Nel 1990 Luigi Ghirri viene invitato dalla Virgin Records a realizzare delle fotografie per il nuovo disco dei CCCP – Fedeli alla linea che è in preparazione, quello che diventerà Epica Etica Etnica Pathos: il doppio LP spiazzerà tutti segnando una sterzata musicale e visiva per il gruppo reggiano, il quale, dopo l’uscita del disco, annuncerà il proprio scioglimento. La fotografia in copertina ritrae l’interno di una cappella affrescata in cui i musicisti avevano installato lo studio di registrazione, ed è un’immagine singolarmente intensa, colma di significati e allusioni che, come altre immagini pubblicate sul disco, è un condensato della vicenda dei CCCP e della poetica ghirriana, il cui fascino aumenta con il passare degli anni. Poiché intorno a questa vicenda si è sviluppato non solo un culto, ma anche una piccola mitologia, in queste righe proverò innanzitutto a fare chiarezza, integrando la letteratura esistente e le conversazioni avute con alcuni dei suoi protagonisti. Tenterò inoltre una lettura dell’opera di Ghirri alla luce del lavoro dei CCCP e viceversa, facendo emergere dal confronto certi aspetti peculiari di entrambi, mostrando che il loro incontro non avvenne per caso, ma in ragione di una serie di elementi comuni.
Nel 1989, anno della caduta del Muro di Berlino, i CCCP avevano suonato in Unione Sovietica insieme ai fiorentini Litfiba, tenendo due concerti a Mosca e a San Pietroburgo – una tournée che concettualmente aveva esaurito le motivazioni dell’ensemble reggiano. Quando a Mosca i soldati dell’esercito russo si erano messi sull’attenti durante l’esecuzione di A Ja Ljublju SSSR, splendida parodia dell’inno sovietico, il ciclo cominciato a Berlino nel 1981 con l’incontro tra Ferretti e Zamboni si era concettualmente chiuso (Campo 1997, 79).
Dopo la tournée, dunque, la band reggiana viveva una fase di disorientamento, si era separata dal bassista Ignazio Orlando, che aveva curato i suoni e gli arrangiamenti dei dischi precedenti, e aveva da onorare un contratto con la Virgin Records. Fu in quel momento che Gianni Maroccolo, ex bassista dai Lifiba, si unì al gruppo per produrre un nuovo album, insieme a Giorgio Canali come fonico, Francesco Magnelli come arrangiatore e Ringo De Palma alla batteria, tutti provenienti dai Litfiba e che poi suonarono in vari brani ampliando e arricchendo la qualità compositiva e timbrica dell’intero progetto. Questa collaborazione portò idee e energie nuove, segnando una discontinuità nelle sensibilità musicali e nei metodi di lavoro, perché Maroccolo propose subito di incidere il disco in una villa, spiazzando i reggiani che erano abituati più ordinariamente a lavorare chiusi in studio. Con un’inserzione sul giornale fu trovata e affittata Villa Pirondini a Rio Saliceto, nella campagna vicino a Correggio, un’antica casa colonica disabitata da decenni che fu riaperta e sistemata spartanamente per abitarci e per poterci suonare senza orari. Qui i musicisti sperimentarono un modo più libero di comporre e di concepire la propria musica, ma anche di condividere un periodo di vita comune, così che la permanenza, inizialmente prevista per un mese, si protrasse dall’aprile al giugno del 1990. In quelle settimane prese forma un doppio LP densamente articolato in momenti di pieno e vuoto, carico di episodi e di suoni registrati nei diversi ambienti della Villa, e di arrangiamenti stratificati in cui si riverberano le vicende personali e di gruppo. Le tensioni e gli umori di Villa Pirondini si sovrapponevano a un periodo storico di crolli, cadute e sgretolamenti: il disco uscì nel settembre del 1990, e nell’ottobre, in concomitanza con la riunificazione della Germania, i CCCP si sciolsero ufficialmente. Quella di Rio Saliceto era dunque una situazione, un luogo e un tempo irripetibili in cui, se da un lato si concretizzò una frattura con il passato e la fine dei CCCP, fu anche la prima occasione in cui i membri dei futuri CSI si trovarono a vivere e lavorare insieme.
Ghirri era un attento e appassionato ascoltatore di musica, che era un aspetto importante della sua vita a cui ha fatto spesso riferimento anche nei suoi scritti, e aveva un’esperienza diretta in campo musicale e discografico. Da anni collaborava con i teatri di Reggio Emilia per cui aveva fotografato musicisti d’opera e di classica, le recite e le scene, ed è importante ricordare che le sue ricerche sulle architetture e sui luoghi comprendevano anche le sale da concerto e i teatri storici, le piazze allestite per gli spettacoli, o per le feste e le rappresentazioni popolari, a cui Ghirri guardava come parte integrante e per certi versi fondativa del paesaggio italiano, e dell’Emilia Romagna in particolare. Nel 1986 aveva conosciuto Lucio Dalla, che lo aveva invitato a seguire una tournée negli Stati Uniti, e poi coinvolto nella realizzazione delle copertine dei suoi dischi. Ghirri lavorerà anche con altri cantautori italiani, e molte sue fotografie d’archivio saranno utilizzate per realizzare dischi di musica jazz e di classica. Forse non per caso nello stesso periodo del servizio a Villa Pirondini, il fotografo emiliano dedicò una delle sue Lezioni di fotografia proprio alle immagini per la musica, nella quale, grazie alla sua grande conoscenza del mondo discografico, fece un excursus storico sul disco come prodotto culturalmente complesso – un progetto che comprende, oltre alla musica, l’oggetto e la sua confezione, la grafica, la fotografia, la scrittura – mettendone in luce l’evoluzione avvenuta nel corso dei decenni in relazione a certi cambiamenti culturali (Ghirri in Bizzarri, Barbaro 2010, 200, 217-218, 222, 225-226). Uno dei temi ricorrenti nelle Lezioni è l’onnipresenza, in fotografia, delle facce, come nel caso della discografia, in cui la maggior parte delle copertine era realizzata con un ritratto dei musicisti – una condizione imposta dalle case discografiche perché fondamentale per aumentare le vendite. Ghirri metteva in relazione questa dittatura del volto al consumo di immagini televisive e al diffondersi dei videoclip, valutandola come un appiattimento della ricerca in questo campo. Nella stessa lezione il fotografo raccontava anche di essere stato chiamato dalla Virgin Records per realizzare le fotografie per il disco dei CCCP, con la richiesta iniziale di fare dei ritratti, ma che, pur avendone scattati alcuni, si erano poi orientati su una cosa completamente diversa. Ed effettivamente Ghirri a Villa Pirondini scattò anche dei ritratti, soprattutto ad Annarella e Fatur, in posa con alcuni loro oggetti di riferimento: la statuaria Annarella in vari costumi e personaggi, immersa nella vegetazione come una indù con un pitone in braccio e il bindi, o come una figura classica, una cariatide, con un tamburo portato sulla testa; Fatur con i suoi totem e le sue sculture che, riprendendo certi aspetti del Nouveau Realisme, o del Merzbau come vedremo più avanti, tendono a sovrapporsi all’immagine di altri oggetti abbandonati nel giardino della Villa.
Durante i mesi di composizione e registrazione dell’album Ghirri visitò ripetutamente la Villa scattando, come sua abitudine, molte fotografie. Il servizio conta più di 400 negativi a colori in formato 6x7 cm e 4,5x6 cm, la maggior parte dei quali sono ancora inediti, anche se diverse fotografie sono state pubblicate in momenti successivi all’uscita dell’album (Borgonzoni Ghirri 1993; Giudici, Ferretti, Tagliati 2014, 202-219; CCCP – Fedeli alla linea 2023, 174-191). Ghirri fotografò una varietà di cose, e sono molte le immagini dedicate a temi tipicamente suoi, con la sua dolcissima luce: gli interni della Villa con gli elementi dell’architettura utilizzati per giocare con le inquadrature, gli specchi, i vetri, i quadri e altre figure appese alle pareti. Ma anche fotografie, biglietti e cartoline infilati nelle cornici dei quadri e la televisione accesa con le immagini che scorrono. Ci sono elementi che raccontano la domesticità della Villa, come il tavolo della colazione ancora apparecchiato, oppure uno stanzino con i piatti e le pentole messi ad asciugare, o certi oggetti ordinari e particolari disposti come in piccoli altari: un libro aperto con due ritratti di Michelangelo e il verso di una sua rima – “la faccia mia ha forma di spavento” –, un disco di canti gregoriani e altre musiche liturgiche, alcune musicassette, una parrucca, il dettaglio ingrandito dei volti della Madonna Sistina di Raffaello, erbe e rami, diapositive e altri oggetti. Il guardaroba di Annarella.
Sono numerosi anche gli scorci in cui lo sguardo del fotografo, come di consueto, si muove attraverso le aperture della Villa verso l’esterno. Ed è l’esterno, in effetti, il soggetto su cui Ghirri insiste maggiormente: allarga la visione comprendendo i campi circostanti punteggiati di papaveri, i filari delle coltivazioni, alcuni alberi, la strada che ritaglia un passaggio tra le piante, e si sofferma soprattutto sull’aspetto di abbandono della Villa e sulla natura che vi cresce spontanea. I negativi mostrano il cancello spalancato su piante, cespugli e fiori, la vegetazione che cresce intorno e sulla Villa, il giardino e i rampicanti che ricoprono i muri, le finestre, gli alberi. Il suo sguardo indugia su certi spazi e oggetti abbandonati, spesso mostrati in contrasto con la presenza dei nuovi, temporanei, abitanti. In effetti, i temi dell’incolto e dell’abbandono erano familiari a Ghirri, e fanno parte di quello sguardo romantico ed emotivamente partecipe che caratterizza la sua opera più matura (Costantini 1989, 68-72). Il tema della natura come metro per comprendere una realtà, una civiltà, è presente in Ghirri sin dall’asciuttissima serie di Colazione sull’erba (1972-1974), e nella seconda metà degli anni Ottanta si struttura in alcune ricerche dedicate ai giardini, come per esempio La ragione della natura del 1986, una ricerca sui giardini nel ravennate, o Giardini in Europa del 1988, in cui Ghirri raccoglie fotografie sue e di molti altri autori. Ugualmente importante è l’interesse per le vecchie case solitarie abbandonate nelle campagne emiliane, che già nei suoi primi anni di attività Ghirri ricercava insieme all’artista Franco Guerzoni (Guerzoni in Bizzarri 2014, 68-78, 107, 149), e che successivamente fotograferà rifacendosi alle pitture di paesaggio osservate sui muri nelle ville e dei palazzi nobiliari – si pensi per esempio alla copertina che Ghirri realizzò per gli indici della rivista di architettura “Lotus international” (Lotus 1989) mettendo in scena la collezione di riviste davanti agli affreschi della sala delle vedute del castello di Spezzano. Uno degli ultimi progetti del fotografo avrebbe dovuto intitolarsi Case sparse, ed era dedicato all’architettura rurale che stava scomparendo, ma anche alla campagna stessa come luogo di ritrovato stupore e di immaginazione, un tema che dopo la morte del fotografo verrà ripreso da Gianni Celati nel cortometraggio Case sparse. Visioni di case che crollano (Celati 2010, 262-263). È chiaro quindi che Villa Pirondini, immersa nella campagna e con la sua forma un po’ padronale e un po’ rurale, fosse per Ghirri un soggetto conosciuto e congeniale, e i CCCP, andando ad abitarla, ebbero l’intuizione di coinvolgerlo e ne fecero richiesta alla Virgin. In fondo appartenevano tutti allo stesso paesaggio, anche in senso geografico perché Ghirri era nato a Fellegara di Scandiano, lo stesso paese in cui i CCCP si erano formati come gruppo quando cominciarono a suonare nel 1981, e una certa idea di crolli e abbandoni, come già accennato, non è estranea nemmeno a Epica Etica Etnica Pathos, in cui i riferimenti al mondo sovietico e della DDR sono ormai indiretti ed evocati in forma di rovine e sgretolamenti.
Sia Ghirri che i CCCP, con percorsi diversi, erano in realtà accomunati da una critica inventiva della società moderna, del capitalismo e del comunismo, partendo dai propri epicentri emiliani per riallacciarsi a esperienze artistiche molto più ampie. Ghirri aveva sviluppato le sue prime ricerche in seno all’arte concettuale di area modenese, che lo mise in un confronto dialettico con le avanguardie – tra cui il Surrealismo, il Dada parigino e la grande fotografia americana, mentre i CCCP emersero in area emiliana grazie a una provocatoria e paradossale sovraidentificazione con il comunismo sovietico e l’Islam mediorientale, che rimanda a certi atteggiamenti del dadaismo tedesco di Berlino e Hannover.
I primi lavori di Ghirri sono riflessioni a tutto campo sulla fotografia in un sistema allargato di cultura visiva e di linguaggi, i cui titoli sono spesso dei giochi linguistici che presuppongono la consapevolezza di un certo dibattito strutturalista di quegli anni (Ghirri 1979, 61-87). Il titolo della prima importante serie Kodakchrome (1970-1978), per esempio, riprende il marchio di una delle pellicole negative più diffuse, sottintendendo una riflessione sulla fotografia come mezzo espressivo di massa e di consumo. Nella serie f/11, 1/125, Luce Naturale (1970-1979) Ghirri rivolge l’attenzione ai luoghi del tempo libero in cui si scattano la maggior parte delle fotografie, citando alla lettera le impostazioni di diaframma, tempo e temperatura colore indicate nelle istruzioni date per fare “correttamente” fotografie all’aperto. Anche in ITALIA AILATI (1971-1979) il rovesciamento del titolo è metafora di una rappresentazione della nazione che è speculare a quella museale, così come in Identikit (1976-79) il fotografo si presenta in modo indiziario, attraverso una serie di scatti realizzati nel proprio spazio domestico in cui si vedono i dorsi dei suoi libri e dischi, e i suoi oggetti e immagini d’affezione (come fece negli interni della Villa a Rio Saliceto) rifiutando cioè di rappresentare direttamente il proprio volto e mettendo in discussione il genere del ritratto fotografico e dell’autoritratto. Forse per questo, nei suoi sopralluoghi a Villa Pirondini, Ghirri fotografò anche i musicisti, ma senza ritrarli in posa o mentre lavoravano, piuttosto riprendendoli singolarmente o a coppie durante i momenti di riposo, come immagini d’affezione. Gli stessi CCCP e il loro pubblico, d’altra parte, erano estranei all’idea del ritratto da copertina, per cui queste immagini non vennero utilizzate. Al contrario, Ghirri realizzò alcuni ritratti di gruppo davanti alla Villa e al fienile, sia dei quattro CCCP che di tutte le persone coinvolte nelle registrazioni (compaiono anche Daniela Algeri, moglie di Massimo Zamboni, Patti Vasirani, cantante e corista in alcuni brani, e Rossana Tagliati, costumista), due dei quali furono pubblicati in piccolo formato sulle buste dei vinili, insieme ai testi delle canzoni e a sette fotografie del giardino, della campagna e degli interni. Il ritratto con tutti i musicisti contro la facciata della Villa – un’immagine alla Luzzara di Paul Strand, in cui Zamboni e Ferretti sono incorniciati dalle aperture della finestra e della porta – è animato da un movimento interno che ricorda una scena del Veronese in cui tutti sono occupati con qualcosa, per cui i musicisti imbracciano i rispettivi strumenti: Ferretti è vicino a un microfono mentre accarezza il cane, Fatur sostiene un totem, Annarella indossa un abito seicentesco con un’enorme gorgiera, rigidamente seduta. Più che un ritratto, dunque, l’invenzione di una scena che, come sempre in Ghirri, nel rappresentare la situazione di Villa Pirondini in modo apparentemente spontaneo, la ricollega ad altre immagini e narrazioni di una grande tradizione pittorica e fotografica.
La capacità di giocare con le strutture comunicative e del linguaggio è un aspetto importante anche per il gruppo reggiano. Tutto il mondo dei CCCP, in un certo senso, può essere compreso come una spiazzante appropriazione di certe parole, di figure, di un’estetica – compreso il loro stesso genere musicale, il punk – prelevate dal proprio sistema culturale (e geografico) di riferimento per metterne ambiguamente in crisi il senso, in continuità con certe pratiche stranianti del dadaismo. Lo stesso nome del gruppo gli si è rivelato guardando una grande cartina geografica dell’Unione Sovietica appesa a casa di Ferretti (Campo 1997, 37), equivocando ambiguamente le lettere dell’alfabeto cirillico con i caratteri latini.
Semplicemente ci siamo accorti che non è il caso di produrre altre idee o di produrre niente di nuovo perché già quello che c’è in giro basta e avanza per fare centomila dischi, centomila spettacoli, centomila cose, per cui non è il caso di inventare niente, semplicemente […] fermarsi un attimo, capire quello che c’è, prenderlo e usarlo (Zamboni in Gasparini 1989).
La prima estetica del gruppo, come del resto una parte di tutto il punk, è direttamente debitrice alla carica sovversiva del Dada berlinese, soprattutto a Raoul Housmann e a John Heartfield. Ma l’opera dei CCCP travalicherà presto l’idea della provocazione realizzata attraverso la sola musica e l’estetica punk per diventare altro, esprimendo la propria angoscia culturale anche grazie all’energia delle figure contrapposte e complementari di Fatur e di Annarella (Belpoliti 2014, 13-14). Alcuni suoni, frasi e lamenti declamati sul palco richiamano le performance vocali in cui Kurt Schwitters interpretava il poema An Anna Blume, o la Ursonate (si pensi anche alla pièce teatrale Allerghía) e i concerti del gruppo diventarono, se non un’opera d’arte totale, un progetto ferocemente vitale, che comprendeva le parole, la musica e un tipo diverso di visibilità attraverso la danza, la performance, introducendo dunque il corpo, il movimento e un forte coinvolgimento emotivo come elementi centrali del proprio farsi arte.
Epica Etica Etnica Pathos è un doppio album che si apre a libro, e che presenta sulle due falde quattro grandi fotografie a piena pagina, ognuna delle quali corrisponde a una delle parole del titolo. I negativi erano tutti in formato 6x7 cm, per cui le fotografie furono riquadrate. Come si è detto, l’immagine scelta per la copertina è una fotografia densissima, in cui è ritratta la piccola cappella di Villa Pirondini con le pareti scrostate e macchiate di umidità, attrezzata per essere usata come studio d’incisione, con il mixer, i rack, gli innumerevoli cavi necessari per registrare e i monitor audio collocati in corrispondenza dell’altare. Di quest’ultimo rimane traccia negli affreschi superstiti sulla parete di fondo, e tutto, in questa fotografia, da l’idea di un luogo utilizzato intensamente. Ghirri realizzò diverse versioni dell’immagine, alcune guardando da fuori attraverso le porte della cappella, altre sulla soglia con l’imbotte utilizzata come quinta prospettica, altre ancora dall’interno riprendendo più o meno campo, in un movimento di allontanamento e avvicinamento che contraddistingueva il suo modo di conoscere le cose. Nelle versioni dell’immagine in cui l’inquadratura è più ampia, in primo piano si vedono il seggiolino del batterista, a terra un groviglio di cavi e prese elettriche, una cassa di acqua minerale rovesciata utilizzata come base per un’asta microfonica, e ai lati della stanza ci sono una tastiera, un basso, pezzi di batteria, una maglietta appesa, altri microfoni e attrezzature. La piccola cappella, pur essendo sovraccarica di oggetti, appare come svuotata al centro: sul pavimento c’è un grande tappeto rosso quadrato, su cui batte la luce che entra dalla finestra dando un tono acceso all’immagine. Dal soffitto, al centro della stanza e della fotografia, in corrispondenza della mediana della cornice che un tempo doveva contenere l’immagine sacra dell’altare, pende una nuda lampadina accesa. Ghirri si riferisce qui alla pittura, alludendo all’uovo di struzzo della Pala Montefeltro di Piero della Francesca, simbolo di purezza (anche nella tavola braidense c’è un tappeto tipicamente quattrocentesco, rosso e di disegno mediorientale, su cui è appoggiato il trono della Madonna), un dettaglio significativo per il fotografo, che amava il pittore di Borgo Sansepolcro e lo riteneva importante per comprendere il suo stesso lavoro (Costantini, Chiaramonte 1997, 106, 292). Si tratta di un episodio che anche i musicisti hanno ricordato più volte: Massimo Zamboni ne parla nel documentario Infinito. L’universo di Luigi Ghirri (2022); Giorgio Canali ha raccontato di essersi nascosto dietro la porta per manovrare l’interruttore durante gli scatti, accendendo e spegnendo la lampadina seguendo le indicazioni di Ghirri (Fin dove può arrivare l’infinito? 2012).
Per Ghirri non si parla mai di immagini singole, ma di fotografie che acquisiscono un significato all’interno di una serie, di una sequenza. Quella delle copertine è costruita per dittici di immagini contrapposte per densità e rarefazione: il retro dell’album sembra il negativo della prima copertina, perché è la fotografia di uno spazio completamente vuoto al cui centro c’è un’immagine sacra. Su un muro spoglio, rischiarato dalla luce morbidissima di una finestra che si intravede sulla destra, è incorniciata un’immagine devozionale di Santa Rita da Cascia e, tra la cornice e il muro, è infilato il familiare rametto di ulivo che viene benedetto nelle chiese durante la domenica delle palme (l’unico altro segno presente è un cavo elettrico attorcigliato che va dalla cornice al soffitto). Questa alternanza tra pieni e vuoti, tra una condizione attiva, dentro alle cose del mondo, e un’altra sospesa, contemplativa, è in tutta l’opera matura di Ghirri, e manifesta un dualismo che descrive bene due aspetti inscindibili di quella che è quasi una liturgia per i CCCP: quello musicale che si svolgeva nella cappella durante le registrazioni, e quello kenotico legato a una dimensione più intima e spirituale dei musicisti-performer.
Anche le immagini all’interno dell’LP sono strutturate secondo questa alternanza di pieni e vuoti, così come lo sono i testi e le musiche del disco. La prima immagine ritrae la stanza della Villa in cui era stata collocata la batteria di Ringo De Palma: davanti a una finestra chiusa c’è la batteria montata su una coperta, microfonata e cablata che, poiché la scena è ripresa da una posizione leggermente ribassata, acquisisce ancora più monumentalità, restituendo tutto il rigore necessario per registrare questo grande strumento acustico, per cui ogni cosa è collocata ordinatamente. Nell’immagine si vedono anche una stufa in terracotta, un calorifero elettrico, le custodie di bassi e chitarre, e altri oggetti che mostrano lo spazio trasformato in sala di registrazione. Ci sono, anche qui, una finestra che illumina la stanza e una lampadina nuda che pende, accesa, dal soffitto. Anche per questo scatto Ghirri si fece aiutare per ottenere le giuste condizioni di illuminazione, chiedendo alla moglie Paola, che lo accompagnava e che ideò e segui l’impostazione grafica del disco, di aprire e chiudere gli scuri sullo sfondo (si veda la testimonianza di Massimo Zamboni nel documentario Infinito. L’universo di Luigi Ghirri di Matteo Parisini e in Fin dove può arrivare l’infinito?).
La quarta immagine è nuovamente rarefatta: lo scorcio, ripreso attraverso una porta, di un interno più ampio e vuoto, con il soffitto scandito dalla simmetria delle travi, una porta chiusa al centro del muro di fondo, e su un lato il filo di una grande porta finestra che rischiara l’intera stanza. Sull’altro si vede un tavolo barocco dalle gambe ritorte, su cui è appoggiato un vaso di fiori e alcuni libri e quaderni (da altri scatti si vede che il vaso è a sua volta appoggiato su un tessuto decorato con un motivo calligrafico arabo, dunque un testo o una parola sacra, accanto a un candelabro e due candele). Di nuovo, dunque, un interno domestico svuotato, caratterizzato da pochi oggetti rituali scelti con cura.
Con il servizio di Epica Etica Etnica Pathos i CCCP offrirono a Ghirri un’occasione di lavorare liberamente, e Ghirri portò ai CCCP il proprio modo di guardare al mondo, che nel suo periodo più maturo era riconducibile, in alcuni suoi aspetti, al movimento fenomenologico. In effetti il vero salto fatto con la fotografia di copertina è di avere compreso che l’immagine fosse già pronta, senza bisogno di inventare o aggiungere niente, perché la cappella con lo studio di registrazione era il luogo in cui si condensavano e si rendevano visibili le tensioni attive a Villa Pirondini durante la realizzazione dell’album. Negli anni Ottanta i lavori più radicali del primo Ghirri erano sfociati in una ricerca estesamente dedicata al paesaggio, anche rispondendo alle sollecitazioni di numerosi lavori e servizi commissionati, innescando una riflessione sui luoghi e sul paesaggio italiano (Nastasi 2018, 17). Nel 1989 aveva esposto “Paesaggio Italiano” al Foro Boario di Reggio Emilia, poi pubblicato nella collana monografica dei “Quaderni di Lotus”. In questo volume, in cui esterni e interni, storia e presente si fondono in una concezione totale del paesaggio, Ghirri svolge una riflessione sulla propria pratica fotografica che lo avvicina all’eredità del movimento fenomenologico portata avanti da Merleau-Ponty, al punto che alcuni passi dei suoi testi sembrano rifarsi direttamente alla Fenomenologia della percezione. Ghirri pratica l’idea di una fotografia che, come la vera filosofia “consiste nel reimparare a vedere il mondo” (Merleau-Ponty [1945] 2018, 30), e che permette di ritrovare un contatto ingenuo con le cose rivelandone la natura misteriosa, strana e paradossale (Merleau-Ponty [1945] 2018, 15, 22), perché le immagini non sono “il rispecchiamento di una verità preliminare”, ma la realizzazione di una verità (Merleau-Ponty [1945] 2018, 30), in un continuo movimento di organizzazione e riorganizzazione del senso. Una concezione che da un lato ricollega il lavoro e il pensiero di Ghirri alle ultime ricerche di Ugo Mulas, mostrandoli come un’interrogazione e una verifica della fotografia stessa che ne comprende tutti gli aspetti, e dall’altro configura la fotografia come possibile modello per una discussione fenomenologica (Quintavalle 1973, 129, 152-156; Quintavalle 2012; Quintavalle 2022, 267-268), attraverso cui la soggettività del vedere si costituisce come relazione tra il soggetto-corpo, che è lo snodo di ogni esperienza in cui si intrecciano esterno e interno, e tutti gli altri soggetti, inclusi noi stessi che osserviamo. Per questo le immagini di Ghirri, nonostante la loro densità e compiutezza, appaiono spesso svuotate, e possono accogliere una molteplicità di significati e suscitare emozioni straordinariamente diverse. L’immagine in cui si vede lo scarno allestimento della batteria di Ringo De Palma è un esempio fortissimo di questo approccio, perché anche qui la fotografia era, per così dire, già pronta. Il modo caratteristico di Ghirri di riprendere la stanza e la batteria, nella sua simmetria e frontalità, evoca la presenza del corpo del musicista, che sembra aver appena abbandonato lo strumento. Si percepisce un effetto surreale di sospensione, che si caricherà presto di un senso di mancanza quando De Palma, tornato a Firenze per qualche giorno durante le registrazioni, morirà improvvisamente lasciando la batteria a Rio Saliceto, e questa fotografia si tramuterà in un doloroso monumento alla sua assenza.
La cappella della Villa doveva essere stata, in passato, il luogo deputato alla musica durante le celebrazioni, e lì avveniva l’incisione di un disco che è ampiamente pervaso da un senso di trascendenza, e disseminato di riferimenti a rituali, invocazioni e testi sacri cristiani, ebraici e islamici, pronunciati, cantati e gridati in una forma liturgica rimescolata, talvolta citando direttamente i salmi e altre sacre scritture (per esempio Salmi 90:5; Esodo 21:23-25 nel brano Maciste contro tutti), alternati a parole e frasi estratte dal linguaggio dei media e della società di fine anni Ottanta. Il mixer collocato sull’altare assume nella fotografia un significato simbolico, di sovrapposizione – o per meglio dire di collasso in questa fase dei CCCP – di piani e di tempi storici, e l’interno scrostato della cappella (Ghirri fotografò da vicino anche le muffe) risuona con il testo di Narko’$ e di Depressione caspica, alludendo forse alla caduta del Muro di Berlino e alla dissoluzione dell’Unione Sovietica e del suo sistema estetico e ideologico, o direttamente a quella del gruppo stesso.
L’idea di ritrarre elementi del presente in un’architettura storica emiliana carica di fascino e di nostalgia, con gli stucchi e le quadrature, crea un parallelo con i tratti locali e popolari presenti nella musica dei CCCP, un elemento che in questo disco, rispetto ai precedenti, si manifesta più liberamente e con strumenti e suoni registrati in una varietà di episodi, ambienti e situazioni. A questo tema Zamboni e Ferretti daranno seguito negli anni successivi soprattutto con le produzioni di musica etnica e popolare dei Dischi del Mulo, pubblicando gli album di Giovanna Daffini e delle Mondine di Correggio, definite “il vero gruppo punkettone dell’Emilia” (Ferretti in Campo 1997, 98-99). Tra l’altro Ghirri conosceva – li cita nelle Lezioni (Bizzarri, Barbaro 2010, 207-208) – la collana dei “Dischi del Sole” dedicati alla musica popolare, ai canti del lavoro e della resistenza, curata dall’etnomusicologo Roberto Leydi, di cui Ferretti aveva frequentato da studente i corsi al Dams di Bologna. È questa libera mescolanza di elementi contemporanei e del passato che fa sì che le immagini di Ghirri, così come tutta l’opera dei CCCP, mantengano diversi tempi e durate in tensione nel presente, evitando di ricadere in una scivolosissima evocazione nostalgica di cose perdute. A conferma di questa presenza di elementi che mescolano il tempo, altro dualismo riscontrabile sia in Ghirri che nei CCCP, è interessante osservare una striscia di negativi del servizio in cui ci sono due fotografie scattate di seguito, la prima che ritrae una stufa tradizionale in terracotta, la seconda che mostra lo schermo dell’Atari st Notator 1040, un computer che in quegli anni fu innovativo in ambito musicale professionale, e che i musicisti utilizzarono per registrare Epica Etnica Etica Pathos.
Dunque il confronto tra Ghirri e i CCCP, nonostante l’apparente lontananza delle rispettive esperienze, mette in luce che il loro incontro non avvenne per caso ma, al contrario, fu legato a elementi comuni che erano profondi e non così immediati da percepire. In primo luogo la condivisione del paesaggio emiliano in cui erano immersi che, con il suo importante e persistente portato visivo e culturale, è una forma del vivere. In secondo luogo un simile approccio all’opera che, nella diversità di modi e attitudini, implicava una continua ricerca di senso e un ripensamento dei linguaggi delle proprie discipline, riconnettendoli a importanti esperienze artistiche del passato e alle relative pratiche e significati. Ma soprattutto la compresenza di due atteggiamenti la cui complementarità rende speciali le rispettive poetiche, e che si fondono in quel bellissimo oggetto culturalmente complesso che è Epica Etica Etnica Pathos. Da un lato sia Ghirri che i CCCP erano percettori del mondo abili a penetrarlo e a rappresentarlo, dall’altro vivevano uno stato di partecipazione emotiva, di abbandono e di meditazione, una duplice sensibilità che li rendeva capaci di accogliere nella propria opera anche quegli aspetti inattuali e contraddittori che oggi la mantengono viva.
L’autore ringrazia la fototeca della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, Adele Ghirri, Giorgio Canali, Stefano Cardini, Laura Gasparini, Maurizio Petronio, Eleonora Tarantino, Massimo Zamboni.
Bibliografia
Riferimenti bibliografici
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G. Celati, Ricordo di Luigi, fotografia e amicizia, in G. Bizzarri, P. Barbaro (a cura di), Luigi Ghirri. Lezioni di fotografia, Macerata 2010. - Costantini 1989
P. Costantini, Dall’interno sull’esterno: la fotografia di Luigi Ghirri, in Ghirri 1989, 68-72. - Costantini, Chiaramonte 1997
C. Costantini, G. Chiaramonte, Niente di antico sotto il sole, Torino 1997. - Dickerkman 2005
L. Dickerman (a cura di), Dada: Zurich, Berlin, Hannover, Cologne, New York, Paris, Washington 2005. - Fin dove può arrivare l’infinito? 2012
Fin dove può arrivare l’infinito? A Luigi e Paola Ghirri, Milano 2012. - Ghirri 1979
Luigi Ghirri, Parma 1979. - Ghirri 1986
L. Ghirri, La ragione della natura, Ravenna 1986. - Ghirri 1989
L. Ghirri, Paesaggio italiano, Milano 1989. - Ghirri, Quintavalle 1991
L. Ghirri, A.C. Quintavalle, Viaggio dentro un antico labirinto, 1991. - Giudici, Ferretti, Tagliati 2014
A. Giudici, G.L. Ferretti, R. Tagliati (a cura di), Annarella Benemerita Soubrette. CCCP Fedeli alla Linea, Macerata 2014. - Merleau-Ponty [1945] 2018
M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione [Phénoménologie de la perception, Paris 1945], trad. di A. Bonomi, Milano 2018. - Müller-Alsbach, Stahlhut 2004
A. Müller-Alsbach, H. Stahlhut (eds.), Kurt Schwitters. MERZ - a Total Vision of the World, Bern/Basel 2004. - Nastasi 2018
M. Nastasi (a cura di), Luigi Ghirri. Il paesaggio dell’architettura, Milano 2018. - Quintavalle 1973
A.C. Quintavalle, Mulas dall’oggetto al fenomeno, in Ugo Mulas. Immagini e testi, Parma 1973, 103-157. - Quintavalle 2012
A.C. Quintavalle, Luigi Ghirri dal concettuale al Nouveau Roman, in Fin dove può arrivare l’infinito?. - Quintavalle 2022
A.C. Quintavalle, Ghirri: Fotografia, Struttura, Romanzo, in L. Ghirri, Tra albe e tramonti, London 2022, 241-272.
Numeri monografici
- Lotus 1989
1974-88. Indici, “Lotus international” numero speciale (1989).
Film e video
- Celati 2003
Case sparse. Visioni di case che crollano, scritto e diretto da G. Celati, 2003. - Gasparini 1989
Tempi moderni. CCCP - Fedeli alla linea, regia di L. Gasparini, 1989. - Parisini 2022
Infinito. L’universo di Luigi Ghirri, scritto e diretto da M. Parisini, 2022.
In 1990 the photographer Luigi Ghirri was invited to take photographs for the new CCCP - Fedeli alla linea album, which is in preparation at Villa Pirondini, an old villa in the countryside where the band has settled and has set up a mobile recording studio. The album is Epica Etica Etnica Pathos, a double LP which will surprise everyone, marking a musical and visual turning point for the group from Reggio Emilia, as well as its end. The photograph on the cover portrays the interior of a frescoed chapel where the musicians had set up their recording studio, and it is a singularly intense image, full of meanings and allusions which, like other images published on the album, is a condensation of the story of CCCP and Ghirri’s poetics, whose charm increases with time. Since a cult and a small mythology have developed around this story, in this article I intend firstly to clarify it, integrating the existing literature and the conversations I had with some of its protagonists. Furthermore, I will try a reading of Ghirri’s work in the light of the work of the CCCP and vice versa, bringing out from the comparison certain peculiar aspects of both, showing that their meeting did not happen by chance, but thanks to a series of significant common elements.
keywords | CCCP; Luigi Ghirri; Villa Pirondini; Epica Etica Etnica Pathos.
questo numero di Engramma è a invito: la revisione dei saggi è stata affidata al comitato editoriale e all'international advisory board della rivista
Per citare questo articolo / To cite this article: M. Nastasi, “Lasciami così”. Luigi Ghirri e i CCCP – Fedeli alla linea, “La Rivista di Engramma” n. 210, marzo 2024, pp. 173-186 | PDF