"Un’immagine mi fissa per sempre". La Marianna del ‘68
Antonio Benci*
La Storia è scandita dal tempo e dagli uomini, da date determinanti e periodizzazioni più o meno assodate, da personaggi e comparse che con le loro gesta od omissioni hanno condizionato gli eventi, ma anche, e forse soprattutto, dalle rappresentazioni visive di tempi, uomini, spazi[1].
Proprio un'immagine ci introduce nel cuore di uno dei più straordinari e complicati avvenimenti del XX secolo, di un anno che ha dato nome e senso a un movimento interclassista, antiautoritario, portatore di nuove logiche esistenziali e per molti versi generazionale: il Sessantotto. Un movimento che si è nutrito ed ha alimentato immagini. Non è possibile fare una storia del Sessantotto senza le immagini. Sono queste a “fissare un momento per sempre”, a recare testimonianza dell’avvenimento e al contempo a offrire la chiave d'ingresso per lo stesso.
Non è semplice fare una classifica delle immagini rappresentative del Sessantotto. Vi sono innanzi tutto i manifesti – pubblicazioni autoprodotte del movimento che non di rado vivranno una stagione successiva di critica e interpretazione[2]. Troviamo quindi le istantanee di personaggi simbolo, quali Ho Chi Minh, Mao, Che Guevara e così via. Infine le foto tratte da assemblee, dibattiti, scioperi, cortei, scontri con la polizia.
Tuttavia, se vogliamo indicare una foto simbolo del Sessantotto, si tratta di quella scattata a Parigi il 13 maggio 1968 durante il primo grande sciopero generale e che mostra una bella ragazza, a cavalcioni di un amico, intenta a innalzare la bandiera del F.N.L. vietnamita. È la famosa “Marianna del ‘68”. Ma perché una foto scattata a Parigi diviene emblema di una rivolta generazionale? Lo studioso italiano Marcello Flores ha ben sintetizzato il ruolo del Maggio francese quale chiave di volta del Sessantotto tutto: “È a Parigi in maggio che il 1968 diventa il 'sessantotto'”[3]. Un’analisi convincente, che pone il Maggio francese come simbolo del Sessantotto mondiale: il più ampio, il più moderno, quello che è andato più vicino a 'vincere'. Questo mese che rimanda più che mai a un luogo della memoria generazionale sessantottina – da Praga a Roma, da Washington a Tokio, passando per Buenos Aires e Belgrado – trova la sua rappresentazione visiva più forte in questa istantanea, che perciò per estensione acquisisce anche il ruolo di sintesi visiva del Sessantotto tout court. È un’immagine che è entrata a vario titolo negli album di una generazione, come ricorda uno di loro, Adriano Sofri: “Nel mio album nostalgico c'è, naturalmente, la foto della ragazza portabandiera del maggio francese”[4]. Una foto, come ricorda un militante meno noto ma non per questo meno rappresentativo del vecchio leader di Lotta Continua, che “trovavi in parecchie case, poi magari è scomparsa però è rimasta per parecchio tempo nella nostra mente”[5].
Ancora oggi è utilizzata, come ricorda il compilatore di un blog, come emblema di una stagione irripetibile, contemplata con una nostalgia che ha disegnato sulle spalle di Marianna un’identità fatta di rimpianto e disillusione: “Dietro la porta di ingresso della nostra casa (quella che stiamo lasciando, ma sarà così anche nella nuova) teniamo attaccate due foto. Sono un po’ quello che siamo e non solo. Una foto rappresenta quel modo aperto e curioso oltreché generoso che era di Alex Langer: viaggiatore irrequieto e attratto dalla vita […]; l’altra è la 'Marianna francese' come venne definita: su uno sfondo di alberi e palazzi, spiccava bella e fiera”[6].
Ma cosa è che rende questa immagine così speciale da incastonarla nell’immaginario e nelle autorappresentazioni mentali di una generazione? Che cosa ne determina nella memoria collettiva un così vasto e trasversale complesso di ricordi e appartenenze?
A proposito di portabandiere
La foto di Marianna non è la prima foto di un 'portabandiera', e tuttavia è forse l’unica in cui la bandiera non ne costituisce la protagonista principale. Il XX secolo ne ha viste parecchie (e non tutte 'vere'): il soldato russo che issa la bandiera sovietica sul tetto del Reichstag a Berlino nel 1945; i soldati americani che innalzano a fatica la bandiera a stelle e strisce a Iwo Jima; Neil Armstrong che pianta lo stesso vessillo sul suolo lunare; il ragazzo berlinese che sventola i drappi di Germania Est e Ovest assieme sulle rovine del muro di Berlino a poche ore dal suo crollo. Tutte simboleggiano un evento storico spartiacque e allo stesso tempo emblematico all'interno di una vicenda di occupazione di uno spazio fisico. Infine, tutte hanno la bandiera come protagonista. Passi per Neil Armstrong, ma chi si ricorda l'identità del soldato russo o del ragazzo di Berlino? È il vessillo innalzato a costituire la chiave d’identificazione per chi legge nella foto un’emozione, un ricordo, un’appartenenza.
Da questo punto di vista la foto di Marianna è diversa. Il suo spazio non è fisico. È, come più volte sottolineato, uno spazio di comunicazione, di presenza, di protagonismo esistenziale[7]. Nella foto non è il drappo a fare da protagonista. Tant’è che non risulta neppure immediatamente visibile. È certamente importante per un popolo come quello del movimento del Sessantotto che si tratti della bandiera di un movimento di liberazione nazionale avverso agli Stati Uniti; non è però determinante come altri elementi. Del resto, esistono numerosi scatti di 'Marianna' in cui la bandiera che ella impugna risalta in bella vista; ma non sono quelli 'passati alla storia'.
Significativi in questa istantanea sono altri aspetti, in primis il luogo e il momento: Parigi, 13 maggio 1968, chiave di volta della costruzione simbolica denominata Maggio francese, con l’avvio dello sciopero generale che bloccherà l’intero paese[8]. Quindi la cifra stilistica della fotografia: la ragazza che con la sua postura, il suo volto intenso e teso e con la bandiera innalzata esprime con forza e solennità quell’afflato generazionale che si può tradurre nello slogan sessantottesco dell’"assalto al cielo”. Infine, la ripresa – nella postura di Marianna come nel titolo della fotografia – di una pregnante icona rivoluzionaria francese al femminile: la Marianna simboleggia in questo caso l’altra Francia, allacciando un inequivocabile legame iconografico con il celebre quadro di Delacroix, La liberté guidant le peuple, che un secolo prima aveva espresso l’anelito di libertà e riscatto di un popolo per il tramite di un’eroina che, oltre le barricate, innalzava – ancora una volta – una bandiera.
I legami evidenti con la nostra Marianna sono anch'essi indicati dalle riflessioni di Sofri: “Un corteo, facce di giovani, qualche pugno chiuso, e alta sulle spalle dei compagni, seria, altera quasi, la ragazza levava una bandiera vietnamita, su uno sfondo di alberi e palazzi di mansarde. Anche il seno di quella ragazza era fiero, come quello della Marianna francese. Fu ribattezzata così, la Marianna del '68”[9].
L’impressione è tuttavia che questa fotografia sia rappresentativa al di là del fatto di essere stata scattata in un boulevard parigino nel corso di un momento di crisi sociale e politica della sola Francia.
Marianna è di tutti
Se il Sessantotto è stato un fenomeno mondiale, bisogna allargare gli orizzonti. Chi nella tarda primavera del 1968 si trovò impigliato – come militante, protagonista, osservatore – nel movimento del Sessantotto guardava il film del Maggio francese con un sentimento di immedesimazione e partecipazione, non percependo affatto una 'distanza' con quello che stava accadendo altrove.
Un’impressione rafforzata tanto dalle dichiarazioni degli ex-militanti e dalla memorialistica quanto dalla letteratura specialistica[10], che inseriscono il Maggio nella storia rivoluzionaria francese.
In questo senso il legame tra immaginario militante e idea di Francia nel 1968 era ed è molto forte. Questo uno dei motivi per cui la foto di Marianna è diventata nel corso degli anni l’immagine maggiormente utilizzata per svariate pubblicazioni sul Sessantotto. La si ritrova tra le altre in copertina a uno dei volumi della raccolta L’Espresso 50 anni (1965-1974)[11].
La riflessione che balza agli occhi è che nei dieci anni presi in considerazione dalla raccolta si sono verificati avvenimenti di portata e rilevanza internazionale se non epocale (nel mondo il Vietnam, lo sbarco sulla luna, la primavera di Praga, la morte di Che Guevara; in Italia la contestazione, l’autunno caldo, Piazza Fontana, eccetera). Alla mia domanda sulle ragioni dell’utilizzo di una tale immagine, il curatore della raccolta, Francesco Erbani, in una comunicazione epistolare con il sottoscritto ha risposto: “Temo di deluderla, ma la scelta della foto del Maggio francese è dipesa molto dalla sua qualità oltre che, forse, dalla sua popolarità, dal suo essere molto incardinata nella memoria e quindi molto riconoscibile. Soltanto successivamente ho saputo che quella foto, secondo alcuni, è stata ritoccata. Ma ciò non toglie che ha efficacia”. Quindi la bellezza della foto, senza dubbio, ma anche il fatto di essere popolare, riconoscibile, in una parola di appartenere e per certi versi di essere la sintesi di un immaginario collettivo. Ciò è testimoniato dal numero di libri, riguardanti il Sessantotto nel senso più ampio del termine, che hanno Marianna in copertina. La si ritrova nella prima pubblicazione di Formidabili quegli anni di Mario Capanna (Rizzoli) così come nella riedizione, quest’anno, de Il Sessantotto di Guido Viale (NDA Press). Naturale che un testimone d’allora, Angelo Quattrocchi (nella sua opera prima e forse più nota E quel maggio fu: Rivoluzione ripubblicata dall’editore Malatempora), la riprenda, seppure con l’interessante fotomontaggio che la fa apparire come se si vedesse da un apparecchio televisivo – sottolineando così il ruolo svolto dai media nella rappresentazione per immagini del Sessantotto.
Il mistero di Marianna
Ma chi era (o è) la Marianna della fotografia? Per decenni si è ignorata l'identità di quella bella ragazza che ha impersonato lo slancio di una generazione. Osserva acutamente sempre Sofri come “il simbolo avesse fatto scomparire la persona [e come] il Sessantotto chiuse in quell'immagine un suo mistero, un suo cuore segreto [...]. Nessuno ha mai saputo chi fosse, e lei non s'è mai fatta viva. Conducemmo perfino, negli anni, le nostre piccole indagini, senza frutto"[12].
Nel 1997 la scoperta. “Le Monde” svela l’anomalo mistero. La bella, altera ragazza del 1968 diventa una matura signora di 57 anni, protagonista di una storia che smentisce per l’ennesima volta i numerosi cacciatori di luoghi comuni. Marianna non era una studentessa, un’operaia o un’'arrabbiata'. Tutt’altro. Si chiamava difatti Caroline De Bendern ed era a Parigi in quei giorni per altri motivi. Lei stessa si racconta: “io non studiavo alla Sorbona. Ero una modella e inglese. Non mi importava niente della politica francese, ero più interessata all’avvenire dell’intera umanità. [In quei giorni] vivevo alla giornata, correvo un po’ dappertutto ad ascoltare discorsi, costruire barricate. Ero molto eccitata. Ho ascoltato Godard, mi piaceva Cohn Bendit così come alcuni slogan maoisti e l’immagine di Che Guevara”[13].
Quel giorno la foto non fu però costruita come in un set. Fu effettivamente un’istantanea nata dall’incrocio tra il momento storico e l’arte della protagonista. In un’altra intervista rilasciata a un cronista italiano si spiega per sommi capi la genesi di una foto che diventa mito: “fu tutto un po' casuale, come il mal di piedi di Caroline dopo la lunga marcia e il gesto gentile dell'amico pittore [Jean Jacques Lebel, noto artista anticonformista, anima dell’occupazione del teatro Odeon a Parigi iniziata il 16 maggio 1968, nda] che si offrì di portarla sulle spalle. Le passano la bandiera del Vietnam: 'Alzala più che puoi', le dicono. Lei si ricorda di essere un'indossatrice e si mette in posa. Jean-Pierre Rey, grande reporter che 'copre' la rivoluzione studentesca per l'agenzia Gamma, scatta la foto-simbolo. Caroline diventa l'eroina del Maggio”[14].
Una foto che le valse la celebrità e le fece perdere un’eredità. Caroline de Bendern era difatti la nipote di un nobile inglese che dopo aver visto la foto decise di diseredarla. Questo la spinse verso la musica jazz e un’esistenza vissuta per lunghi anni tra l’Africa e la Francia. Una vita incerta, per cui Caroline s’è vista compiangere dal TG1 in un servizio apparso quest’anno in cui la redazione, o almeno chi scrive il gobbo per lo speaker, ha pensato bene di derubricare Caroline da 'Marianna' – con tutto il suo corredo di connessioni iconografiche con la Storia di Francia che abbiamo fin qui visto – a 'ragazza immagine del Sessantotto'. Un omaggio ai tempi, forse. Una lettura più facile in tono con il pubblico, più probabilmente. Ad ogni modo, un contributo di giornalismo televisivo contemporaneo (ancora visibile a questo link).
Certo è che la fortuna di questa foto molto dipende dal fatto che, malgrado abbia a soggetto la presunta protagonista di un movimento anticapitalista, essa è stata veicolata dalla stampa di massa già nel giugno del '68, come ricorda con una punta di candore la stessa Caroline: “è in giugno, in Italia, dove avevo trovato un lavoro, che ho scoperto in un’edicola la foto. Non è stato uno choc, ero abituata alle fotografie e l’ho trovata niente male, tant’è vero che l’ho messa nel mio book fotografico di modella per poterla mostrare alle agenzie. L’effetto fu disastroso”[15]. Del resto, la stessa Caroline, a sentire un suo intervistatore, è la prima a essere orgogliosa di quel lontano scatto in cui attitudine professionale, fotogenia e caso hanno contribuito a proiettarla nella galleria di immagini del XX secolo. A casa sua (oggi vive in un paesino della Normandia) si trovano difatti “un book con le copertine di Vogue e Amica, piano elettrico e tamburi del suo attuale compagno, il jazzista Jacques Thollot, libri e dischi sparsi un po' dovunque, ritagli, tanti ritagli del Maggio glorioso: Life, Paris Match, L'Espresso”[16].
Il falso quale momento del vero
Sono ritagli di giornale che la resero indubbiamente famosa, ma anche discussa tra chi ha condiviso quei momenti: “Caroline ha dato il colpo estremo al segreto romantico del '68, raccontando: ”Fiutai il momento, facevo la modella. Ebbi come un riflesso professionale. Istintivamente mi raddrizzai il più possibile, il mio viso si fece più grave, il gesto più solenne. Volevo essere bella a tutti i costi, per dare al movimento una rappresentazione che fosse all'altezza. Sì, posso dire che mi misi in posa””[17].
Premesso che la Bendern, quando dice di voler dare “una rappresentazione che fosse all’altezza”, probabilmente compie (inconsciamente o meno) una valutazione ex-post, è proprio così scandaloso il fatto che lei ammetta di essersi messa in posa? Secondo un testimone già incontrato, Fulvio D’Eri, la risposta parrebbe positiva: “Questa famosa foto che poi abbiamo avuto la delusione di sapere che era in realtà una modella...”[18]. La logica presupposta da un tale ragionamento è, probabilmente, che, essendo l’eroina una persona abituata per mestiere a “indossare abiti altrui”, a sfilare a pagamento per questo o quello stilista, la sua debba per forza essere stata una recita. Nessuna purezza rivoluzionaria, nessuna spontaneità, nessuna sovrapposizione con le idee del movimento. Per D’Eri la foto è, in breve, un falso. Il tradimento di una figura che lui immaginava simbolo di un movimento idealista e di cui ha condiviso sogni e speranze. Il fatto che si sia trattato di una modella ne azzera l’importanza. Questo a maggior ragione perché si tratta di una foto che 'si trovava in tante case' in forma di poster, come immagine rappresentativa di qualcosa di condiviso.
Erbani allude al fatto che l’immagine non sarebbe 'vera'. E questo è effettivamente un problema di cui occorre occuparsi. Le immagini sono rappresentative di un immaginario anche a prescindere dalla loro autenticità? La storia di Marianna offre una risposta parziale e ambivalente. Ciò che è indubbio è che la foto rimane e rimanda a uno di quei passpartout della memoria di una fetta di generazione, che di norma si sintetizza con il termine 'icona'. Forse la risposta ce la da ancora una volta Caroline/Marianna: “È strano essere continuamente ricordata per questo episodio della mia vita, dove un’immagine mi fissa per sempre. Questo falsa la gerarchia e l’ordine della mia memoria, come se la mia giovinezza, i miei sogni, i miei slanci ideali fossero contenuti del tutto in quello scatto [...]. Sono io e non sono io, è solo un’immagine di me, non il mio specchio”[19]. E, tuttavia, in quel volto si è 'specchiata' una parte della sua generazione, facendone la rappresentazione tangibile di un’altra Marianna. Come dice lei stessa: “un’immagine che ti fissa per sempre”.
Riferimenti bibliografici
Benci 2008a
Antonio Benci, Il «film della rivoluzione». Il Maggio francese tra immagini e storia, di prossima pubblicazione in «Memoria e Ricerca», 29, 2008
Benci 2008b
Antonio Benci, La dimensione immaginaria del Maggio francese, in «Notiziario CDP», 203, 2008
Cojean 1997
Annick Cojean, Qui était la Marianne de 1968?, in «Le Monde», 21 agosto 1997
Debord [1967] 2002
Guy Debord, La società dello spettacolo [1967], Massari Editore, Bolsena (VT) 2002
Espresso 2005
L’Espresso 50 anni (1965-1974), a cura di Francesco Erbani, Gruppo Editoriale L'Espresso, Milano 2005
Flores 2002
Marcello Flores, Il secolo-mondo. Storia del novecento, Il Mulino, Bologna 2002
Nava 2008
Massimo Nava, Divenni la Marianna del ’68. Oggi le modelle vanno a destra, in «Il Corriere della Sera», 25 gennaio 2008
Revelli 1995
Marco Revelli, Movimenti sociali e spazio politico, in Storia dell’Italia Repubblicana, a cura di Francesco Barbagallo, vol. II, La trasformazione dell'Italia: sviluppi e squilibri, parte II, Istituzioni, movimenti, culture, Einaudi, Torino 1995, vol. II, pp. 385-476
Sofri 1997
Adriano Sofri, La Marianna di Wojtyla. A Parigi la Woodstock dei giovani cattolici: unico evento paragonabile al '68, in «La Repubblica», 26 agosto 1997
Volta 1969
Ornella Volta, Diario di Parigi, Longanesi, Milano 1969
Note
[*] Questo contributo è un ampliamento del mio saggio Il «film della rivoluzione». Il Maggio francese tra immagini e storia, di prossima pubblicazione.
[1] Debord [1967] 2002, p. 45.
[2] Mostre si sono tenute nel 2008 in varie parti d’Italia. Segnalo tra le altre quella dei manifesti del Maggio francese tenutasi a marzo a Torino e quella sui manifesti ed immagini – da me progettata insieme a Giorgio Lima – dal titolo Manifestando il Sessantotto presso la Biblioteca San Giorigo di Pistoia nei mesi di ottobre e novembre 2008.
[3] Flores 2002, p. 461.
[4] Sofri 1997.
[5] Testimonianza di Fulvio D’Eri [nel 1968 appartenente al Movimento Studentesco romano, quindi militante a Milano di Avanguardia Operaia, attualmente collaboratore dell’Archivio Storico Il Sessantotto di Firenze] rilasciata all’autore a Firenze il 21 aprile 2006.
[6] Post di Ubik, dal blog lineadombra, pubblicato il 29 febbraio 2008.
[7] Cfr. Revelli 1995.
[8] Per una cronologia del Maggio francese, cfr. Volta 1969, pp. 72-230.
[9] Sofri 1997.
[10] Cfr. Benci 2008b.
[11] L’Espresso 2005.
[12] Sofri 1997.
[13] Cojean 1997.
[14] Nava 2008.
[15] Cojean 1997.
[16] Nava 2008.
[17] Sofri 1997.
[18] Testimonianza di Fulvio D’Eri.
[19] Cojean 1997.
English abstract
This contribution is an extension of Antonio Benci's essay "The film of the revolution". This essay investigates the role of Marianna, the woman who the media made the symbol of the 1968 French riots. We therefore understand who was the person behind the icon (her actual name is Caroline De Bendern and it was a model) and the role of the media in creating the collective imagination.
keywords | 1968; Marianna; Media; Icon; Truth; Caroline De Bendern.
Per citare questo articolo / To cite this article: Antonio Benci, “Un’immagine mi fissa per sempre”. La Marianna del ’68, “La Rivista di Engramma” n. 68, dicembre 2008, pp. 87-96 | PDF dell’articolo