Omnia Vincit Amor
Una suggestione ecfrastica dalle 'Nozze di Alessandro e Rossane': lettura del riquadro A2 del fondale della Calunnia di Apelle di Botticelli
Sara Agnoletto
English abstract
Sul lato sinistro del riquadro A2 del fondale della Calunnia (per uno status questionis sui soggetti del fondale della Calunnia vedi, in Engramma, Agnoletto [2013] 2014) è rappresentata una figura femminile che giace sull'erba, al riparo di un fitto cespuglio. La giovane, semidistesa, fa ricadere il peso del proprio corpo sul gomito destro, che a sua volta riposa sopra un cuscino; il braccio sinistro è disteso, il palmo della mano alzato e lo sguardo fisso in avanti. La bellezza della fanciulla è esaltata da alcuni artifici della moda, come la veste (e la sopravveste?) leggera che ne sottolinea le forme sinuose. Dinanzi a lei, sul lato destro della composizione, un uomo avanza, colmando la breve distanza che lo separa dalla bella giacente e senza distogliere lo sguardo da lei, anch'egli con il braccio disteso in avanti e il palmo della mano alzato. Il movimento del giovane è amplificato dal moto dei capelli, della veste e del mantello mossi dal vento (quasi si trattasse di una ninfa). Ma la figura maschile non procede liberamente; è trascinata da un piccolo satiro, che la conduce con una corda legata al collo, mentre volge lo sguardo indietro, quasi a non volerlo perdere di vista, protendendo anche lui il braccio destro in avanti e mostrando il palmo della mano. Completa la composizione un secondo satirello che tiene sollevato un velo dietro la figura femminile.
Il gesto di alzare il braccio o l'avambraccio e mostrare il palmo della mano, che nell'architrave A2 è adottato da ben tre dei quattro personaggi che compongono la scena, è utilizzato da Botticelli in almeno altre due occasioni: nella "Primavera" (titolata da Warburg "Il regno di Venere") dove la dea, in piedi al centro della composizione, piega a 90° il braccio destro tenendo la mano destra alzata e aperta, mentre fissa lo sguardo sull’osservatore; e nel disegno che illustra il canto XIII del Paradiso dantesco, dove Beatrice dirige lo sguardo verso Dante, mentre accompagna il passo con un gesto della mano destra assimilabile al precedente, a condurre il poeta nel cielo del Sole (in relazione al gesto della mano e del suo significato si veda Centanni 2013). A questi due esempi è possibile affiancare il gesto, simile ma non sovrapponibile che, nell'affresco di Villa Lemmi, la fanciulla messa in risalto (anch'essa figura di Venere, come lascia intendere l'arco di Cupido che tiene in mano) rivolge al giovane introdotto fra le Arti Liberali (che si tratti delle arti liberali è dimostrato dagli attributi specifici che connotano inequivocabilmente alcune delle astanti): in questo caso due dita della mano, l'indice e il medio, sono leggermente protese e le restanti tre ripiegate in un gesto largamente attestato come segnale "di locuzione" o "espressione di parola". Venere è quindi rappresentata in qualità di orator.
Osservando l'affresco di villa Lemmi è possibile constatare che quella messa in scena non è una conversazione tra pari, ma che Venere è rappresentata come maestra fra le discepole, come 'magistra artium': la dea è circondata da un gruppo di figure femminili disposte simmetricamente in semicerchio attorno a lei, assisa su un soglio elevato, con una chiara connotazione gerarchica (per la situazione può essere richiamato l’antico schema iconografico dell'esedra dei Sette Sapienti in consesso: si veda Tonini 2005). L'entrata in scena del giovane sembra quindi interrompere una lezione, e la dea sembra rivolgergli una sentenza o un insegnamento specifico. Analogamente, nel disegno del Kupferstichkabinett di Berlino, è evidente il ruolo di Beatrice come guida spirituale di Dante: la creatura angelicata infatti precede il poeta indicandogli il cammino da seguire.
Più in generale, questi due casi a confronto (più difficile da argomentare il significato del gesto ne Il regno di Venere), testimoniano l'esistenza, nel linguaggio pittorico botticelliano, di un gesto espressione di ammaestramento (verbale o silenzioso) che, ritornando al rilievo oggetto del nostro studio, si presta alla perfezione per definire l'azione compiuta dal piccolo satiro, e che potrebbe caratterizzare la figura maschile come quella di un condottiero o un leader politico e la figura femminile come quella di una maestra, cioè di una donna molto abile in qualcosa, che si propone come modello e guida.
Anche per confortare questa ipotesi, è utile a questo punto richiamare il testo che probabilmente costituisce la fonte d'ispirazione primaria del Venere e Marte di Botticelli della National Gallery di Londra ma anche del riquadro della Calunnia (resta imprescindibile per lo studio dei dipinti mitologici di Botticelli lo scritto di Ernest Gombrich sulle mitologie botticelliane: Gombrich [1945] 1978). Si tratta del poemetto Concubitus Martis et Veneris di Reposiano del III secolo d. C. (che citiamo nella traduzione Cristante 1999).
Il passaggio preciso è quello in cui la dea dell'amore giace aspettando l'amante in un luogo in cui "la natura lussureggiante attende ai piaceri di Venere" (47: deliciis Veneris dives natura laborat), un "luogo degno per l'amore" (44: dignus amore locus). Quando egli giunge, "già acceso dal desiderio" (83: ut forte magis succenso Marte placeret), lo invita a unirsi a lei, a prendere parte ai piaceri di cui è maestra. "Il potente gradivo" (14: potens Gradivus), "ormai innamorato, sottomette il fiero collo ai gioghi di rose […] e lui che sempre incute timore teme te e si lascia trascinare per dove lo conducono i ceppi dell'amore" (12-13: utque ipse veharis / iam roseis fera colla iugis submittat amator […] semperque timendus / te timet et sequitur qua ducunt vincla marita). Dopo l'amplesso, "una languida quiete aveva vinto alla fine il corpo stanco di Marte; tuttavia non tutta la passione, non tutto il desiderio lasciarono il petto del dio: trae sospiri nel sonno e, con tutta l'intensità del suo respiro, la passione brama Venere. Venere, ancora sospesa nel fuoco del suo ardore, brucia sempre più il desiderio e non riesce a trovare un sonno tranquillo. Oh quale languore! Oh come bene il sopore aveva vinto le membra nude!' (113-121: Iam languida fessos / forte quies Martis tandem compresserat artus; / non tamen omnis amor, non omnis pectore cessit / flamma dei: trahit in medio suspiria somno / et venerem totis pulmonibus ardor anhelat. / Ipsa Venus tunc tunc calidis suspensa venenis / uritur ardescens, nec somnia parta quiete... / O quam blanda quies! O quam bene presserat artus / nudos forte sopor!). "Davanti al bosco intanto Cupido maneggia le armi di Marte; dopo averle osservate a una a una – corazza, scudo, spada, minacciosi pennacchi dell'elmo – le lega con fiori. Allora prova il peso dell'asta e si stupisce che tanto abbiano potuto le sue frecce" (126-130: Pro lucis forte Cupido / Martis tela regens; quae postquam singula
Il componimento di Reposiano induce a pensare che il rilievo dell'architrave A2 illustri un momento dell'incontro amoroso di Venere e Marte precedente a quanto raccontato per immagini nel dipinto della National Gallery. Per di più, un altro particolare vincola le due immagini: la presenza, non abituale, di satiri bambini o panischi, che sostituiscono i puttini, convenzionali personaggi secondari delle scene d'amore. Questa modifica, a mio avviso, non può essere semplicemente giustificata argomentando che i satirelli si integrano, meglio dei puttini, in un'ambientazione bucolica. I satiri sono delle divinità minori, normalmente connesse con le feste in onore di Dioniso; come i Pani, come Priapo, sono degli esseri passionali, che si eccitano subitamente. La loro licenziosità è manifesta sia nei modelli archeologici antichi riscoperti e studiati a partire dai primi decenni del XV sec., sia nei Fasti di Ovidio, un testo "che era diventato il riferimento centrale per la lettura insieme colta e attuale dei miti antichi, a partire dall'importante lettura di Poliziano" (Centanni 2011, 356). Nei Fasti si legge che alla festa di Bacchus corymbiferus, 'coronato d'edera', prendono parte "divinità amiche del dio" tra cui i giovani satiri "pronti all'amore"(I, 397: in Venerem Satyrorum prona iuventus), i cui sensi si incendiano vedendo le ninfe con i capelli sciolti, le gambe, le spalle, il seno scoperti, i piedi nudi (I, 405-10: Naides effusis aliae sine pectinis usu, pars aderant positis arte manuque comis; illa super suras tunicam collecta ministrat, altera dissuto pectus aperta sinu; exserit haec umerum, vestes trahit illa per herbas, impediunt teneros vincula nulla pedes. hinc aliae Satyris incendia mitia praebent). I piccoli satiri, quindi, personificazioni dell'amore inteso come forza vitale della natura, sono il simbolo dell'amore carnale tra i due amanti. Questa lettura del mito degli amori di Venere e Marte è oltremodo pertinente nel caso del quadro di Londra, dal momento che gli studiosi concordano sul fatto che in origine esso decorasse la testata di un letto nuziale, dipinto in occasione di una importante unione matrimoniale, probabilmente quella di Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici e Semiramide Appiani, celebrata il 19 luglio 1482 (sul ciclo mitologico di Botticelli e gli intrecci amorosi, politici e commerciali tra i Medici, i Vespucci e gli Appiani si vedano Tognarini 2002, Centanni 2013 e Agnoletto 2013b). Il quadro, pertanto, "realizzerebbe una compiuta iconografia augurale, indirizzata alla coppia nella fausta ricorrenza delle nozze" (Masone 2007), in cui Venere è chiamata a personificare la potenza vitale dell’amore che si realizza pienamente nell'unione coniugale e nel talamo nuziale.
Nell'architrave 2 la presenza dei satirelli è solo uno degli elementi che concorre a rendere eloquente il riferimento all'amore sensuale. L'allusione all'amore fisico (e fecondo) mi pare confermata, pur nell’economia dei tratti obbligata dalle dimensioni ridottissime dei riquadri del fondale della Calunnia, anche dalla veste leggera, analoga a quelle delle Veneri protagoniste dei quadri Venere e Marte e Il regno di Venere, la quale crea un singolare parallelismo con la divinità che impersona il potere femminile della seduzione e l'amore erotico.
A ciò si deve aggiungere il fatto che la figura femminile semidistesa non sia, come Efigenia, una 'bella dormiente', oggetto incosciente della contemplazione di Cimone (soggetto rappresentato nell'architrave 8 del fondale: cfr. Agnoletto 2013a) o, come nel mito classico, una preda vulnerabile della violenza di divinità, il cui desiderio ha risvegliato involontariamente con la sua avvenenza; ma che si tratti di una 'bella giacente', sveglia e perfettamente consapevole di ciò che accade intorno a lei; complice e parte attiva nell'atto sessuale che si sta per consumare e che si presta a presiedere con autorevolezza. Più tardi questa fortunata espressione visiva del tema dell''amore matrimoniale' fiorirà, spogliato degli elementi mitologici e in contrazione iconografica (scompare il gesto della mano che insegna, resta lo sguardo ammaliatore), nelle 'belle giacenti' dei dipinti matrimoniali cinquecenteschi le quali, come osserva Maria Ruvold, con la notabile eccezione della Venus di Dresda del Giorgione, non dormono, ma guardano direttamente lo spettatore invitandolo a godere dei piaceri dell'amore coniugale:
With the notable exception of Giorgione's Dresden Venus, the nudes in Renaissance marriage pictures do not sleep. Instead, they address the viewer directly, inviting him/her to partake of the pleasures] of marital love (Ruvold 2004, 93).
Tutti questi indizi fanno della bella giacente una figura Veneris, un'esperta nell'arte della seduzione, una maestra dell'amore erotico (come indica anche il gesto di ammaestramento) che, facendo ricorso al suo sex appeal, è capace di ammaliare qualunque uomo si proponga di conquistare; nel caso specifico, l'uomo che le si fa incontro e che, piegata la propria volontà dalla forza d'amore, si lascia accalappiare e trascinare da un satirello verso l'oggetto dei suoi desideri. Sul piano semantico, pertanto, il rilievo A2 della Calunnia rappresenta, come il dipinto Venere e Marte, un Triumphus Amoris, e si inscrive perfettamente nella serie dedicata alla forza d'amore, che si sviluppa in una sorta di striscia continua a occupare tutte le architravi frontali del loggiato della Calunnia, dando maggiore pregnanza di significato al soggetto in A2.
Nell'architrave 4 è rappresentata la vittoria di amore sul furor, la violenza: in essa un leone viene flagellato, senza opporre nessun tipo di resistenza, da un amorino, mentre un secondo lo costringe a bere da un corno e un terzo lo cavalca e lo guida tirandolo per le redini. Il soggetto va interpretato, seguendo le indicazioni fornite da Cristoforo Landino nel suo Comento sopra la Comedia, come la "forza dell'appetito irascibile" (Comento, Inferno XII, 49-51), simboleggiata dal leone, ammansita e ammaestrata da Amore, simboleggiato dai tre puttini. Il leone, scrive infatti l'insigne esegeta dantesco, "è configurato pel secondo vitio, el quale possiamo chiamare superbia o per più comune vocabolo ambitione [...] ismisurato appetito degli honori et magistrati et de gl'imperii et delle signorie", che si manifesta sotto forma di violenza: "Violentia è forza usata a danno et male altrui, et nasce da cupidità, la quale ha origine da superbia".
Il tema della vittoria di amore sul furor ritorna nell'architrave 6 in cui una figura femminile trascina un centauro (come in A2 il satirello trascina l'uomo gradivo) fuori da un fitto bosco, afferrandolo per una ciocca di capelli, mentre un amorino, seduto sulla groppa dell'essere mitologico, gli immobilizza le mani dietro le spalle e un altro, in secondo piano, rompe un arco. A terra si distingue una faretra abbandonata. Anche in questo caso, alla luce del fatto che l'iconografia del centauro con arco e frecce prende forma nel XII canto dell'Inferno dantesco (sulla fonte originaria e insieme la chiave interpretativa della figura allegorica del centauro nella produzione artistica di Botticelli, a proposito del dipinto Pallade e il Centauro, si veda l'illuminante La Malfa 2000 e Sbaraglia 1012), è opportuno interpretare il soggetto seguendo le indicazioni fornite da Dante e da Cristoforo Landino. Nel Comento sopra la Comedia i centauri sono i guardiani del primo girone del VII cerchio dell'inferno e sorvegliano, insieme al Minotauro, i "violenti, prima nel proximo, dipoi in se medesimo, et ultimamente in Dio" (Comento, Inferno XII, 1-15). Essi condividono con i dannati che vigilano la stessa natura violenta, in cui "superbia [è] accompagnata da ira, per la quale dimentichiamo l'humanità et diventiamo fiere per crudeltà" (Comento, Inferno XII, 31-33). Nello specifico, i centauri rappresentano "gl'effrenati et crudeli desiderii" (Comento, Inferno XII, 55-57) che si manifestano sia nella forma dell'amore lascivo e sensuale sia nella forma di un potere politico di stampo tirannico". I centauri, riferisce Landino, sono figli di Ixione, che "fu el primo che appresso de' Greci tentò per forza occupare la tyrannide" e che impersona "tutti gl'huomini cupidi di regni o di potentie, e quali sopra le loro forze tentano acquistare principati o signorie". Pertanto, anche il soggetto dell'architrave 6 deve essere interpretato come la "forza [sproporzionata e mostruosa] dell'appetito irascibile" (simboleggiata dal centauro, una creatura semiferina), soggiogata e ammaestrata da Amore (personificato dalla figura femminile che conduce il centauro fuori dalla selva del vizio e della bestialità, e dai due suoi aiutanti che lo immobilizzano e ne distruggono le armi).
Da ultimo, anche nell'architrave 8 è esemplificato il trionfo di amore, in questo caso sullo stato selvaggio, il quale non è molto diverso dallo stato di feritas e dalla pazzia, come testimonia il fatto che il protagonista del racconto rappresentato, un giovanotto avvenente e altolocato ma poco brillante e dai modi piuttosto rudi tipici di un villano, è definito "quasi matto", ed è conosciuto da tutti spregiativamente come Cimone, soprannome per bestione (per la pazzia in relazione alla feritas e al furor si veda Agnoletto 2014). Nel rilievo in A8 è narrata la storia di Cimone che "amando divien savio" giacché, rifiutato dall'amata, la bella Efigenia, per riuscire a conquistarla, decide d'impegnarsi in un'opera di rinnovamento e miglioramento di sé, diventando così "il più leggiadro e il meglio costumato e con più particulari virtù che altro giovane alcuno che nell'isola fosse di Cipri" (Decameron, 5, 1; per la presenza di questo soggetto all'interno del fondale della Calunnia si veda Agnoletto 2013a).
Come si evince dalla lettura complessiva della serie, in questi pannelli è rappresentata una visione positiva della potenza d'amore che nulla ha a che vedere con quell'idea d'amore che, nella stessa temperie culturale, è immaginato capace di condurre l'uomo a commettere le peggiori follie, facendogli abbandonare il sentiero della ragione, annullando la sua volontà, rendendolo schiavo dei propri impulsi e desideri e, in definitiva, rendendolo simile a una bestia e più disprezzabile delle stesse bestie. Per gli uomini del Rinascimento, infatti, non erano i desideri in sé a essere condannabili, ma le passioni non controllate, non canalizzate dalla volontà e dalla ragione verso un obiettivo alto e degno. Gli appetiti erano considerati naturali e produttivi nell'uomo quando dominati dalla volontà e dalla ragione, ma diventavano bestiali quando erano smisurati, eccessivi, sproporzionati, mostruosi. In quest'ottica l'amore poteva essere una forza sia bestiale, che naturale e divina. Era bestiale quando aveva come unico scopo quello di soddisfare gli appetiti e i desideri più istintivi; umano, cioè naturale per l'uomo, quando muoveva l'uomo a fare né più né meno che ciò che ci si aspettava da un uomo comune: sposarsi e procreare; divino quando sollecitava l'uomo a essere virtuoso:
Onde con ragione séguiti le cose lodate, fugga ogni biasimo e simile, quanto addirizza la ragione, ami la virtù, aodii il vizio, e sé stesso inciti con buone opere ad acquistare fama e grazia, e così in ogni lascivo apetito se medesimo rafreni e contenga con ragione (Alberti, Della famiglia 115-16).
L'amore rappresentato nella serie Omnia vincit Amor è una potenza avversa alla rustica ferinità: se nel plinto I del fondale della Calunnia la rappresentazione della follia di Atamante che assassina il figlioletto in preda a un momentaneo accesso di pazzia offre un esempio e ammonisce sulle tragiche conseguenze provocate da una condotta violenta, più consona a una bestia e a un mostro che non a un uomo ("confessoti che in cui vizii e costumi di bestia, costui sarà quasi non uomo ma monstro piuttosto": Alberti, Della famiglia, 388-89), nei rilievi delle architravi 2, 4, 6 e 8 si mostra come tale comportamento inumano possa essere corretto dalla potenza d'amore che, scatenata dal desiderio di bellezza, è capace di fare ascendere l'uomo dall'irrazionalità alla razionalità, dalla feritas all'humanitas.
Infine, quanto scritto a proposito della sequenza sui trionfi di Amore rende ancora più convincente l'idea di identificare la figura maschile gradiva dell'architrave 2 con Marte. Secondo la mitologia classica, infatti, Marte, come il leone in A4 e il centauro in A6, personifica il furor, proprio delle devastazioni e le atrocità provocate dalla guerra; non a caso, sue compagne di battaglia sono quattro demoni terribili: Terrore, Spavento, Battaglia e Discordia. La scena sarebbe quindi anch'essa un'allegoria dell'amore che trionfa sulla violenza, la prima di una lunga serie che esemplifica come la bellezza muliebre e l'amore (Venere, gli amorini, i satirelli e Efigenia) possono placare il furor (Marte, il leone e il centauro); ammansire la feritas (il leone e Cimone); equilibrare la "'immanità', ossia ciò che è smisurato, eccessivo, sproporzionato, mostruoso" (Paoli 2012, 88; il centauro); sconfiggere la tirannide (il centauro); civilizzare rozzi villani "sorta di esseri intermedi tra l'animale e l'essere umano" (Paoli 2012, 88; Cimone). L'identificazione del giovane gradivo del rilievo A2 con Marte, suggerita già dal confronto con il testo di Reposiano, potrebbe inoltre trovare una conferma iconografica nell'affresco a Palazzo Schifanoia dove, conformemente allo schema già presente nei Trionfi di Petrarca, Marte è inginocchiato e avvinto, in catene, ai piedi di Venere, durante la celebrazione del trionfo della dea come pianeta dominante il Mese di Aprile.
L'affresco testimonia la persistenza, in ambito cortese, di un tema classico, che ebbe un'ampia fortuna sia sul piano letterario che figurativo: il trionfo di Venere su Marte, "il dio vincitore in battaglia, ma pur vinto in amore" (Concubitus Martis et Veneris, 77-78: post proelia victor / victus amore venit), il "guerriero tremendo, [che] si era fatto amante" (Ovidio, Ars Amatoria, II, 564: De duce terribili factus amator erat); il dio "vinto dall'eterna ferita d'amore" (Lucrezio De rerum natura, I, 34: aeterno devictus vulnere amoris). Un soggetto che nella Firenze medicea sembra essere strettamente correlato con la questione matrimoniale, come testimoniano, oltre al dipinto Venere e Marte oggi a Londra, anche la cornice di specchio in forma di anello di diamante (già usato come emblema personale da Cosimo il Vecchio e poi da altri Medici, compreso il nipote Lorenzo il Magnifico), e la decorazione della spalliera di un letto matrimoniale che, secondo Langton Douglas, fu commissionata a Piero di Cosimo da Lorenzo di Pierfrancesco, per commemorare la tragica morte di Giovanni, suo amato fratello, avvenuta nell'anno successivo al suo matrimonio con Caterina Sforza, proprio come il dipinto di Botticelli aveva commemorato l'amore di Simonetta e di Giuliano, da poco ucciso nella congiura dei Pazzi (Langton Douglas 1946, 52-53), e poi l'amore dello stesso Lorenzo di Pierfrancesco con Semiramide Appiani. Gli specchi da parete venivano infatti donati in occasione di fidanzamento o nozze e le spalliere venivano commissionate in occasione delle nozze ed erano destinate ad arredare soprattutto la camera degli sposi, fulcro della vita coniugale privata e pubblica. Tutto ciò indica che nella seconda metà del XV secolo la storia dell'amore adulterino di Venere e Marte venne trasformata in una scena topica della celebrazione dell'unione coniugale, che sola può legittimare l'amore fisico. Esclusivamente la procreazione e la perpetuazione dinastica, che si realizzano compiutamente all'interno dell'istituzione matrimoniale, infatti, fanno dell'amore erotico un fatto naturale e umano, mentre fuori dal matrimonio l'amore sensuale è bestiale e mostruoso.
Non tutti gli studiosi però sono concordi nell'identificare la scena dell'architrave 2 con una rappresentazione degli amori di Venere e Marte. Alcuni vi riconoscono una raffigurazione dell'incontro a Nasso di Bacco e Arianna (Gamba 1936; Pucci 1955; Thompson 1955; Mandel 1968; Meltzoff 1987; Viero 2005). La vicenda del mito è ben nota: la fanciulla, abbandonata da Teseo, si addormenta, annientata dal dolore per l'abbandono, sui lidi dell'isola di Nasso e viene risvegliata dal sopraggiungere di Dioniso e del suo corteo di Menadi, Satiri e Sileni (Ov. Met. 8, 176 ss.; fast. 3, 459 ss.; her. 10). La 'figura ponte' che è servita agli studiosi come trait d'union tra immagine e racconto mitico è quella del satiro che svela la fanciulla. Il gruppo, che è presente in diverse varianti collegabili a vari episodi del repertorio mitico, trova infatti nell'episodio del risveglio di Arianna il modello più importante, dal momento che "in età romana la rappresentazione di Arianna addormentata era in effetti molto diffusa in statue e rilievi (soprattutto funerari), tanto da costituire un vero e proprio topos iconografico" (Bordignon 2012, 417).
Ma la fanciulla non è in tutto accostabile alla figura di Arianna svelata da un satiro e destata da Dioniso, dal momento che è vigile e nient'affatto immersa in un malinconico e mortifero sonno. Esiste quindi uno scarto considerevole sia rispetto al racconto mitico, sia rispetto alla tradizione iconografica che ha cristallizzato Arianna dormiente e con il braccio piegato all'indietro e adagiato mollemente sulla testa nella Pathosformel dell'abbandono. Se a questo aggiungiamo il fatto che la vicenda mitica di Arianna e Bacco non è un esempio della forza d'amore e pertanto non si inserisce agevolmente all'interno della serie sui trionfi d'amore, sarei propensa a scartare questa ipotesi ermeneutica e a interpretare l'atto dello svelamento come un ulteriore ammiccamento all'arte della seduzione femminile oltre che come una citazione colta del modello 'ninfa dormiente svelata dal satiro', in parte determinata dalla trasformazione degli amorini in satirelli.
Più plausibile appare invece il confronto, anche formale, con il dipinto Marte e Venere della National Gallery. In particolare esistono tra le due figure femminili giacenti dei punti di convergenza tali da aver fatto ipotizzare a Horne che il rilievo della Calunnia possa rappresentare anch'esso gli amori di Venere e Marte: "The attitude of the woman recalls the figure of the goddess in the painting of 'Mars and Venus', in the National Gallery, and, perhaps, the same theme is the subject of the frieze" (Horne 1908, 260); ipotesi più tardi avallata anche da un altro studioso (Schubring 1923; in generale per le interpretazioni dei dettagli del fondale della Calunnia si rimanda ad Agnoletto [2013] 2014): entrambe le figure giacciono sull'erba, al riparo di un boschetto (di alloro nel dipinto di Londra e probabilmente anche nel riquadro della Calunnia), appoggiando il gomito destro su un cuscino; rivolgono lo sguardo, vigile e intenso, verso la figura maschile che sta loro di fronte; indossano una veste molto simile che si allunga fino alle caviglie, leggera, sensuale, con maniche lunghe, una scollatura a V arrotondata rifinita da una bordura cinta sotto il petto che disegna la forma dei seni. Le due immagini femminili si differenziano soltanto per il gesto della mano destra: nel riquadro della Calunnia la bella giacente alza la mano a palmo aperto verso la figura maschile; nella Venere della National Gallery il braccio sinistro è mollemente adagiato lungo la coscia.
Vorrei però a questo punto avanzare una nuova proposta che va ad arricchire e complicare le fonti del soggetto raffigurato sull'architrave 2. Tale proposta muove dall'osservazione fatta nel 1900 da George Noble Plunkett, e oggi unanimemente accettata dalla critica, che i piccoli satiri del dipinto Venere e Marte ricalchino negli atteggiamenti gli amorini che nel brano ecfrastico di Luciano, Le nozze di Alessandro e Rossane, giocano con le armi del condottiero macedone.
ἑτέρωθι δὲ τῆς εἰκόνος ἄλλοι Ἔρωτες παίζουσιν ἐν τοῖς ὅπλοις τοῦ Ἀλεξάνδρου, δύο μὲν τὴν λόγχην αὐτοῦ φέροντες, μιμούμενοι τοὺς ἀχθοφόρους, ὁπότε δοκὸν φέροντες βαροῖντο: ἄλλοι δὲ δύο ἕνα τινὰ ἐπὶ τῆς ἀσπίδος κατακείμενον, βασιλέα δῆθεν καὶ αὐτόν, σύρουσι τῶν ὀχάνων τῆς ἀσπίδος ἐπειλημμένοι: εἷς δὲ δὴ ἐς τὸν θώρακα ἐσελθὼν ὕπτιον κείμενον λοχῶντι ἔοικεν, ὡς φοβήσειεν αὐτούς, ὁπότε κατ᾽ αὐτὸν γένοιντο σύροντες. Luciano, Herodotus 5-6.
Dall'altra parte del dipinto, altri eroti giocano con le armi di Alessandro: due portano la sua lancia, e sembrano cedere come se portassero una trave; altri due ne portano un altro disteso sullo scudo, come se fosse anche lui un re, e lo trascinano per le cinghie. Un altro ancora si è infilato nella corazza rovesciata a terra e sembra stia in agguato come per far paura agli altri quando, trascinando lo scudo, passeranno vicino a lui.
Se questo collegamento con il testo di Luciano, come sembra, è plausibile, sarebbe confermata la circolazione del'Herodotus a Firenze già negli anni '80 del Quattrocento (accogliendo l'ipotesi che il dipinto fu realizzato in occasione delle nozze di Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici e Semiramide Appiani si dovrà considerare l'anno 1482 come il terminus ante quem per la diffusione in questo contesto culturale del breve dialogo). Procedendo con la lettura del brano ecfrastico è possibile osservare che anche i due piccoli satiri che appaiono nel riquadro del fondale della Calunnia compiono le stesse azioni dei due amorini nella descrizione della tavola dipinta da Eezione: svelano la sposa e trascinano il condottiero macedone (mi sembra interessante segnalare che, come ha argomentato convincentemente Lucia Faedo, probabilmente nel dipinto di Eezione non si trattava di una svestizione, ma di una vestizione: v. Faedo 1994).
Ἔρωτες δέ τινες μειδιῶντες ὁ μὲν κατόπιν ἐφεστὼς ἀπάγει τῆς κεφαλῆς τὴν καλύπτραν καὶ δείκνυσι τῷ νυμφίῳ τὴν Ῥωξάνην, ὁ δέ τις μάλα δουλικῶς ἀφαιρεῖ τὸ σανδάλιον ἐκ τοῦ ποδός, ὡς κατακλίνοιτο ἤδη, ἄλλος τῆς χλανίδος τοῦ Ἀλεξάνδρου ἐπειλημμένος, Ἔρως καὶ οὗτος, ἕλκει αὐτὸν πρὸς τὴν Ῥωξάνην πάνυ βιαιως ἐπισπώμενος. Luciano, Herodotus 5-6.
Sorridevano intorno gli Amori. Uno, disposto dietro la giovane sposa, solleva il velo che le copre la testa e mostra Rossane a suo marito. Un altro, servo premuroso, le slaccia i sandali come per sollecitare il momento della felicità. Un terzo afferra Alessandro per il mantello e lo tira con tutte le sue forze verso Rossane.
La citazione sembra essere pertinente dal momento che nel Rinascimento la fabula delle nozze di Alessandro e Rossane venne anch'essa interpretata come un exemplum della forza d'amore. Ne troviamo una versione su un piatto di Francesco Xanti Avelli, datato 1516-17, oggi conservato presso il Museo Civico di Bologna, il quale reca iscritto sul retro il motto "omnia vincit amor". Come noto, per altro, la versione pittorica più celebre e importante dell'ekphrasis lucianea è nel ciclo del Sodoma che decora la camera da letto al primo piano della villa di Agostino Chigi, per cui furono scelte alcune delle storie di Alessandro Magno: la Battaglia di Isso, La magnanimità di Alessandro verso la famiglia del re persiano Dario e Le nozze di Alessandro e Rossane: "un accostamento – lo ha sottolineato molto bene Lucia Faedo – inteso ad esaltare la forza incontenibile dell'amore: il valoroso condottiero che ha sbaragliato ad Isso l'esercito persiano, che ha dato così alte prove di dominio di sé, non può nulla, soggiogato dalla giovane prigioniera, di fronte alla forza della passione amorosa" (Bartalini 2013, 75).
In questo senso la vicenda amorosa di Alessandro e Rossane equivale a quella di Venere e Marte. Entrambe rispecchiano l'immaginario allegorico al tempo comune che vede in queste due fabulae, e più specificamente nella figura di Marte/Alessandro che, spogliato delle sue armi (non più armipotens), soccombe impotente di fronte al desiderio e alla passione amorosa destati dall'avvenenza e dalle promesse di Venere/Rossane, un exemplum della forza incontenibile d'amore.
Se si accoglie la proposta che, nell'erudito milieu della Firenze medicea dei primi anni '90 del Quattrocendo, l'ekphrasis di Luciano del dipinto di Eezione venne messa in dialogo con l'epillio di Reposiano, per creare una composizione sul tema dell'Omnia vincit Amor, l'immagine in A2 verrebbe messa in connessione con altre ekphraseis citate all'interno della decorazione a bassorilievo del loggiato della Calunnia, come quella dell'architrave 4 in cui l'erote che costringe il leone a bere da un corno rimanda a un'autorevole fonte letteraria, la Naturalis Historia di Plinio, tradotta in volgare da Landino e pubblicata a Venezia nel 1476. Nel testo si legge che "Marco Varrone magnifica anchora Arcesilao dequale dice havere veduto una lionessa di marmo & cupidini a lati equali givocono con essa & alchuni latengono legata. Alcuni la fanno bere con uno corno & alchuni gli calzano esochi. Et ogni cosa e duna pietra" (Plinio, Historia naturalis XXXVI, V). Ma sarebbe soprattutto la presenza di altre ekphraseis di Luciano nel fondale del dipinto a creare un gioco di rimandi incrociati e di scatole cinesi, di ekphrasis in ekphrasis, che farebbe di Luciano la fonte principale in tema ecfrastico della Calunnia: la Famiglia dei Centauri sulla base 13, la Calunnia di Apelle in primo piano, e l'intero spazio architettonico, che a mio avviso potrebbe essere influenzato se non proprio desunto da un'altra operetta lucianea, La Sala (mi riservo di tornare su questa ipotesi e di argomentarla in un altro contributo).
Particolarmente ricca di implicazioni a sostegno dell'ipotesi qui formulata sarebbe l'interazione della figura di Alessandro con gli altri soggetti della serie sui trionfi d'amore. Mentre la figura di Marte crea un unico vincolo con gli altri protagonisti della serie, in quanto personificazione del furor, della crudeltà e dell'ira, che sono attributi anche del leone e del centauro, la figura di Alessandro moltiplicherebbe questi legami. Il condottiero macedone infatti, oltre a essere considerato, come Marte, il leone e il centauro, crudele e iracondo, era ritenuto, come il centauro, un despota e un mostro; come il leone, un ambizioso e un superbo; come Cimone, quasi insano di mente.
Questo [il desiderio] fa gl'huomini sempre sitibundi d'accrescere lo 'mperio dove si manifesta tanta insania che Alexandro magno sentendo che gl'epicuri philosophi affermavono essere non un solo mondo ma molti, lacrimò disperandosi potergli tutti vincere non havendo anchora vincto questo. Furono adunque monstruosi e pensieri d'Alexandro, perchè sanza dubio eron sopra ogni forza humana, et eron contro a ogni humanità, perchè non provocato da alchuna ingiuria, volle farsi servi quegli che di natura eron liberi chome lui. Onde manifesto sequita che e centauri, cioè gl'effrenati et crudeli desiderii, sono figluoli d'Ixione, cioè del tiranno (Comento sopra la Comedia, Inferno, XII, 55-57).
La figura di Alessandro offrirebbe una visione più articolata e complessa di ciò che nel Rinascimento si intendeva per comportamento non umano, e offrirebbe un esempio a sostegno della riflessione contro le tendenze dispotiche.
Alexandro magno re de' Macedoni merita sanza alchuno dubio essere enumerato tra e tyranni, perchè invero sanza essere provocato chon alchuna ingiuria, occupò la tyrannide non solo della Grecia, ma di gran parte dell'Asia. Il perchè veramente dixe el Petrarca: "Alexandro ch'al mondo brigha diè". Usò molte crudeltà, et molti inditii dimostrono manifesto che consentì alla morte del padre ucciso da Pausania. Fu di tanta insania che volle esser decto et stimato figluol di dio et non d'huomo; et vincto che hebbe e Persi volle secondo el barbarico costume, et con grande indegnatione de' suoi, essere adorato per idio. Et Calisthene optimo philosopho suo condiscepolo et discepol d'Aristotele tentava di ritrarlo da tanta insania, fece crudelissimamente morire. Per ira, et ebrietà uccise Clyto tanto a llui amico che dipoi pentendosene volle se medesimo uccidere; nè si potrebbe sanza historico volume narrare non dico e particulari amici, chome ne' primi fu Clyto el quale perchè modestamente l'admoniva che non si preponessi al suo padre Philippo, ma e popoli et le nationi, le quali sanza alchuna ingiuria ricevuta mandò in ultimo exterminio, et e re da' quali non era mai stato provocato. Onde rectamente lo chiamò Lucano predone et raptore dell'universo, et disidera che l'ossa sua in vendecta di tanta efferità sieno sparse per tutto el mondo. Et certo se considerremo con diligentia la vita et e costumi suoi, diremo che poche virtù furono in lui le quali non usassi male. Concedo essere stato excellentissimo in facti militari. Ma chi non sa che la guerra di sua natura è al tutto opposita al vinculo della carità el quale naturalmente abbraccia tutta l'humana generatione, ma è approvata da Dio et da' savi huomini solamente per difensione di sè, de' suoi et della patria, per domare e monstri, per ridurre e popoli feroci a tranquilla pace? Ma Alexandro la convertì in pernitie di tutti, in imporre el giogo a chi viveva in libertà, per torre pace et otio a chi sanza ingiuria d'altri si godeva ne' proprii beni, et parevagli essere degno a chi tuti gl'huomini servissino essendo lui servo del vino et dell'ira. Nè si vergognò fare figluolo di Giove, et volere chome dio essere adorato (Comento sopra la Comedia, Inferno, XII, 106-108).
Una riflessione, quella anti tirannica, che gioca un ruolo cardine all'interno del discorso complessivo intessuto all'interno della tavola degli Uffizi, dove è manifesta la celebrazione di eroi ed eroine antichi e biblici che, in linea con le istanze politiche che animavano la vita fiorentina, erano intesi come simboli di giustizia e amore per la patria, nonché della libertà repubblicana, valore che si intestano alcuni membri della famiglia Medici, primo tra tutti Cosimo il Vecchio, che si propone come il salvatore della libertà di Firenze e d'Italia: Davide (N4; P14) e Giuditta (A9; N11; P14), conosciuti per essere due famosi tirannicidi biblici; Muzio Scevola, prototipo dell'uomo giusto (S7-9; della connotazione politica della Calunnia ci si occuperà in un prossimo contributo).
Infine, al margine di tutto quanto scritto, è utile ricordare che Apelle era, oltre che pittore della Calunnia, anche il pittore di corte di Alessandro.
In conclusione, e per ricapitolare, l'ipotesi di questo contributo è che nell'architrave 2 del fondale della Calunnia sia rappresentato un exemplum della forza d'amore, costruito anche a partire dalla suggestione dell'ekphrasis di Luciano Le nozze di Alessandro e Rossane e utilizzando come modello figurativo il dipinto della National Gallery Venere e Marte (a sua volta collegabile anche all’epillio latino di Reposiano). Il risultato è un'immagine in cui sono evidenti sia i debiti contratti con il quadro londinese, sia i rimandi al testo ecfrastico. All'interno di questa rappresentazione, i due soggetti mitici, già all'origine semanticamente sovrapponibili, convivono armoniosamente in maniera spontanea, con l'unica eccezione della discordanza tra la figura di Rossane, vergine pudica e timorosa, e quella di Venere maestra d'amore, risolta nel fondale della Calunnia a favore di quest'ultima.
Questo lavoro deve molto ai consigli brillanti e all'assistenza generosa e instancabile di Monica Centanni, Claudia Daniotti e Giulia Bordignon, oltreché al rigore dei due referees.
Edizioni di riferimento delle fonti citate
- I brani ecfrastici di Luciano sono citati secondo l’edizione:
Luciano di Samosata, Descrizioni di opere d’arte, a cura di S. Maffei, Torino 1994. - L’opera di Reposiano è disponibile grazie all’edizione:
Reposiani Concubitus Martis et Veneris, a cura di L. Cristante, “Bollettino dei classici”, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1999 (la versione italiana è consultabile on line nel sito Iconos). - Il volgarizzamento di Cristoforo Landino di Plinio è citata secondo l’edizione:
Christophorus Landinus, Historia Naturale di C. Plinio Secondo. Venetiis, Nicolai Iansonis Gallici, 1476 (consultabile on line nel sito Real Biblioteca di Madrid). - Il commento di Cristoforo Landino alla Commedia di Dante è citato secondo l’edizione:
Cristoforo Landino, Comento sopra la Comedia, a cura di P. Procaccioli, Roma 2001. (consultabile on line nel sito Biblioteca Italiana). - Il brani dai Libri della famiglia di Leon Battista Alberti, sono citati secondo l'edizione:
Leon Battista Alberti, I libri della famiglia, a cura di R. Romano, A. Tenenti, Torino 1969; nuova edizione, a cura di F. Furlan, Torino 1994 (consultabile on line nel sito Letteratura Italiana).
Riferimenti bibliografici
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S. Agnoletto, La Pallade con lancia da giostra: autorappresentazione simbolica da Giuliano a Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, “La Rivista di Engramma” 112, dicembre 2013. - Agnoletto [2013] 2014
S. Agnoletto, Botticelli orefice del dettaglio. Uno status quaestionis sui soggetti del fondale della Calunnia di Apelle (già in “La Rivista di Engramma” 104, marzo 2013), edizione aggiornata in “La Rivista di Engramma” 120, ottobre 2014. - Agnoletto 2014
S. Agnoletto, La matta bestialitade di Atamante. Una proposta di interpretazione del plinto I del fondale della Calunnia di Apelle di Botticelli, “La Rivista di Engramma” 120, ottobre 2014. - Bartalini 2013
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English abstract
In the background of Botticelli’s Calumny of Apelles, architrave 2 shows a female figure lying on her right side, supported by her right elbow, which is on a pillow, her left hand outstretched. The long gown she wears fully covers her lower limbs, while her robe is being lifted from her body by a small satyr. From the right, another satyr, his right hand outstretched, pulls on a rope attached to the neck of a male figure, who wears a flowing dress and moves with a full step, right hand outstretched, towards the woman. The subject of the picture has often been identified either as Mars and Venus, because of the similarity of the reclining female figure to the one of Botticelli's Venus and Mars (National Gallery, London), or Bacchus and Ariadne, because of the many features which are also found in bacchic sarcophagi.
The paper suggests that the scene represents an exemplum of the power of love – a theme which is also exemplified in the episodes of architrave 4, 6 and 8. It also argues that the image relies on two classical sources: Lucian’s ekphrasis of a lost painting depicting the marriage of Alexander the Great and Roxane, and the Latin epyllion by Reposianus, Concubitus Martis and Veneris. Moreover, Botticelli’s Venus and Mars in the National Gallery of London provided an important source of inspiration.
keywords | Alexander the Great; Calumny of Apelles; Botticelli; Venus and Mars; Bacchus and Ariadne; Marriage; Alexander the Great and Roxane.
Per citare questo articolo: Omnia Vincit Amor. Una suggestione ecfrastica dalle 'Nozze di Alessandro e Rossane' nel fondale della Calunnia di Apelle di Sandro Botticelli, S. Agnoletto, “La Rivista di Engramma” n. 124, febbraio 2015, pp. 75-95 | PDF dell’articolo