Figurine dal mito
Kaos – a Netflix series (2024)
a cura della Redazione di Engramma*
English abstract
Una presentazione
Che cos’è Kaos
“Mentre la discordia regna sull’Olimpo e l’onnipotente Zeus sprofonda nella paranoia, tre mortali sono destinati a cambiare il futuro dell’umanità”. Questa è la sinossi che compare nel sito italiano della piattaforma Netflix, a presentare la serie Kaos, ideata e scritta da Charlie Covell, strutturata in otto puntate da meno di un’ora l’una. La serie è uscita nei canali Netflix nell’agosto del 2024.
Definita come “mythological dark comedy”, Kaos rimette in azione i miti in un mondo misto di presente, classico e arcaico, in cui le divinità e gli esseri umani si spartiscono in gradi diversi vincoli gerarchici e profezie, che prefigurano la vittoria dell’entropia in tutti i domini della natura e delle relazioni. La profezia che rimbalza in diverse forme nei vari mondi – l’Olimpo, la Terra l’Ade – recita: “A line appears / The order wanes / The family falls / and Kaos reigns”. Giovane poietés della storia è l’inglese Charlie Covell che nel 2017 aveva già scritto l'inquietante serie The End of the F***ing World. Diverse interviste hanno accompagnato l’uscita di Kaos cercando di captare da Covell le sue fonti (in particolare vedi Lydia Venn, Kaos creator on Greek mythology icons, hidden meanings and season two, “Cosmopolitan”, 29 Augusto 2024). In esse, Covell si descrive come “a massive nerd who was obsessed with the original Clash of the Titans film” (il film di Louis Leterrier – Usa 2010 – è basato sulla storia di Perseo). Nella biblioteca di Covell convivono i libri di mitologia illustrata che danno forma agli dèi e agli eroi della mitologia greca e le potenti re-interpretazioni a opera di scrittrici come la canadese Margaret Atwood, con il suo romanzo The Penelopiad (2005), o la scozzese Carol Ann Duffy, nella cui raccolta The World’s Wife (1999) compare anche una straordinaria Euridice, che lascia il segno nell’immaginario di Covell ed è una fonte di ispirazione per la Riddy di Kaos. Da Covell apprendiamo che al 2009 risale la sua prima opera dal titolo Clytemnestra e comincia a farsi strada l’idea di uno Zeus alle prese con una crisi di mezza età quando il formarsi di una ruga/riga/linea sulla pelle porta con sé la minaccia del crollo di un intero universo.
L’album di Kaos
Ora che Netflix ha annunciato che la seconda stagione della serie televisiva Kaos non verrà prodotta, e dunque gli intrecci delle storie non proseguiranno nel tempo parallelo che mescola divinità olimpiche e mondo contemporaneo, tanto più la prima parte, con le sue otto puntate, si configura come un mondo in vitro. Una bolla di piani temporali, un collage di geografie terrestri e ultraterrene, dove si muovono i protagonisti assoluti: i miti. Abitano un pantheon con alcuni punti fermi (la prepotenza e il capriccio di Zeus; la forza fluida di Poseidone; il profilo impareggiabile di Era), e con tante sottili rinegoziazioni rispetto versioni antiche del mito. Si pensi, uno per tutti, all’outing sorprendente di Persefone nell’Episodio 8: “Questa storia [...] è inserita in tutti i libri degli umani. Ogni ragazzino pensa che io stia nell'Oltretomba contro la mia volontà. Mi compatisce, pensa che sia stata rapita, violentata in alcuni casi. E la melagrana? Io non mangio la melagrana, sono allergica. Pensano che io non abbia mai amato Ade. [...] Sì, io lo amo”.
Charlie Covell, che ha ideato la serie attingendo alle fonti con una sintesi creativa inedita, ha consegnato al presente un album di miti che si distendono nel tempo. E chiamano a un gioco serio: riempire l’album di figurine, seguendo le metamorfosi del personaggio dalla sua facies antica, attraverso i secoli, fino all’immaginazione attuale. E come sempre accade, chi più ne sa, più gode delle congiunture e degli scarti tra le fonti antichi e le nuove epifanie.
Il nostro gioco, il gioco-sul-gioco che proponiamo in questa pagina, si basa su uno schema filologico e iconografico preciso: le nuove figure del mito sono passate al vaglio delle fonti antiche per rintracciare affinità e infrazioni fra il corpus enorme delle scritture e delle figure trasmesse nei secoli dalla tradizione classica e il guizzo dell’incarnazione presente da parte di attori e attrici che, guidati da una visione geniale, fanno rivivere i miti in corpi a noi contemporanei.
Dalla maniera barocca, il Kaos-heim
Veicolati attraverso i canali social (Instagram, X, facebook), nei poster creati per la serie sono esplicitati i riferimenti mitografici filtrati alla luce di una forte attualizzazione, che non riesce a staccarsi dal lessico formale tardo-rinascimentale della Maniera. Tutti i protagonisti – dèi e umani insieme – sono infatti raffigurati accompagnati dai propri attributi iconografici e nei loro costumi di scena, nell’atto di affacciarsi dallo sfondamento architettonico di un soffitto barocco.
Autore dello shooting promozionale è David Lachapelle, che reinventa gli dèi nel contesto kitsch hollywoodiano contemporaneo. Nel sito promozionale dell’artista e attraverso i canali social dell’agenzia di comunicazione Creative Exchange sono pubblicati i ‘quadri’ che raffigurano ciascun personaggio circondato dai rispettivi attributi iconografici. Lo sguardo di Lachapelle è entusiasta e attinge al fascino che il mito greco aveva esercitato su di lui negli anni della scuola: “I remember being obsessed with Greek Mythology in high school. I knew all the characters and their complex relationships, so the idea of bringing them into the modern day was exciting for me”. La poetica scelta nel rappresentare dèi e umani segue all’idea dell’artista che i due mondi siano connessi ma fondamentalmente separati, e questa separazione è evidenziata dall’esibizione del lusso: “The dichotomy between the worlds of the Gods and regular people is so relevant to our society today. The Gods are like the elite class, the 1% living these privileged lives and looking down the rest of humankind struggling to buy groceries”.
In concomitanza con l’uscita della serie, il 29 agosto 2024, vengono pubblicate in rete alcune immagini, patinatissime, dei singoli personaggi (il Dioniso di Kaos è l’immagine di copertina di questo numero di Engramma); la quadratura con lo sfondamento architettonico è forse un collage successivo (Lachapelle e l’agenzia Creative Exchange non ne fanno menzione nei canali social) e anticipa, nella cornice decorata a finto stucco con motivi fitomorfi, alcuni snodi tematici della narrazione, isolando le ‘figurine’ con i personaggi principali.
Già nel poster della serie Netflix è esplicitata la polarità che nello sviluppo drammaturgico alternerà le vicende umane a quelle divine. Ed è sempre nel poster che emerge l’impianto manierista che accompagna molte delle scelte iconografiche della serie. Parzialmente en grisaille sono raffigurati nei quattro clipei agli angoli della composizione i simboli del maschile e del femminile che sovrintendono al regno dei vivi e a quello dei morti: in basso la melagrana (Persefone) e il teschio (Ade); in alto un’ape (Era) e un orologio (il Casio del Cronide Zeus). Quest’ultimo in particolare – un Casio vintage dorato (non già d’oro) del valore commerciale inferiore a un abbonamento di Netflix – anticipa il continuo scarto tra eleganti contesti e citazioni colte ed esibizioni basse e pacchiane, tutta apparenza e poca sostanza, che pervadono gli dèi presenti nella serie. È su questi presupposti che si declinano le particolari versioni delle ipostasi olimpiche che appaiono in Kaos, e gli stessi profili degli umani coinvolti nelle trame dei capricci divini. Il manifesto della serie si presenta anche con una duplice prospettiva: veicolando l’immagine ribaltata, mette al centro ora gli umani (Riddy, alias Euridice), ora gli dèi (Zeus). Gli dèi per primi: al centro della finta cornice alla ‘maniera barocca’ con girali di vegetali, cartelle e finte colonnine di foggia composita, compare Zeus (Jeff Goldblum); l’abbigliamento è quello shabby chic dell’ultima – costosissima – griffe; l’energia incandescente della scintilla del fuoco è esibita con la mano sinistra, pronta ad essere scagliata con esibita sprezzatura. Sullo sfondo l’Olimpo: una vistosa villa classicheggiante con pronao e timpano in bella mostra. Accanto a lui la moglie-sorella Era (Janet McTeer) e il fratello Poseidone (Cliff Curtis); la prima, di seta vestita e circondata da cespugli di rose, in una sofisticata e ricercata eleganza; il secondo, tronfio del suo tridente d’oro, mentre fuma un sigaro con la camicia aperta su una vistosa (e pacchiana) collana. Ai lati, in posizione mediana gli altri olimpi: Dioniso (Nabhaan Rizwan) a sinistra, Ade (David Thewlis) e Persefone (Rakie Ayola) a destra, tutti accompagnati dagli elementi distintivi delle loro iconografie, da acini d’uva e da un ammasso di teschi. E qui terminano le figure delle divinità convocate come cast di Kaos (almeno di questa prima serie): grandi assenti rispetto al canone dei dodici dèi dell’Olimpo sono Atena, Apollo, Artemide, Afrodite, Efesto, Hermes, Demetra, che non compaiono mai nello sviluppo drammaturgico (se non in una fugace allusione nel messaggio lasciato da Zeus nella segreteria telefonica dei figlioli che non rispondono alle sue chiamate: “Ciao Apollo [...], Ciao Afrodite [...], Ehi Hermes – sono papà…”). Grande assente nei poster della campagna promozionale è l’immagine di Prometeo (Stephen Dillane), che pure nella serie ha il ruolo di voce narrante.
Ribaltando l’immagine lo schema iconografico si ripete: al centro Riddy (Euridice, Aurora Perrineau), informalmente vestita (pantaloni arrotolati e t-shirt) mentre sprezzante calpesta con le sue Birkenstock (il modello ‘classico’ Arizona, lo stesso scelto da Barbie/Margot Robbie per emanciparsi da Barbieland ed entrare nella vita reale), le erme divine scempiate da bombe colorate – colpi che hanno abbattuto le statue, ma non Riddy. Accanto a lei troviamo a destra il non-più-amato marito Orfeo (Killian Scott) e la giovane aspirante presidentessa Arianna (Leila Farzad); a sinistra Ceneo (Misia Butler) in divisa da lavoro (in Kaos è impiegato nel team organizzativo dell’Ade), accompagnato dal suo fido Cerbero. Nello sfondo l’atmosfera aulica degli olimpi diviene apocalittica: roghi, rovine, carcasse.
La reinvenzione di Lachapelle è quindi rielaborata attraverso l’espediente della cornice architettonica, ed evidenzia una riemersione del mito che attinge a piene mani dall’immaginario della maniera: è infatti uno Zeus Oratrios che campeggia nel poster promozionale, assimilabile al protagonista della composizione della sala dei Giganti di Palazzo Te a Mantova, dove Giulio Romano ritrae Giove al centro dello sfondamento architettonico. Anche in questo contesto il canone degli olimpi – già celebrato da Raffaello con il Concilio degli dèi (nell’affresco del soffitto della Loggia di Psiche presso Villa Farnesina a Roma in cui collabora un giovane Giulio Romano) – viene rivisitato garantendo comunque al re degli dèi il ruolo centrale.
A proposito degli scenari: Lachapelle vs Grant Wood
I mondi degli dèi sono ben distinti nella mitografia: a Zeus il cielo e la terra, ad Ade il sottosuolo, a Poseidone le acque. Nell’immaginario evocato da Charlie Covell, Ade è il luogo che visivamente più si distingue nel suo acromatismo. L’uso del bianco e nero avvolge e travolge tutti coloro che abitano il regno della morte: è un contesto altro, privo del colore della vita. Il regno di Ade non è cupo e oscuro come nell’immaginario dantesco, ma semplicemente senza colore: tutto si appiattisce nelle architetture ‘brutaliste’ dove anche il lusso appare spento, dimesso. Tutto ha il sentore del socialismo reale: le divise, le stanzette, gli uffici, la mensa, con tanto di bunker dove il cemento è protagonista.
L’Olimpo non poteva che essere una villa manierista. Il doppio set della Reggia di Caserta e di Villa d’Este a Tivoli – con le sue fontane e i suoi giardini – sono la cornice entro cui si muove la ‘famiglia reale’; gli interni, ingombrati da specchi e stucchi e da suppellettili di dubbio gusto, ammiccano alle ville hollywoodiane dove oro, luce e kitsch, la fanno da padrone. Il regno di Poseidone poco si distingue nell’immaginario della serie: il lusso dell’Olimpo è tradotto e contenuto nella forma di uno yacht da gente arricchita, neanche particolarmente lussuoso e vistoso.
Se l’immaginario veicolato dalle immagini promozionali di Lachapelle è facilmente rintracciabile negli arredi e nelle abitudini della dimora di Zeus (dove anche i servi sono vestiti da sciccosi raccattapalle da club di lusso), il regno di Ade è legato alla poetica di un altro artista americano: Grant Wood. Protagonista del realismo verista USA, il pittore è noto per un olio su tela del 1930 conservato presso l’Art Institute di Chicago: American Gothic. È il preciso modello iconografico recuperato per l’aspetto di Ade in Kaos dall’Ade con Cappello di paglia e occhialini tondi, come è dichiarato in una scena del penultimo episodio della serie dove, nella camera del dio degli inferi, è appesa una copia del dipinto di Wood, ovviamente virata al bianco e nero.
Nella terra, il mondo degli umani – vivace e colorato e per questo frequentato da Dioniso e invidiato da Zeus – governa (non regna!) Minosse, rappresentato come un dittatore militarista. Lo scenario non poteva che essere quello di una moderna località marittima, per la quale la scelta è caduta sull’Andalusia. Invece l’incursione di Zeus nel mondo dei mortali, per spiare con sorpresa la loro (la nostra) insensata e immotivata joie de vivre, è ambientata a Roma, nella zona di San Lorenzo, fra la piazza dell’Immacolata e l’Università Sapienza dove domina la Minerva di Arturo Martini.
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Figurine dal mito
Cassandra
Nell’iconografia antica, dall’età arcaica alla pittura pompeiana, Cassandra compare in due episodi della sua storia mitica: lo stupro di cui è vittima, dopo la caduta di Troia, da parte di Aiace Oileo (la prima fonte è Arctino apud Proclo, Chrest. V, p. 108, ed. Allen); il suo assassinio da parte di Clitemnestra (una rappresentazione dell’episodio è su una lamina bronzea dell’Heraion di Argo del VII sec.a.C.; una sulla kylix di Ferrara riprodotta sopra; le prime fonti sono Odissea XI, 395-396; Pindaro Ol. XI, 28 ss.). Importante è il nuovo profilo che Eschilo disegna per il personaggio nell’Orestea: nell’Agamennone il capo degli Achei entrando nella reggia dichiara di aver preso per sé la figlia di Priamo come “fiore squisito del bottino di Troia” (Ag., 954-955). Cassandra poi, nel lungo episodio che sta al centro della tragedia e che la vede protagonista, ricapitola la sua storia, senza fare alcun cenno all’episodio dello stupro di Aiace: l’accento è tutto sulla sua ispirazione profetica, e il fatto che sia destinata a non essere mai creduta è il cattivo dono che le ha fatto Apollo perché non si è lasciata sedurre dal dio. Un passaggio della tragedia pare importante per la costruzione del personaggio di Kaos : “I miei cari? No! Erano tutti miei nemici. Facevo profezie vere, ma invano, non serviva a niente. Sono stata umiliata, trattata come una pazza, una ciarlatana: pitocca, miserabile, morta di fame… Tutto ho sopportato” (Ag., 1270-1274).
Dopo una latenza millenaria, Cassandra riemerge agli inizi del XV secolo ne La Cité des Dames di Christine de Pizan tra le profetesse che abitano il castello costruito da Dama Rettitudine (II.V). La sua immagine ricomparirà nel repertorio preraffaelita di fine XIX secolo (vedi la Cassandra di Evelyn De Morgan riprodotta sopra). Sul piano letterario, Cassandra acquista un inedito protagonismo in Kassandra di Christa Wolf (1983); con il nome e con la maschera della profetessa troiana, la scrittrice e intellettuale tedesca attiva un nuovo sguardo e una nuova voce – femminile e filosofica – sulla guerra di Troia.
In Kaos, il personaggio di Cassandra compare nel I episodio della serie. Euridice/Riddy sta facendo la spesa tra i banchi di un supermercato quando incontra una donna dall’aspetto trasandato (l’attrice è Billie Piper): la ricrescita scura alla base dei capelli biondastri e spettinati; il trucco pesante che le cerchia gli occhi; il rossetto sbavato; una riga di tatuaggio, o forse una ferita, dritta lungo il naso; un giaccone di cerata sporco buttato sopra abiti scoloriti, indossati a caso uno sull’altro. È una barbona, una pitocca miserabile, affamata (così già Eschilo in Ag. 1273-1274: ἀγύρτρια πτωχὸς τάλαινα λιμοθνής). Cassandra rivolge a Riddy uno sguardo intenso e penetrante e la apostrofa come se la conoscesse da sempre. All’uscita dal supermarket, Cassandra è bloccata da un vigilante perché ha rubato una scatoletta di cibo per gatti, che di là a breve aprirà e mangerà famelica; a Euridice/Riddy che ha risarcito il prezzo della scatoletta, la barbona dice: “Nessuno crede a quello che dico ma si avvera tutto: io gli ho detto del cavallo… io li ho messi in guardia”. E di seguito, rivolgendosi a lei direttamente: “Oggi è il giorno […]. Oggi lo lascerai: il tuo amore è morto”. Euridice/Riddy avverte la profondità delle parole dello strambo personaggio e da là raccoglie una sorta di incoraggiamento a lasciare Orfeo (che in questa versione del mito non ama più). Ma la profezia è, come sempre, ambigua. Nello stesso episodio Euridice morirà investita da un’autoambulanza (sul retro del veicolo – ci avverte Chiarlie Covell – solo il fermo-immagine permette di vedere un adesivo con l’immagine di un serpente). L’incidente avviene perché Riddy si distrae mentre incrocia nuovamente la balorda stralunata in mezzo alla strada. Cassandra commenterà la morte della ragazza con le parole: “Ti avevo detto che l’avresti lasciato. Oggi lasci tutti quanti”.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ESSENZIALI
P. Orlandini, s.v. Cassandra, in EAA II, Roma 1959, 401-404; O. Touchefeu, s.v. Ajas II, in LIMC I, Zürich und München 1981, 336-349; C. Wolf, Kassandra, Berlin 1983 (trad. it.: Cassandra e Premesse a Cassandra, Roma 1983).
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Ceneo
Un oplita corazzato che affonda nel terreno, sotto i colpi inferti da uno o due centauri armati di tronchi e pietre: così Ceneo, eroe invincibile che tuttavia soccombe per volontà di Zeus, offeso dalla sua arroganza, viene rappresentato nell’iconografia antica, su vasi e fregi che narrano episodi della Centauromachia (la prima menzione di Ceneo come eroe lapita si trova in Om. Il. I, 264). La tradizione iconografica sembra dunque tacere la vicenda della trasformazione di Ceneo da donna a uomο, presente invece in numerose fonti letterarie (la descrizione più antica del cambiamento di genere si trova in Acusilao di Argo, FGrH2 F22, poi ripresa tra gli altri da Apollod. ep. I 22; Hyg. fab. XIV 4; Virg. Aen. VI 448-449; Ov. met. XVII 171-209, 459-531). In questa versione del mito Cenide, la bella figlia del re lapita Elato, viene trasformata in un guerriero invincibile da Poseidone, il quale, dopo averle fatto violenza, si propone di esaudire ogni suo desiderio. “Questa offesa mi suggerisce un desiderio più grande, cioè che non possa mai più subire alcunché di simile; concedimi che non rimanga donna: mi avrai dato tutto” (Ov. met. XII, 201-203): questo dunque desidera la lapita e così, esaudita dal dio, Cenide diventa l’invulnerabile eroe Ceneo.
La vicenda di Ceneo, in entrambe le sue varianti principali (la punizione divina della sua hybris e il cambiamento di sesso), non ha avuto fortuna né nel repertorio letterario dei secoli successivi, né in quello iconografico, ad eccezione di alcune incisioni rinascimentali e seicentesche per il XII libro delle Metamorfosi di Ovidio (vedi quella di Krauss riprodotta sopra), dove Cenide ancora donna viene rappresentata nella scena del corteggiamento del dio del mare.
In Kaos il personaggio (interpretato dal transessuale Misia Butler) viene introdotto nella prima scena del secondo episodio della serie: Ceneo, ritratto come un giovane dal viso delicato, con i capelli scuri appena mossi e un leggero accenno di barba, sta lavorando al bancone di un club quando un gruppo di donne in abiti militari fanno la loro comparsa nel locale e lo uccidono conficcandogli una freccia nel petto. Tra queste guerriere Ceneo riconosce la madre: nella serie infatti l’eroe è figlio di un’Amazzone e dunque è Amazzone egli stesso e alla nascita gli viene assegnato un nome e una identità di genere femminile. Ceneo, che ha sempre saputo di volersi identificarsi nel genere maschile, deve coprire il suo istinto in quanto le Amazzoni cacciano dal loro campo tutti i ragazzi all’età di undici anni, e dunque non ha altra scelta che continuare a fingersi donna, finché a quindici anni la madre, da sempre a conoscenza della sua vera identità, lo battezza con un nuovo nome e lo invia lontano dal campo, per proteggerlo e salvarlo. Ma sfuggire alle Amazzoni è impossibile: le guerriere lo trovano e lo uccidono, in quanto considerano l’inganno prima e il cambiamento di genere poi come una grave sfida al loro modello etico e istituzionale, rigido ed esclusivo. A differenza di quanto narra una variante del mito antico (cfr. Virg. Aen. VI, 448–449), Ceneo non riprende le sembianze femminili ma sta nell’Oltretomba, dove incontrerà Riddy e avrà un ruolo di primo piano nella sfida contro gli dèi. Charlie Covell, intervistata per “Cosmopolitan” su quale sia stato il suo approccio a questa storia, ha spiegato che, da sempre innamorata del mito di Ceneo, ha voluto riprenderlo per creare un protagonista trans in cui la transessualità fosse parte integrante, senza tuttavia determinarlo interamente; per fare ciò, ha trasformato il guerriero violento (“hyper–macho” come lei stessa lo definisce) del mito in un eroe gentile, quasi riluttante a combattere (“a much more gentle kind of almost reluctant hero warrior”).
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ESSENZIALI
E. Laufer, s.v. Kaineus, in LIMC V, Zürich und München 1990, 884–891; M. Delcourt, La légende de Kaineus, “Revue de l’histoire des religions”, tome 144, n. 2, 1953, 129-150.
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Medusa
Nell’iconografia arcaica e classica troviamo rappresentato molto spesso il volto della Gorgone. Insieme a Steno e Euriale, Medusa è una delle tre figlie di Forco e Ceno, l’unica delle gorgoni a non essere immortale; ha però il potere di pietrificare chiunque incroci il suo sguardo. La sua testa da cui fuoriescono due ali è raffigurata frontalmente; a volte la bocca è enorme e spalancata; il volto è orrendo. Tra il V e il VI secolo si registra una tendenza a umanizzare il volto della Gorgone e Medusa inizia ad addolcirsi e ad acquisire fattezze femminili meno inquietanti. Un aspetto più umano della Gorgone si registra nell’arte romana dove figura al centro di mosaici, sulle monete, in opere bronzee (un esempio è nella testata di baglio della nave di Nemi che riproduciamo più sopra) e, con Perseo, in vari affreschi pompeiani. Secondo Ovidio – la fonte mitografica principale in ambito romano – l’aspetto orrifico di Medusa è associato a una punizione di Atena: dopo che Perseo riesce a decapitarla usando lo scudo specchiante della dea per farla autopietrificare, Atena per punire l’oltraggio “mutò in luride serpi i capelli della gorgone” (Met. IV, 799-801). Nello schema iconografico più diffuso troviamo il volto di Medusa iscritto in un tondo che raffigura lo scudo della dea: l’immagine che vediamo tante volte riprodotta nell’arte greca e romana parrebbe essere interpretata quindi non tanto come una presa diretta del volto della Gorgone ma come una riproduzione della sua immagine riflessa nello scudo di Atena.
A partire dal XVI secolo, Medusa, e soprattutto la sua testa, ritorna come soggetto di opere ispirate al mito antico: dall’affresco di Villa Farnesina, Perseo e la Medusa (1510-1511) in cui Baldassarre Peruzzi fissa il momento in cui Perseo sta per tagliare la testa a Medusa, alla scultura di Perseo con la testa di Medusa di Benvenuto Cellini (1554) per la Loggia dei Lanzi di Firenze dove vediamo Perseo che esibisce la testa mozzata del mostro come trofeo della sua impresa. La testa di Medusa incontra una grande fortuna soprattutto in età tardo-rinascimentale e barocca: un esempio è la Medusa di Peter Paul Rubens (1617-1618), e, soprattutto, il capolavoro di Caravaggio, Scudo con testa di Medusa (1598), in cui il volto della Gorgone – forse un autoritratto dell’artista – è colto in una espressione di terrore, nell’attimo in cui si rende conto dell’imminente pietrificazione.
Se fin dall’iconografia antica l’immagine di Medusa si focalizzava sul dettaglio della testa anguicrinita mozzata, in alcune, fortunate, versioni cinematografiche recenti Medusa recupera anche un corpo intero, nelle forme seducenti di bellissime attrici. Nel film Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo: Il ladro di fulmini di Chris Columbus (2010), Medusa è interpretata da una straordinaria Uma Thurman (vedi in Engramma, il contributo di Alessandra Pedersoli, Da Perseo a Perseo). Anche la Medusa di Kaos, impersonata dall’attrice Debi Mazar, ha le fattezze di una donna forte, bella e sicura di sé, gli occhi chiari e magnetici, i capelli anguiformi. Nel mondo in bianco e nero di Ade, tristemente iperburocratizzato, svolge il ruolo di responsabile della gestione e dell’addestramento di quelle anime che, essendo state sepolte senza l’obolo di rito, non hanno la possibilità di rigenerarsi passando oltre la cornice che promette una sorta di metempsicosi e di rinascita. Pur essendo inquadrata nei ranghi del regime, Medusa insofferente al potere totalitario di Ade e Persefone, fiancheggia la resistenza. Come accessorio della sua uniforme – e forse anche quando è ‘in borghese’ – porta in testa un turbante, stretto sul capo per evitare che i suoi capelli-serpenti fuoriescano e pietrifichino chi incrocia il loro sguardo. Se in Percy Jackson Medusa/Uma Thurman è ancora viva (fino e oltre il ‘lieto fine’ – imperdibile! – dei titoli di coda), in Kaos è già stata uccisa da Perseo; si trova nel regno di Ade da molto tempo ed è irritata e frustrata nel ruolo burocratico in cui è costretta, anche perché non ha la possibilità di esercitare il suo potere mortifero: le anime dei morti infatti non possono essere pietrificate. E quando in una scena dell’Episodio 2 Ceneo, trasferito a un nuovo ufficio, sta salutando per l’ultima volta Fotis, il suo cane a tre teste, l’anima di Prue, emozionata per l’incontro ravvicinato con il personaggio famoso, le si avvicina e le chiede: “Mi scusi, signora – lei è la Medusa?”; e Medusa, visibilmente infastidita, fa rientrare sotto il turbante un serpente che era sgusciato fuori. Prue sconvolta e stupita si tocca il volto e le chiede: “Perché non sono diventata di pietra?”. E Medusa, alzando spazientita gli occhi al cielo le risponde: “Perché sei morta…Cazzo!”
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ESSENZIALI
A. Giuliano, s.v. Gorgone, in EEA, III, Roma 1960, 982-985; I. Krauskopf, s.v. Gorgo, Gorgones, in LIMC IV Suppl. 1 2009, 230-232; O. Paoletti, Gorgones Romanae, in LIMC IV, Zürich und München 1981, 361-362; P.C. Bol, Argivische Schilde, OlympForsch 17 (1989), 45-47, in LIMC IV Suppl. 1 2009, 230-232; J. Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, trad. a cura di M. Archer, Milano 1983; J. Davidson Reid, C. Rohmann, The Oxford Guide to Classical Mythology in the Arts, 1300-1990, New York-Oxford 1993; ICONOS s.v. Medusa.
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Prometeo
Nella mitografia greca Prometeo, il “preveggente” secondo l’etimologia del suo nome già proposta nelle fonti antiche, è protagonista di vari episodi legati alla sua intelligenza e intraprendenza. Nell’episodio centrale del suo mito, dopo essersi schierato al fianco di Zeus e degli Olimpi nella lotta contro i suoi fratelli Titani, è condannato a un supplizio interminabile per aver voluto salvare i mortali dall’estinzione, che Zeus aveva già deciso per il difettoso e inefficiente genere umano, donandoci “il fuoco e le arti”: l’accento su questo episodio della storia mitica si riscontra principalmente nella tragedia di Eschilo, Prometeo incatenato (505-506) e nel Protagora di Platone (320c-324a). Nella versione eschilea è dunque l’amore per i mortali che spinge Prometeo al furto del fuoco e per questo Zeus lo condanna a essere incatenato per un tempo infinito “ai confini del mondo”, ovvero – secondo la variante introdotta verosimilmente da Eschilo, a una rupe del Caucaso (sull’innovazione con tutta probabilità eschilea che prevale poi nella mitografia e nell’iconografia si veda, in Engramma, l’articolo Prometeo alla colonna o alla rupe?). Nella tragedia eschilea (ma già prima in Esiodo e nell’iconografia già arcaica), compare la presenza dell’aquila – ipostasi animale di Zeus – che ogni giorno divora il fegato di Prometeo, che poi ogni notte ricrescerà (Hes., Th. 521-525; Aesch., Pr. 1021-1025).
La figura di Prometeo non conosce una stagione di vero e proprio oblio nel passaggio dalla tarda antichità al mondo medievale, rinascimentale e poi moderno. Gli autori cristiani (Agostino, De civit. Dei 18 e Lattanzio, Narrationes fabularum Ovidianarum, I, fab. 1) riprendono in particolare un aspetto del mito del Titano – la figura del creatore che plasma gli uomini da figurine di argilla (così già in Ps.-Apollod., Bibliotheca 1, 7, 1 ma anche Hyg., fab. 142), e con tutta probabilità proprio grazie a questa interpretatio Prometeo continua a essere presente nella tradizione figurativa dei sarcofagi e nella cultura tardo-antica. Già Tertulliano cerca di cristianizzare l’episodio del mito riconoscendo in Prometeo una sorta di precursore pagano del Dio della creazione cristiana (Apolog. 18.2). Nel XV secolo la figura di Prometeo riemerge negli Opuscula theologica di Marsilio Ficino e nel suo commento al Protagora di Platone. Ai primi anni del XVI secolo è datata l’operetta Epitoma super Prometheo et Epimetheo di Celio Calcagnini, opera che probabilmente ispira il ciclo delle Storie di Prometeo di Piero di Cosimo, tra le prime rappresentazioni rinascimentali del mito (si veda in Engramma il saggio e l’edizione del testo di Calcagnini di Alessandra Sandrolini). Il Titano – con l’aquila e legato a una roccia – appare in una incisione xilografica contenuta in una edizione veneziana delle Tusculanae Disputationes di Cicerone del 1510. Nel XVII secolo, Peter Paul Rubens tra gli altri rilancerà il soggetto raffigurando Prometeo nudo, disteso e incatenato mentre l’aquila si avventa sul suo corpo per mangiarne il fegato; l’artista fonde nello stesso dipinto due momenti del mito aggiungendo al supplizio dell’aquila la presenza della torcia in un paessaggio astratto, vuoto e sospeso, nel quale però è riconoscibile la rupe del Caucaso.
Nella serie Kaos, Prometeo (Stephen Dillane) appare già dai primi fotogrammi del primo episodio incatenato su una rupe in un paesaggio deserto; indosso ha solo un paio di calzoncini rossi, e ha una ferita aperta sul fianco, che è il punto su cui l’aquila di Zeus si avventa per dilaniargli il fegato. Il Titano vive un’eterna agonia: il suo organo vitale si rigenera ogni notte, creando un ciclo di sofferenza infinita; eppure sembra non perdersi d’animo, puntando ottimisticamente sugli eventi che accadranno a breve, e che conosce grazie alla sua preveggenza, sicuro che quanto avverrà porterà alla sua liberazione. Il Prometeo di Kaos spesso interviene commentando con battute ironiche le azioni e i comportamenti degli dèi; le sue parole e il suo sguardo sono rivolti direttamente allo spettatore, spezzando la finzione narrativa e bucando il filtro dello schermo televisivo. In Kaos, Prometeo non è solo la vittima per antonomasia della crudeltà divina, come accade nella sua lunga tradizione letteraria e mitografica; il personaggio tiene i fili delle varie storie e ha il ruolo di voce narrante dell’intera serie: tutte le puntate si aprono e si chiudono con un’inquadratura su di lui e con le sue parole. Pur definendosi un “prigioniero”, fedele alla tradizione mitologica Charlie Covell, poietés della serie, lo reinventa come il confidente di Zeus (interpretato da Jeff Goldblum). La loro amicizia, sorprendentemente profonda, è di lunga data: paradossale data la condizione in cui si trova, Zeus considera il Titano il suo migliore amico. Ma nel contempo, il Prometeo di Kaos, insieme a un gruppo di divinità e mortali, sta orchestrando un piano audace per sovvertire l’ordine cosmico e rovesciare il potere di Zeus. Nella scena culminante dell’ultima puntata, il Titano, finalmente liberato dalle sue catene, si siede sul trono che fino a poco prima era di Zeus, in una magnifica ambientazione: la scintillante Sala del Trono della Reggia di Caserta. Prometeo sul trono di Zeus (altro tema che suona eschileo: cfr. Aesch., Pr. 907-912) è l’icona non solo della liberazione del Titano, ma anche dell’apocalittico ribaltamento dei poteri e della nuova era che potrebbe iniziare, dando un nuovo, rivoluzionario, disegno all’ordine cosmico.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ESSENZIALI
J.R. Gisler, s.v. Prometheus, in LIMC VII, Zürich und München 1994, 531-553; ICONOS | s.v. Prometeo.
cc
*cc | concetta cataldo; mc | monica centanni; ig | ilaria grippa; vsn | viola sofia neri; ap | alessandra pedersoli; as | antonella sbrilli
English abstract
In Figurine dal mito, Charlie Covell's Netflix series Kaos is analysed in its iconographical references: David Lachapelle’s promotional material – group posters and single shots of the cast – with its rather explicit nods to Baroque representation of mythological figures and scenes; the series’ settings as modern-day reinterpretations of the world of myth. Some characters – Cassandra; Caeneus; Medusa; Prometheus – are the focus of a more in-depth comparison with classical sources, in order to trace affinities and ruptures between the existing corpus of iconographic representations and the embodiment of ancient mythical figures in the updated narratives of contemporary actors and actresses.
keywords | Classical Tradition; Mythology; Iconography; Charlie Covell.
Per citare questo articolo / To cite this article: Redazione di Engramma (a cura di), Figurine dal mito. Kaos – a Netflix series (2024), “La Rivista di Engramma” n. 217, ottobre 2024.