"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X
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L’Atlante della memoria: sinfonia di immagini per un teatro di frammenti

Alessandro Scafi

Pochi giorni dopo la morte di Aby Warburg, Erwin Panofsky scriveva un ricordo dello studioso di Amburgo:

Il suo essere e il suo pensare erano tenuti assieme da una tensione immensa che possiamo definire come quella che passa tra ciò che è razionale e ciò che è irrazionale. [...] Tutto ciò si rispecchiava chiaramente nel suo stile che dominava un pensiero eccitato dalle passioni attraverso una forma linguistica incomparabilmente rigorosa e al tempo stesso complessa e pregnante ("Hamburger Fremdenblatt", 28 ottobre 1929).

Panofsky commentava lo stile della prosa di Warburg guardando alla complessità del suo pensiero. Di fronte all’intreccio tra le idee di Warburg e le forme da lui praticate per esprimerle, altri scrittori hanno fatto ricorso a termini musicali. Per esempio, nel 1926 il musicologo Max Friedländer, scrivendo ad Aby una lettera di auguri per il suo sessantesimo compleanno, giudicava l’opera di Warburg in termini musicali come uno scherzo beethoveniano, rapido nei movimenti e nello stesso tempo profondo, anzi a volte inquietante; oppure, rubando l’espressione a Schumann, come una composizione "sommessa e intimamente sentita".

Friedländer non è stato l’unico a descrivere musicalmente l’opera warburghiana. Nella biografia intellettuale di Warburg anche Ernst Gombrich ricorreva frequentemente ad immagini musicali, questa volta per rendere ragione dello stile dello studioso di Amburgo. Di fronte alla difficoltà degli scritti di Warburg, Gombrich parlava infatti di "uno stile a più strati, una specie di contrappunto verbale che gli consente di far risuonare un tema e al tempo stesso di combinarlo con il motivo che gli fa da contrappunto" [GOMBRICH [1970] 1983]. Ed era per questo che, secondo Gombrich, diventava necessario che il lettore si preparasse a "seguire la polifonia della sua argomentazione proprio come deve fare chi ascolta una sinfonia". Con simile vena, dovendo introdurre il progetto warburghiano dell’Atlante della Memoria, Gombrich paragonava Mnemosyne a una sinfonia, suggerendo che i due temi delle trasformazioni degli antichi dèi nella tradizione astrologica e del ruolo delle Pathosformeln classiche nell’arte e nella cultura post-medievale "dovevano costituire il primo movimento di una vastissima sinfonia di immagini, cui poi dovevano affiancarsi altri temi in funzione di scherzo e trionfale finale". La donna in movimento era, per esempio, uno dei vari temi di questa sinfonia per immagini. Nella successione dei pannelli dell’Atlante della Memoria, lo spettatore sarebbe allora chiamato a rivivere le trasformazioni dei motivi artistici così come reagisce "alle mutevoli atmosfere dell’Eroica di Beethoven". Sempre secondo Gombrich, Warburg intendeva che i testi di accompagnamento alle sue tavole fossero di un’utilità simile alle note esplicative che accompagnavano i programmi di un concerto.

Non c’è da stupirsi che Gombrich, lui stesso violoncellista oltre che storico dell’arte, ricorresse a immagini musicali. La madre dello storico dell’arte viennese, Leonie Hock, era stata una celebre pianista, allieva di Anton Bruckner e frequentatrice del circolo di Gustav Mahler; la sorella, Dea, era una violinista del quartetto di Adolf Busch; la moglie Ilse suonava il piano; e Gombrich ha spesso profittato di una passione per la musica che aveva nel sangue per articolare gli argomenti delle sue analisi storico-artistiche. Ma anche molti anni prima di Gombrich incontriamo una lettrice che non sfuggiva alla tentazione di stabilire un qualche rapporto o una qualche analogia tra gli scritti di Warburg e le qualità della musica. Si tratta di un’amica della famiglia Warburg, Minna Wilckens, che si era trovata a celebrare le qualità musicali della lingua dello scienziato della cultura di Amburgo. Scrivendo nel 1910 una lettera di ringraziamento a Warburg per averle spedito un suo articolo sugli affreschi nel municipio di Amburgo, Minna scriveva che le era successo come accade con un pezzo musicale: aveva avuto bisogno di leggere e rileggere l’articolo, prima di lasciarsi entusiasmare – e senza sapere perché. Ora Minna considerava l’articolo di Warburg una vera e propria opera d’arte, paragonabile alla Gioconda di Leonardo, e a suo avviso Warburg aveva una sensibilità linguistica tutta musicale.

È interessante che nella lettera di Minna Wilckens ritornino, per definire lo stile tutto particolare di Aby Warburg, immagini sia pittoriche che musicali. Anche Gombrich, che scriveva di sinfonie e contrappunti a proposito degli scritti di Warburg, sottolineava nello stesso tempo come Warburg pensasse 'per immagini'. Gombrich spiegava come fosse difficile per Warburg esprimere la complessità delle sue conclusioni in un linguaggio discorsivo, e come fosse proprio questa difficoltà a spingerlo a concepire un atlante per immagini, e a giocare tra suono e senso dei termini come in un sogno, componendo la sinfonia visiva di Mnemosyne e dotandosi di uno stile musicale.

Sembra qui che il carattere interdisciplinare delle ricerche e degli interessi di Warburg che spaziavano, tra le altre cose, tra l’arte e la musica, si rispecchino nel giudizio sull’organizzazione del suo pensiero e la forma del suo stile, paragonati a una sinfonia o a una pittura. Scrivendo per frammenti, lo studioso di Amburgo sovrapponeva lontananza geografica e distanza temporale, interrogava il mondo che gli era familiare con l’esplorazione dell’ignoto, spiegava i labirinti della memoria personale con l’evoluzione collettiva della storia. Ma il carattere variegato, frammentario e complesso del lavoro warburghiano ha ispirato anche altre metafore. Philippe-Alain Michaud, per esempio, ha voluto associare l’opera warburghiana all’arte cinematografica [MICHAUD 1998]. A suo avviso, il lavoro di Warburg sui ritratti del Rinascimento fiorentino può essere considerato affine all’associazione tra immagine e suono, figure e voci, operata dai pionieri della cinematografia che ricreavano demiurgicamente gli individui trasformandoli in immagini parlanti. In modo simile, l’Atlante della Memoria è visto come un 'sistema di montaggio generalizzato', 'un dispositivo cinematografico', e tutto il metodo elaborato da Warburg appare come ispirato dall’estetica del movimento espressa, a partire dalla fine dell’Ottocento, nella nascente tecnica cinematografica. Secondo Michaud, Warburg avrebbe impiegato nella storia dell’arte categorie proprie del cinema, come il rapporto tra trasparenza, movimento, impressione, e avrebbe voluto con le sue ricerche non soltanto conoscere il passato, ma anche riprodurlo, come fosse stato un cineasta.

Effettivamente, più che cineasta (il cinema era allora alle prime armi), Warburg si considerava un drammaturgo. Una sera d’aprile del 1909, dopo aver visto a teatro Il dilemma del dottore di George Bernard Shaw, Aby annotava sul suo diario di provare una certa affinità intellettuale con l’autore di quello spettacolo, e si definiva un "drammaturgo latente". Se Shaw metteva in scena nelle sue commedie il conflitto tra impulsi anarchici e morale convenzionale, Warburg mirava a mettere in scena, nelle sue ricostruzioni storiche, le energie conflittuali che animavano i processi formativi della cultura.

Riferimenti bibliografici
English abstract

The work of Aby Warburg in its entirety has been described in musical terms, not only during his lifetime by contemporaries such as Minna Wilckens and the musicologist Max Friedländer, but also by later writers such as Ernst Gombrich. In his intellectual biography of Warburg, Gombrich described the Mnemosyne Atlas as a "vast pictorial symphony" and thought that Warburg’s prose had a "musical style". More recently, Philippe-Alain Michaud has associated Warburg’s work with the art of cinema, while in his own diaries Warburg can be found referring to himself as a "latent playwright".

 

keywords | Warburg; Music; Minna Wilckens; Max Friedländer; Gombrich; Mnemosyne atlas; Cinema.

Per citare questo articolo / To cite this article: A. Scafi, L'Atlante della memoria: sinfonia di immagini per un teatro di frammenti, “La Rivista di Engramma” n. 100, settembre-ottobre 2012, pp. 260-270 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2012.100.0004