Schede bibliografiche a cura di Claudia Crocetta ed Emanuele Pulvirenti
Aellen 1994
C. Aellen, À la recherche de l’ordre cosmique. Forme et fonction des personnifications dans la céramique italiote, voll. I-II, Zürich 1994.
Il notevole testo di Aellen, suddiviso in due volumi (dei quali il II contiene la bibliografia e i riferimenti iconografici), può considerarsi interessante ai fini di un approfondimento molto specialistico sulla tematica del rapporto tra pittura vascolare e tragedia. Una particolare focalizzazione è riservata alle Erinni e alle Furie a partire dalla loro rappresentazione su vasi. La dissertazione prende le mosse dalla considerazione che "la céramique italiote est essentiellement funéraire, ce qui implique que les mythes se laissent interpréter à deux niveaux: un niveau narratif, qui retrace un passé mythico-historique, et un niveau funéraire, porteur d’un message eschatologique. […] Les deux niveaux de lecture impliquent que tout, dans chaque scène, peut avoir une signification double, réelle et abstraite, concrète et symbolique à la fois" (vol. I, p. 15). Tale considerazione si riallaccia a quanto sostenuto in diversi scritti di A.D. Trendall, secondo il quale la scoperta e la disamina accurata della ceramografia italiota e siciliana ha apportato grande comprensione non soltanto sulla mitologia e sul teatro dei coloni e delle genti autoctone della Magna Grecia, ma anche sui loro costumi funerari e sulle loro pratiche religiose. Il concetto di "signification double, réelle et abstraite, concrète et symbolique" di cui parla Aellen, riferendosi all’interpretazione dei soggetti rappresentati sulla ceramica, si sviluppa fino alla dimostrazione (evidentemente agli antipodi dell’analisi di Séchan) che "la présence de personnifications dans la céramique ne permet en aucun cas de reconstituer des pièces de théâtre perdues. Au contraire. Toute notre étude prouve implicitement que les personnifications sont une invention purement iconographique" (vol. I, p. 20).
Il testo è ripartito in tre sezioni. Nella prima, intitolata Justice Cosmique, si discute il tema della presenza delle Erinni e delle Furie (che l’autore individua come entità distinte) nella ceramica attica e italiota, partendo dalle loro sembianze fisiche e dai vari attributi che l’iconografia vascolare assegna loro, fino ad arrivare al problema della loro personificazione nella giustizia cosmica. Le riflessioni di questa parte dell’opera non possono prescindere dalla realtà di fatto che le Erinni ricevettero nuova cittadinanza mitologica a seguito dell’Orestea eschilea. Nella seconda sezione, Macrocosme, la trattazione si interseca con altri casi di personificazione (le ninfe, le stagioni, il particolare caso di Aura) e con i concetti cardine di spazio e tempo, forma e funzione delle raffigurazioni, e i significati cogenti che l’immagine vascolare trasmette sui vari piani interpretativi (umano, divino e dello spettatore). L’ultima parte, Microcosme, costituisce il traguardo ideale del percorso speculativo di Aellen: la questione viene riportata sul piano della recitazione e del pathos, dell’immagine e dell’ethos, culminando nel passaggio figurativo che ha fatto del daimon una figura astratta. (e.p.)
Alroth 1992
B. Alroth, Changing Modes in the Representation of Cult Images, in The Iconography of Greek Cult in the Archaic and Classical Periods, Proceedings of the First International Seminar on Ancient Greek Cult (Delphi, 16-18 novembre 1990), ed. by R. Hägg, Athènes-Liège 1992, pp. 9-46.
L’accurato articolo della Alroth prende in esame il problema della rappresentazione delle immagini di culto nella figurazione vascolare e della relazione tra il dio stesso e la propria rappresentazione artistica più o meno ‘realistica’ o ‘idealizzata’. Si pone, dunque, in relazione, per via interposta, il mondo della scultura e della coroplastica con il mondo della ceramografia, le cui rappresentazioni di scene mitiche e più raramente cultuali manifestano spesso un alto grado di attinenza e aderenza all’elaborazione tragica del mito. In particolare, sono approfonditamente discusse le questioni relative alle eventuali differenze iconografiche alle quali potrebbero essere soggette le divinità quando sono rappresentate in forma di statua e alle differenze di rappresentazione delle medesime divinità in scene diverse. L’autrice argomenta anche sulla possibilità di tutti o di alcuni dei di essere soggetti a rappresentazione in forma di immagine di culto e della contestualizzazione di questi ultimi in particolari scene. Di grande interesse è l’indagine sulla linea di confine tra la figurazione delle divinità ‘in persona’ (life-size) e la figurazione delle loro sembianze di idoli cultuali. L’autrice distingue le scene mitologiche da quelle di culto. Di maggiore rilevanza per il campo d’indagine di 'Pots&Plays' sono le testimonianze iconografiche di scene mitologiche. Si rileva una netta volontà di distinguere a livello semiotico e semantico la presenza della divinità in persona dalla sua immagine cultuale, spesso raffigurata in forma rigida e arcaizzante e come oggetto estraneo alla scena rappresentata. Alla relazione dell’iconografia vascolare con la tragedia si fa chiaro riferimento a proposito di un cratere di Berlino del Pittore di Hearst, raffigurante probabilmente una scena di Eumenidi e a un cratere lucano di Basilea che potrebbe ritrarre una scena del perduto Laocoonte sofocleo. (c.c.)
Bertino 1975
A. Bertino, Sulla fonte di ispirazione delle scene di soggetto teatrale sui vasi a figure rosse del IV secolo a.C., in Archaelogica. Scritti in onore di Aldo Neppi Modona, a cura di N. Caffarello, Firenze 1975.
Sulla fonte delle scene di soggetto teatrale sui vasi si sono susseguiti numerosi lavori. Uno per tutti, nonché testo di riferimento fondamentale e imprescindibile, è senz’altro quello di Séchan 1926, nel quale l’autore suppone una relazione diretta tra l’arte pittorica di V e IV secolo a.C. e lo sviluppo dei soggetti teatrali sui vasi, particolarmente su quelli magnogreci. Spicca, per la sua prospettiva diametralmente opposta rispetto a quella appena citata, il breve saggio di Bertino: in esso l’autore, confutando l’opinione del Séchan, recupera invece quella già espressa da Mingazzini 1965-66, secondo il quale i vasi a soggetto teatrale sarebbero in realtà copie di frontespizi di drammi teatrali, o addirittura copie di "scene figurate intercalate come ‘vignette’ nelle colonne del testo drammatico. Infatti, data nel IV sec. a.C. la grande popolarità del teatro nonché la fortuna della tragedia attica in Magna Grecia, ci sembra giusto ammettere la diffusione sempre più crescente dei testi teatrali su papiri manoscritti" (p. 21). L’autore è costretto, in assenza di documentazione illustrata, a mantenere la propria proposta nel campo nebuloso delle ipotesi (p. 25); tuttavia richiama alla memoria, quale precedente illustre del proprio tentativo, l’esperienza di C. Robert (Homerische Becher, in 50. Programm zum Winckelmannsfeste der Archäologischen Gesellschaft zu Berlin, Berlin 1890, pp. 1-96; ID., Die antiken Sarkophag-Reliefs, Berlin 1890-1919, III, 1-3; ID., Zwei homerische Becher, "Jahrbuch", 1919, pp. 72ss.) e K. Weitzmann (Illustrations of Euripides and Homer in the Mosaics of Antioch, in Antioch-on-the Orontes, III, Princeton 1941, pp. 233ss.; ID., Three “Bactrian” Silver Vessels with illustrations from Euripides, "Art Bulletin" 25, 1943, pp. 289ss.; ID., Ancient Book Illumination, Cambridge (Mass.) 1959, cap. III, Dramatic Poetry), i quali, grazie all’abbondanza di testimonianze documentarie di età ellenistica e romana, poterono dimostrare la derivazione di motivi figurati da prototipi dell’illustrazione libraria. (e.p.)
Boardman 1990
J. Boardman, The Greek Art of Narrative, in Eumosia. Ceramic and Iconographic Studies in Honour of A. Cambitoglou, ed. by J.-P. Descœudres, Sydney 1990, pp. 57-62.
Partendo da studi recenti, J. Boardman si sofferma sul concetto di arte narrativa, ovvero lo sviluppo di una narrazione attraverso l’iconografia. Tale narrazione è possibile, secondo l’autore, "only with a succession of images" (p. 57), sebbene gli studi più recenti tendano a intravedere una narrazione anche in singole scene per via della presenza di personaggi che alludono al passato o al futuro, rispetto alla scena rappresentata, oppure per via dell’apparizione, in una scena singola, di figure o azioni che sono significative o operative solo prima o dopo l’evento rappresentato. La questione trattata da Boardman riguarda l’intelligibilità di una scena e i metodi attraverso i quali l’artista tende ad affinarla. L’autore sottolinea, a questo proposito, come il soggetto influenzi preliminarmente l’artista nella scelta della scena da rappresentare, nella "selective presentation of significant images which in themselves would be an adequate signal to the viewer of the whole subject" (pp. 58-59). Attraverso l’ausilio di numerosi esempi (alcuni desunti da ambiti della storia dell’arte diversi rispetto a quelli specificamente greci di V secolo a.C.), Boardman sviluppa il suo pensiero seguendo passaggi logici, approdando quasi naturalmente alla conclusione che l’interpretazione dell’osservatore moderno è sempre determinata dal punto di vista che egli assume nell’individuazione dei vincoli che imposero all’artista determinate scelte (siano essi, evidentemente, vincoli strutturali, narrativi o di committenza). (e.p.)
Breton Connelly 1993
J. Breton Connelly, Aiax and Kassandra at the Trojan Palladion, in Narrative and Image in Attic Vase Painting, ed. by P.J. Holliday, New York 1993.
Il breve saggio è incluso in una raccolta di tema vario. Attraverso una focalizzazione stretta sul tema figurativo del Palladion, l’autore delinea una sistematica ed esaustiva analisi, assumendo come elementi cardine da una parte la tecnica figurativa, il supporto vascolare e le forme, l’iconografia, i metodi narrativi, e dall’altra il contesto storico culturale di riferimento, disponendo i dati sull’asse diacronico. Si postula l’assunto che l’osservazione dei mutamenti iconografici della raffigurazione dello stesso tema possa essere usata come strumento di studio dei processi di creazione dell’immagine e della sua evoluzione (p. 88). A partire dal VI secolo a.C. l’autore si prefigge di descrivere l’impatto degli eventi storici nel processo creativo dell’iconografia, proponendo una lettura degli schemi figurativi con un efficace approccio semiotico, considerando tali schemi alla stregua di modelli afferenti al sistema discreto del language of images. Per quanto riguarda i vasi dipinti con la tecnica delle figure nere, una prima fruttuosa osservazione pertiene all’ambito strettamente materiale e rileva la chiara relazione di dipendenza e condizionamento intercorrente tra la forma del vaso e gli schemi figurativi a cui essa fornisce il supporto. L’iconografia del tema del Palladio nella ceramica a figure nere affronta questioni svariate e correlate tra loro: i vasi presentano un’innovazione notevole, proponendo una figurazione frontale dello scudo della dea e il piede avanzante di Atena, chiaro indizio di movimento. Pare affermarsi nella pittura vascolare un modello iconografico di Atena che rivelerebbe una stretta dipendenza estetica dalla nuova statua che era fatta sfilare in processione in occasione delle Panatenee nella metà del VI secolo. Il problema della distinzione iconografica della rappresentazione della dea o del suo simulacro appare, stando alle conclusioni dell’autore, più una questione dei moderni che degli antichi, il cui occhio appariva meno sensibile a tale differenziazione (cfr. Shapiro 1989, pp. 27-36). Nella fase finale della tecnica a figure nere si riscontrano significativi cambiamenti nella rappresentazione di Atena, raffigurata in scala ridotta, svettante sugli altri, posta su un alto piedistallo (così appare ad esempio nell’hydria del Pittore di Priamo). Anche la figura di Cassandra subisce dei mutamenti: la scala ridotta in cui è raffigurata tende ad enfatizzare la sua vulnerabilità e l'immagine infantile di vittima. Contributi antropologici e semiotici confortano l’osservazione dell’autore che pone in correlazione la (rara) figura nuda e giovanile di Cassandra con i riti di iniziazione femminili, testimoniati anche sul peplo di Atena nella scena del Palladio presente nella "Tazza di Onesimo".
Il metodo narrativo delle suddette pitture vascolari viene variamente definito come "sinottico" (Snodgrass 1982) o "simultaneo" (Weitzmann 1970): l’intera storia è narrata da una singola immagine. La tecnica a figure rosse presenta, rispetto al tema figurativo di riferimento, notevoli mutazioni di codice iconografico e di gesti. Maggiore enfasi riceve il rapporto di contrasto diretto tra la figura di Aiace, raffigurato con i tratti tipici del cacciatore-aggressore, con la spada sguainata, probabile influenza del gruppo scultoreo dei ‘Tirannicidi’, e quella di Cassandra inerme vittima-preda. La pittura vascolare a figure rosse è, inoltre, fortemente influenzata a livello tematico dalle suggestioni letterarie di Pindaro (Pitica XI) e, successivamente, soprattutto dalla tragedia attica (e.g. Agamennone, Aiace Locrese e la trilogia Alessandro-Palamede-Troiane). Il metodo narrativo subisce significativi mutamenti rispetto al precedente metodo sinottico, esplorando nuove dimensioni spazio-temporali. Weitzmann 1970 ha coniato la definizione di "monoscenico", riferendosi alla particolare composizione della tradizione figurativa del tema che, attraverso una compressione della successione convulsa degli eventi, ottiene una unità spaziale e temporale. Tali unità compaiono rappresentate fianco a fianco come unità narrative autonome sulla campitura del vaso: per siffatta tipologia narrativa l’autore propone la definizione di "narrazione episodica". (c.c.)
Capone 1935
G. Capone, L’arte scenica degli attori tragici greci, Firenze 1935.
Il saggio, significativo per la sua precocità e per la sua natura compendiaria, affronta alcune essenziali questioni legate al teatro antico, avvalendosi costantemente del supporto fornito dalle fonti letterarie. Il primo capitolo verte soprattutto sulle tecniche e sulle convenzioni della messa in scena (macchine sceniche, costumi, maschere). Alla figura dell’attore è dedicato il secondo capitolo: dell’attore si ricostruisce, attraverso un rigoroso e attento riferimento alle fonti antiche, l’arte mimico-drammatica rispetto sia alla componente verbale della sua recitazione (hypokrisis), sia a quella corporea, della gestica e dei movimenti di danza (schemata), in particolare del coro (orkesis). Di una certa rilevanza tematica per la nostra linea di indagine è il terzo capitolo, nel quale l’autore osserva sistematicamente i riflessi delle rappresentazioni teatrali (tragedie e drammi satireschi) sull’iconografia, con particolare attenzione alla pittura vascolare. L’apriorismo che contraddistingue tale modalità di analisi risente certamente della data di composizione del saggio e fornisce una chiara testimonianza del pregiudizievole primato delle fonti letterarie sulle testimonianze archeologiche, relegate a una funzione ancillare. Tuttavia, l’attenzione accurata nei confronti della riproduzione di una 'prossemica' presuntamente teatrale su supporto vascolare, rivela, nonostante i limiti ermeneutici, la tendenza a un’interpretazione non superficiale della testimonianza materiale. Preludio a uno studio più moderno è anche l’enfasi posta sulla gestica, analizzata come un ‘peculiare’ del teatro, rispondente a un codice che solo in parte condivide le convenzioni della gestualità e della mimica della vita quotidiana della comunicazione usuale. Le indicazioni relative alla mimica, le ‘didascalie’, sono studiate nel quarto capitolo, direttamente sulle tragedie.
Di rilevanza significativa, se non per l’esaustività, per l’intento classificatorio, è il lessico di mimica e di terminologia teatrale posto in appendice. (c.c.)
De Cesare 1997
M. De Cesare, Le statue in immagine. Studi sulle raffigurazioni di statue nella pittura vascolare greca, Roma 1997.
L’importante saggio di Monica De Cesare presenta uno studio documentato e approfondito della questione della rappresentazione di statue nella pittura vascolare e dei problemi ermeneutici ed estetici a essa afferenti. Di particolare rilevanza nella misura in cui essa è implicata nell’ambito più vasto della rappresentazione di scene teatrali è la questione della rappresentazione di forme iconiche delle divinità. Il rapporto di dipendenza dal teatro è, almeno per alcuni casi ben documentati, dato per sicuro. Si rileva, in primo luogo, la contiguità semantica nell’uso del termine 'schema' per intendere sia coreografie di danza di estrazione teatrale, sia impostazioni figurative proprie della ceramografia, sia, infine, i profili delle statue. Tale contiguità asseconda l’idea, provata, che le tre modalità espressive siano già poste in relazione dialogica in antico. Particolare attenzione è rivolta a un’interpretazione che si avvale di essenziali elementi di semiotica, volti a identificare modelli, strutture e schemi figurativi, astrazioni simboliche e convenzioni estetiche che, in alcuni particolari casi, sono proficuamente posti in relazione con il problema della rappresentabilità di scene derivanti dal teatro in modo diretto o mediato da un processo di ulteriore astrazione. Lo studio sulla rappresentazione di divinità sdoppiate, nella loro iconostasi personificata e nel loro doppio statuario, e di figure (divine e umane mitiche) multiple, attinge riccamente al patrimonio del teatro antico, con chiara distinzione dell’ambito tragico, maggiormente studiato, da quello comico, del quale si dichiara l’estraneità dalla rappresentazione diretta del mito. Utile e proficua è, infine, la distinzione dei contesti tematici: scene mitiche, scene di culto e contesti artigiani, con individuazione di scene topiche che assurgono al ruolo di modello ripetibile e canonico (scene di supplica, furto di agalma, statua intesa come motivo narrativo, nel caso del mito di Niobe). (c.c.)
Easterling 2002
Greek and Roman Actors: Aspects of an Ancient Profession, ed. by P. Easterling and E. Hall, Oxford 2002.
L’opera, articolata in tre parti, consiste in una raccolta di venti saggi variamente correlati a problemi di drammaturgia antica e all’impatto del teatro sulla società e sulla cultura greca. Nello specifico, di una certa rilevanza ai fini del presente lavoro è, nella prima parte della raccolta, il contributo di Kostas Valakas (The Use of the Body by Actors in Tragedy and Satyr Plays), incentrato sulla gestica degli attori antichi, sull’uso del corpo sulla scena in riferimento a una vasta gamma di gesti ricorrenti, probabilmente afferenti a un codice convenzionale comune. Si pone l’attenzione sull’esasperazione della concitazione dei movimenti degli attori del dramma satiresco. Valakas cita, tra le altre, l’opera di Arnott 1962, nella quale si rileva particolarmente la 'logocentricità' dell’impostazione della recitazione nel teatro antico. Il saggio di Sheila Murnagham 1987-88 (Disguise and Recognition in the Odyssey), è citato in riferimento al concetto di textuality, di un immaginario corporeo tendente più all’aspetto eroico che alla corporeità in sé sia in Omero che nella tragedia. Taplin 1995 sviluppa dialetticamente il problema afferente alla certificazione di una textual evidence, che chiarisca la corretta identificazione di figurazioni di scene teatrali, la rappresentazione di stati fisici e mentali, a partire da elementi esterni e precipui, come eventuali caratterizzanti oggetti teatrali presenti sulla scena. Sul tema delle modalità della recitazione, particolarmente in riferimento al teatro classico, cfr. il saggio di R. Green, Towards a Reconstruction of Performance Style. Il contributo di Easterling 1993 (Actor as Icon), è incentrato principalmente sulla progressiva crescita di prestigio e di importanza della figura dell’attore, della sua "symbolic function", nel merito di cruciali sviluppi istituzionali. Lo studio è condotto, in prospettiva diacronica, per mezzo di un’analisi incrociata delle pitture vascolari, delle iscrizioni e delle fonti letterarie. (c.c.)
Giuliani, Most 2007
L. Giuliani, G.W. Most, Medea in Eleusis, in Visualizing the Tragic: Drama, Myth, and Ritual in Greek Art and Literature: Essays in Honour of Froma Zeitlin, ed. by C. Shuttleworth Kraus, Oxford 2007.
Il volume che contiene il saggio di Giuliani e Most consiste in una raccolta di saggi di vario argomento, ma tutti gravitanti – ciascuno a suo modo – intorno alla tematica 'Pots&Plays'. Il testo elaborato dai due autori si sviluppa a partire dall’analisi iconologica di un cratere a volute apulo del tardo IV secolo a.C., attribuito al Pittore di Dario e conservato nell’Art Museum dell’Università di Princeton. Il soggetto rappresentato riserva una sorpresa: la presenza inattesa di Medea in un tempio di Eleusi intorno al quale si trovano per lo più personaggi divini e semi-divini. In contrasto con l’iconografia generalmente relativa a Medea, la scena del cratere in questione non è quella successiva all’uccisione dei figli, ma una più pacifica: Medea sembra spiegare qualcosa ad un personaggio anziano identificato come un pedagogo. Giuliani e Most impostano il saggio in contrapposizione con l’interpretazione del cratere elaborata da Margot Schmidt: essi segnalano l’importanza di procedere innanzitutto cercando di comprendere la logica visiva dell’immagine – ovvero la situazione narrativa che il pittore indica servendosi dei mezzi artistici di cui egli dispone – e solo dopo di identificare la situazione con altre evidenze riguardanti i miti greci, e non viceversa, come ha operato la Schmidt. Giuliani e Most, dunque, focalizzano la loro attenzione su uno dei criteri più imprescindibili per l’analisi iconologica di un vaso, ovvero lo studio della composizione dell’immagine per illuminarne la struttura narrativa e, quindi, il significato. Nel cratere in questione, il problema interpretativo risiede nell’identificazione dei due giovani raffigurati sotto il tempio come figli di Medea piuttosto che di Eracle. La scena appartiene, secondo gli autori, ad una versione del mito di Medea che non è sopravvissuta fino ad oggi in modo così integro da permetterne un immediato riconoscimento. Per l’attento indirizzo metodologico a cui è orientato e orienta, il saggio si rivela molto importante ai fini della tematica 'Pots&Plays', pur senza riferire i propri criteri all’interpretazione di una pittura vascolare esplicitamente legata ad un dramma rappresentato a teatro. (e.p.)
Goldhill, Osborne 1994
S. Goldhill, R. Osborne, Art and Text in the Ancient Greek Culture, Cambridge-New York 1994.
L’opera è costituita da una raccolta di saggi. Si citano i più rilevanti per la nostra ricerca.
1. Nel suo contributo (Dulce et decorum est pro patria mori: The Imagery of Eroic Immortality on Athenian Painted Vases), Herbert Hoffmann analizza la rappresentazione, peculiarmente pittorica, dell’attore, nel senso della sua progressiva identificazione con l’immaginario e con le eventuali convenzioni figurative della identità eroica astratta.
2. Il breve saggio The Artful Eyes: Vision Ekphrasis and Spectacle in Euripidean Theatre Vases, di Froma Zeitlin, si occupa prevalentemente dell’analisi della funzione pratica dei vasi ateniesi, con particolare attenzione al contesto materiale di riferimento, in assonanza con quella che, nel testo metodologico, è stata definita "tendenza scettica". Zeitlin parte dell’assunto iniziale che riconosce nei vasi delle imitazioni economiche di oggetti d’uso in metallo, più preziosi e costosi. A partire da tale impostazione, procede all’individuazione di un iconic message, già presunto a priori dalla studiosa e insito nella pittura vascolare, particolarmente in quella a tema tragico. Interessante, oltre che suggestiva, la relazione di confronto tra lo spazio pittorico, la campitura del vaso e la skenographia. L’opinione della studiosa è che, in assenza di un patrimonio figurativo convenzionale, il teatro (tragico) avesse dovuto 'inventare' un’iconografia per le figure mitiche che non presentavano una propria tradizione figurativa. In questo senso, il teatro imporrebbe una nuova enfasi al ruolo dello spettatore e, al contempo, della percezione visuale del pathos e dei dromena dei personaggi. Più specificamente tale tendenza sarebbe raggiunta nella drammaturgia euripidea: la Zeitlin analizza le tragedie Ione, Ifigenia in Aulide e Fenicie. Al teatro di Euripide, ai repertori drammatici e iconografici la studiosa guarda in funzione delle loro finalità estetiche e didattiche (instructional). (c.c.)
Hamilton 1992
P.J. Hamilton, Choes and Anthesteria. Athenian Iconography and Ritual, Ann Arbor 1992.
L’opera si occupa del tema specifico della relazione delle choes, studiate come manufatto materiale, e del contesto festivo e rituale delle Antesterie, di cui le choes costituiscono un elemento caratterizzante. Nonostante la specificità dei temi affrontati, è possibile estrapolare dal contesto contingente alcune osservazioni generali sul rapporto tra la celebrazione esterna della festa associabile concettualmente, con le necessarie distinzioni, alle rappresentazioni drammatiche che avevano luogo in un contesto festivo, ma non rituale, e i condizionamenti esercitati dalla forma del supporto sull’iconografia. L’autore osserva che l’iconografia delle choes non è né casuale, né priva di significato, rispondendo a una ratio economica e figurativa implicita che l’autore descrive accuratamente. Estremamente significativo sia per l’approccio metodologico sia per i risultati conseguiti attraverso l’indagine, è il capitolo 6, Icon and Text. In esso è affrontata la questione della relazione dell’iconografia con le fonti letterarie: testimonianze dirette della festa delle Antesterie si riscontrano in Lisistrata, che descrive l’abbigliamento delle fanciulle in processione, vestite con il krokotos, del quale si hanno echi parodici anche nelle Rane. Una posizione centrale è occupata dall’analisi comparata di quattro diversi gruppi di vasi, posti in relazione con le choes, oggetto costante di riferimento. Dallo studio sono emersi dati sintetizzabili con l’immagine di una climax ascendente dal punto di vista della specializzazione della contingenza iconografica dal particolare al generale. Più precisamente, i krateriskoi presentano una forma unica, un’iconografia omogenea, non fissa (con variazioni nei costumi e nell’età delle figure rappresentate), ma ripetitiva, con una gamma limitata di repertorio, le immagini divine non sono palesate esplicitamente, a esse si allude per mezzo di simboli sacri. Le anfore panatenaiche presentano una forma ben definita, un’iconografia omogenea e unica riferita alle Panatenee, fissa, raffigurante esclusivamente Atena e il contesto rituale della festa, ripetitiva e limitata. Le figure divine sono sempre palesate. Le choes (tableau) sono caratterizzate da forma definita ma non unica, da un’iconografia omogenea, non fissa ripetitiva e limitata, all’interno di essa gli elementi figurativi di dispongono secondo patterns fissi. Le figure divine non vengono mai palesate, ma sono evocate da una ricostruzione di un apparato rituale riconoscibile. I vasi lenei presentano una forma non definita e non unitaria, un’iconografia omogenea entro due sottogruppi di forme vascolari, ma non definibile come unitaria. Essa è, comunque, fissa, ripetitiva e limitata, gli elementi non rappresentano patterns fissi. Gli dei sono raffigurati in forma di statue e di maschere. I vasi raffiguranti scene di sacrificio costituiscono il polo apposto dello studio di Hamilton, rispetto ai krateriskoi: essi presentano un repertorio di forme non definito né unico. L’iconografia non è omogenea, fissa e ripetitiva, gli elementi figurativi sono disposti secondo patterns di riferimento, le figure divine sono palesate. In conclusione, sostiene lo studioso, le choes si situano in una posizione intermedia sia rispetto ai tipi formali, sia rispetto ai criteri iconografici. (c.c.)
Keuls 1990
E.C. Keuls, Clytemnestra and Telephus in Greek Vase-Painting, in Eumosia. Ceramic and Iconographic Studies in Honour of A. Cambitoglou, ed. by J.-P. Descœudres, Sydney 1990, pp. 87-94.
Si tratta di un breve commento sull’iconografia del dramma greco a partire dalle figure di Clitemnestra e Telefo. A proposito di Clitemnestra, E. Keuls nota come il suo personaggio compaia frequentemente nelle tragedie greche, mai però in quanto eroina protagonista di un dramma a lei intitolato. Indipendentemente dal carattere assegnatole dai drammaturghi, Clitemnestra trova ampio spazio nella pittura vascolare, dove si presenta sempre come figura “diacritica” per decriptare l’iconografia. Un caso particolare di rappresentazione del suo personaggio è quello del Telefo euripideo: in questo dramma (molto popolare, a quanto si sa) compariva Clitemnestra (fatto di per sé significativo, dato che nel mito di Telefo prima di Euripide tale personaggio non c’era) come figura conciliante e materna. E. Keuls propone una rassegna delle principali attestazioni vascolari del mito (trascurando però, consapevolmente, le attestazioni dell’arte etrusca). L’impressione è che E. Keuls intraveda nella pittura vascolare una possibilità di ricostruire il dramma perduto. D’altra parte, l’autrice si domanda come interpretare le diverse concezioni del ruolo di Clitemnestra nella scena di Oreste in ostaggio, dando per scontato il diretto riferimento della scena raffigurata alla tragedia euripidea per la sola presenza di un personaggio identificabile con Clitemnestra. (e.p.)
Keuls 1996
E. Keuls, Scenes from Attic Tragedy on Vases Found in Sicily and Lipari, in I vasi attici e altre ceramiche coeve in Sicilia, Atti del congresso internazionale (Catania, Camarina, Gela, Vittoria, 28 marzo-1 aprile 1990), Palermo 1996, pp. 55-64.
Il breve, ma interessante contributo si concentra sulla ceramica siciliana di produzione locale o importata e su quella liparota. Si delinea un quadro in cui sono forti le differenze delle scelte tematiche e delle modalità figurative con la ceramica apula. Se la ceramica apula è prevalentemente destinata a scopi votivo-funerari, e la scelta di temi mitici, correlati con la tragedia, verte sui significati soteriologici e ultramondani, secondo ciò che la Keuls definisce "pictorial consolation rethoric", diverso è l’approccio palesato nell’iconografia vascolare siciliana. La pittura vascolare siceliota mostra una particolare attenzione per gli effetti visivi e introduce nel suo repertorio scene non effettivamente rappresentate sulla scena teatrale, ma solo raccontate dal messaggero. Enfasi particolare è, inoltre, riservata alle espressioni emotive e alla mimica facciale dei personaggi. Gli studi di vasi soprattutto del Pittore di Capodarso, del Pittore di Dirce, di sicura identificazione siceliota rendono ragione della originalità nelle scelte tematiche del repertorio tragico e delle singolari rielaborazioni formali e narrative, che si svincolano dai tradizionali patterns narrativi. I vasi sicelioti manifestano una totale estraneità al mondo soteriologico e ultraterreno, palesando un precipuo interesse per il teatro, la messa in scena e, in alcuni casi, i segni stessi della ‘teatralità’. Ciò fa concludere che le illustrazioni vascolari siceliote mostrino un più diretto, continuo e non mediato contatto con il Dramma Attico, rispetto al mondo apulo, nella misura in cui è noto che in Sicilia erano vitali e frequenti le rappresentazioni teatrali già agli albori del teatro classico e per tutto il IV secolo. Per quanto concerne la ceramica liparota, nel periodo di massimo fulgore (Guerra del Peloponneso), non si hanno tracce di un teatro e, nonostante il rinvenimento di stampi, si registra la presenza di ceramica importata da Sicilia e Campania. I temi ricorrenti pongono in relazione elementi teatrali e rituali. L’uso funerario di questi vasi lascia aperte alcune questioni sul ricorso a scene comiche, come se vi fosse un oltremondo in cui ogni elemento, conciliato, è contemperato nel lieto fine. (c.c.)
Lissarrague 2007
F. Lissarrague, Looking at the Shield Devices: Tragedy and Vase Painting, in Visualizing the Tragic: Drama, Myth, and Ritual in Greek Art and Literature: Essays in Honour of Froma Zeitlin, ed. by C. Shuttleworth Kraus, Oxford 2007, pp. 151-164.
Nel suo breve contributo, parte di un saggio più ampio, in onore del lavoro di Zeitlin sulla tragedia eschilea dei Sette contro Tebe, Lissarrague osserva e analizza alcune pitture di vasi perlopiù di uso simposiaco di V secolo a.C. nelle quali sono raffigurati soggetti (umani e mitologici) armati di scudo. La lettura contestualizzata e al contempo analitica dei dettagli figurativi e degli schemi compositivi (formulare, p. 162) reiterati e variati, finalizzata anche all’interpretazione del messaggio generale del testo-immagine, è finalizzata a testimoniare il legame di influenza diretta e indiscussa tra le due differenti "visual experiences" (p. 162) teatrale e pittorica della metà del V secolo. In particolare, l’autore prende posizione in favore di una dipendenza dell’ispirazione eschilea per la scena degli scudi nei Sette contro Tebe dalle formulae contenute nell’iconografia dei vasi da banchetto ("pottery may have inspired the tragic stage"). (c.c.)
Lissarrague 2008
F. Lissarrague, Image and Representation in the Pottery of Magna Graecia, in Performance, Iconography, Reception. Studies in Honour of Oliver Taplin, ed. by M. Revermann and P. Wilson, Oxford 2008.
F. Lissarrague imposta la prima parte del saggio come un’introduzione alla tematica 'Pots&Plays', partendo, naturalmente, dall’omonima opera di Oliver Taplin e dalla sua rivisitazione della produzione vascolare della Magna Grecia. L’autore segnala come tale volume abbia alimentato il dibattito tra due scuole di pensiero (già in polemica tra loro da tempo), ovvero quella che egli stesso definisce dei 'philodramatists' e quella degli 'iconocentrics', l’una orientata a ricostruire le tragedie perdute tramite le immagini, l’altra a mantenere una precisa distanza tra i due tipi di rappresentazione. Tra le novità apportate da Taplin, secondo Lissarrague è fondamentale quella di aver esaminato una gran quantità di vasi, ignoti fino al 1970. Altrettanto importante è l’insistenza dell’autore sulla nozione di ‘segnali’, indicatori iconografici presenti nel vaso, indizi di un rapporto (non necessariamente di una dipendenza) con il teatro. L’autore osserva che Taplin ha aperto le porte a ulteriori progressi nella comprensione di questo rapporto, e suggerisce un possibile approfondimento attraverso il confronto con altre forme di rappresentazione, siano esse pittoriche, plastiche o più genericamente esperienze visive. È su questo indirizzo tematico che il suo articolo si sviluppa. (e.p.)
Mayo 1982
M.E. Mayo, The Art of South Italy. Vases from Magna Grecia, Richmond (VA) 1982.
Al valore intrinseco del volume curato da M.E. Mayo si associa un pregevole valore aggiunto derivante dalla presenza di due articoli particolarmente interessanti per la tematica 'Pots&Plays': uno è il Trendall 1982, per il quale si rimanda alla voce dedicata allo stesso autore, mentre l’altro è Schmidt 1982, che riscuote attenzione per il suo approccio critico alla tematica dei soggetti rappresentati su vasi. Nel dettaglio, Margot Schmidt passa in rassegna non soltanto la funzione rivestita dalla ceramica sud-italica ma anche i suoi soggetti, da quelli specificamente funerari a quelli mitologici, variabili e molteplici, comparandoli con quelli attici; quanto alla loro fonte di ispirazione, l’autrice, pur nella consapevolezza della diffusa opinione che essa risiedesse nelle rappresentazioni drammatiche, segnala la limitazione di questa possibile fonte alla produzione a soggetto comico e, soprattutto, ad un vettore di diffusione limitato in quanto legato alla recitazione di artisti itineranti locali, i quali, probabilmente, avevano assistito alle tragedie e le divulgavano. L’autrice, nei fatti, lascia aperte alcune questioni del proprio percorso speculativo, rimarcando tra l’altro l’importanza di una questione controversa: allo stato attuale delle ricerche, gli studiosi non possono che prendere atto dell’oscillazione, nella produzione ceramica, tra l’influenza di un onnipresente teatro e l’indipendenza degli artisti con le loro personali formule pittoriche; quale dei due avesse più voce in capitolo dell’altro, nelle raffigurazioni vascolari, non è ancora chiaro. (e.p.)
Metzger 1951
H. Metzger, Les rapresentations dans la céramique attique du IV siècle, Paris 1951.
Il corposo lavoro di Metzger verte principalmente sullo studio dei maggiori temi figurativi della pittura vascolare desunti dalla tradizione letteraria e mitica, da scene di vita quotidiana e da feste, distinguendo cicli di varia ispirazione e immagini ricorrenti. Metzger fa rilevare, sebbene in modo piuttosto asistematico, la significatività dell’influenza esercitata dal teatro, già a partire dal genere ditirambico e poi dalla tragedia e dal dramma satiresco, soprattutto sui vasi italioti del IV secolo a.C. Il lavoro non è, tuttavia, focalizzato esclusivamente sull’analisi dei vasi magnogreci, ma si estende anche all’esame della ceramica attica in prospettiva diacronica, dal V al IV secolo a.C. Le relazioni di dipendenza tra tragedia classica e imagerie vascolare più sicure e fitte afferiscono, secondo lo studioso, al IV secolo a.C. Metzger definisce le relazioni individuate tra il teatro e la pittura vascolare, particolarmente in riferimento al ciclo troiano, come un’influenza generica, tematica, soprattutto della poesia tragica: non si tratterebbe, quindi, di una pedissequa ripetizione della scena teatrale (si citano qui per accenni le approfondite disamine dello studioso sul Tamiri di Sofocle, sull’Elena, l’Elettra, l’Ifigenia in Tauride euripidee). Di particolare importanza sul piano metodologico-interpretativo è l’analisi condotta (nel capitolo Les themes legendaries) sull’evoluzione figurativa in diacronia, anche in relazione all’ideologia e alla poetica dei tre tragediografi maggiori. Tale analisi è applicata criticamente alle molteplici rappresentazioni di pittura vascolare di Telefo, in cui emerge soprattutto il riflesso del patetismo euripideo, o delle raffigurazioni delle Nereidi, di Teti e di Achille nel contesto mitico legato alla vicenda delle armi dell’eroe. Altro importante snodo concettuale dell’opera è costituito dall’identificazione dei caratteri generali dell’imagerie della nuova grande pittura, in relazione a temi religiosi e leggendario-mitologici. Si esaminano, inoltre, i riflessi della grande pittura sulla ceramografia, considerata un “genere minore” e autonomo. Se l’influenza dei modelli della grande pittura pare determinante per la creazione e lo sviluppo dell’imagerie religiosa anche di altri supporti figurativi, la relazione sarà meno definita e più problematica nel caso dell’imagerie leggendaria: quest’ultima relazione sarebbe meglio definibile in termini di “conformità di ispirazione”, che di “filiazione diretta”. La relazione intercorrente, invece, tra la grande scultura e le pitture vascolari si sviluppa da un’iniziale dipendenza delle seconde dalla prima, testimoniata dalle frequenti raffigurazioni di divinità rappresentate come statue (idole xoanisante) frequentemente presenti nei vasi a figure nere, a una fase di evoluzione autonoma delle due arti, rispondenti a tradizioni coesistenti e parallele. (c.c.)
Moret 1975
J.M. Moret, L’Ilioupersis dans la céramique italiote: les mythes et leur expression figurée au IVe siècle, Genève 1975.
Come anche nello studio del 1987, Moret avvia la propria ricerca nel solco del confronto "entre la littérature et les monuments figurés". In particolare, come egli specifica nell’introduzione (p. 1), la sua premura è quella di indagare, "à la lumière des classifications proposte par Trendall, les rapports entre la tragédie et la céramique peinte d’Italie méridionale" (ibidem). L’autore si discosta dalla convinzione filologica che la tragedia fosse la sola fonte di ispirazione per le scene raffigurate nella ceramica, e apre possibilità alternative, come ad esempio "l’imitation de la grande peinture ou des autres arts, l’existence d’une tradition figurative indépendante de la tradition littéraire" (ibidem). Per i contenuti altamente critici del suo orizzonte speculativo, il testo di J.M. Moret si configura come uno dei più appropriati per accostarsi alla tematica 'Pots&Plays'. C’è da dire che le riflessioni e le intenzioni metodologiche dell’autore determinano la divisione del libro in due sezioni, l’una complementare all’altra. Nella prima si procede ad una "classification des documents par thèmes légendaires" (ibidem), studiando diversi episodi della presa di Troia. I capitoli si articolano nel modo che segue:
1. Ajax et Cassandre;
2. Hélène et Ménélas;
3. La mort de Priam;
4. La thème de l’Ilioupersis avant la céramique italiote;
5. Les images italiotes de l’Ilioupersis;
6. Le rapt du Palladion;
7. Le Palladion et ses représentations figurées.
La seconda parte, invece, "a pour objet les motifs eux-mêmes, c’est-à-dire les figure set les schèmes figuratifs (positions caractéristiques, personnages conventionnels, gestes typiques) dont les peintres se sont servis dans l’élaboration des scènes mythologiques" (ibidem):
8. La position "agenouillée";
9. La prêtresse en fuite;
10. Les Troyens-Amazones et les autres figures hybrides d’Orientaux;
11. Contamination de scènes et motifs de réemploi;
12. La saisie par les cheveux;
13.Tragédie et céramique: thèmes littéraires et motifs iconographiques;
14. De l’iconographie grecque à la peinture romaine: la place de la céramique italiote.
Malgrado la specificità del tema dell’Ilioupersis, che funge da occasione per lo sviluppo del testo, Moret riesce a contemperare questa prospettiva dettagliata con una più generale, rinnovando la necessità di applicare le deduzioni pratiche a principi di carattere universale. (e.p.)
Moret 1987
J.M. Moret, Oedipe, la Sphinx et les Thebains. Essai de mythologie iconographique, Genève 1987.
L’autore incentra il proprio studio sui rapporti tra filologia e archeologia, tra tradizione letteraria e tradizione iconografica. Egli svolge inizialmente un’analisi specifica, concentrata sul tema iconografico della Sfinge nelle sue diversificate varianti, attestate prevalentemente in Etruria e nel Sud Italia particolarmente nel IV secolo. I riferimenti letterari sono utili a spiegare le analogie e le differenze all’interno della tradizione iconografica e tra questa e la tradizione letteraria, autonoma. Nell’identificazione, tra gli altri, di due tipi figurativi, la Sphinx questionneuse e la Sphinx ravisseuse, e nell’osservazione della prevalenza del primo tipo sul secondo, lo studioso sottolinea l’importanza del ruolo creativo dell’immagine sullo sviluppo di un mito. Quest’ultima osservazione è transitivamente applicabile più in generale a tutti i temi mitici nell’arte figurativa. Interessante è l’impostazione dello studio, volto all’identificazione di schemi figurativi, posti in una rete di relazioni di analogia e difformità nei confronti del modello di riferimento: nello specifico, rispetto al tema di Edipo e della Sfinge, si registrano da una parte le analogie con altri schemi iconografici di differente tema mitico, ma di analoga struttura (Ulisse e il Ciclope, Ulisse e le Sirene), e dall’altra le differenze con la tradizione letteraria, che indica una differente età per le vittime della voracità della Sfinge. Di non scarsa rilevanza è l’osservazione della peculiarità oggettuale dei vasi, che contemperano, insieme alle istanze decorative, quelle meramente utilitaristiche: sulla base della diversa funzione, i vasi testimoniano un’ispirazione differente rispetto alla grande scultura. Inoltre, ulteriore sviluppo della questione materiale del supporto vascolare, è la considerazione della provata destinazione funeraria di gran parte dei vasi in questione: per tale ragione anche i motivi iconografici sembrerebbero attingere a un repertorio funerario nel quale, secondo lo studioso, potrebbe ravvisarsi anche il progressivo mutamento della concezione dell’aldilà, di pari passo con gli sviluppi ideologici dei tre poeti.
Nelle conclusioni l’autore riassume schematicamente i seguenti punti:
- l’immagine è l’elemento creatore e il mito è prodotto dell’immagine;
- l’immagine è chiaramente riferibile a un rècit, a un dramma;
- le testimonianze iconografiche consentono di conoscere dettagli o versioni del mito che le fonti testuali non menzionano;
- le immagini mitologiche non sono "narratives", ma "representationelle".
(c.c.)
Rasmussen, Spivey 1991
Looking at Greek Vases, ed. by T. Rasmussen and N. Spivey, Cambridge 1991.
Sul rapporto tra teatro e pittura vascolare nella ceramica sud-italica si segnala come lettura preliminare – per la sua funzione introduttiva alla questione dell’analisi di un vaso – il volume di Rasmussen-Spivey 1991, che, supportato da un notevole assortimento di immagini, approfondisce lungo un percorso diacronico le caratteristiche della ceramica di fattura greca dal Geometrico all’Ellenismo. Al suo interno, oltre ai pregevoli scritti di vari autori (tra gli altri, gli stessi curatori del volume ed inoltre L. Burn, M. Robertson, M. Beard, J.N. Coldstream, J. Boardman, D. Williams, J.W. Hayes, A. Johnston, J.M. Hemelrijk), si segnala il saggio critico di A.D. Trendall, interlocutore imprescindibile per lo studio della pittura vascolare sud-italica e dei suoi rapporti con il teatro. In particolare, nel suddetto saggio, l’autore si sofferma sulla pittura vascolare sud-italica del IV secolo a.C., segnalando come, rispetto agli esemplari ateniesi contemporanei, i pittori di vasi sud-italici e siciliani abbiano attinto molto più frequentemente i soggetti delle loro scene dal teatro, ispirandosi a Dioniso non solo come divinità del teatro ma anche dei misteri, ovvero della vita dopo la morte. Il legame con Dioniso ‘dio dei misteri’ spiegherebbe, secondo Trendall, la preponderante presenza di vasi simili in contesti funerari magnogreci, dove in particolare il cratere a volute con questo tipo di soggetti divenne particolarmente popolare proprio in corrispondenza del suo spegnersi ad Atene, dopo la (o a causa della) Guerra del Peloponneso. Evidentemente si ispirarono a soggetti teatrali quei vasi nei quali compaiano un palco, colonne, maschere, porte o finestre, figure abbigliate per un contesto drammaturgico. Dopo aver enucleato tali criteri epistemologici per riconoscere durante l’approccio iconografico un vaso a soggetto teatrale, Trendall inizia la sua speculazione a partire dai vasi a soggetto comico, e quindi con riferimenti alla Farsa Fliacica, citando i principali pittori attivi in Magna Grecia (tra i quali Asteas, Python, il Pittore di Dario) e ricostruendo la percentuale di ritrovamenti secondo un parametro geografico. È convinzione dell’autore che buona parte di questi vasi sud-italici rifletta la contemporanea commedia di mezzo ateniese. Trendall prosegue poi nell’analisi di vasi a soggetto tragico, nei quali distingue due registri: uno superiore, riservato spesso alle divinità, ed uno sottostante destinato allo svolgimento dell’azione (uno schema destinato a ripresentarsi spesso nella panoramica artistica nutrita di cultura e, segnatamente, di cultura letteraria, non a caso ripreso da Raffaello nella Disputa del Sacramento). Trendall segnala inoltre che la scena raffigurata nel vaso non esprime l’intero svolgimento del dramma, ma ne coglie un momento saliente, possibilmente suggestivo, tracciando lievemente la continuazione nell’immaginario dell’osservatore. In questo senso, un vaso sarebbe una ‘illustrazione’ del dramma. L’autore ritiene dunque altamente plausibile che i soggetti riferibili a contesti teatrali nei vasi sud-italici costituiscano preziosi squarci di tragedie perdute, come ad esempio la Niobe di Eschilo, o l’Andromeda di Sofocle e di Euripide. Nel complesso, la produzione vascolare sud-italica e siciliana di IV secolo a.C. contribuisce a rendere migliore la comprensione della relazione tra arte e letteratura e a colmare il divario tra i mondi del mito e del teatro (ammesso che dell’esistenza di un vuoto si possa parlare): il pittore avrà voluto spesso evocare il mito, soprattutto per il suo significato nella vita ultraterrena, dato che molti vasi erano destinati alle tombe, ma egli dipinge sulla base della propria esperienza visiva al teatro, dove l’enfasi era basata sulla qualità catartica della tragedia. (e.p.)
Schefold 1937
K. Schefold, Statuen auf Vasenbilden, "JdI" 52, 1937, pp. 30-75.
Il lavoro è da segnalare per la precocità delle intuizioni rispetto alla tematica affrontata. In particolare, si pone attenzione alla presenza epifanica del dio sulla scena (lo spazio figurativo del vaso) e al suo segnacolo terreno, la statua. Di tale schema di rappresentazione si rileva la contiguità stretta con il mondo del teatro e con le trovate drammaturgiche della tragedia antica. (c.c.)
Séchan 1926
L. Séchan, Études sur le tragédie grecque dans ses rapports avec la céramique, Paris 1926.
Gli essenziali motivi programmatici del lavoro di Séchan sono espressi sistematicamente nell’ampia introduzione, articolata nei paragrafi: 1. L’arte e la letteratura in Grecia; 2. Influenza dell’arte sulla poesia; 3. Influenza della poesia sull’arte; 4. Il teatro e i vasi dipinti; 5. La filologia archeologica. Seguono altre tre parti concentrate rispettivamente sui temi di Eschilo, Sofocle ed Euripide. Presupposto del lavoro di Séchan è l’interdipendenza dell’arte, nella differenziazione delle sue forme espressive, figurative e plastiche, e della poesia, dall’epica alla tragedia. Si avanza, quindi, una corrispondenza ideale che pecca di eccessiva schematicità, secondo cui alla poesia omerica si fa corrispondere lo stile geometrico, alla drammaturgia eschilea l’arte di Polignoto, a Sofocle l’arte di Fidia, sommamente espressa nel Partenone, alla novità del teatro euripideo Zeusi, Parrasio, Timonte, Aristide. Nello specifico, si ammette generalmente l’influenza del dramma satiresco e delle forme drammatiche minori italiote e siceliote, come l’ilarotragedia e la farsa fliacica. Più problematica è la definizione cronologica delle prime effettive influenze della tragedia sulla pittura vascolare del V secolo, a figure nere: i tempi sarebbero stati ancora troppo prematuri perché la tragedia potesse essere entrata nello spirito popolare e, quindi, nell’iconografia di oggetti di ampia diffusione quali i vasi. Polignoto sarebbe tutto ancora “pieno di epos”. Tale orientamento è seguito anche da Vogel e da C. Robert (interessante in questo senso l’osservazione di Robert, che rileva nella gestica di Achille nei vasi dipinti del V secolo, un elemento preponderantemente tradizionale, epico. L’eroe è, ad esempio, raffigurato mentre porta una mano alla testa avvolto nel mantello, gesto riconosciuto come convenzionale in una tradizione pre-tragica).
In sintesi, gli argomenti affrontati sono:
- assunzione certa del dato di fatto di una relazione diretta tra pittura vascolare e teatro;
- studio sulla provenienza, sulla cronologia e sui caratteri principali dei vasi dipinti a soggetto drammatico. Si individuano, oltre ai vasi attici, altre tre aree di produzione italiota: Apulia, Campania e Lucania, attivi in un lasso di tempo tra il 450 e il 250 a.C. Per quanto riguarda la composizione, si distinguono due grandi categorie: 1) tendenza a proseguire la tradizione polignotea e quella più propriamente magnogreca (disposizione dei personaggi con grande libertà d’invenzione); 2) ritorno al modo arcaico della partitura in zone (esempi della scuola attica del IV secolo) testimoniate nelle grandi anfore apule;
- influenza materiale del teatro non solo in relazione ai temi, ma anche ad altri dettagli: personaggi secondari (nutrici, dorifori, pedagoghi), divinità e personificazioni come figure accessorie del dramma, costumi di scena (klamis, kolpos, chitoni femminili…);
- rapporti delle pitture dei vasi a soggetto drammatico con la grande arte figurativa;
- interesse letterario e storico dei vasi dipinti a soggetto drammatico. I vasi dipinti a tema tragico formano una sorta di “commentario per immagini” (cfr. sull’argomento anche Mingazzini in Bertino 1972). È infine interessante rilevare, con l’autore, il fatto che spesso i vasi dipinti riproducano scene raccontate da un personaggio e non realmente performate sulla scena teatrale. Si ribadisce, comunque, la negazione di un meccanicismo derivativo troppo spinto nel rapporto 'teatro-vasi';
- la pittura vascolare rivela le preferenze letterarie degli antichi, le loro predilezioni per uno o l’altro dei poeti tragici, attraverso la diffusione di temi e scene desunti, o, meglio, ispirati dalla tragedia. (c.c.)
Shapiro 1993
H.A. Shapiro, Personifications in Greek Art. The Representation of Abstract Concepts. 600-400 B.C., Zürich 1993.
L’autore incentra la propria analisi sull’"iconography", sugli aspetti legati alla rappresentazione pittorica delle personificazioni di concetti astratti, disponendo i dati sulla linea della diacronia. A partire dalla concezione delle personificazioni e delle allegorie nel pensiero greco delle origini, l’indagine prosegue nel senso del riconoscimento e dell’identificazione delle personificazioni dei concetti astratti, con particolare riferimento alla relazione, definita ‘di dipendenza’ più o meno stretta dalle fonti letterarie. Ampio spazio, in questa direzione, è riservato alle personificazioni e alle allegorie nella poesia epica da Omero agli autori cosiddetti ‘minori’ o pervenuti in modo essenzialmente frammentario. La relazione tra letteratura e iconografia è spiegata con una gradualità nel processo di astrazione-personificazione che si sviluppa da un livello massimo di personificazione del concetto astratto a un livello zero della personificazione, corrispondente al massimo grado di astrazione. In termini iconografici tale gradualità sarebbe riflessa da un approfondimento più o meno specifico e dettagliato dell’iconografia. Per quanto pertiene, infine, all’uso delle iscrizioni nella pittura vascolare a fianco dei personaggi raffigurati, esso, secondo l’opinione dello studioso, non sembra riflettere la volontà del ceramografo di rendere la scena correttamente interpretabile dal fruitore. (c.c.)
Shuttleworth Kraus 2007
Visualizing the Tragic: Drama, Myth, and Ritual in Greek Art and Literature: Essays in Honour of Froma Zeitlin, ed. by C. Shuttleworth Kraus, Oxford 2007.
La raccolta di saggi affronta, da prospettive e punti di vista diversificati e complementari, il tema vasto della ricezione e della diffusione della tragedia greca del V secolo a.C. Si affronta inoltre il rapporto tra la tragedia stessa e gli altri generi del teatro antico. Particolare rilevanza è conferita alle relazioni tra tragedia e arti visive. Elemento coordinante e costante riferimento è costituito dai lavori e gli studi, di impostazione semiotica, di Froma Zeitlin, sulla tragedia greca e sul dramma antico. (c.c.)
Taplin 2007
O. Taplin, A new pair of Pairs: Tragic Witness in Western Greek Vase Painting?, in Visualizing the Tragic: Drama, Myth, and Ritual in Greek Art and Literature: Essays in Honour of Froma Zeitlin, ed. by C. Shuttleworth Kraus, Oxford 2007.
Il ricco contributo verte sull’osservazione di vasi a tema mitologico dello stile apulo ornato, definito il più attinente al mondo del teatro, databile alla seconda metà del IV secolo. La contiguità con il teatro è da intendersi più come un’affinità e comunanza di temi e topoi che in senso stretto. Si tenta di superare gli schemi cognitivi della dipendenza della pittura vascolare dal teatro o, viceversa, di tendenza più recente, la totale autonomia della pittura vascolare dal teatro. La disseminazione di segni iconografici arricchisce l’esperienza percettiva dell’osservatore se egli riesce a riconoscerli e a ricondurli a un sottotesto tragico. Su un particolare tipo di segnali verte lo studio presentato nel contributo: quello della presenza di figure anonime e secondarie, ripartite in tre categorie: 1. personaggi muti; 2. messaggeri; 3. coro. Solo in casi particolari, in parte coincidenti con le rare rappresentazioni figurative del coro, esso occupa un ruolo centrale nelle tragedie eschilee Supplici ed Eumenidi. Se per Green i personaggi secondari sono chiaro indizio di connessione con la rappresentazione di una scena teatrale, per Taplin essi sono da intendersi più come ‘segnali’ di un’associazione con il teatro atti ad amplificare l’esperienza percettiva del fruitore. D’altro canto i vasi di tema tragico non palesano mai, diversamente da quelli comici, la loro meta-teatralità e deve quindi essere ricercato un realismo di riproduzione fotografica delle scene. Le figure anonime sono intese da Taplin come "anonymous witnesses", mediatori dell’esperienza percettiva (della pittura o della rappresentazione teatrale). Il loro anonimato deriva proprio dalla funzione artistica totalizzante e collettivizzante, che per certi versi spersonalizza il soggetto senziente consentendo l’identificazione con l’oggetto della rappresentazione artistica. (c.c.)
Taplin 2007a
Oliver Taplin, Pots & Plays, Oxford 2007.
Volume centrale per lo studio delle pitture vascolari in rapporto alle tragedie antiche, si sviluppa in due sezioni: nella prima (Setting the Scenes) Taplin elabora il punto della situazione sulla tragedia greca e sulla sua diffusione al di fuori di Atene, ovvero in Sicilia e nell’Occidente greco. L’autore individua, fra gli elementi essenziali per risalire all’esatta cognizione dei modi e dei tempi di rappresentazione teatrale di drammi attici in queste aree, il numero di siti teatrali. In un paragrafo intitolato Escaping the Philodramatist versus Iconocentric Polarity, Taplin torna sul dualismo tra queste due scuole, cercando di superarlo, andando contro il pensiero dominante da una ventina d’anni ad oggi: "I must emphasize that I am not […] going back to the old 'unfashionable' position, nor […] advocating some compromise between the two poles: I am coming at the question from a different angle, which accepts neither of the current positions" (p. 23). Tale nuova prospettiva non è, dunque, estranea alla storia degli studi in merito al rapporto tra testi teatrali e produzione vascolare, ma si inserisce nel solco della tradizione, pur mutando prospettiva di approccio. I criteri del metodo proposto da Taplin sono trattati nei paragrafi L (Assessing how Vases are Related to Tragedy: I. The Narratives), M (Assessing how Vases are Related to Tragedy: II. An Index of Signals) ed N (Assessing how Vases are Related to Tragedy: III. Two Extradramatic Signals). In essi, l’autore esplora una serie di cosiddetti “segnali”, appunto, che nella pittura vascolare sarebbero indizi inequivocabili di riferimento ad un contesto teatrale da parte dell’artista. Tali indizi sono i costumi, i calzari, i portici, l’arco roccioso (nei casi specifici di Prometeo e Andromeda), figure anonime (frequenti nelle rappresentazioni teatrali), pedagoghi (nel dettaglio, un piccolo anziano), Furie e simili, scene di supplica e (stavolta segnali “extradrammatici”) nomi scritti in dialetto attico e tripodi. La seconda sezione di Pots & Plays è dedicata interamente alle ceramiche dipinte, molte delle quali ignote fino agli anni settanta, e alla loro analisi sulla base dei criteri proposti dallo stesso autore nella prima parte del volume. Il testo rimane una lettura imprescindibile e imperativa per chi intenda accostarsi alla tematica. (e.p.)
Taplin, Wyles 2010
O. Taplin, R. Wyles, The Pronomos Vase and its Context, Oxford 2010.
Sul vaso di Pronomos ("the most important and complex material object we have which is directly related to ancient Greek theatre", p. 1), il volume edito da O. Taplin e R. Wyles è indubbiamente il più recente e completo. Si tratta di una raccolta di articoli che, proprio per la sua caratteristica stesura a più mani, garantisce una rara pluralità di punti di vista e approcci. È difficile (se non impossibile) individuare un volume altrettanto approfondito e completo sull’argomento. Fondamentali per un inquadramento preliminare l’Introduction, curata dagli stessi editori, e A Description (di Thomas Mannack). Alcuni articoli, in particolare, tra gli altri, si rivelano particolarmente interessanti per la tematica 'Pots&Plays', ad esempio The Context of Choregic Dedications, di Eric Csapo, e The Transformation of Athenian Theatre Culture around 400 B.C., di Klaus Junker. Ad ogni modo, soltanto una lettura globale del volume attribuisce la giusta importanza e la corretta chiave di lettura a ciascun articolo, pregevole indipendentemente dalla vicinanza a Pots & Plays. (e.p.)
Todisco 2003
La ceramica figurata a soggetto tragico in Magna Grecia e in Sicilia, a cura di L. Todisco, Roma 2003.
Per questo imponente volume (conta oltre 800 pagine) si è ritenuto più utile, in questa sede, riportare l’articolazione interna, in forma indicizzata.
1. Introduzione (di Luigi Todisco): oltre che essere un’introduzione al volume, in questa sezione del testo si trova anche una breve e interessante esposizione della storia degli studi sull’argomento;
2. Repertorio e contributi critici di:
- Margherita Catucci, Tempi e modi di diffusione di temi teatrali in Italia attraverso la ceramica di importazione;
- Mary Anne Sisto, Le forme dei vasi italioti e sicelioti a soggetto tragico;
- Giuseppina Gadaleta, La ceramica italiota e siceliota a soggetto tragico nei contesti archeologici delle colonie e dei centri indigeni dell’Italia meridionale e della Sicilia;
- Carmela Roscino, L’immagine della tragedia: elementi di caratterizzazione teatrale ed iconografica nella ceramica italiota e siceliota;
3. Catalogo dei vasi (attici, lucani, apuli, sicelioti, pestani, campani);
4. Catalogo dei contesti (vasi attici, vasi italioti, vasi sicelioti);
5. Bibliografia;
6. Referenze grafiche e fotografiche;
7. Indici (musei e collezioni; mercati antiquari; vasi perduti e di collocazione ignota; pittori; fonti letterarie; luoghi;
8. Grafici, Tabelle e Tavole. (e.p.)
Todisco 2006
L. Todisco, Pittura e ceramica figurata tra Grecia, Magna Grecia e Sicilia, Bari-Roma 2006.
Il volume di Todisco è costituito da una ventina di articoli di argomento vario, ciascuno riportante un esempio di arte figurativa (pittura, ceramica figurata, scultura) greca, magnogreca e sicula. Il capitolo più ricco e significativo, per ciò che attiene alla tematica 'Pots&Plays', è il IV (pp. 173-274); in particolare, nell’articolo L'Aiace di Sofocle nei frammenti di un cratere apulo si ipotizza, a partire dal nome Tecmessa (che compare sul cratere in questione), l’identificazione della scena ivi rappresentata con una scena dell’Aiace di Sofocle, dato che "allo stato attuale delle conoscenze, è […] Sofocle che nel suo Aiace, per la prima volta, fa vivere sulla scena la figura di Tecmessa" (p. 175). Nell’articolo Il teatro, le maschere e la musica si tratta della verosimile relazione tra le immagini di derivazione drammatica (i contenuti del tragico, non la performance) e il contesto funebre per il quale esse venivano scelte. Infine Mito e tragedia: il problema della ceramografia italiota e siceliota sancisce l’indimostrabilità dell’influenza del dramma attico sulla pittura vascolare di V secolo a.C., essendo pochi gli esemplari nelle cui scene si possa palesemente riscontrare un collegamento. Interessanti sono anche le numerose tabelle esplicativo/riassuntive proposte al termine del paragrafo IV.7, riguardanti le tragedie conservate integralmente e quelle conservate in frammenti nel loro rapporto con il numero di occorrenze iconografiche vascolari. (e.p.)
Touchefeu 1983
O. Touchefeu, Lecture des images mythologiques: un exemple d’images sans texte, la mort d’Astyanax, in Image et Céramique Grecque: actes du colloque de Rouen, 25-26 novembre 1982, éd. par F. Lissarrague et F. Thelamon, Rouen 1983.
Nel saggio in questione, Odette Touchefeu si interroga sul metodo più appropriato per (ri)leggere le immagini mitologiche appartenenti al repertorio figurato dei ceramisti attici di VI e V secolo a.C. Per proporre adeguati criteri metodologici, l’autrice parte dallo studio di un caso molto particolare di rappresentazione iconografica: quello della morte di Astianatte, che, proprio per l’assenza di riferimenti letterari da potervi collegare, si configura come un’occasione speculativa unica. O. Touchefeu procede analizzando il contenuto narrativo di un gruppo di vasi (nel dettaglio, due crateri a figure rosse, una pisside di Berlino, un’hydria di Monaco, un’anfora a figure nere, un’anfora del Louvre, un’hydria di Würzburg, un cratere di Boston e un’anfora del Pittore di Kleophrades), recuperando le precedenti interpretazioni e rileggendo le immagini dal proprio punto di vista. L’autrice divide le immagini indubitabilmente riconosciute come mitologiche da quelle la cui interpretazione come tali rimane incerta. Insiste anche sulla necessità di distinguere più linguaggi iconografici, non necessariamente in dipendenza dalle fonti letterarie, per quanto ribadisca l’importanza di ricorrere ad esse per comprendere un’immagine. Non nasconde, infine, le numerose difficoltà riscontrate nel percorso di classificazione, identificazione e interpretazione delle immagini a contenuto mitologico e la fragilità dello stesso ricorso ai testi. In conclusione, il breve saggio di O. Touchefeu si inserisce perfettamente nel quadro speculativo della tematica 'Pots&Plays' e, come tale, può essere paradigmatico dell’accidentato percorso che conduce lo studioso a decriptare i diversi livelli di interpretazione dell’immagine vascolare. (e.p.)
Trendall
A.D. Trendall, Phlyax Vases, University of London, Institute of Classical Studies, Bull. Suppl. 19, 1967.
A.D. Trendall, Early South Italian Vase-Painting, Mainz 1974.
A.D. Trendall, Vase-painting in South Italy and Sicily, in M.E. Mayo, The Art of South Italy. Vases from Magna Grecia, Richmond (VA) 1982.
A.D. Trendall, The Red-Figured Vases of Lucania, Campania and Sicily, University of London, Institute of Classical Studies, Bull. Suppl. 41, 1983.
A.D. Trendall, The Red-Figured Vases of Paestum, Rome 1987.
A.D. Trendall, Red Figure Vases of South Italy and Sicily: A Handbook, London 1989.
A.D. Trendall, Farce and Tragedy in South Italian Vase-Painting, in Looking at Greek Vases, ed. by T. Rasmussen and N. Spivey, Cambridge 1991.
A.D. Trendall, A. Cambitoglou, The Red-Figured Vases of Apulia, University of London, Institute of Classical Studies, Bull. Suppl. 42, 1978.
Per Arthur Dale Trendall si è ritenuto opportuno formulare un’unica scheda di lettura, per via dell’uniformità contenutistica che si è riscontrata nella maggior parte dei suoi volumi (frutto del lavoro di tutta la sua vita) di cui è stato possibile prendere visione. È possibile suddividere in due gruppi la produzione di Trendall: un primo gruppo consta di alcuni brevi articoli, impostati secondo criteri essenzialmente esplicativi e divulgativi, il cui scopo è mettere a parte dei recenti cambiamenti negli studi della ceramica sud-italiota e siciliana. Appartengono a questo gruppo di scritti Trendall 1982 (nel quale l’autore osserva come, a partire dalla metà del XX secolo, gli scavi in Italia meridionale e in Sicilia, nonché gli studi relativi al materiale rinvenuto durante gli stessi, abbiano totalmente rinnovato non solo l’interesse per un tipo di produzione in origine considerata ‘di seconda categoria’ rispetto a quella attica, ma anche la comprensione del loro sviluppo e del loro significato) e Trendall 1991 (per un’analisi di quest’ultimo volume si veda, nella presente bibliografia ragionata, sotto la voce Rasmussen, Spivey). Di fondamentale importanza in questo itinerario di ricerca è stata la classificazione della ceramica sud-italiota – lodevole e incessante attività dello stesso Trendall – basata su cinque principali aree di produzione, individuate in Lucania, Puglia, Campania, Paestum e Sicilia, a partire da criteri stilistici. Questa catalogazione rientra nel secondo gruppo di scritti del nostro autore, ovvero quelli di carattere meramente classificatorio e compilativo. Si inseriscono in questo filone di studio Trendall 1987 (nel quale l’autore si sofferma sulla città di Paestum e sulla sua storia prima di procedere con la classificazione analitica dei vasi), Trendall, Cambitoglu 1983 (classificazione molto dettagliata della produzione vascolare a figure rosse dell’area apula, nella quale il motore ispiratore è ancora una volta quello di gettare una nuova luce sui diversi aspetti della mitologia, del teatro, dei costumi e degli usi funerari di area magnogreca a partire dalle singole, particolari caratteristiche dei soggetti rappresentati sui vasi), Trendall 1967 (classificazione di vasi fliacici che, nell’edizione del 1967, aggiorna il volume del 1959, nel quale, già allora, lo scopo era elaborare una monografia sulla produzione ceramica connessa ai phlyakes, catalogando, contemporaneamente, per soggetti, produzione e botteghe), Trendall 1967, Trendall 1989 (nel quale si segnala ancora una volta l’evoluzione, rispetto ai prototipi ateniesi, della produzione vascolare sud-italica e siciliana; questo volume in particolare si distingue per le 596 illustrazioni dei vasi ritenuti più significativi). (e.p.)
Trendall, Webster 1971
A.D. Trendall, T.B.L. Webster, Illustration of Greek Drama, London 1971.
Il lavoro costituisce una testimonianza essenziale per il nostro orizzonte di ricerca. In esso si analizza con sistematicità un consistente numero di figurazioni vascolari a tema teatrale, imprimendo una prospettiva diacronica alle testimonianze e, al contempo, elencando criticamente e problematicamente le questioni afferenti al contesto materiale di riferimento (luogo di produzione, luogo di rinvenimento, tradizione artistica in cui il vaso si colloca, committenza), e al contesto culturale più ampio (riflessi di ideologici e poetici). Lo studio parte dalle attestazioni “pre-dramatics”. Seguono, nell’ordine, il dramma satiresco, la tragedia, a cui è riservata una parte centrale e nella quale sono attentamente descritte le pitture vascolari riferibili certamente alle tragedie eschilee, sofoclee e euripidee, oltre che ai tragediografi 'minori' o ignoti e a frammenti di tragedie non chiaramente identificate. Il costante e puntuale riferimento all’immagine, mai prescindente dall’attenzione al testo letterario, prelude a ordini di osservazioni approfondite sulla struttura compositiva dell’iconografia vascolare, sulla gestica degli attori-personaggi raffigurati, sugli oggetti presuntamente 'scenici' e così via. La posizione degli autori verte chiaramente sull’affermazione di una sicura relazione diretta tra vasi e drammi, particolarmente nel V secolo. I capitoli successivi sono dedicati alla commedia antica, alla Mese e alla Nea. Un’attenzione particolare è riservata ai vasi sud-italici, attestati a partire dal terzo quarto del V secolo, e alle esperienze teatrali proprie della Magna Grecia e della Sicilia, come la farsa fliacica e l’hylarotragedia, oltre che alla tragedia. (e.p.)
Webster
T.B.L. Webster, Monuments Illustrating Tragedy and Satyr Play, Bull. Suppl., Institute of Classical Studies, London 1967.
T.B.L. Webster, Monuments Illustrating Old and Middle Comedy, London 1978.
T.B.L. Webster, Monuments iIlustrating New Comedy, revised and enlarged by J.R. Green and A. Seeberg, Institute of Classical Studies, University of London, School of Advanced Study, 1995 (III), voll. I-II.
Opere a carattere generale e divulgativo.
Argomenti:
- messa in scena;
- costumi, calzature, recitazione e gestica;
- maschere.
Nelle linee generali, si può affermare che i volumi di Webster costituiscono degli studi monografici di portata notevole, concentrati su quanto concerne la commedia arcaica, di mezzo e nuova, nonché la tragedia. Sono dei cataloghi, degli inventari di tutti i reperti documentari afferenti il teatro nei vari musei internazionali. (e.p.)
Zeitlin 2009
F.I. Zeitlin, Under the Sign of Shield: Semiotics and Aeschylus’ Seven Against Thebes, Lexington, 2009
Dell’opera si rileva l’approccio che si avvale pienamente degli strumenti ermeneutici offerti dalla semiotica, applicato alla tragedia eschilea dei Sette contro Tebe. Particolarmente significativa per il campo di ricerca di 'Pots&Plays' si rivela lo studio analitico delle strutture della rappresentazione, in particolare della scena topica ‘dello scudo’. (c.c.)
engramma n. 99, luglio-agosto 2012