Mnemosyne in Italia
Recensione a: L’Atlante della Memoria. Filosofia delle immagini per un lessico warburghiano, “Quaderni del Warburg Italia”, n. 1, 2004
Katia Mazzucco
English abstract
Il Centro Warburg Italia ha dato alle stampe il numero 1 dei suoi Quaderni. La pubblicazione raccoglie i primi saggi di un’attività di ricerca avviata nel 1999 sotto la stella dello studioso amburghese, tra cui alcune delle relazioni esposte nel 1998 a Siena in occasione di due giorni di studi dedicati all’Atlante Mnemosyne di Aby Warburg. Nel 1998 l’ultima opera di Warburg è solo da poco faticosamente riemersa dalla messe di materiale inedito conservata all’Archivio del Warburg Institute di Londra. Grazie a una sistematica catalogazione dei materiali d’archivio, avviata da Nicholas Mann negli anni di direzione dell’Istituto londinese, e alle ricerche condotte da alcuni studiosi – tra i quali si segnala l’attività del gruppo viennese “Daedalus” (Marianne Koos, Wolfram Pichler, Werner Rappl, Gudrun Swoboda), e di Peter van Huisstede – l’Atlante Mnemosyne, il progetto lasciato incompiuto da Warburg nel ’29, viene ricostruito e inizia un tour di esposizioni che da Vienna, nel 1993, lo conduce sino a Tel Aviv (1999).
L’evento rappresenta il ritorno di un fermento d’interessi per l’opera che, assieme alla creazione della Kulturwissenschaftliche Bibliothek Warburg, rappresenta l’impresa più originale di Aby Warburg (sulla storia del Bilderatlas v. qui Gestazione di un’opera non “finibile”). In Italia l’esposizione arriva a Siena nel 1998 (aprile-luglio) grazie alla collaborazione dell’Associazione “Mnemosyne” di Roma, dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Siena, del Dipartimento di Studi Classici dell’Università di Siena e della Gesellschaft für Kulturwissenschaften und Bildtheorie di Vienna. La mostra, curata da Italo Spinelli e Elisabetta di Pisa, viene poi ospitata a Firenze (dicembre 1998-gennaio 1999) e Roma (gennaio-febbraio 1999) ed è accompagnata da un catalogo che per la prima volta rende disponibile al pubblico italiano una pubblicazione del Bilderatlas (sulle vicende editoriali di Mnemosyne v. in Engramma scheda dell’Atlante).
In occasione della mostra senese sono promosse diverse attività culturali, tra le quali l’incontro internazionale di studio “Aby Warburg. Mnemosyne” (30 e 31 maggio 1998). Un anno dopo il Comune di Siena, l’Università di Siena e l’Associazione “Mnemosyne” danno vita al “Centro Warburg Italia di ricerche interdisciplinari di Teoria e Storia della Cultura”, già in attivo nella promozione culturale con eventi espositivi, di spettacolo e con l’attivazione di due seminari permanenti finalizzati all’elaborazione di un “Lessico warburghiane” (coordinamento di Andrea Pinotti) e di un “Modello descrittivo delle danze rituali” (coordinamento di Gioachino Chiarini). Il primo dei Quaderni del Centro Warburg raccoglie i frutti di queste attività. Tra i materiali pubblicati (Werner Rappl, Wolfram Pichler e Gudrun Swoboda, Laura Barile, Giuseppe Pucci, Ingrid Warburg Spinelli, Humphrey Butters, Silvana Borutti, Ruggero Savinio) si segnalano particolarmente i saggi di tre degli studiosi che maggiormente hanno contribuito negli anni passati ad aprire la strada per una riscoperta dell’Atlante Mnemosyne.
Werner Rappl nel saggio Le clef des songes. Il materiale per Mnemosyne di Aby Warburg e il linguaggio della memoria sottolinea un aspetto fondamentale dell’Atlante: quest’opera non produce prove argomentative di una tesi; è il principio stesso della giustapposizione delle immagini nei pannelli che scatena interrogativi e fa emergere il significato. Nessun ordine prestabilito, nessuna sequenza lineare, nessuna concessione ai rasserenanti moduli di lettura dell’opera d’arte e dei fenomeni culturali. Nell’Atlante – nota Rappl – sono lo scarto, la cesura e la discontinuità che producono senso, in un’apparente sospensione che in realtà rappresenta un ampliamento dell’ambito della comprensione. Per questo – insiste l’autore – Mnemosyne pretende un approccio lento, paziente, che consenta di vedere ciò che l’Atlante mostra: il processo stesso di formazione delle idee. L’analisi di alcuni brani dalle tavole, con particolare attenzione all’opera di Botticelli, evidenzia nell’Atlante un meccanismo di “paragone allegorico” incentrato sul dettaglio, che emerge dal costante dialogo e confronto dei più svariati materiali: un meccanismo che salva dalle generalizzazioni che mescolano tutto – con parole di Warburg – “in una pastosa e miserabile zuppa metaforica”.
Importante anche il contributo di Wolfram Pichler e Gudrun Swoboda (Gli spazi di Warburg. Topografie storico-culturali, autobiografiche e mediali nell’Atlante Mnemosyne). A partire dall’utilizzo nell’Atlante di materiale d’attualità – in una lettura che a volte eccede sul lato di una presunta condanna warburghiana della tecnologia – i due studiosi sottolinenano il ruolo dell’opera nell’intenzione di Warburg: quello di strumento di autoeducazione dell’uomo, in una prospettiva di cronologie non lineari e spezzate, contro il puro “accertamento di derivazioni storiche”.
L’Atlante posto a metà tra l’esposizione della ricerca personale che problematizza fecondamente il ruolo tradizionale dell’autore, e l’esperienza collettiva, è significativamente letto come una sorta di palestra, o “tavolo di lavoro”, per la memoria individuale e collettiva; memoria che viene chiamata a combattere tanto le "cattive forme d’oblio" – le ‘miste’ della cultura europea – quanto il “ricordare falsificato” – i fraintendimenti, la banalizzazione e l’invenzione di tradizioni fasulle.
English abstract
Presentation of “Quaderni del Warburg Italia”, 1. The publication collects the first essays of a research activity on Warburg started in 1999, including some of the reports exhibited in 1998 in Siena during two days of studies dedicated to Aby Warburg’s Atlas Mnemosyne.
Keywords: Aby Warburg, Mnemosyne Atlas, quaderni Warburg Italia.
Per citare questo articolo: K. Mazzucco, Mnemosyne in Italia. Recensione a: L’Atlante della Memoria. Filosofia delle immagini per un lessico warburghiano, “Quaderni del Warburg Italia”, n. 1, 2004, “La Rivista di Engramma” n.32, aprile 2004, pp. 43-45 | PDF