Materiali per lo studio dell'Arco dei Gavi a Verona
Elisa Longo, Katia Mazzucco, Federica Rodella
Fonti e datazione
L'Arco dei Gavi di Verona sorge nei pressi di Castelvecchio, in una piazzetta dove è stato ricostruito nel 1932 in seguito alla demolizione avvenuta all'inizio dell'Ottocento. Dalle fonti storiche pervenute sino a noi sotto forma di immagini e testi scritti, le prime notizie dell'arco dei Gavi risalgono al periodo dei Flavi. Il carattere pubblico dell'arco è provato definitivamente dal frammento conservatoci dell'iscrizione principale:
LV
GAVI CA
così ricostruita da Carlo Anti - tra i 'riscopritori' moderni di questo monumento:
CURATORES L[ARUM] V[ERONENSIUM IN HONOREM?] GAVI CA DECURIONUM DECRETO
Nella prima riga sarebbero indicati i Curatores — l[arum] v[eronensium] — dedicanti del monumento; Gavi sarebbero stati i capi militari della colonia. L'iscrizione dedicatoria dell'arco è incisa nel fregio della trabeazione, mentre al di sotto delle nicchie sono indicati i nomi di quattro membri della famiglia Gavia. Una di queste iscrizioni è andata perduta; i tre nomi leggibili sono C[aio] Gavio Strabone, M[arco] Gavio Macrone e Gavia. Secondo tale interpretazione, l'arco sarebbe stato offerto dai Curatores alla famiglia Gavia, certo in ricompensa di alte benemerenze, per incarico della Colonia di Verona.
Esitono diverse ipotesi sulla destinazione dell'arco e la più probabile è che si tratti di un monumento onorario dedicato appunto alla gens Gavia, una delle famiglie più importanti della Verona romana di quel tempo.
L'architetto dell'Arco dei Gavi, caso rarissimo, ha lasciato indicazione del proprio nome. Sulla faccia interna di uno dei pilastri del fornice verso città si legge:
L. VITRVVIVS. L. CERDO ARCHITECTVS
Lucio Vitruvio Cerdone fu dunque l'architetto di questo arco: uno schiavo greco, come indica il nome Cerdone, liberato da un cittadino romano di nome Lucio Vitruvio. Pur non essendo sovrapponibile con certezza — come ipotizzato da Mommsen – il gentilizio 'Vitruvio' richiama alla mente il Vitruvio Pollione dei X Libri sull'architettura, vissuto ai tempi di Giulio Cesare e morto sotto il regno di Augusto.
La datazione al I sec. d.C. è stata proposta da Kähler che, pur giudicando l'arco posteriore all'età augustea, non vi riconosce i caratteri costruttivi e decorativi dell'età flavia, e lo accosta stilisticamente alla Porta Aurea di Ravenna: la data di costruzione, in base al concorso di questi motivi, viene dunque ricondotta al 43 d.C. In studi più recenti, attraverso un riesame generale delle fonti, si ipotizza per l'arco una costruzione in tarda epoca augustea, sicuramente a seguito dell'edificazione degli archi di Aosta, Susa, Rimini e Pola, ma precedente alla porta ravennate.
Struttura e ornamento
L'Arco dei Gavi è caratterizzato da una grande semplicità costruttiva animata all'esterno da una complessa decorazione, che nelle parole di Anti suona come "una veste esteriore, quasi una parvenza, senza funzione statica essenziale".
L'arco, in calcare bianco locale (cave dei Lessini), ha copertura piana e presenta una struttura a sezione rettangolare con ciascun lato munito di un fornice. Il tipo dell'arco romano tetrapilo trova in questo monumento un'applicazione particolare, perché i quattro fronti sono gerarchicamente molto differenziati.
Posto all'incrocio tra la via Postumia con una via cittadina, l'arco è costituito da quattro piloni di figura irregolare per il gioco delle sporgenze e delle rientranze. Al livello del suolo i piloni hanno una lunghezza di 3,15 m e una larghezza di 1,55 m; verso il fornice maggiore presentano una sporgenza di 55 cm e verso il minore una di 20 cm. I vuoti, corrispondenti alla luce degli ingressi, sono di 3,48 m sui lati maggiori e 2,65 m sui minori.
La costituzione delle fondazioni non è nota: non pare che fosse presente un basamento unico, bensì una continuazione della struttura a piloni su cui si scaricava il peso di tutto l'edificio.
L'elevato del monumento ha una altezza totale di 12,69 m; la larghezza nei lati maggiori è di 10,96 m e nei minori di 6,02 m. Il fornice maggiore ha una luce di 8,40 x 3,48 m mentre per il fornice minore è di 5,50 x 2,65 m. Le nicchie (che si trovano sui due fronti maggiori) hanno un'altezza di 2,50 m, sono larghe 0,98 m e profonde 0,68 m.
L'inquadramento del fornice — sul fronte principale dell'arco — è dato dal timpano triangolare, posto a coronamento del tratto centrale della trabeazione. Il motivo del frontone, pur considerando la sua qualità decorativa, è altresì riconducibile al lessico del propylon greco-ellenistico o, più propriamente, al valore di ingresso e porta associato al tipo dell'arco in epoca tiberiana. Nel caso veronese, comunque, l'ubicazione suburbana indica la monumentalizzazione di carattere funerario, piuttosto che il valore limitaneo in relazione al pomerium.
Le statue dei quattro personaggi onorati non si trovano sull'attico, ma all'interno di altrettante nicchie accoppiate sui due fronti principali. L'apparato scultoreo ornamentale era con ogni probabilità limitato alla presenza di queste figure, oggi perdute.
Nei fronti maggiori, sopra lo zoccolo articolato dei piloni, si innestano le colonne scanalate dell'ordine applicato, due per ogni pilone: agli angoli una colonna di tre quarti e verso il fornice una semicolonna. I capitelli che sormontavano le colonne, quasi completamente perduti, erano in stile corinzio.
La trabeazione è composta da un architrave a tre fasce, fregio liscio e cornice a modiglioni. Gli sporti sono in corrispondenza delle colonne angolari e dell'intercolunnio centrale, al di sopra del fornice. L'attico ha un'articolazione analoga alla trabeazione: allo sporto centrale si antepone un timpano con cornice a modiglioni.
Le nicchie dove erano poste le statue sono scavate nei piloni dei fronti principali; sono inquadrate da lesene, con una piccola cornice superiore e frontoncino terminale. Sopra ogni nicchia c'era una piccola mensola.
I fianchi dell'arco — o più propriamente i fronti minori — sono architettonicamente più semplici rispetto ai due fronti principali. Sono inquadrati solo dalle colonne angolari; lo stesso fornice è più basso e stretto e la trabeazione e l'attico sono continui coi fronti principali. Sopra i fornici vi sono due finestre rettangolari con semplici cornici. Il vano interno è caratterizzato da un soffitto piano a cassettoni. Nello spazio centrale della decorazione è inserita una testa di Gorgone su clipeo.
Per quanto concerne i rapporti proporzionali — pur considerando le alterazioni subite dal monumento, cui si accenna qui di seguito — le figure geometriche generatrici dell'intero progetto sono, per l'impianto del fornice voltato, il cerchio, e il triangolo equilatero come figura di raccordo fra i punti preminenti del disegno d'insieme. Il rapporto tra la larghezza e l'altezza dei fornici è di 1:2.
Alcuni dati storici
La storia postuma dell'arco dei Gavi specifica ulteriormente la singolarità di questo monumento all'interno del panorama degli archi onorari in Italia.
Da diverse immagini medievali si evince che l'arco, inserito nelle mura scaligere, ebbe a lungo funzione di porta urbis e mantenne la sua posizione originale — nei pressi dell'attuale Torre degli Orologi — sino al 1805.
Studiato e ammirato nel corso dei secoli, l'Arco dei Gavi nel Cinquecento è riprodotto ad esempio nell'altare Pindemonte nella chiesa di Santa Anastasia, e nel 1556, in occasione di una processione per l'ex regina di Polonia, Bona Sforza, si presta come modello — da un disegno di Michele Sanmicheli — per l'arco degli apparati effimeri della festa.
Durante l'occupazione napoleonica i francesi decisero la demolizione dell'arco perché lo ritenevano d'intralcio al traffico militare. Le pietre che componevano il monumento non vennero disperse, e furono trasferite presso l'Arena. Nel 1814 furono abbattuti anche, della parte rimasta interrata, basi e imoscapi; nel 1829, per lavori di selciatura stradale, fu distrutto quasi interamente il piedistallo.
Già nel corso della progressiva demolizione, si progetta la ricostruzione dell'arco: dell'Ottocento sono i rilievi, in seguito fondamentali, di Giuseppe Barbieri. Nel 1920 l'amministrazione di Verona decretò la ricostruzione dell'arco in una piazzetta a est di Castelvecchio. Nel 1932 Antonio Avena – allora direttore dei Musei Civici – con la consulenza di Carlo Anti si occupò della difficile ricomposizione del monumento, in parte per anastilosi – catalogando i vari conci – in parte per ricostruzione sulla base dei disegni palladiani.
Smontaggio e ricostruzione dell'arco hanno permesso di evidenziare un originale e avanzato sistema di organizzazione del progetto architettonico tra cava e cantiere. I conci, uniti tra loro da perni metallici, hanno tutti al centro uno o due incavi per la manovra di montaggio. La rifinitura della decorazione fu eseguita sui conci in opera: le parti presso gli angoli, dove è difficile il lavoro, ad esempio nelle colonne e nelle cornici, sono infatti rozze e non compiute. Tra i particolari tecnici dell'edificazione dell'arco è interessante evidenziare anche il sistema delle sigle per agevolare la messa in opera, eseguito al momento del taglio dei blocchi e costituito da una progressiva numerazione verticale a mezzo di lettere dell'alfabeto, composta e intrecciata con una orizzontale a mezzo di numeri: ogni concio era contrassegnato da una coppia di sigle che determinava la sua posizione in altezza e nello spessore. Questo interessante sistema è stato rilevato dall'Avena che ne ha raccolto tutti i dati analizzando così la vera e propria costituzione dell'arco.
Ricollocato nel 1932 in un'area destinata a verde, con il posizionamento di alcuni basoli della strada romana di pertinenza del passaggio originario, l'arco appare oggi in una forma integra ma non originale: recenti studi critici e alcune scoperte - ad esempio un elemento angolare di cornice, rinvenuto nel 1961 nel cortile di Castelvecchio - hanno dimostrato la parziale fallacia dell'interpretazione ricostruttiva.
Nella posizione originaria dell'arco sono ancora visibili nel manto stradale le impronte in pietra bianca dei suoi piloni; nella Torre degli Orologi, oltre ad essere evidente la differente stratificazione dei laterizi, rimane, significativamente, una targa commemorativa dell'arco traslato.
Fonti e Bibliografia critica
a cura di Katia Mazzucco
- 1560
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Flavia Pesci, Imago Urbis. Il volto di Verona nell'arte, Grafiche Aurora, Verona 2001
Galleria di immagini
a cura di Katia Mazzucco
Dettagli di struttura e ornamento
Fonti epigrafiche e storiche
English abstract
The Arco dei Gavi in Verona is located near Castelvecchio, in a small square where it was rebuilt in 1932, after the demolition that took place at the beginning of the nineteenth century during the Napoleonic occupation. From the historical sources that have come down to us in the form of images and written texts, the first news of the Gavi arch dates back to the Flavian period. The arch was offered by the Curatores to the gens Gavia - one of the most important families in Verona at that time - on behalf of the Colony of Verona. The architect who designed the arch was a Greek freedman: Lucio Vitruvio Cerdone.
keywords | Roman triumphal arch; Roman Empire; Arco dei Gavi; Verona.
Per citare questo articolo / To cite this article: E. Longo, K. Mazzucco, F. Rodella, Materiali per lo studio dell'Arco dei Gavi a Verona, “La Rivista di Engramma” n. 66, settembre/ottobre 2008, pp. 127-144 | PDF