"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

216 | settembre 2024

97888948401

Ippolito e le immagini erotiche. Eur. Hipp. 1005 e un possibile riferimento alla pittura vascolare

Michele Di Bello, Roberto Indovina

English abstract

All’interno dell’ἀγὼν λόγων che ha luogo nel terzo episodio dell’Ippolito di Euripide è in scena il confronto tra Teseo, da poco rientrato a Trezene, e suo figlio Ippolito, incolpato dalla suicida matrigna Fedra di averle usato violenza. Al suo fulcro c’è il tentativo autoapologetico di Ippolito che asserisce di essere del tutto estraneo alle pratiche di Afrodite, a lui note solo indirettamente attraverso le conversazioni degli altri e la visione di immagini:

ἑνὸς δ’ ἄθικτος, ᾧ με νῦν ἔχειν δοκεῖς·
λέχους γὰρ ἐς τόδ’ ἡμέρας ἁγνὸν δέμας.
οὐκ οἶδα πρᾶξιν τήνδε πλὴν λόγῳ κλύων
γραφῇ τε λεύσσων· οὐδὲ ταῦτα γὰρ σκοπεῖν
πρόθυμός εἰμι, παρθένον ψυχὴν ἔχων

(Eur. Hipp. 1002-1006) 

E sono intatto in una cosa, quella per cui ora credi di avere la meglio su di me:
dal letto, di fatto, fino ad oggi ho mantenuto incontaminato il corpo.
Non conosco questa pratica se non per sentito dire o
per averla vista in pittura; né queste cose sono disposto a osservare
con attenzione, poiché vergine ho l’anima
(trad. di M. Di Bello e R. Indovina)

Particolarmente interessante risulta l’espressione che Ippolito utilizza al verso 1005, γραφῇ τε λεύσσων, “vedendola dipinta”, letteralmente “vedendo in pittura”. Ippolito dice qui apertamente di non conoscere affatto i gaudia Veneris ma di averne soltanto sentito parlare (nei discorsi degli altri, κλύων) e di aver visto con i suoi occhi delle immagini che raffigurano le pratiche sessuali. Non solo: con probabile riferimento al secondo di questi due elementi (la visione di immagini a carattere erotico), Ippolito afferma di non essere disposto ad approfondire (a indagare oltre con lo sguardo, σκοπεῖν) questa visione ‘viziosa’ (così almeno nella traduzione di Susanetti 2005, 119: “ho visto delle immagini… e neanche quelle mi interessano”), avendo un’anima vergine (παρθένον ψυχήν).

Stante l’inequivocabile riferimento a una qualche esperienza di fruizione visuale implicata dalle parole di Ippolito, ci si può chiedere a quale forma di fruizione visuale il giovane possa fare riferimento nella sua autoapologia. La domanda non è nuova e si inserisce a pieno titolo nello studio dei riferimenti alle arti figurative ravvisabili nella letteratura teatrale (cf. Ieranò 2010); a questa i commentatori del passo di Euripide in esame hanno risposto in maniera pressoché unanime: il tragediografo alluderebbe qui alla pittura vascolare piuttosto che a quella parietale, e specificamente alla pittura vascolare a soggetto erotico [Figg. 1, 2 e 3]. Questa, ad esempio, è la voce di Barrett (Barrett 1964, 351, “certain vase-paintings”) e anche di Correale (Correale 1984, 96, “Ippolito pensa qui probabilmente alla pittura vascolare o parietale in cui certamente abbondavano scene amorose ed erotiche”). Dello stesso avviso sono anche Halleran (Halleran 1995, 236, “γραφῇ presumably refers to the painting on vases, which frequently displayed sexually explicit scenes”) e Roth (Roth 2015, 269, “Wir denken dabei an die vielen athenischen Vasenbilder mit sexueller Thematik”).

Considerata la genericità del termine γραφή si potrebbero comunque considerare anche altre ipotesi per l’esegesi di Hipp. 1005: un riferimento alla manualistica greca di soggetto erotico, un genere letterario e artistico di alta diffusione e consumo privato che accompagnava la spiegazione teorica con veri e propri corredi di immagini esplicative dei vari schémata sessuali (un esempio è offerto dalle ‘figure’ erotiche nella produzione di Filenide di Samo; si veda in proposito Baccarin 2017). Eppure, la seriorità rispetto al V secolo a.C. delle testimonianze di suddetta manualistica erotica (attestata solo a partire dal IV secolo a.C., cf. Baccarin 2017, 14) spinge a ritenere preferibile la pittura vascolare come ipotetico referente del verso, confermando il suggerimento dei critici.

1 | Coppa attica a figure rosse del Pittore Onesimo, ca. 490 a.C. Basel, Antikenmuseum und Sammlung Ludwig (n. inv. BS 440).

2 | Frammento di coppa attica a figure rosse del Pittore di Tarquinia, ca. 470 a.C. Malibu (CA), The J. Paul Getty Museum (n. inv. 83.AE.321).

3 | Coppa attica a figure rosse del Pittore della Fonderia, ca. 470 a.C. Malibu (CA), The J. Paul Getty Museum (n. inv. 86.AE.294).

Rispetto all’esegesi degli studiosi, che nei commenti al passo euripideo risulta formulata in modo solo sintetico, si può cercare di sostanziare in qualche modo l’ipotesi – intuitiva sì, ma nient’affatto scontata – che nel riferimento di Ippolito alla sua esperienza visuale di atti sessuali si nasconda proprio la pittura vascolare e non un’altra forma d’arte pittorica.

La questione è da affrontare, innanzitutto, dal punto di vista lessicale a proposito del significato di γραφή, genericamente «pittura» (cf. LSJ s.v. γραφή A II). Per confermare che con γραφή qui Ippolito intende precisamente la pittura vascolare sarebbe necessario:

a) trovare una o più occorrenze in cui γραφή designi inequivocabilmente la pittura vascolare;
b) ancorare il termine γραφή alla pittura vascolare sulla base delle iscrizioni rinvenibili sugli stessi vasi.

Nessuna conferma viene dalla prima pista di indagine (a): nell’intero corpus di testi greci pervenutici non paiono infatti riscontrabili casi in cui l’iperonimo γραφή funga anche da iponimo specifico per “pittura vascolare”. In altre parole, il termine γραφή è generico e non pare essere mai attestato – né nei lessicografi né altrove – nel senso specifico di “ceramica figurata”. Né sono d’aiuto altri due celebri casi tragici in cui γραφή indica chiaramente la pittura, visto che in entrambi il riferimento va probabilmente a forme d’arte altre dalla pittura vascolare:

Aesch. Ag. 242 πρέπουσά θ᾽ὡς ἐν γραφαῖς (Ifigenia, “nitida come nelle pitture” oppure “bella come in un dipinto”, cf. Ieranò 2010, 126-130 e Medda 2017, II, 172-173, dove la dimensione coloristica possibilmente implicata spinge a pensare più a forme di pittura monumentale); Eur. Tro. 687 γραφῇ δ’ ἰδοῦσα καὶ κλύουσ’ ἐπίσταμαι, in cui Ecuba, un po’ come Ippolito nel nostro verso, dice di non sapere cosa sia una nave se non per averla vista dipinta e per averne sentito parlare, ma non ci sono elementi sufficienti per ancorare il riferimento alla ceramografia (cf. ancora Ieranò 2010, 121 e Biehl 1989, 277).

I riferimenti stessi alla pittura vascolare, d’altronde, restano sporadici nella letteratura greca e privi di un referente lessicale che inglobi e rappresenti l’intera categoria della figurazione artistica su vasi. Nei testi ci si riferisce, semmai, a un’anfora, una kylix decorata (di riferimenti a forme ceramiche abbonda ad esempio il libro XI dei Deipnosofisti), ma mai alla “pittura vascolare” come genere artistico. E anche quando il campo semantico di γράφω (dal primo significato di “incidere”, “scrivere”) si espande e si arricchisce con l’aggiunta di prefissi per indicare la pittura (come in ζῷα γραφέω = ζωγραφεῖν, “dipingere figure”), non emerge mai una connessione diretta con la ceramica figurata.

La lingua greca conosce sì alcune specificazioni lessicali per designare i sottogeneri della pittura, riferibili però più alla natura del soggetto rappresentato che al supporto materiale utilizzato: μεγαλογραφία per soggetti di grandi dimensioni; ῥωπογραφία per soggetti comuni e/o di piccola taglia; εἰκονογραφία per i ritratti, σκηνογραφία per la pittura scenica; cf. Smith, Wayte, Marindin 1890 s.v. pictura). In sostanza, non è stato possibile rinvenire neppure una sola occorrenza in cui il sottogenere della pittura vascolare sia designato inequivocabilmente come γραφή.

La seconda strada (b), invece, benché non abbia portato all’individuazione di alcuna occorrenza del termine γραφή inciso su un vaso e riferito, meta-artisticamente, al soggetto rappresentato su di esso (“la scena/il soggetto qui rappresentata/o”), conduce almeno alla possibilità di ancorare saldamente e puntualmente la ceramografia alla sfera lessicale di γραφή. E stavolta non si tratta di allusioni indirette, ma a parlare è la voce dei vasi stessi. Le iscrizioni ΕΓΡΑΨΕΝ (anche nella variante ΕΓΡΑΦΣΕΝ) ed ΕΓΡΑΦΕ sui vasi dimostrano infatti che il verbo γράφω veniva usato correntemente, in una delle sue sottospecificazioni semantiche, per indicare precisamente l’attività di decorazione dei vasi, riservata al ceramografo [Fig. 4]. Questo uso verbale nelle officine ceramiche del periodo suggerisce una distinzione tra chi “fabbrica il vaso” (il vasaio) e chi “lo dipinge” (il ceramografo). Sotto l’ampio ventaglio di significati di γραφή sembra così esserci un preciso spazio per includere la pittura vascolare, e a confermarlo sono gli stessi supporti materiali, che esibiscono voci del verbo γράφω in riferimento al soggetto che decora le superfici dei vasi. La γραφή cui allude Ippolito può dunque essere concretamente la pittura vascolare, visto che i vasi utilizzano la radice di questo sostantivo per designare l’attività di decorazione del vaso stesso.

4 | Dettaglio con firma [ΕΓΡΑΦΣΕΝ] di Eufronio in un cratere attico a figure rosse, ca. 510 a.C. Paris, Musée du Louvre (n. inv. G 103).

Durante il periodo tra il 550 e il 475 a.C., non lontano dall’attività teatrale di Euripide, si riscontra peraltro un picco di vasi con queste iscrizioni, che suggeriscono una pratica consolidata in cui la decorazione pittorica era un’attività distinta e riconosciuta. E questa formula era diffusa per la firma d’artista. A rafforzare l’idea che l’Ippolito euripideo alluda alla pittura vascolare è il fatto oggettivo che, almeno a quanto ci risulta dai reperti a noi pervenuti, il supporto più frequente in età classica per ospitare scene a carattere erotico sia proprio la ceramica [Fig. 5].

5 | Tabella BAPD generata attraverso la ricerca con filtro sull’Archivio Beazley.

Rispetto ad altri generi iconografici, infatti, le scene erotiche erano particolarmente abbondanti nella decorazione dei vasi, soprattutto di quelli utilizzati durante i simposi, occasioni conviviali maschili in cui si discuteva, si beveva e si godeva della compagnia di amici ed etere. Anche sulla base della consonanza tra contesto d’uso e tema iconografico, dunque, il riferimento a immagini erotiche fatto da Ippolito vede la ceramica come il candidato più probabile, e l’allusione è tanto più ricca e significativa quanto più si considera la centralità del vasellame decorato nella vita ateniese del V sec. a.C.

I vasi decorati con scene erotiche fungevano da veri e propri mezzi di educazione sessuale per i giovani, in una sorta di grammatica visiva condivisa dalla comunità (cf. Baccarin 2017). In questo modo, le stesse immagini erotiche si rivelano parte di un linguaggio visivo che, al pari della poesia e della prosa, contribuisce attivamente alla costruzione di un immaginario culturale comune. È dunque pienamente plausibile che Euripide, attraverso le parole di Ippolito, abbia potuto fare riferimento a immagini riprodotte in gran numero e varietà nella pittura vascolare, ben note al pubblico di V sec. a.C.

La particolare prospettiva sull’eros di cui si fa portavoce Ippolito, tuttavia, rappresenta una sorta di inversione rispetto al ‘sentire comune’ rispecchiato dalla fortuna delle scene sessuali sulla ceramica del tempo: la posizione di dichiarata avversità al sesso del protagonista della tragedia risulta infatti stravagante e del tutto anomala e consente ad Euripide di accentuare il dato caratterizzante l’ethos del personaggio nel suo contrasto rispetto all’etica, all’estetica e alla stessa paideia dei giovani ateniesi. Il pubblico dell’Ippolito viene così coinvolto in una riflessione su un modello di educazione sessuale collettivamente accettato la cui centralità è richiamata per opposizione. In questo contesto, l’ostentato distacco (e disprezzo) di Ippolito finanche verso le forme visive di rappresentazione delle pratiche erotiche evidenzia ulteriormente l’anomalia del personaggio rispetto all’etica e alla paideia generalmente condivisa dal pubblico ateniese. E la possibile allusione alla pittura vascolare – probabilmente immediata per il pubblico che assisteva alla tragedia – rafforza il contatto con l’esperienza quotidiana degli spettatori.

Un’ultima riflessione. Se l’ipotesi qui sostenuta è giusta e con γραφή Euripide intendeva davvero alludere alle scene sessuali rappresentate nella ceramica figurata, questo sarebbe l’unico caso in cui la tragedia fa riferimento a una forma d’arte quotidiana e non ‘monumentale’ quale la pittura vascolare. E sarebbe un’ulteriore conferma della riconosciuta attenzione di Euripide a dettagli quotidiani della realtà.

Ringraziamo Maria Luisa Catoni e Alessandro Grilli, le cui riflessioni e suggerimenti ci hanno stimolato per i contenuti di questo contributo, e Paolo B. Cipolla per la revisione accurata e il prezioso supporto generosamente offerto durante la stesura di questo lavoro.

Riferimenti bibliografici
  • Baccarin 2017
    A. Baccarin, La manualistica erotica ellenistica: diaspora di una Ars erotica, “Rationes rerum” 9 (gennaio-giugno 2017), 9-35.
  • Barrett 1964
    W.S. Barrett, Euripides, Hippolytos, Oxford 1964.
  • Biehl 1989
    W. Biehl, Euripides: Troades, Heidelberg 1989.
  • Correale 1984
    L. Correale, Euripide: Ippolito, Firenze 1984.
  • Halleran 1995
    M.R. Halleran, Euripides: Hippolytus, Warminster 1995.
  • Ieranò 2010
    G. Ieranò, «Bella come in un dipinto»: la pittura nella tragedia greca, in L. Belloni, A. Bonandini, G. Ieranò, G. Moretti (a cura di), Le immagini nel testo, il testo nelle immagini: rapporti fra parole e visualità nella tradizione greco-latina, Trento 2010, 117-141.
  • Medda 2017
    E. Medda, Eschilo: Agamennone (3 voll.), Roma 2017.
  • Roth 2015
    P. Roth, Euripides: Hippolytos, Berlin-München-Boston 2015.
  • Smith, Wayte, Marindin 1890
    W. Smith, W. Wayte, G.E. Marindin, A Dictionary of Greek and Roman Antiquities, Cambridge 1890.
  • Susanetti 2005
    D. Susanetti, Euripide: Ippolito, Milano 2005.
English abstract

In the third episode of Euripides’ Hippolytus, the confrontation between Theseus and his son Hippolytus centers around the latter’s defense against accusations of sexual assault by his stepmother Phaedra. Hippolytus proclaims his ignorance of Aphrodite’s practices, claiming knowledge of erotic acts only through hearsay and visual representations, specifically, paintings (γραφῇ τε λεύσσων, Eur. Hipp. 1005). This study explores the hypothesis that the reference to visual imagery in this passage alludes to erotic vase paintings rather than other forms of art. This article seeks to substantiate the vase painting hypothesis through lexical analysis and a review of Greek artistic references. Furthermore, it examines how vase paintings, especially those with erotic themes, played a significant educational role in Athenian society, contrasting with Hippolytus’ ascetic stance, which highlights his deviation from societal norms.

keywords | Euripides; Hippolytus; Erotic Vase Painting; Greek Pottery; Greek Tragedy; Visual Imagery in Literature.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: Michele Di Bello, Roberto Indovina, Ippolito e le immagini erotiche. Eur. Hipp. 1005 e un possibile riferimento alla pittura vascolare, “La Rivista di Engramma” n. 216, settembre 2024

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2024.216.0012