Migranti tra cinema e teatro. Intervista a Mimmo Cuticchio
a cura di Anna Banfi
Come è iniziata la tua collaborazione con Emanule Crialese?
Avevo appena visto i primi due film di Crialese, Respiro e Nuovo Mondo, quando Chiara Agnello, addetta ai casting, mi telefonò per informarmi che Crialese desiderava farmi un provino in vista del suo nuovo film. Le dissi che pur apprezzando molto il lavoro di Crialese, non ero interessato ai provini ma aggiunsi che sarei stato comunque felice di incontrarlo e di mostrargli i luoghi dove vivevo e lavoravo. Mi richiamarono per dirmi che Crialese sarebbe venuto a trovarmi nel mio teatro in via Bara all'Olivella, a Palermo.
Io, Filippo Pucillo e Donatella Finocchiaro siamo arrivati a Linosa il 2 maggio del 2010, tre settimane prima dell’inizio delle riprese. Crialese ci disse che in queste settimane dovevamo stare insieme per conoscerci, diventare una vera famiglia, e provare a integrarci nella vita della comunità locale. Ognuno di noi doveva entrare nel proprio ruolo. Donatella, ad esempio, cominciò a frequentare il ristorante-pizzeria per imparare a fare le pizze e preparare i panini; io e Filippo andavamo tutti i giorni a trovare Enzo Saltalamacchia, un giovane pescatore che ci insegnava i nomi dei pesci che abitano quel mare e ci spiegava come distinguere cime e corde, come chiamare ogni singolo pezzo della barca da pesca, come avvolgere le cime sugli anelli o le bitte e come stendere o risarcire le reti sulla banchina. Poi da Lampedusa arrivò Enzo Miotti, proprietario del peschereccio 'Santuzza'. A proposito, piccola curiosità: nella sceneggiatura la barca aveva un nome diverso, ma si decise alla fine di lasciare quello originale, perché come è ben noto ai pescatori il nome dato alle barche non si cambia!
Ci sono stati sbarchi durante il periodo della vostra permanenza sull’isola?
Durante il periodo di preparazione i costumisti e gli attrezzisti cominciarono a sistemare i locali del piccolo campo sportivo dove i ragazzi dell’isola vanno di solito a giocare a pallone. Appena fuori dal campo, vennero sistemate tre roulotte per il trucco e parrucco, proprio nello spazio che veniva abitualmente adibito a luogo di prima accoglienza per eventuali naufraghi. Durante la lavorazione del film, abbiamo assistito a diversi sbarchi di uomini, donne e bambini: incontrati lungo i sentieri o intravisti tra i rocciosi scogli dell’isola. Tutti i naufraghi venivano portati nella palestra dell’unica scuola che accorpa elementari e medie nello stesso edificio.
I vecchi raccontano per lo più di come vivevano sull’isola quando erano bambini tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta. Rammentano episodi di vita vissuta, spesso divertenti, ma spesso prima di lasciarsi andare, vogliono però capire chi sei e perché sei arrivato sulla loro isola. Di solito, quei pochi turisti che vanno a Linosa scelgono quel posto per il mare, l’aria buona e soprattutto per la tranquillità. Non hanno alcun reale interesse a conoscere gli abitanti e così anche gli anziani tendenzialmente amano ritirarsi nei loro luoghi appartati e protetti.
Le donne sono come le berte che vivono sull’isola, uccelli misteriosi che, dopo gli impegni del giorno, al calar del sole si riuniscono e intonano un canto che si tramandano da millenni. La tradizione vuole che il canto delle berte sia lo stesso canto delle sirene incontrate da Ulisse durante il suo travagliato viaggio di ritorno verso Itaca: le donne di Linosa sostituiscono il canto con il 'cunto'. Le donne di qui, se ti accettano, ti raccontano storie bellissime, in generale allegre e giocose, altre volte invece drammatiche, capaci di rivelare la bellezza e la solitudine dell’isola e in grado di mostrarti che spesso essere isolani significa essere isolati e, senza alcuna retorica, confinati.
Quest’estate hai presentato il tuo nuovo spettacolo L’approdo di Ulisse proprio a Linosa e a Lampedusa. Ulisse come metafora dei migranti di oggi. Credi sia importante che cinema e teatro contemporaneo affrontino il tema dell’immigrazione? Teatro e cinema devono avere un ruolo politico, nel senso più proprio del termine, cioè di riflessione della polis sulla polis?
Il desiderio di raccontare le storie di questi sfortunati migranti mi è venuto dopo aver girato il film Terraferma. Il film affronta in forma poetica il delicato cambiamento epocale di tre generazioni, la difesa di un mestiere antico come quello del pescatore, il dramma delle donne di queste piccole isole, per le quali rimanere vedove molto giovani significa annullare il proprio futuro e, infine, il rapporto con l’altro, il diverso per colore della pelle e per cultura. Ci vogliono convincere che i migranti vengono per toglierci il lavoro, mentre in realtà cercano soltanto di conquistarsi un futuro migliore, mostrandosi disponibii anche a fare lavori pesanti e umili, a cui noi non siamo più abituati. Dovremmo considerare la loro presenza in maniera positiva dal momento che la nostra nazione diventa anno dopo anno un paese di anziani, e invece guardiamo a queste persone come a un ostacolo che mina la sicurezza e il futuro dei nostri figli.
Il cinema, il teatro, la musica, la radio, la televisione ma anche l’arte figurativa in generale, dalla fotografia alle opere grafiche e pittoriche, fanno bene ad affrontare questi temi perché, solo mettendo in evidenza quello che succede nel mondo, si può sensibilizzare sempre di più l’opinione pubblica che a sua volta deve sollecitare chi governa a prendere seri e urgenti provvedimenti.
Ne L’approdo di Ulisse hai per la prima volta sperimentato il cunto in prima persona. Perchè questa scelta e perchè in questo spettacolo?
Nel tuo cunto su Ulisse hai inserito Timnit, la donna etiope protagonista anche del film di Crialese: che cosa ti ha trasmesso la storia di Timnit? Quanto è importante partire da una storia personale per raccontare le storie di tanti migranti?
Ascoltare una testimonianza direttamente dalla voce di chi l’ha vissuta è l’esperienza più bella ma anche più crudele che possa accadere a un narratore. Avevo inciso questa storia nel cuore e, quindi, quando è giunto il momento, è venuta fuori spontaneamente. Un narratore deve guardare e vedere, ascoltare e sentire. La sua biblioteca è tra il cervello e il cuore e, quando è il momento di raccontare una storia, torna quello che diceva Stanislavskij: prima di cercare altrove cerca dentro di te e poi, se lo desideri, puoi usare anche il metodo brechtiano. Tanto, alla fine, i conti tornano.
Engligh abstract
Migrants between cinema and theatre. Interview with Mimmo Cuticchio by Anna Banfi
Between cinema and theatre, Mimmo Cuticchio has investigated all along this year the tragic theme of the immigration: an old problem in the history of humanity. An actor in the movie Terraferma by Emanuele Crialese (shot in Linosa), and the author and also an actor in theatre of the play L’approdo di Ulisse (performed in Linosa and Lampedusa), Mimmo Cuticchio draws the attention to one of the trickiest problems which Europe is now reckoning with. We have asked Cuticchio to tell us his experience in Linosa and to think about the political role that cinema, theatre and also visual arts should have today in the attempt of shaping a new mentality, open to the others as a sign of democracy, freedom and liberality.