Brucia il classico alla prova del tempo
Editoriale di Engramma 215
Anna Beltrametti e Monica Centanni
English abstract
Dioniso femminamaschio, Dioniso il dio del piacere che, donandoci il vino, scioglie ogni pena, allevia il dolore della vita. Ma anche Dioniso feroce, come le donne di Tebe che il dio spinge a lasciare le loro case e a farsi baccanti sul Citerone, a inscenare la festa divina, il rito perfetto della gioia omicida: anziché porgere ai loro piccoli le mammelle gonfie di latte, le giovani madri allattano i cuccioli delle fiere e Agave, al culmine dell’entusiasmo e del delirio dionisiaco, fa strazio di suo figlio, Penteo, credendo di aver catturato e smembrato un giovane leone. Nel 2021 è andata in scena al Teatro greco di Siracusa una versione potente della tragedia euripidea, carica dell’energia sovversiva de La Fura dels Baus: abbiamo scelto il volto e il profilo di Lucia Lavia, che prestava la sua maschera a Dioniso, come immagine guida di questo numero di Engramma.
“Brucia il classico alla prova del tempo”: un endecasillabo per titolo che proietta una immagine di per sé suggestiva, carica di un’energia doppia e antinomica, leggibile com’è su molti piani e in molti sensi, da molti punti di vista differenti e complementari. Il classico che brucia – letterario, linguistico, archeologico, artistico, filosofico, antropologico – mette in gioco non solo gli oggetti di studio o di riflessione, ma anche la posizione, i metodi e il senso dell’impegno di chi, i classici, li studia. E talvolta, più semplicemente, provoca il gusto di chi, i classici, li incontra a distanza meno ravvicinata, di chi con quelle immagini e quei mitemi viene a contatto non per mestiere.
Forse siamo già nella fase di declino della Cancel Culture, il movimento che ha preso le mosse alla Princeton University dalla protesta di un giovane professore di Storia romana, Dan-el Padilla Peralta, che ha creduto di riconoscere nei classici e nelle modalità del loro insegnamento universitario uno strumento privilegiato di discriminazione culturale, di distinzione tra noi – che possiamo richiamarci al pensiero e all’arte degli antichi Greci e Romani – e loro, quelli che non possono vantare le stesse ‘prestigiose’ ascendenze. Molti e tra i più importanti testi di quelle culture antiche sarebbero intrisi di pensieri e immagini non politically correct e, con il loro perpetuarsi nella storia degli studi, sarebbero alla radice di tutti i moderni criteri di inferiorità e di esclusione degli ‘altri’: le donne, gli schiavi, i barbari, intesi come i non Greci individuati dalla lingua, un garrire di rondini per l’orecchio greco, dal colore della pelle, dalla costituzione corporea, troppo umida o troppo secca.
È allora un rogo di antichi libri, da Omero a Ippocrate, da Virgilio a Ovidio, tanto per fare solo alcuni nomi più di altri evocati, è questo che il titolo deve farci immaginare? L’immagine delle fiamme che bruciano e interrompono una tradizione considerata elitaria e traviante richiama molti altri roghi di libri e di immagini nella storia della tradizione occidentale, dal Bildersturm dei Riformisti nel XVI secolo, ai Bücherverbrennungen nella Germania nazista del 1933, fino al rogo a scopo di edificazione che leggiamo nel romanzo distopico del 1953 di Ray Bradbury, Fahrenheit 451. O, piuttosto, il titolo suggerisce una pira di interpretazioni stratificate nei secoli che hanno forzato i testi in una intenzionale idealizzazione di quanto, tra parole e immagini e manufatti, ci arriva dai Greci e dai Romani? Sono i classici a dover bruciare alla prova del tempo o le letture dei classici a incendiarsi sotto la pressione di nuove domande? Sono, forse, i classici per loro stessa natura, combustibili? Ma combustibili per alimentare cosa? A correnti alternate, in varie epoche, i classici sono stati la materia energetica per grandi ‘rinascimenti’ – tutti diversi fra loro, tutti in gara o in dialettica con i modelli. Ma sono stati anche il repertorio di riferimento pronto a divenire il deposito mummificato per tanti classicismi e neoclassicismi, diversi tra loro nelle premesse e nei metodi, ma sempre uguali nel tentativo di canonizzare i classici, museificarli, candeggiarne i colori, levigarne le spigolature e sterilizzarne la potenza. E certo proprio i classici sono stati anche usati a fini di sopraffazione culturale e di colonialismo ideologico: è certo che non solo l’intellighenzia europea nel XIX e nel XX secolo, ma anche l’establishment accademico americano tra secondo Novecento e inizi del Ventunesimo secolo hanno dato ampi spazi di cittadinanza a studi linguistici, etno-culturali, storico-religiosi, intesi a confermare la superiorità, il suprematismo, del pensiero occidentale.
Ma il rogo dei classici può farci anche pensare al combustibile necessario ad alimentare altro, e al fuoco che sa bruciare chi accosta quella materia ancora incandescente. Abbiamo la chiara percezione che i “classici” siano fin dall’origine più complessi e intriganti dei loro interpreti e che, opportunamente liberati dalle letture mirate a scorgervi i paradigmi del bello e del buono, anche contro le evidenze filologiche, possano ancora scottare chi li tocca per le folgoranti intuizioni sui maggiori temi conflittuali: della pace e della guerra, del maschile e del femminile, dei Greci e dei Barbari. Su questo ultimo tema in particolare, per superare il senso comune, basta riprendere i tragici per comprendere come sull’alterità i drammaturghi abbiano guidato un pensiero profondamente critico, capace di rovesciare i termini delle opposizioni correnti. Nei Persiani di Eschilo, la madre di Serse vede in sogno due figure – Persia e Grecia – sorelle di sangue aggiogate al carro del re achemenide e il Messaggero, un sopravissuto, parla di sé e racconta la disfatta dell’armata di Serse nel linguaggio dei Greci, come se lo avesse fatto proprio in un sorprendente cambio di punto di vista. Nelle Supplici – ancora di Eschilo – le profughe egiziane in cerca di asilo ad Argo, nere di pelle e avvolte in vesti orientali, narrano di essere le discendenti della principessa greca Io, errante e profuga, e quindi parenti di sangue degli argivi. Euripide nelle Troiane e nell’Ecuba mette in scena la violenza consumata dai vincitori greci a Troia durante la guerra e nell’immediato dopoguerra con la violazione dei luoghi sacri, le deportazioni delle donne e l’esecuzione del piccolo e ultimo principe troiano Astianatte; ed è la violenza più efferata, più barbara degli stessi barbari: “Maledetta la guerra! Vigliacchi voi Greci che avete ucciso un bambino perché avevate paura di lui!”. Forse da qui bisogna ricominciare a leggere i classici e a farli bruciare al fuoco del nostro tempo.
Lanciando il tema dei classici che, alla prova del tempo, possono bruciare in modi diversi, abbiamo chiesto ai collaboratori di rispondere, offrendo per questo numero il loro contributo, sintonizzandosi, ciascuno con i suoi strumenti e le sue tonalità, su quel che il titolo suggeriva loro.
Abbiamo articolato il numero in tre sezioni: la prima è dedicata ai Saggi; la seconda a Materiali sugli spettacoli INDA al Teatro greco di Siracusa; la terza a Interviste, presentazioni, letture.
I. Saggi
La prima sezione si apre con il contributo Pace è solo una parola. Come Platone decostruisce la fine della guerra del Peloponneso nel Menesseno, in cui Elena Sofia Capra affronta il tema della riscrittura, nel dialogo platonico, della memoria storica della recente guerra civile fra Greci del V secolo a.C., e in particolare del rapporto pace-guerra in termini aderenti al testo e al contesto, e al contempo fortemente suggestivi per la nostra contemporaneità.
Michele Nardelli, con Il nomen Alexandri tra Giustino, Trogo, Livio e Timagene ricostruisce la storia del nome di Alessandro, nell’epitome delle Storie Filippiche di Giustino, un nome che brucia in un doppio senso: in patria, il nome di Alessandro era associato alla luminosa maiestas della regalità macedone e, in molte regioni del Mediterraneo, questo nome era sinonimo di terror. Una doppia valenza che Augusto farà propria e declinerà nell’uso del proprio nome.
L’articolo Le fonti antiche sul pesce esoceto di Annalisa Lavoro è una revisione critica delle fonti antiche greche e latine (Clearco, Teofrasto, Oppiano, Eliano, Plinio il Vecchio), che trattano del pesce ἐξώκοιτος (lat. exocoetus), cioè del pesce che si addormenta “fuori dall’acqua” e dunque fuori dal letto (ἔξω, fuori, e κοίτη, letto). Attraverso Linneo, che chiamò exocoetus volitans un pesce volante appartenente alla famiglia Exocoetidae, il termine “Exocet” è arrivato oggi a indicare un missile antinave.
In Tra le carte dei Sette contro Tebe. La messinscena del 1937 nei documenti d’archivio Federica Marinoni, con una accuratissima ricerca tra le carte d’archivio, scopre la collaborazione di due personalità politicamente divergenti, il grande grecista Manara Valgimigli e il regista Guido Salvini, per la messa in scena della tragedia di guerra per eccellenza: i Sette contro Tebe di Eschilo, nel 1937 al Teatro Olimpico di Vicenza.
Nel saggio Tre anelli. Paul Marie Letarouilly, Les Édifices de Rome Moderne (1831-1870), Guido Morpurgo presenta e analizza l’opera monumentale Édifices de Rome moderne di Paul Marie Letarouilly, pubblicata a Parigi nel corso del XIX secolo, che include tre volumi di tavole e uno di commenti in un lavoro ampio e organico concepito in forma di progetto architettonico. Il principio ideologico della rifondazione dimostrativa dell’architettura classica che Letarouilly implica sulla base dell’eredità del Rinascimento romano si fonda sulla riorganizzazione sintetica dei materiali dell’antichità. L’idea di ricollegarsi al classico attraverso il Rinascimento, attraverso le relazioni tra progettare, costruire e usare, riflette le dimensioni del necessario e del simbolico. L’opera nel suo complesso riorganizza l’eredità dell’architettura romana rinascimentale, trasponendo la memoria del classico su un nuovo piano semantico.
Nel saggio L’Iliade, ce brûlot : l’actualité paradigmatique de La guerre de Troie n’aura pas lieu de Jean Giraudoux, Delphine Lauritzen pone la questione dell’imminenza di una Terza guerra mondiale attraverso l’opera teatrale scritta nel 1935 da Jean Giraudoux, fin dalla sua prima messa in scena percepita come un’opera di bruciante attualità: come l’Iliade di Omero, suo modello primario, l’opera di Giraudoux è diventata un classico letto e insegnato nelle scuole francesi.
Martina Treu, che da decenni segue e cura le pubblicazioni di Emilio Isgrò, con il saggio Cancellare (e riscrivere) Omero. L’Odissea e i classici ‘bruciati’ da Isgrò presenta il lavoro dell’artista sull’Odissea cancellata, scritto nel 2003 e appena andato in scena al Teatro grande di Pompei, illustrando con riflessioni e immagini lo speciale senso attribuito da Isgrò alla cancellatura, tra gioco e ripensamento dei grandi testi e delle grandi opere figurative: non la negazione o il seppellimento, ma la risemantizzazione e una nuova vita dell’antico.
L’articolo Ri-nascere dal Classico: un recente impiego di Botticelli in ambito pubblicitario di Ludovica Bosco fornisce una panoramica generale sull’interazione tra pubblicità e tradizione classica e sui diversi meccanismi di citazione che rendono possibile questa interazione e affronta il caso di studio della campagna pubblicitaria “Una Nuova Stagione”, presentata dall'azienda Plenitude nel maggio 2022, che muove dalla Primavera di Sandro Botticelli.
II. Materiali sugli spettacoli INDA al Teatro greco di Siracusa
La seconda sezione raccoglie e comprende l’aggiornamento del Regesto degli spettacoli INDA 1914-2024 a cura di Alessandra Pedersoli; una nota, In cerca di Dioniso. Per una schedatura integrata degli spettacoli INDA a cura del Seminario catanese, che presenta il metodo di recupero e di organizzazione dei materiali contenuti in vari archivi; e due schede, a cura di Carla Anzaldi, sul Prometeo incatenato del 1954 e sul Prometeo del 1994.
III. Interviste, presentazioni, letture
Apre la sezione la presentazione di Fragmentary Greek Drama, a cura di Monica Centanni e Paolo B. Cipolla, la nuova collana edita da “L’Erma di Bretschneider” che propone brevi monografie incentrate su drammi – tragedie e drammi satireschi – di cui sono pervenuti un certo numero di frammenti che consentono una ricostruzione plausibile della trama del dramma perduto. Il primo volume è dedicato al Laocoonte di Sofocle: oltre ai frammenti testuali, due testimonianze di pittura vascolare permettono di ricostruire un’altra possibile scena del dramma non attestata dalla tradizione letteraria.
In Uno e molteplice. Presentazione di Sinesio di Cirene, Tutte le opere Francesco Monticini – curatore del volume – presenta la recente pubblicazione nella collana “Il pensiero occidentale” fondata per Bompiani da Giovanni Reale. Nel volume si pubblica – in lingua originale e traduzione italiana a fronte – l’intero lascito letterario del filosofo-vescovo, allievo prediletto di Ipazia. Oltre a uno degli epistolari più ricchi della letteratura tardoantica e bizantina e ad alcuni fra i più importanti esempi di poesia cristiana in metrica classica, esso include opuscula che spaziano dalla retorica alla filosofia, dall’astronomia all’oniromantica. Copiate, studiate e commentate per tutto il millennio bizantino, le opere di Sinesio di Cirene non avrebbero mancato di affascinare Marsilio Ficino, Girolamo Cardano, Mario Luzi e molti altri.
Piermario Vescovo con De Martino, Macchioro e Warburg. Appunti di lettura su Riccardo Di Donato, I greci selvaggi. Antropologia storica di Enrico de Martino, Meltemi, Milano 2023 presenta la nuova edizione del volume di Di Donato del 1999, riflettendo sull’intricata evoluzione intellettuale di Ernesto de Martino. Il testo approfondisce il percorso intellettuale di de Martino dai primi anni a Napoli, attraverso la sua fase liberalsocialista e l’impegno con il Partito Comunista, fino alle sue opere mature sull’antropologia religiosa, con un focus significativo sull’influenza del pensiero di Vittorio Macchioro; Di Donato esplora le potenziali connessioni tra de Martino e Aby Warburg, evidenziando la possibile influenza di quest’ultimo sullo studio di de Martino della lamentazione rituale.
Damiano Acciarino con Herlitzka, Lucrezio, la morte. In memoriam fra le varie attività artistiche e intellettuali del grande attore, scomparso a fine luglio 2024, mette l’accento su una sua straordinaria impresa poetica, la traduzione dei primi libri del De rerum natura in terzine dantesche: la lettura si concentra su quattro passaggi in cui Lucrezio affronta il tema della morte e Herlitzka, con la sua versione alta e coraggiosa, rilancia la sfida del lucido taglio filosofico del poeta latino.
Peppe Nanni, con il suo Il nome segreto della politica, presenta il saggio di Donatella Di Cesare, Democrazia e anarchia. Il potere nella polis, pubblicato di recente da Einaudi. Tracciare la genealogia della democrazia significa mettere in evidenza la sua natura an-archica rivelata nel suo stesso nome che scarta rispetto alla nomenclatura dell’arché per rilanciare l’elemento del kratos autonomo da qualsiasi “ricatto archico”. La costellazione di pensatori come Michel Foucault, Jacques Rancière e Miguel Abensour, fa brillare il persistente potenziale sovversivo della democrazia, auspicando un’interazione dinamica tra potere democratico (kratos) e resistenza anarchica.
Nell’intervista a Nadia Terranova Tra ζωή e βίος. Donne che allattano cuccioli di lupo, Adriana Cavarero ricapitola il suo lavoro sul corpo femminile che incrocia pensiero filosofico e riflessione politica, in relazione alla sfera della maternità e, nel contempo, dell’autonomia dell’essere femminile dal precetto culturale della maternità. In Donne che allattano cuccioli di lupo, pubblicato da Castelvecchi nel 2023, Cavarero prende spunto dall’immagine delle Baccanti che abbandonano le loro case per ricongiungersi con la potenza della natura, allattando cuccioli di bestie selvatiche, per riflettere sulla vita stessa declinata nei due termini greci di ζωή e di βίος. Da un verso sempre di Baccanti il libro di Cavarero mutua il titolo: l’attualità del testo di Euripide brilla ancora forte e luminosa. Brucia il classico alla prova del tempo.
English abstract
”Brucia il classico alla prova del tempo” (Burning classics in the test of time) is a title that projects an image charged with a double and antinomian energy. The classics that burn – in a literary, linguistic, archaeological, artistic, philosophical, and anthropological sense – bring into play not only the objects of study or reflection, but also the position, methods and commitment of those who study the classics or come into contact with these images and myths. The Cancel Culture movement – perhaps already on the wane – believes that the classics and the methods of teaching them in universities are a privileged instrument of cultural discrimination. They draw a distinction between us, who can recall the thought and art of ancient Greeks and Romans, and them, who cannot boast of the same ‘prestigious’ lineage. Many of the most important texts of those ancient cultures are imbued with politically incorrect thoughts and images and, by their dissemination in the history of science, lie at the root of all modern criteria of inferiority and exclusion of 'others': women, slaves, and barbarians, all perceived as non-Greeks on the basis of their language, a swallow's chirp for the Greek ear, skin colour, physical constitution, too wet or too dry. Is the burning of ancient books what the title suggests? Or, rather, does the title suggest a funeral pyre of interpretations accumulated over the centuries, which have forced the texts into a deliberate idealisation of everything – words, images, and artefacts – that comes to us from the Greeks and Romans? Is it the classics that must burn in the test of time, or the readings of the classics that ignite under the pressure of new questions? Are the classics, perhaps, by their very nature, fuel? But fuel for what? Perhaps the burning of the classics can make us think about the fuel needed to burn something else, or the fire that can burn those who approach this still-glowing matter.
Issue 215 of Engramma delves into this theme. We have asked our contributors to respond to what the title suggests, each with their own approaches and modes. We have divided the issue into three parts. Section I: Essays; Section II: Material on the INDA performances at the Greek Theatre of Syracuse; Section III: Interviews, presentations, readings.
Section I presents Elena Sofia Capra’s contribution, Pace è solo una parola. Come Platone decostruisce la fine della guerra del Peloponneso nel Menesseno; Michele Nardelli’s article Il nomen Alexandri tra Giustino, Trogo, Livio e Timagene; Annalisa Lavoro’s contribution Le fonti antiche sul pesce esoceto; Federica Marinoni’s essay Tra le carte dei Sette contro Tebe. La messinscena del 1937 nei documenti d’archivio; Guido Morpurgo’s contribution, Tre anelli. Paul Marie Letarouilly, Les Édifices de Rome Moderne (1831-1870); Delphine Lauritzen’s essay, L’Iliade, ce brûlot: l’actualité paradigmatique de La guerre de Troie n’aura pas lieu de Jean Giraudoux; Cancellare (e riscrivere) Omero. L’Odissea e i classici ‘bruciati’ da Isgrò, by Martina Treu; Ri-nascere dal Classico: un recente impiego di Botticelli in ambito pubblicitario, by Ludovica Bosco.
Section II updates the Regesto degli spettacoli INDA 1914-2024, edited by Alessandra Pedersoli; it also includes a methodological note, In cerca di Dioniso. Per una schedatura integrata degli spettacoli INDA, edited by Seminario catanese, which presents the methods for searching and organising materials in the various archives; and finally presents two files, edited by Carla Anzaldi, on the Prometeo Incatenato, 1954 and the Prometeo, 1994.
Section III, Interviews, Presentations, Readings, includes the presentation of Fragmentary Greek Drama, the new series published by “L’Erma di Bretschneider” edited by Monica Centanni and Paolo B. Cipolla; Uno e molteplice, a presentation of Synesius of Cyrene, Complete Works, edited by Francesco Monticini; De Martino, Macchioro e Warburg, the presentation of the new edition of I greci selvaggi by Riccardo Di Donato, edited by Piermario Vescovo; Herlitzka, Lucrezio, la morte. In memoriam, a tribute to Roberto Herlitzka not only as one of the greatest Italian actors, but also as the translator of Lucretius’ poem, a poet in his own right. Nadia Terranova’s interview with Adriana Cavarero, Tra ζωή e βίος. Donne che allattano cuccioli di lupo; and Il nome segreto della politica, by Peppe Nanni, a presentation of Donatella Di Cesare’s volume Democrazia e anarchia. Il potere nella polis.
keywords | Classics; Cancel Culture; Plato; Aeschylus’ Seven against Thebes; Paul Marie Letarouilly; Jean Giraudoux; Emilio Isgrò; Botticelli; Eni-Plenitude; Fragmentary Greek Drama; Synesius of Cyrene; Riccardo Di Donato; Enrico de Martino; Adriana Cavarero; Donatella Di Cesare; Democracy; Anarchy; Roberto Herlitzka; Lucretius.
Per citare questo articolo / To cite this article: Anna Beltrametti, Monica Centanni, Brucia il classico alla prova del tempo. Editoriale di Engramma 215, “La Rivista di Engramma” n. 215, agosto 2024