Disegnare è catturare su una superficie piana, attraverso dei segni, qualcosa di ineffabile. Il disegno è una delle più antiche forme di espressione umana e probabilmente nella preistoria si riteneva che gli artisti avessero poteri magici. Il magico mistero che circonda chi sa disegnare sembra da attribuire, almeno in parte, alla capacità di ricorrere ad una diversa modalità visivo-percettiva. “Quando si vedono le cose in quel modo particolare in cui le vede l’artista, allora si sa disegnare” (Edwards 2006). I disegni a scarabocchio di ogni bambino indicano come i loro autori siano totalmente presi dalla sensazione che la mano e la matita percorrano la superficie senza alcuna meta, lasciandosi dietro una linea. Già in questo deve esserci qualcosa di magico (Hill, 1966). Per Leonardo da Vinci il disegno è un processo creativo e fantastico che si origina nell’animo dell’artista e che ha in sé qualcosa di divino, un tramite diretto per comprendere appieno la natura nella sua interezza (Libro di pittura, 1540 circa). Giorgio Vasari, nelle sue Vite (1550), definisce il disegno un’apparente espressione e dichiarazione del concetto che si ha nell’animo. Francesco Zuccari, pittore della Controriforma, lo descrive come la “Scintilla della Divinità”, il “segno di Dio in noi”. Cennino Cennini, nel Libro dell’arte (1821), sostiene che il disegno sia il “fondamento di tutte le arti”, come Lorenzo Ghiberti nei Commentari del 1452-55.
Tutta questa trascendenza racchiusa nel disegno si ritrova, in altre forme ed espressioni d’Avanguardia, nella figura di Malevič, pittore profondamente impegnato nella ricerca di una nuova dimensione artistica (e non solo). Dopo un principio post-impressionista, abbraccia tematiche neo-primitiviste sotto l’influenza dei Fauve e di Larionov, per poi accostarsi alla figura di Léger, ma è anche conosciuto come uno dei fondatori dell’Alogismo, del Cubo-Futurismo e del Suprematismo.
Nei bozzetti di scena [Fig. 1] e nei costumi [Fig. 2 serie] per La Vittoria sul Sole (San Pietroburgo, 1913) Malevič preannuncia, attraverso il disegno, una rivoluzione che avverrà, pochi anni dopo, non solo in ambito storico e politico, ma anche nel mondo delle arti. La scenografia per La Vittoria sul Sole rappresenta una delle migliori espressioni di “arte totale”, coniugando la spazialità del teatro cubo-futurista multi-dimensionale, le musiche sperimentali di Matjušin e il linguaggio transmentale di Kručënych. I disegni di scena di Malevič, schizzati a matita su carta semplice con qualche indicazione scritta a mano, ci spalancano le porte di una nuova spazialità, oltre la ragione umana – simboleggiata dal Sole – che attinge al mondo dei sogni, delle fiabe, delle tradizioni del folklore russo. Un viaggio, attraverso la performance teatrale, che conduce gli spettatori in una realtà capovolta, come in Alice nel Paese delle Meraviglie, dove gli oggetti più assurdi danzano sospesi nello spazio, come parole libere di una composizione transrazionale di Kručënych. Nei bozzetti per i sei quadri (o agimenti) dell’opera teatrale, Malevič usa il colore nero per individuare con un segno marcato una grande scatola scenica bianca, che va animandosi con diversi elementi più o meno campiti a matita: una colonna, una ruota di aeroplano, note musicali, lettere, numeri, un’immensa croce, tendaggi, pianeti, come dei segni primitivi che incidono la superficie, dei tatuaggi marcati a fuoco, che rimandano a simboli archetipici. Kandinskij ci ricorda che
ogni artista sente il respiro della Superficie ancora inviolata – anche se inconsciamente – […] si sente responsabile di fronte a questo essere e si rende conto che un oltraggio sconsiderato fatto ad esso avrebbe in sé qualcosa del delitto. L’artista feconda questo essere e sa che la Superficie, docile e resa felice, accoglie gli elementi giusti, nell’ordine giusto (Kandinskij, [1926] 1968).
Dopo la morte del Sole, segnata da una grande croce campita di nero che pende dal soffitto (quadro tre) e da una probabile eclisse parziale (quadro cinque), Malevič conduce lo spettatore nei Decimi Contradi, il mondo alla rovescia dove tutto è possibile (topos del Futurismo russo). Per rappresentare questa nuova realtà, descritta da Kručënych [1913] come un grande edificio-casa-città cubo-futurista, Malevič inserisce, dentro la scatola scenica prospettica del quadro sesto, una rappresentazione assonometrica, composta per collage di frammenti [Fig. 3]. Qui l’uomo è libero da ogni gravame fisico e psicologico: sono abolite le leggi, le convenzioni sociali, le gerarchie, sono scardinate le coordinate spaziali e temporali, non vigono più le regole logico-causali, né le norme grammaticali. Il tempo scorre al contrario, la causa precede l’effetto, non c’è più proporzione e direzione, tutto è il contrario di tutto; di fronte alla realtà capovolta mostrano i loro limiti il buonsenso, la logica e la ragione. Come già emerso nella ricerca svolta negli anni 2014-17 (Scala, 2021), tra tutti, il quadro sesto è quello più complesso da descrivere in termini spaziali: la città-comò è intesa come un corpo architettonico, attorno al quale l’occhio dell’artista ruota nel tempo e nello spazio; Malevič apporta continue modifiche del punto di vista, accostando tra loro visioni parziali, sezioni e prospettive distorte. I Decimi Contradi rimandano ad uno spazio-tempo non tangibile, che il disegno bidimensionale cerca di fissare sulla carta, grazie alla potenza espressiva dei segni neri sul foglio bianco.
Nell’opera Instrumental Lamp di Malevič [Fig. 4], si riscontrano gli stessi elementi del quadro sesto (una scaletta verticale, un ricciolo di violino, dei grandi cilindri svettanti, una figura quadrata centrale, un lungo prisma nero a base triangolare incastrato nelle figure cilindriche…). La costruzione avviene per operazioni di smembramento, perforazione, addizione e sottrazione di corpi, scomposizione e ricomposizione di pezzi.
Nei bozzetti dei costumi [Fig. 2] Malevič giunge ad una sintesi tra segno, colore e significato, che attinge ad un linguaggio arcaico e simbolico di rappresentazione, preludio di una nuova “icona”. Si può osservare attentamente come ogni personaggio sia definito da linee nere, forme e colori mai causali: nessun elemento è superfluo. Nel nemico, ad esempio, i colori contrastanti verde, nero, giallo, rosso e fucsia e le linee acuminate del contorno concorrono a delineare una sagoma ostile, che ci appare malevola. Nel lavoratore attento [Fig. 5] il volto nero e rosso, di profilo, fa emergere l’occhio vigile e bianco rivolto verso il basso; la curva della sua schiena inarcata, l’utensile nero marchiato sul petto bianco e la pala nera pendente dalla vita, così come la mano protesa in avanti, contribuiscono a descrivere un personaggio chino e operoso, tutto impegnato nella sua attività (che sembra anche piuttosto ripetitiva). Il vecchio abitante è tracciato con pochi segni spezzati che lo caratterizzano: un triangolo aguzzo individua la barba, qualche linea sghemba e una spalla ricurva rimandano al corpo di una persona anziana, apparentemente saggia e dallo sguardo fisso.
In Malevič, pochi segni, studiati negli spessori e nelle direzioni, e qualche campitura ad acquerello, si impregnano di significato: contribuiscono a rendere questi personaggi, simili a figurine di carta ritagliate con le forbici, archetipi di loro stessi e caricature del proprio ruolo in scena.
Punti focali, segni e pochi colori, opportunamente scelti, acquisiscono forza espressiva anche nel linguaggio costruttivista. Il disegno diventa uno strumento per sperimentare nuove soluzioni in profondità spaziale nel teatro d’Avanguardia. Un caso emblematico è la scenografia ideata da Popova per la farsa teatrale Le Cocu Magnifique, commissionata da Mejerchol’d e andata in scena al Teatro degli Attori di Mosca negli anni Venti. Nello stesso periodo l’artista (che collabora in una prima fase con Malevič), insegna assieme a Vesnin la disciplina colore al Vchutemas, una delle scuole più importanti e innovative del tempo con la Bauhaus, in Germania. La sperimentazione didattica proposta si basa sulle componenti primarie: colore-spazio-superficie-linea-volume-materiali, con l'obiettivo di staccarsi dalla tradizione storica, reinventando la disciplina architettonica, in funzione di un grande rinnovamento della società, interagendo con le altre arti, come la letteratura, la pittura, il design, il teatro.
Ogni elemento dell’apparato scenico, ideato da Popova per Le Cocu Magnifique, concorre a costituire un marchingegno teatrale perfettamente pensato, come se fosse una palestra per gli attori: niente è inutile o sovrabbondante, tutto è ridotto all’essenziale [Fig. 6]. Popova disegna la scenografia con matite colorate, penne e guache su carta, schizza diverse gabbie spaziali, progetta la locandina della farsa, cura i costumi nel dettaglio, introducendo una magica divisa blu che permette piena libertà di movimento agli artisti in scena e, nelle sue annotazioni, elenca i principi compositivi spaziali su cui si basa il progetto. Nello schizzo del 1922 [Fig. 7], Popova delinea i tratti principali della sua “messa in scena costruttivista con la tuta da lavoro e senza trucco” (traduzioni di A. Farsetti e C. Toson, 2020), corredando il disegno con una descrizione: “con tratto grosso sono indicati i ponti e le scale e con un inchiostro materico, oltre alle ruote e al mulino, è indicato il piano retrostante. La ruota più grande è nera, quella più piccola è rossa, e la media è legno non verniciato. La struttura del piano anteriore è nera, di quello posteriore è in legno”. In questo breve testo Popova definisce un telaio tridimensionale, che può essere letto per stratificazione di elementi e che rimanda al concetto di “trasparenza letterale e fenomenica” di Rowe e Slutzky (1963): la trasparenza si può intendere sia in senso letterale, poiché la scenografia si concretizza attraverso la costruzione di uno scheletro spaziale, in cui è esibita una struttura, sia in senso fenomenico, poiché l’osservatore la può attraversare completamente con lo sguardo e ha la simultanea percezione dei differenti piani; attraverso il ridisegno, è possibile rileggere la composizione in profondità spaziale, per sezioni poste su livelli diversi, in cui punti focali, linee verticali, orizzontali, diagonali e superfici acquisiscono spessore; [Fig. 8] una tessitura complessa con alcuni elementi colorati, due porte nere, un tamponamento giallo e un grande disco nero sullo sfondo; un ingranaggio descritto come un orologio da Kovalenko (1991):
Essentially it was a spatial formula whose components, as well as their interactions and correlations, were abstracted and reduced to a minimal level of expression. The functional quality of the construction is said to have resembled a clock whose exterior coverings have fallen away, only the most important components remaining. To then remove or change anything would mean the system’s collapse.
Nel Palazzo del Lavoro (Mosca, 1922-23), progetto non realizzato sull’asse della Tverskaja di Mosca, che può essere inteso come un grande teatro a scala architettonica-urbana (Meriggi, 2004), i fratelli Vesnin utilizzano il disegno architettonico per sperimentare un nuovo tipo di spazialità [Fig. 9], esperita dalle Avanguardie attraverso le scenografie teatrali costruttiviste degli stessi anni. Lo stesso Aleksandr Vesnin, probabilmente autore di uno dei primi schizzi del progetto [Fig. 10], è impegnato nell’allestimento per The man who was Thursday (1922), un marchingegno scenografico rigoroso e praticabile su più livelli [Fig. 11]. Risulta evidente che la complessità spaziale interna dell’edificio, ottenuta grazie al montaggio di elementi topologicamente collocati e alla loro stratificazione, deriva dalle sperimentazioni teatrali di quegli stessi anni. Questo innovativo spazio costruttivista è stato ricostruito attraverso il ridisegno e la costruzione di un modello in scala, operando una scarnificazione e una dissezione del corpo architettonico, come se fosse un corpo umano, per poterlo osservare dall’interno: “l’opera viene da dentro, e verso dentro va a cercare” (Semerani 2014) [Fig. 12]. Lo spazio architettonico progettato è simile ad un a scenografia teatrale, in cui il visitatore può muoversi in ogni direzione, salire su tralicci, gradonate, rampe, pennoni, fino al tetto, al cielo e anche di più, forse fino a quella dimensione altra a cui anche i costruttivisti, come i suprematisti, aspirano. Questa intenzione è cristallizzata nei disegni originali del progetto dei fratelli Vesnin. Gli elaborati grafici registrano, inoltre, una evoluzione nella concezione stereometrica: si rileva un conflitto tra una prima visione cubofuturista [Fig. 10] di Aleksandr Vesnin, in cui i prospetti del Palazzo si costruiscono per sovrapposizione-combinazione di lastre tridimensionali, e un’ultima versione, governata da un rigore architettonico e formale di matrice ottocentesca, probabilmente più aderente alle richieste del bando di concorso [Fig. 13]. Per comprendere la complessità spaziale del progetto, durante la ricerca svolta negli anni 2014-2017 (Scala 2021), è stato necessario confrontare tra loro le diverse versioni dei disegni dei fratelli Vesnin, registrarne le incongruenze e ipotizzare un ridisegno il più possibile chiarificatore dell’articolazione e del funzionamento interno, attraverso una puntuale ricostruzione. Ne emerge uno spazio stratificato e permeabile, organizzato per sintagmi quali elementi verticali, orizzontali e diagonali, che trae origine dall’esperienza teatrale costruttivista di Popova e Vesnin.
In questo contesto rivoluzionario, il disegno è spesso foriero di significati, chiarificatore di intenzioni, presagio di novità. Nei bozzetti dei costumi di Malevič poche tracce e colori impressi sulla carta danno vita ai personaggi di scena. Nelle scenografie d’Avanguardia, segni e disegni di particolare forza espressiva, seppur realizzati con tecniche tradizionali, concorrono a trattenere e cristallizzare, su un supporto bidimensionale, idee e spazi completamente rivoluzionari, soglie verso nuove dimensioni spaziali-temporali e spirituali.
Nel progetto del Palazzo del Lavoro il disegno si rivela fondamentale non solo per ricostruirne il processo ideativo, ma anche per interpretarne la complessità interna e proporne una lettura per sovrapposizione di elementi topologicamente collocati nello spazio.
Il disegno, da sempre, è il fattore primario del disvelamento e della comprensione dell’opera d’architettura, è esso stesso architettura; attraverso il ridisegno di un progetto è possibile catturare sulla carta uno spazio ineffabile, inesprimibile attraverso parole, un’idea appartenente ad un limbo, che Semerani chiama quel “luogo indefinito dove nasce l’arte” (Semerani 2017).
Riferimenti bibliografici
- Edwards [1999] 2006
B. Edwards, Disegnare con la parte destra del cervello, tr. it. di M. Archer e D. Prasso, Milano 2006. - Hill 1966
E. Hill, The Language of Drawing, Englewood Cliffs 1966. - Meriggi, 2004
M. Meriggi, La teoria del montaggio in Ėjzenštejn e la città d’avanguardia sovietica, in R. Palma, C. Ravagnati (a cura di), Macchine nascoste: discipline e tecniche di rappresentazione nella composizione architettonica, Torino 2004. - Kandinskij [1926] 1968
W. Kandinskij, Punkt und Linie zu Flache, tr. it. di M. Calasso, Milano 1968. - Kovalenko 1991
G. Kovalenko, The Constructivist Stage, in N. Van Norman Baer, Theatre in revolution: Russian avant-garde stage design, 1913-1935, London/San Francisco 1991. - Kručënych [1913] 2003
A. E. Kručënych, Pobeda Nad Solncem, tr. it. di M. Böhmig, Cosenza 2003. - Rowe, Slutzky 1963
C. Rowe, R. Slutzky, Transparency: Literal and Phenomenal, in “Perspecta” 8 (1963), 45-54. - Scala 2021
L. Scala, Teatro e scena urbana. Ricerche e sperimentazioni dell’Avanguardia russa, Siracusa 2021. - Semerani 2012
L. Semerani, Il circolo Malevič. La scuola di Unovis, 1919-1922. Il Dipartimento di Ricerca Formale e Teorica del Museo di Cultura Artistica di San Pietroburgo, 1923-1936, in A. Gallo (a cura di), The clinic of dissection of art, Venezia 2012.
These are the years of the Russian Revolution: the theatrical experiments of the Avant-gardes, developed between Moscow and St Petersburg, overturned the teachings of the past, renewing the principles of spatial composition. The deconstruction of the body and space architectural and urban space is expressed through unconventional systems of representation.
In the costumes for Victory over the Sun (St. Petersburg, 1913) Malevič breaks down bodies and faces in proto-Cubist terms, seeking a synthesis of sign, colour and meaning, drawing on an archaic and symbolic language of representation. archaic and symbolic language of representation, a prelude to a new 'icon'. In the stage sketches, axonometric and perspective, doors thrown open to new spatial, temporal and spiritual dimensions.
The set design of Le Cocu Magnifique (Theatre of Mejerchol'd, Moscow, 1922) is represented by a multifaceted artist, painter, stage designer and designer, who crossed the currents of Cubo-Futurism and Suprematism, arriving at the language constructivist language. In her drawings, Popova transcends the boundaries of the surface and organises forms in interaction with space, prefiguring principles of literal and phenomenal transparency. With the architectural and urban design for The Palace of Labour (Moscow, 1922-23) the Vesnin brothers document, through the drawing, the great gulf between an initial cube-futurist impetus (most probably sketched by Aleksandr) and a rediscovered rigour in the spatial composition by stereometric elements of the final project.
The objective of the essay is twofold: to recognise, not only, the role of drawing in the representation of a new spatiality, experienced through avant-garde theatre and architecture, but also the value of redrawing (from original sketches, sketches, diagrams and original notes…) in revealing the principles of spatial composition of a theatre set design - which no longer exists, except in some photos and preparatory sketches - or of an architectural-urban project, which could never become reality.
keywords | Drawing; Avant-garde; Deconstruction.
Per citare questo articolo / To cite this article: Laura Scala, Il disegno come disvelamento rivoluzionario, “La Rivista di Engramma” n. 207, dicembre 2023, pp. 67-76. | PDF