Un "cuntu" per Supplici di Eschilo (regia di Moni Ovadia, Inda, Siracusa 2015)
Mario Incudine, Pippo Kaballà, con una Nota di Monica Centanni e Stefania Rimini
English abstract
Prologo del Cantastorie
Sintiti sintiti, Era lu tempu felici di Zeus Ma la Dea Era spusa assai gilusa Zeus ppi nun perdiri l’amuri, Ma la Dea, tinta e vinnicatrici, Zeus ppi pietà di lu sò amuri L’ira di Era addivintau feroci Io fu la prima migranti di la storia, Fu ddà, ‘nta ddu suolu binidittu Di Epafu comincia la discinnenza Egittu vulia spusari li so figghi Eccu lu puntu di la nostra storia: Scappunu di lu masculu viulenti Ma ora di cchiù nun vogghiu diri Io ora mi nni vaju, ma tornu tantu Sintiti pirchì c’è veramenti di sentiri! |
Sentite, sentite Era il tempo felice di Zeus Ma la dea Era, sposa assai gelosa Zeus per non perdere l’amore, Ma la dea cattiva e vendicatrice Zeus per pietà del suo amore L’ira di Era diventò feroce Io fu la prima migrante della storia Fu lì, su quel suolo benedetto, Da Epafo cominciò la discendenza, Egitto voleva fare sposare i suoi figli Eccoci al punto della nostra storia: Scappano dalla violenza dell’uomo Ma ora altro non voglio dire, Io ora me ne vado, ma ritornerò Sentite, perché c’è davvero da ascoltare! |
Epilogo del Cantastorie
Signuri d’accussì finìu la storia Lu populu e lu re ppi la citati C’è na parola ca gira ppi li strati Lu patri nenti cchiù cci potti diri Ccu lu maritu ‘nta lu stissu lettu Ma la fimmina senza l’omu non po’ stari Afrodite li dissi sti paroli, Una sula pinsau ccu la sò testa Chiddu ca vaju dittu v’avia ‘a diri Dumannu scusa a ogni cittadinu Mi perdonati stu me senziu stranu |
Signori cosi è finita la storia Il popolo e il re per la città C’è una parola che gira per le strade Ma ora vi racconto quello che non sapete Il padre non potè dire più nulla Con il marito nello stesso letto Ma la donna senza l’uomo non può stare Afrodite lo ha detto, Una sola pensò con la propria testa Quello che vi ho detto dovevo dirvi Chiedo scusa ad ogni cittadino Mi perdonerete questa mia mente pazza |
Nota al "cuntu" per Supplici di Moni Ovadia (Inda, Siracusa, 2015)
Monica Centanni e Stefania Rimini
Nello spettacolo messo in scena a Siracusa per il LI ciclo di Rappresentazioni classiche, Moni Ovadia ha scelto di avvalersi della collaborazione di Mario Incudine (a sua volta coaudiuvato da Pippo Kaballà) per la resa in lingua siciliana di gran parte del testo eschileo. Ma non solo: il regista – presente egli stesso fisicamente in scena nel ruolo di Pelasgo – ha voluto in scena anche il "cuntista" di Enna, ad accompagnare con voce, canto e recitativo i momenti salienti della trama. Con un "cuntu" quindi il dramma si apre e con un "cuntu" si chiude: in questa pagina pubblichiamo i testi, recitati ogni sera nelle repliche siracusane, ma rimasti inediti, del Prologo e dell'Epilogo.
Moni Ovadia ha dato, a diverse riprese e in diverse sedi, ampie spiegazioni culturali, storico-linguistiche, tecniche, della scelta del dialetto nella concezione e nello sviluppo della sua regia. Resta però importante impegnare una breve considerazione sulla funzione che, in questa scrittura drammaturgica, è affidata al "cuntu" soffermandoci in particolare sul significato delle due appendici poste come introduzione e come chiusura della performance.
Se Aristotele ci ha insegnato a distinguere chiaramente, da un punto di vista squisitamente tecnico, la poesia di tipo drammatico dalla poesia di tipo narrativo (e quindi a tracciare, ad esempio, un limite netto su questo fronte fra tragedia ed epica) che senso ha ibridare, in modo così esplicito e consapevolmente dissonante, δρᾶμα con διήγησις?
Il senso sta tutto nella distanza culturale, oltre che cronologica, che separa la rappresentazione prima delle tragedie dalle riprese contemporanee. Il tragediografo antico condivideva con il suo pubblico la conoscenza di un repertorio di storie al quale diamo, per lo più genericamente, il nome di 'miti' (sul punto vedi, in questo stesso numero di Engramma, il contributo di Giovanni Cerri): su questo repertorio il poeta giocava, riprendendo o più spesso variando, in dettagli più o meno importanti, la storia e facendone materia del suo nuovo dramma, e anche al trattamento di decostruzione e rimontaggio del 'mito' e delle sue figure il poeta affidava la chance di successo del suo lavoro teatrale.
Un artista dotato di sensibilità raffinatissima come Moni Ovadia, che ha sempre il polso del suo pubblico, misura bene la distanza tra il contesto della performance antica e la situazione contemporanea, e sa perfettamente che i suoi spettatori possono avere, del mito, al più vaghe reminiscenze scolastico-erudite, spesso incasellate in confortevoli versioni stereotipate. C'è quindi la necessità, primaria, di un rapsodo contemporaneo che imposti un ordito di base, che riproponga i fili primari e ricapitoli la prima storia: da quell'ordito poi il regista, alias contemporaneo del tragediografo antico, potrà partire per tessere la nuova trama. Questo fa Mario Incudine, nel Prologo delle Supplici di Moni Ovadia.
L'inserzione del testo spettacolare dentro una cornice di 'parole-dette' contribuisce per altro a far rivivere quel "fantasma della vocalità" che Pier Paolo Pasolini già negli anni Sessanta andava teorizzando come necessaria incarnazione dello spirito della tragedia greca, secondo quell'idea di rito culturale annunciata nel Manifesto per un nuovo teatro e poi mai realmente agita. Il recupero dell'oralità come dispositivo rituale, inoltre, colloca la 'recita' di Incudine dentro il solco di un'espressività naturale, primigenia, atavica, di cui oggi si tenta – spesso con aberranti sofistificazioni (si pensi all'insistenza verso lo storytelling) – una qualche ripresa. La felice dizione di Incudine, il suo giullaresco girovagare ai bordi dello spazio scenico, servono a rinnovare la sapienza di una tradizione (quella del "cuntu") che chiama in causa, secondo un patto di reciproco ascolto e di fedeltà assoluta, autore e spettatore, complici ogni sera di una stessa avventura di fiati e colori. L'intermittenza del mito, il suo oscillare fra regola ed eccesso, trova così nella serialità mobile del "cuntu" un punto di approdo, un nuovo cominciamento: in quest'ottica ha senso la ripetizione, drammaturgicamente cadenzata, delle comparse in scena del "cuntista"-demiurgo nel corso della tragedia.
Il "cuntu" di chiusura ha la funzione di un fuori programma che restituisce la completezza del mito producendo il riassunto delle due puntate successive della trilogia, secondo la ricostruzione che si ricava da diverse fonti mitografiche. Ma nel testo troviamo anche inserito il prezioso frammento superstite dalle Danaidi (fr. 44 Radt, ex Ath. 600a-b) in cui Afrodite decanta la propria invincibile potenza erotica e generatrice di vita:
ἐρᾷ μὲν ἁγνὸς οὐρανὸς τρῶσαι χθόνα, |
Ama il cielo sacro penetrare la terra; |
Nell'ultimo verso dell'Epilogo, con un colpo di scena il cantastorie vagabondo si identifica con Eschilo "omu sicilianu", richiamando le note vicende biografiche che portarono il poeta antico a dar prova della sua arte in Sicilia, fino alla morte avvenuta a Gela.
Ma la battuta ultimissima con cui a Siracusa ogni sera si chiudeva lo spettacolo non è trascritta in questa pagina, perché si tratta di un felicissimo, ripetuto ma sempre spontaneo, fuori-testo anche rispetto al fuori-testo del "cuntu" in appendice. Ogni sera il cantastorie/Eschilo con un ampio gesto tendeva la mano al settore del pubblico in cui erano seduti i nuovi 'supplici', a salutare i migranti della nostra urgentissima, contemporanea tragedia che si rappresenta 'dal vero', quasi quotidianamente, sulle coste siciliane, a una manciata di chilometri da Siracusa: "E chisti sunnu li amici mei".
A dire, come già avevamo imparato dalla chiusa del prologo: "E si fù mill’anni fa oppure è ora / È a stissa cosa, s’arripeti ‘a storia".
Ripresa video delle Supplici al Teatro greco di Siracusa per la regia di Moni Ovadia,
Rai Cultura, giugno 2015 (regia televisiva di Marco Odetto)
English abstract
In the show staged in Syracuse for the LI cycle of classical representations, Moni Ovadia chose to make use of the collaboration of Mario Incudine (assisted by Pippo Kaballà) for the rendering in Sicilian language of most of the Eschileo text. this contribution consists in the transcription of the prologue and epilogue interpreted by the storyteller, with the Italian translation.
keywords | Syracuse; Inda; Le supplici, Moni Ovadia; Music; Choreography; Mario Incudine; Pippo Kaballà.
Per citare questo articolo: Un "cuntu" per Supplici di Eschilo (regia di Moni Ovadia, Inda, Siracusa 2015), M. Incudine, P. Kaballà con una nota di M. Centanni e S. Rimini, “La Rivista di Engramma” n. 128, luglio/agosto 2015, pp. 61-71 | PDF dell’articolo