1888, separava i due soggetti – Pierrot e Colombina –, rendendo visibile quell’invisibile che è la forza misteriosa della pantomima e assumendo in modo decisamente esplicito la rappresentazione del corpo che caratterizzava le aliénées della Salpêtrière. Tutti da cercare sono i legami tra Willette (e come lui gli altri illustratori/pittori) e la Salpêtrière. Non sappiamo se fosse frequentatore delle lezioni del martedì di Charcot, ma sicuramente la sua rappresentazione ricalca l’immagine del corpo affetto d’isteria, così come lo si ritrova per esempio in almeno una delle sequenze dell’immagine cronofotrografica di Albert Londe. Del resto, Jean Lorrain, scrittore che era stato in qualche modo marcato dall’immaginario della Salpêtrière, descriveva con queste parole le illustrazioni di Willette (1888):
Il y a toute la fièvre et tout le souffle morbide d’une civilisation travaillée de névrose, il y a le coup de folie de notre fin de siècle hystérique et jouisseuse […] il y a tous les maux et toutes les maladies de notre temps, enfin, Saint-Lazare et la prostitution cartée, Charcot et la Salpêtrière, et le pessimisme de Schopenhauer.
Willette esprimeva quella modernità che, sul finire dell’Ottocento faceva assumere non solo a Pierrot, ma anche ad altre maschere della Commedia dell’arte, un aspetto troublant. I testi e le illustrazioni dell’epoca, infatti, si pongono chiaramente su una zona liminare, tra la leggerezza del comico e l’ombra più nera del tragico. Dalle pantomime fin de siècle al repertorio grandguignolesco di area non solo francese ma anche italiana, il carattere comico sembra manifestarsi come un carattere tragico refoulé o viceversa.
La seconda pista d’analisi rispetto all’apparato iconografico ha a che fare con Charcot in prima persona. È vero e studiato infatti che, dagli anni ‘80 del XIX secolo, l’immaginario medico e, nello specifico, le immagini del corpo affetto da isteria influenzarono la scrittura letteraria e, come dimostrano queste pagine, la scrittura del gesto e del corpo patologico in un contesto spettacolare. È altresì vero, però, che quelle che lo stesso Charcot aveva identificato come pose d’isteria, tali per cui egli era riuscito a stilare un vero e proprio catalogo, rimandavano a un immaginario popolare consolidato. Lo stesso Charcot, nel 1887, scrisse insieme a Paul Richer, neurologo ma anche provetto illustratore dell’anatomia umana, Les démoniaques dans l’art, un vero e proprio catalogo ragionato su alcuni casi di possessione demoniaca, alla ricerca di formule figurative nell’arte del passato che testimoniassero la presenza di casi di nevrosi isterica riconducibili ai sintomi codificati della grande isteria. Il catalogo proponeva numerosi esempi d’arte dall’antichità al XIX secolo, che rappresentavano uomini e donne (ma soprattutto donne) in preda a movimenti bruschi, volti stravolti dallo spasmo, gesti disarmonici e disarticolati. Charcot era convinto che la medicina potesse contribuire allo studio degli oggetti artistici in almeno due modi: da un lato si trattava di ricostruire una sintomatologia trasversale nei secoli, una sorta di topos iconografico della malattia nervosa; dall’altro questo studio avrebbe ridimensionato il valore attribuito ad alcune rappresentazioni che, pur dichiarando un attaccamento al vero, risultavano chiaramente frutto di un’elaborazione immaginativa sul tema.
Quello che qui interessa è dunque la prospettiva rovesciata a cui questo catalogo d’arte obbliga: se è vero, cioè, che Charcot per così dire inventa l’isteria stabilendo una sintomatologia di tipo visivo, è altresì vero che lui stesso sembrava rifarsi a una tradizione dell’esposizione del corpo in ambito artistico di lunghissima data. Che ci sia una certa influenza dell’arte pittorica ma anche teatrale nel discorso medico di Charcot, peraltro attento lettore di Shakespeare, è cosa certa e da approfondire.
D’altra parte, non sembra nemmeno troppo strano che, nella premessa al suo catalogo d’arte, Charcot faccia un chiaro riferimento a Diderot, lì dove spiega come appunto la medicina sia in grado di indicare se l’imperfezione dei corpi dipinti dipenda dalla natura o da un errore dell’artista: “Diderot, au XVIIIe siècle, avait déjà indiqué les lignes générales de ce mode de critique naturaliste, que les artistes peuvent et doivent exercer sur leur propre production”. Charcot pensava sicuramente al Diderot dei Salons, ma qui vorremmo cogliere la suggestione per portare, ancora e per un’ultima volta, il discorso altrove.
V. Conclusione. Guardando all’indietro
Diderot, aderendo a una prospettiva sensualista, metteva al centro del suo pensiero una rinnovata consapevolezza del potenziale visivo che aveva un presupposto etico: l’adesione visiva al naturale era segno di verità. Se il riferimento per comprendere il naturale e questa verità viene cercato dal filosofo nell’arte pittorica, è nel teatro che avvertiamo maggiormente il cambiamento suggerito da questa nuova prospettiva. Nel XVIII secolo si consolida del resto una riflessione teatrale che guarda ai dipinti per designare abitudini di posture e gesti, insieme a una trattatistica specifica che costruisce una sorta di iconologia dei caratteri. Proprio nella seconda metà del secolo, le scene teatrali iniziano ad accogliere, con un certo successo di pubblico, rappresentazioni in cui il corpo poteva apparire disordinato, dalla gestualità in qualche modo patologica, certo non conforme alle norme della bienséance (Frantz, 1998). E questo poteva accadere non solo nel contesto di rappresentazioni comiche, dove la cosa era in qualche modo accettata, ma anche nell’espressione del dolore tragico (Chaouche 2012). Ad incarnare questo nuovo ideale espressivo, che poteva accogliere l’eccesso di emozione e degradare fino ai gesti e alle pose isteriche, erano soprattutto le attrici che, per questo motivo, divennero vero e proprio modello soggiacente a quelle prime teorie sulla recitazione a cui abbiamo fatto cenno. Era data per scontata l’idea che, fin dall’antichità, stabiliva come evidenza il nesso tra il femminile e l’ostentata espressione delle passioni (Locher 2012; Marie 2012). Nel contesto francese a cui qui stiamo facendo riferimento, è nota l’opposizione nello stile recitativo tra Mlle Dumensil e Mlle Clairon, naturale fino alla scompostezza il primo, regolato dal mestiere il secondo. Alle due attrici rimandano molti di quanti scrissero di teatro all’epoca, da Diderot a Garrick, da Bachaumont a Talma.
Nella seconda metà del XVIII secolo, sulla scorta degli studi di Pinel, la follia femminile non viene più ridotta all’ambito disturbante della magia, ma inizia ad essere considerata una vera e propria patologia. Questo determina chiaramente un cambiamento dello sguardo rispetto ai corpi e proprio nel Settecento potrebbero essere riscontrati i presupposti socio-culturali per una diversa scrittura ed esposizione del corpo patologico. Il processo è certamente più lungo, basti pensare che nel 1500 vennero riscoperti testi antichi che rimettevano al centro del dibattito medico-scientifico la peculiarità del corpo femminile rispetto a quello maschile. Eppure è dalla seconda metà del XVIII secolo che la discussione sulla diversa natura della malattia femminile diventa più presente, quasi fosse un dibattito necessario.
Da qui si vorrebbe ripartire, alla ricerca dei luoghi in cui il teatro – e la scrittura del corpo patologico esposto – anticipa in qualche modo le parole di certi trattamenti medico-scientifici dei corpi. Sarà allora necessario studiare la porosità di immaginari che passano da un ambito all’altro, in un’epoca in cui gli uomini di lettere e gli uomini di scienza facevano parte della stessa élite culturale e, banalmente, leggevano gli stessi giornali.
[1] Il testo, nell’edizione del 1892, è consultabile al link: https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k715330?rk=21459;2, e si trova tradotto in italiano in R. Cuppone, Cda. Il mito della commedia dell'arte nell'Ottocento francese, Roma, Bulzoni, 1999, pp. 580-593. Ci limitiamo a segnalare che la rappresentazione della pantomima al Théâtre Libre di André Antoine vide Paul Margueritte nel ruolo di Pierrot e lo stesso Antoine nel ruolo del becchino. Informazioni importanti sulla genesi della pantomima, sulla prima rappresentazione e sulle successive (tra cui quella al Théâtre Libre), sulla collaborazione con il compositore Paul Vidal che scrisse la musica e sulla buona ricezione della pantomima si trovano in: Margueritte Paul, Margueritte Victor, Nos tréteaux. Charades de Victor Margueritte. Pantomimes de Paul Margueritte, Paris, Les bibliophiles fantaisistes, 1910 https://archive.org/details/nostrteauxchar00marguoft/page/16/mode/2up
Riferimenti bibliografici
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English abstract
The article concerns the exhibiting of the body affected by hysteria, the most spectacular of neuroses. The starting point is Paul Margueritte’s pantomime Pierrot assassin de sa femme (1882). Through the analysis of this text, it is possible to observe how, at the end of the 19th century in France, the medical context and the theatrical context approached each other: what is expressed through words in the field of narration or clinical description is embodied on stage. The space of performance thus makes visible, through gesture and the complex of staging, a stratification of imaginaries that, especially in the case of hysteria, still demand to be explained, related and better understood.
keywords | hysteria; Paul Margueritte; Pantomime; Pierrot; J.M. Charcot; Spectacularity of the Pathological Body.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio.
(v. Albo dei referee di Engramma)
The Editorial Board of Engramma is grateful to the colleagues – friends and scholars – who have double-blind peer reviewed this essay.
(cf. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: S. De Min, L’immaginario del gesto isterico nella Francia di fine Ottocento: tra mimo e malattia, “La Rivista di Engramma” n. 205, settembre 2023, pp. 69-84 | PDF of the article