Felicitazioni! Socialismo e schizofrenia
Note attorno alla mostra “Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea 1984-2024” (Reggio Emilia, Chiostri di San Pietro, 12 ottobre 2023-10 marzo 2024)
Francesco Bergamo
English abstract
I CCCP – Fedeli alla linea si mettono in mostra negli spazi meravigliosi dei Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia in una monografica curata da loro stessi lungo un anno di intenso lavoro in stretta collaborazione con la designer Stefania Vasques, il cui apporto nel progetto degli allestimenti è stato fondamentale (il light design della mostra è attribuito a Pasquale Mari e Gianni Bertoli; si veda l’intervista a Stefania Vasques pubblicata in questo numero di Engramma). Sappiamo che sono stati Annarella Giudici e Massimo Zamboni a proporre nell’inverno del 2022 al Comune di Reggio Emilia e alla fondazione Palazzo Magnani la realizzazione di una mostra-evento (CCCP – Fedeli alla linea 2023, 4). Nell’esposizione, i CCCP si celebrano e raccontano come “cellula dormiente risvegliata” a quarant’anni dal loro 45 giri (vinile 7”) d’esordio, Ortodossia, pubblicato nel 1984 da Attack Punk Records (con Umberto Negri al basso e drum machine) e contenente tre brani destinati a divenire celeberrimi: Live in Pankow, Spara Jurij, Punk Islam.
È un’operazione che non si presta a letture univoche e, in quanto tale, si pone in perfetta continuità con ciò che sono stati i CCCP. A complicare ulteriormente le cose, dopo l’inaugurazione, ci sono stati l’annuncio della reunion – inizialmente smentita categoricamente da Ferretti, poi annunciata per poche date a Berlino, poi diventata un tour che proseguirà in Italia – e le voci spesso discordanti di altri protagonisti di quel periodo e di quel progetto, in primis quella di Umberto Negri (si veda l’intervista a Negri in Zoja 2024), membro fondatore dei CCCP ma totalmente escluso dal progetto espositivo.
Autodefinitisi punk quando già da anni la sottocultura di riferimento nel mondo occidentale era il post-punk, filosovietici quando qualsiasi celebrazione dell’Unione Sovietica era già fuori tempo massimo, i CCCP sarebbero stati presto dimenticati se non fossero stati ben altro e ben di più. Hanno avuto Berlino come inizio nel 1982 (si veda il contributo di Guglielmo Bottin ospitato in questo numero, che ben chiarisce il significato dell’operazione di portare atteggiamenti musicali e performativi visti e ascoltati a Berlino nel contesto italiano) e come fine (caduti “insieme al muro”), e Reggio Emilia come patria, “la più filosovietica tra le province dell’impero americano”. Mostra e catalogo (CCCP – Fedeli alla linea 2023) raccontano finalmente a un pubblico di fan, appassionati, e interessati alla storia culturale e artistica italiana ed europea, la complessità e la ricchezza di tale ‘di più’. Entrambi sono a cura dei CCCP, riportati nei crediti individualmente nel seguente ordine: Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Annarella Giudici, Danilo Fatur. L’ordinamento di nomi e cognomi non è alfabetico e non passa inosservato: rimarca una gerarchia nota a chi abbia conosciuto o conosca i CCCP anche, o forse soprattutto, dopo i CCCP, attraverso la produzione culturale di ciascuno di loro. Leggendo i testi in mostra, riportati integralmente anche nel catalogo, è difficile non pensare che provengano in buona parte da Ferretti, che del resto li ha rivendicati durante un suo monologo – la conferenza stampa di presentazione dell’11 ottobre 2023 – quali suoi unici contributi alla mostra, o quasi. Insieme a Ferretti, l’autore più noto e prolifico è il chitarrista Massimo Zamboni, che con Ferretti aveva inoltre partecipato dal 1992 al progetto musicale CSI (Consorzio Suonatori Indipendenti), costituitosi a pochi anni dalla fine dei CCCP e in parallelo alla fine ultima dell’Unione Sovietica insieme a Giorgio Canali, Ginevra di Marco, Gianni Maroccolo (prima nei Litfiba), Francesco Magnelli e altri. È Zamboni, durante la medesima conferenza stampa, a spiegare lucidamente la scelta generosa di accreditare formalmente tutto il lavoro ai CCCP: “diminuirsi individualmente fa nascere una immagine collettiva forte, è una matematica strana ma fantastica”.
Nel corso degli anni non sono mancate pubblicazioni di e su ciascuno dei quattro; ma coloro che, come chi scrive, non hanno potuto conoscere i CCCP – Fedeli alla linea negli anni Ottanta, trovano in questa mostra l’opportunità di incontrare la storia, gli immaginari e il significato di questo progetto artistico che, stanti le sue caratteristiche, ha goduto e gode di una popolarità del tutto unica nel panorama italiano. Come se non bastasse, l’auto-racconto in forma di mostra dei CCCP, trascendendo negli spazi di Palazzo Magnani la dimensione puramente discografica, si fa ancora più ambiguo e si amplifica a dismisura, in un percorso espositivo coerente e di grande impatto. Così, chi conosceva i CCCP – Fedeli alla linea solamente da album e singoli (dunque soprattutto nella voce e nei suoni di Ferretti, Zamboni e altri i cui nomi per lo più non compaiono in mostra, o compaiono solo accidentalmente), si può trovare a dedicare particolare attenzione proprio ai ruoli che interpretavano Annarella Giudici, “benemerita soubrette”, e Danilo Fatur, “artista del popolo”, oltre che naturalmente alla dimensione collettiva – “espansa”, si direbbe oggi – delle performance, dei concerti e delle apparizioni televisive dei CCCP.
“Achtung, Sie verlassen jetzt West-Berlin”
Superato lo spazio aperto dell’Entrata, dove i visitatori attendono di acquistare il biglietto e dove si vedono il titolo della mostra e la silhouette prospettica dei tre soldati in marcia, l’accesso alla mostra avviene dal più piccolo dei due chiostri di San Pietro: qui si incontrano le bandiere degli Stati socialisti estinti e i ritratti dei CCCP, quelli di ieri e quelli del 2023. I testi stampati sui pannelli lungo la mostra, presenti anche nel foglio di sala distribuito all’ingresso e nel catalogo, mettono subito il visitatore di fronte a una “vertigine”, generata dalla complessità di assegnare “una nomenclatura che imponga un ordine dove ordine non è stato mai” (CCCP – Fedeli alla linea 2023, 10). Si tratta naturalmente di un artificio retorico: sappiamo che la mostra dà forma (o molteplici forme) all’idea dei CCCP sui CCCP e che buona parte degli originali esposti deriva dalla collezione personale di Annarella Giudici (si veda a tal proposito il contributo di Alessandra Vaccari in questo numero di Engramma), ma è difficile distinguere in questi testi il limite tra storiografia e revisionismo, tra programma artistico-politico-filosofico e ‘supercazzola’.
Il complesso architettonico monumentale dei chiostri di San Pietro contribuisce in modo determinante a tale vertigine, “assomma la raffinatezza di una grandiosità sacrale all’incompiuto, allo sfacimento, all’urto: le medesime armi di cui abbiamo goduto noi” (CCCP – Fedeli alla linea 2023, 13). Il percorso attraversa tutti gli spazi “integralmente, come fossero capitoli di libro, scaletta di canzoni, variazioni di costume” (CCCP – Fedeli alla linea 2023, 15). Il complesso architettonico, abitato dalla mostra, diventa così metafora del complesso musicale e performativo. Non passa inosservato il lavoro lungo, accurato e ponderato compiuto dai CCCP – specialmente Annarella Giudici e Massimo Zamboni, da quanto ci è dato sapere – con Stefania Vasques e condotto in buona parte sul campo: la mostra è capace di leggere le potenzialità dell’enorme architettura e di dialogare con essa, attivando un circuito spazio-temporale straniante tra la Berlino dei locali underground e dei centri sociali degli anni Ottanta e i fasti in decadimento di un meraviglioso complesso monumentale emiliano.
All’intimità del Chiostro piccolo segue la grandeur del Chiostro grande, con una installazione che occupa tutto lo spazio del cortile evocando gli inizi berlinesi della storia dei CCCP: due grandi altoparlanti a tromba montati in cima a un palo di ferro, fissato da blocchi di cemento, suonano ad alto volume Spara Jurij vicino a un pezzo di Muro di Berlino e una Trabant delimitati da cavalli di Frisia, simulacri della Berlino Est che fu. L’installazione non è accessibile, ma l’immaginario berlinese evocato dai suoi stereotipi contamina l’esperienza dello spazio in tutto il gigantesco porticato rialzato, anche grazie alla musica che si diffonde ben oltre i limiti del visibile.
Il lato del portico che conduce alla prima sala ripete a distanza costante sotto ciascuno dei suoi archi, all’altezza delle imposte: “èunaquestionediqualità”. Al suo termine, prima di accedere alla prima sala della prima sezione, si deve idealmente superare il confine, passare da Ovest a Est di Berlino, lasciando alle spalle l’idea delle proprie abitudini occidentali.
Sette dischi, sette ‘stanze’
Dopo il denso prologo comincia così la prima delle due sezioni della mostra, quella più storica e cronologica, articolata nelle sette stanze allineate lungo il lato nord del chiostro. Sette, fortunata coincidenza perché corrispondono esattamente al numero di pubblicazioni musicali (quattro album e tre 45 giri) che hanno maggiormente segnato la storia dei CCCP e ne hanno diffuso la voce attraverso la riproduzione e la vendita di supporti discografici.
La prima sala è dedicata al 7” Ortodossia, oggi molto ricercato e costoso nel mercato dei collezionisti. È uno degli spazi più piccoli, eppure già da qui appare chiaro l’intento di trascendere il più possibile la mera dimensione musicale e discografica, principale artefice del successo dei CCCP ma effetto collaterale di una modalità di produzione artistica ben più estesa. La musica è quella che arriva affievolita dal chiostro, distorta dal riflettersi e disperdersi del suono sull’edificio, ma l’immaginario dei CCCP si estende già qui agli esecutivi delle grafiche del disco, ai costumi di Annarella, ai cimeli del tempo. Immagini, grafiche, costumi e oggetti eterogenei proiettano i visitatori ben oltre il disco, iniziando a delineare i primi elementi di una complessità avvolgente che si dispiegherà completamente solo in seguito.
Non compaiono i nomi degli autori dei diversi oggetti e progetti: è così per quasi tutta la mostra, con rare eccezioni. I protagonisti sono i CCCP, non come individui ma come collettivo; come tale si collocano agli antipodi rispetto all’eccellenza culturale internazionale della factory milanese di Gianni Sassi, eppure sono stati ugualmente capaci di penetrare nei “luoghi del potere culturale” e nei media di massa italiani fin dal primo articolo di Pier Vittorio Tondelli, “primo a parlare del gruppo dalle colonne dell’Espresso” (CCCP – Fedeli alla linea 2023, 6).
Le canzoni – fatte di parole, scritte e cantate, e musiche – condividono gli spazi decorati e affrescati del palazzo con oggetti della storia del Pci reggiano (tra cui un immancabile busto bronzeo di Lenin), abiti di scena di Annarella, sculture e grafiche, pubblicazioni discografiche e articoli di giornale, memorabilia del tempo. La sala CCCP, dedicata al 45 giri 12” Compagni, Cittadini, Fratelli, Partigiani (Attack Punk Records, 1985), ospita una grande scultura kitsch in polistirolo ricoperta di intonaco e verniciata ad aerografo di Luca Prandini che, ispirandosi ai ritratti a figura intera stampati sul disco, ritrae i quattro come eroi del popolo. In ogni sala, alla dimensione storica degli oggetti dei CCCP si affiancano altri oggetti che hanno valore simbolico, sociale, politico e religioso. La vertigine si estende a mano a mano che la mostra viene attraversata; si noti che la mostra contiene anche il farsi della mostra stessa, incarnata nei disegni di Vasques studio che vengono coerentemente esposti quali parti integranti dell’esperienza di visita. I crediti di questi disegni non compaiono mai, così come non si legge il nome di Danilo Fatur in relazione ai suoi disegni d’epoca che illustrano progetti di situazioni performative, costumi, accessori e oggetti di scena, né quello di Mirca Morselli per i disegni per il light design dei loro spettacoli.
La sala apparentemente più tradizionale della prima sezione è la sesta e penultima, dedicata all’ultimo album Epica Etica Etnica Pathos (Virgin, 1990) e quindi, inevitabilmente, in buona parte al lavoro fotografico che Luigi Ghirri aveva realizzato per l’occasione, con fotografie (anche inedite) e frammenti di un video che documenta il farsi dei ritratti dei CCCP negli spazi di Villa Pirondini, luogo in cui il disco è stato registrato.
Nel 1989 avevano suonato a Mosca e Leningrado per due concerti, insieme ai Litfiba, in piena Perestrojka. Questa esperienza, che aveva portato i CCCP nel cuore dell’URSS in disfacimento, aveva avvicinato il compimento di un’epoca artistica, dopo la quale le strade dei CCCP si erano divise, in buona parte prendendo direzioni diverse.
Dopo la settima sala, che racconta le apparizioni pubbliche della versione di Tomorrow insieme ad Amanda Lear, si esce di nuovo nel chiostro grande, in posizione angolare a nord-ovest, con la soddisfazione di aver assistito a qualcosa di unico e il desiderio di saperne di più.
Una casa occupata
Tale desiderio viene presto esaudito, perché tutte le diciassette sale del vasto primo piano sono dedicate ai temi, agli immaginari e al mondo dei CCCP, organizzati svincolandosi dalla logica discografica e da quella cronologica, somigliando sempre di più agli interni di un centro sociale occupato berlinese. Prima di arrivarci si deve salire una scala voltata, la cui atmosfera è curata fino al dettaglio per diventare una sorta di percorso iniziatico illuminato di rosso, tunnel ascensionale spazio-temporale che conduce i visitatori alla seconda sezione: qui la vertigine si concretizza nel “labirinto, una enorme estensione destrutturata che ha i connotati di mille case occupate del nord Europa” (CCCP – Fedeli alla linea 2023, 208).
La scala comprime e allo stesso tempo dilata la storia dei CCCP raccontata al piano terra, da Noia (in 1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi – Del conseguimento della maggiore età, Attack Punk Records, 1986) fino alla svolta mistica che conduce verso i CSI ed è, al contempo, preludio dell’apparentemente caotico eden di idee che si incontrerà compiuta la salita. Nella saletta intitolata Libera me domine, sul pianerottolo a metà scala, il videoclip della preghiera-canzone Madre (da Canzoni preghiere danze del II millennio – Sezione Europa, Virgin, 1989) è proiettato sul muro di un luogo quasi claustrale, di fronte a una singola seggiola di legno su cui nessun visitatore osa sedersi. Sopra la sedia, una lampadina pende dalla volta ed emette una luce fioca; alla sua sinistra è allestito un altarino con una fotografia di Annarella, vestita di bianco e col capo coperto, e Giovanni Lindo Ferretti accovacciato in preghiera. La scala e questa saletta, che le appartiene, sono le soglie che separano i CCCP ‘nel’ mondo dal mondo ‘dei’ CCCP.
Il labirinto della memoria
Il piano superiore è occupato interamente, corridoi e stanze, da tanti temi che hanno caratterizzato la produzione dei CCCP, facendo eco a titoli o versi delle loro canzoni, condensati in installazioni realizzate appositamente per la mostra. Sarebbe difficile individuare un linguaggio comune per le diciassette sale, se non fossero orchestrate dalla regia attenta dei CCCP e dagli allestimenti, quelli di Stefania Vasques e i tre lavori da lei commissionati ad Arthur Duff, Stefano Roveda e Roberto Pugliese.
La sezione inizia e finisce con titoli e articoli di giornale che riguardano i CCCP. Nella prima sala, Sono come tu mi vuoi, sono proiettati obliquamente rispetto alle superfici murarie titoli di quotidiani e riviste che li riguardano, lapidari (CCCP – Fedeli alla linea 2023, 208), apparentemente senza alcun nesso logico tra loro. Poi, negli spazi successivi, si incontra di tutto: la messa in scena dello spettacolo teatrale Allerghia, “atto unico di confusione umana” con protagonisti Annarella e Fatur; la nostalgia dei CCCP di un tempo nelle fotografie che ritraggono una giovanissima Annarella Giudici di fronte a un video rallentato dei CCCP oggi, anziani, con del filo spinato a isolare gli strumenti musicali del tempo, nella stanza che prende il nome dalla casa di campagna di Fellegara; i loop di spot e apparizioni televisive in vecchi televisori nel corridoio Reclame; la versione cinese di Io sto bene nella performance Io sto bene karaoke (2007) realizzata da Alterazioni Video a Shanghai, posta di fronte a materiali documentali dei CCCP, tra cui fotografie di scena e un ambito bianco macchiato di rosso di Annarella da un concerto dedicato a Tien An Men, del 1989; il video Ahimè – il congresso del mondo, con la prima apparizione pubblica del gruppo; il lungo corridoio Socialismo irreale, con l’inno sovietico e gli stendardi che ritraggono solennemente in bianco e nero i leader socialisti, tutti maschi, e al termine un doppio ritratto dipinto a colori di Nilde Iotti che rivendica il ruolo politico e sociale delle donne; l’installazione Onde di Roberto Pugliese, che presenta una registrazione inedita del brano omonimo diffusa su oltre 120 altoparlanti che la spazializzano, consentendone un ascolto filologicamente corretto solamente quando ci si trovi di fronte alla teca che ne contiene il nastro; l’ampio corridoio A Carpi al Tuwat, che prende il titolo da Emilia Paranoica, propone tre ore di audiovisivo che restituisce ad alto volume due concerti a Firenze e Reggio Emilia accompagnati da poster e altri materiali d’epoca e, insieme, distribuisce l’accesso ad altre sette stanze tra cui il Camerino, posto vicino alla rappresentazione video del concerto; i video immersivi della stanza CCCP incontra la storia sono affidati al “videoaffresco immersivo” Antropicon di Stefano Roveda; Grafica mostra, anche questa volta senza menzionarne gli autori, artefatti e progetti che hanno a che fare con l’immaginario visivo dei CCCP e sui CCCP, dai disegni per gli abiti a quelli per le scenografie e le luci dei loro spettacoli, dalle grafiche per gli album e i flyer a un fumetto di Staino; Amandoti inquadra le parole della canzone forse più celebre dei CCCP proiettate al fondo di una sorta di tunnel prospettico, che avvolge i visitatori insieme al collage audio di tante cover che l’hanno rivisitata; fuori dalla stanza Lombroso si legge Curami inciso sul muro, mentre all’interno va in scena una camera di ospedale psichiatrico con farmaci, video, musicassette dei CCCP e squallidi teli di nylon attorno a un letto inquietante; Punk Islam espone materiali per lo più relativi alla presenza dell’immaginario islamico, soprattutto mediorientale e nordafricano, nei CCCP, in una stanza che si articola come un labirinto aperto; l’ultima sala raccoglie le accuse e gli articoli più critici contro i CCCP, stavolta su carta e disposti in una bacheca: insulti, minacce skinhead, la didascalia sbagliata e involontariamente comica alla foto di un gruppo di podisti sassolesi: uno dei tanti possibili accidenti di una storia, quella dei CCCP, che si intreccia con tante altre storie italiane della politica, del costume, dello sport. Dalle luci che abitano quest’ultimo spazio, opera di Arthur Duff, si legge entrando “Fedeli alla lira”.
Conclusioni, “la vertigine della nomenclatura”
Alcune stanze e corridoi sono di grandissimo impatto (impossibile dimenticare la forza espressiva di Socialismo irreale, ad esempio); altre sono più deboli (come nel caso di Amandoti), forse a causa del budget limitato per un progetto così grandioso, per il quale i CCCP hanno il merito di non aver voluto rinunciare a nessuno spazio disponibile, a nessuna idea. Rimane indelebile l’impressione generale di una mostra senza precedenti, tra le tante che da qualche anno sono state e sono dedicate ad artisti provenienti dal mondo della musica, per lo più con scopi celebrativi o autocelebrativi. I CCCP offrono ai visitatori qualcosa di mai visto prima: reinventano se stessi programmaticamente a partire dalla propria storia e dal proprio archivio, senza ammiccare in alcun modo all’establishment artistico e musicale. Non è un’esposizione concepita per raccontarsi accuratamente a chi non li conosce, ma nemmeno per i nostalgici, sebbene sia stata certamente visitata da molti nostalgici (Giannini 2023); per giustificare le tipologie di prodotti in vendita al bookshop e i loro prezzi, del resto, bisogna chiamare in causa per lo meno una qualche forma di nostalgia.
Visitando la mostra ci si trova naturalmente anche a fare i conti con tante altre contraddizioni che riguardano i CCCP e su cui nessuno, forse nemmeno loro, ha ancora potuto e forse potrà mai dire o scrivere l’ultima parola, di fatto contribuendo a renderli sempre attuali. Il successo della recente reunion dimostra che i CCCP sono stati la punta dell’iceberg commerciale in Italia di tante esperienze nate in provincia che, in quegli anni e nei successivi, hanno messo in cortocircuito il rapporto tra musica, performance, arti visive, comunità locali, aspirazioni internazionali, politica e follia. L’uso e l’abuso di simboli e riferimenti politici è ovviamente più rappresentazione che propaganda: così come per i Laibach in Slovenia, il contesto di provenienza geografica è imprescindibile per qualsiasi tentativo di osservare i CCCP in una prospettiva storico-critica. “Non a Londra, non a Berlino, non a New York; a Reggio a Modena a Parma, a Fiorano, a Sassuolo, a Carpi” (CCCP – Fedeli alla linea 2023, 7).
Dopo i primi concerti berlinesi del 2024, sono sorte discussioni infuocate e talvolta polarizzate tra giornalisti musicali, musicisti e addetti ai lavori: estimatori e detrattori, fan e hater, chi è certo di averli capiti e chi li liquida senza concedere alcun beneficio del dubbio. Nell’ambiguità, ciascuno tende a proiettare le proprie idee, frustrazioni, ambizioni. Ma è la mostra a Reggio Emilia, ben più del tour del 2024 iniziato a Berlino e dei “galà punkettoni”, a rimettere in moto i CCCP come dispositivo di attivazione del pensiero critico.
È fin troppo comodo, per redigere un piccolo testo come questo a proposito di un dispositivo espositivo così complesso, restituendone una delle infinite letture possibili, seguire il filo della lista-nomenclatura offerto dal catalogo e dai testi in mostra; non rende del tutto giustizia alla mostra, perché essa li scardina continuamente. Anche se risuonano a lungo nella mente, i testi sono secondari rispetto alle scelte curatoriali e all’allestimento degli spazi; anzi, limitano le infinite possibili letture a poche possibili direzioni, seppur sufficientemente aperte e ambigue. I pochi pannelli in mostra appaiono, già prima di essere letti, complementi posticci a un lavoro più articolato e profondo: cercano di mettere ordine dove sarebbe stato meglio non averne, intralciano la visita, forniscono poche informazioni precise.
Di converso, l’archivio di Annarella Giudici e i disegni e le sculture di Danilo Fatur raccontano questi due protagonisti dei CCCP – Fedeli alla linea come tutt’altro che comprimari, cosa che poteva non essere chiara a chi li avesse conosciuti solamente dagli album musicali. Ma non è questo il punto: in mostra e dopo la mostra, il lavoro silenzioso ma concreto di Annarella, di Fatur e di Zamboni vale più di centomila parole di Ferretti sulla mostra, scritte o pronunciate durante incontri pubblici dedicati all’evento. Perfino il ricchissimo catalogo, pur fondamentale per rintracciare attribuzioni e autori, si confronta con il limite di dovere mettere in fila ciò che alla mostra ai chiostri di San Pietro in fila non è, perché non ha potuto né voluto esserlo e perché si articola in dialogo con la maggiore e diversa complessità di uno spazio architettonico.
La mostra a Reggio Emilia è un post-teatro della memoria dei CCCP, o di una mediazione tra le autorappresentazioni dei quattro CCCP. Essendo sempre stati antimoderni, o postmoderni, i CCCP si radicano e insediano in tutto l’edificio, facendolo poi attraversare ai visitatori in ogni sua piega.
L’autore ringrazia Guglielmo Bottin per alcune precise e documentate indicazioni su questioni storiche, che nel catalogo sono trascurate.
Riferimenti bibliografici
- CCCP – Fedeli alla linea 2023
G.L. Ferretti, M. Zamboni, A. Giudici, D. Fatur (a cura di), Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea 1984-2024, catalogo della mostra (Reggio Emilia, Chiostri di San Pietro, 12 ottobre 2023-10 marzo 2024), Firenze 2023. - Giannini 2023
F. Giannini, Felicitazioni! Nostalgia, allerta: i CCCP 40 anni dopo. Com'è la mostra di Reggio Emilia, “Finestre sull’Arte” 22 ottobre 2023. - Zoja 2024
M. Zoja, Intervista a Umberto Negri, Parla Umberto Negri, il primo bassista dei CCCP: ‘Stanno monetizzando’, “Rolling Stones Italia” 29 febbraio 2024 (consultato il 1 marzo 2024).
The article addresses some of the main topics and possible interpretations of the exhibition “Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea 1984-2024”, curated by the Italian band CCCP and designed together with Stefania Vasques in the monumental complex of the Chiostri di San Pietro in Reggio Emilia, homeland of the band. The exhibition mainly includes a prologue in the cloisters, a historical section on the first floor, and a thematic section on the upper floor.
keywords | CCCP; Chiostri di San Pietro; Stefania Vasques; Roberto Pugliese; Stefano Roveda.
questo numero di Engramma è a invito: la revisione dei saggi è stata affidata al comitato editoriale e all'international advisory board della rivista
Per citare questo articolo / To cite this article: F. Bergamo, Felicitazioni! Socialismo e schizofrenia. Note attorno alla mostra “Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea 1984-2024” (Reggio Emilia, Chiostri di San Pietro, 12 ottobre 2023-10 marzo 2024), “La Rivista di Engramma” n. 210, marzo 2024, pp. 17-27 | PDF