"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

210 | marzo 2024

97888948401

Ferretti o il ritmo dell’apostasia

Giorgiomaria Cornelio

Sarenco, 1971.

Quando Sabbetai Sevy, il Messia Mistico raccontato, tra gli altri, da Gershom Scholem e Olga Tokarczuk, viene arrestato a Costantinopoli nel 1666 e portato davanti al Sultano Mehmed IV, egli accetta di convertirsi all’Islam, prendendo il nome di Aziz Mehmed Effendi. Colui che aveva ovunque infiammato le folle, inaugurando uno dei più grandi movimenti messianici della storia, si era infine rivelato un apostata. Ma, come ebbe a scrivere proprio Scholem:

L’apostasia del Messia è il compimento della parte più difficile della sua missione […]. Il Messia per adempiere la sua missione secondo il concetto ebraico deve essere costretto ad agire in modo che le sue stesse azioni sembrino condannarlo (Scholem [1973] 2001).

Ora, tutto l’enorme sdegno che ha accompagnato la conversione (religiosa e politica) di Giovanni Lindo Ferretti non rientra forse in una specie di condivisa delusione messianica, di fede rinnegata nel sogno comunista incarnato dai CCCP? Sogno più che generazionale. Sogno portato all’estremo, tradito e, proprio per questo, compiuto, in perfetto spirito punk. Che Ferretti abbia abbracciato il Cristianesimo non deve infatti sorprendere: si trattava di un’eresia necessaria, già annunciata, per quella legge taciuta che riconosce il punk non come un genere, ma come un modo continuo di disaggiustare se stesso, di progettare il proprio attentato.

Chi gli rimprovera la colpa di credere (per usare un’espressione di Ivan Carozzi), farebbe bene a comprendere come Giovanni Lindo Ferretti, anche nel suo periodo con i CCCP, non abbia fatto altro che salmodiare. Una grazia nello sconquasso, un pregare che è talvolta anche un bestemmiare, simile a certi frammenti mistici di Angela da Foligno (ma il discorso sarebbe assai più ampio: si recuperi, sempre con spirito punk, la magnifica antologia sulle Scrittrici mistiche italiane curata da Padre Giovanni Pozzi e Claudio Leonardi nel 1988). 

Spiega lo stesso Ferretti in una recente intervista, esplicitando una volta per tutte la questione:

Puoi chiamarlo concerto, per me non è un abuso chiamarla preghiera in pubblica funzione. Si può pregare anche senza averne coscienza, e io ho sempre pregato. Anche quando cantavo. A volte consciamente, come in Madre, Amandoti e Annarella. E più spesso inconsciamente.

Pregare inconsciamente, pregare mondano e profano, comunque pregare. In aperta battaglia, in musicale dissenso col proprio tempo – con ogni tempo. Ancora Spettri di Marx: “Il tempo è fuor di sesto” (citato in Derrida [1993] 1994). 

Nato a Cerreto Alpi, Ferretti non ha mai davvero lasciato quel luogo natale, quel Medioevo fuori-sincrono che sembrava eterno e che invece, mondanamente, continua a tramontare. Ferretti, a riascoltarlo ora, ha sempre messo in voce (in preghiera) il ritmo di tale mondano che eternamente transisce. In questo, non in altro, stava in fondo il suo messianismo eretico. E del resto, per chiudere con Benjamin: “La natura è messianica in ragione del suo eterno e totale transire” (Benjamin [1920] 2011).

Riferimenti bibliografici
English abstract

This article explores the thought of Giovanni Lindo Ferretti, including its contradictions within the punk movement and its ‘messianic’ aspects. 

keywords | CCCP; Giovanni Lindo Ferreti; Poetry; Messianism. 

questo numero di Engramma è a invito: la revisione dei saggi è stata affidata al comitato editoriale e all'international advisory board della rivista

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2024.210.0010