Breve catalogo della parola alea
Lucia Amara
English Abstract
Alea (ālea) in latino significa 'dado' o 'gioco di sorte con dadi'. Per esteso diviene sinonimo di 'caso', 'rischio' e, infine, 'azzardo'. Da cui ālĕātor, ālĕātorius. Le origini incerte del termine non limitano il vastissimo campo semantico in cui alea gravita, i luoghi concettuali che schiude, i gesti antropici che racchiude e custodisce, infine gli effetti che l’agire – lūdĕre o exercēre in alea – produce. Isidoro di Siviglia, secondo il quale alea è il gioco di dadi con scacchiera (lusus tabulae), ne risolve le origini con un’etimologia di carattere onomastico attraverso un aneddoto apparentemente semplice ma che è riportato sovente da lessici e dizionari. Alea era un soldato che inventò il gioco con dadi nei momenti d’ozio durante la guerra di Troia (Isidoro, Etymologiae LX, 1).
In latino esistono altri vocaboli usi a designare il dado: tālus, o il suo diminuitivo taxillus, e tessĕra. Lo stesso Isidoro ne indica alcuni usi:
Tesserae vocatae quia quadrae sunt ex omnibus partibus. Has alii lepuscolos vocant, eo quod exiliendo discorrant. Olim autem tesserae iacula appellabantur, a iacendo.
[I dadi sono stati chiamati tesserae in quanto quadrati da ogni lato. Vi è chi dà loro il nome di lepusculi [ossia 'leprotti'], in quanto si muovono saltando. Anticamente i dadi erano detti iacula, dal verbo iacere, che significa lanciare].
Isidoro, Etymologiae LXIII, 1
Sebbene sia accettata unanimemente la tesi di una parola dall’origine incerta, le ipotesi etimologico-semantiche attorno al termine latino alea non mancano di creare una fitta trama di luoghi e visioni.
Il Thesaurus Linguae Latinae (1900) – richiamandosi allo studio di grammatica comparativa di Leo Meyer (1861) – collega alea alla parola sanscrita aksáh (dado) e cataloga il vocabolo sotto due rubriche:
1. l’uso proprio, da riferirsi ai dadi e al gioco;
2. l’uso traslato e proverbiale, riconducibile al significato più astratto di caso e di fortuna.
Nell’Etymologicum (1662) Vossius mette in relazione il termine alea con il verbo greco ἀλάομαι che significa 'andare errando', o 'girare qua e là', con una sottile sfumatura d’incertezza. In certi casi può significare 'esser esiliato' (Vossius 1662). Da cui – secondo Chantraine – si è originato il nomen agentis ἀλήτης (Chantraine 1968), 'errante' o 'vagabondo' (sui nomina agentis, vedi Benveniste [1948] 1993).
Il reverendo Francis E. J. Valpy nell’Etymological Dictionary of the Latin Language (Valpy 1928) accoglie e sviluppa questa ipotesi, per così dire eccentrica, dell’origine greca e rintraccia nell’aggettivo ἠλεός, che significa 'folle', il corrispondente dorico ᾱλεᾱ da cui potrebbe derivare il termine latino alea. Secondo lo stesso dizionario, un’altra possibile scaturigine è il sostantivo ἅλη, l’'andare errando', una corsa vagabonda che, nella forma traslata, significa 'perplessità' e 'disordine' e in quella transitiva 'ciò che fa errare', o 'travia' (Rocci 1943). In quest’ultima accezione ne fa uso Eschilo, nel primo canto del coro di Agamennone (vv.191-194), quando prima dell’oracolo che avrebbe suggerito lo sgozzamento di Ifigenia, le navi e gli uomini sostano in balia dei venti e dell’ozio “che fa errare”, una condizione data da un tempo di sospensione e d’indugio. Isidoro di Siviglia riconosce questa caratteristica del gioco aleatorio e mette in relazione il movimento continuo dei dadi, mai fermi e stabili in un punto fisso, con un tempo che trascorre incessantemente:
Quidam autem aleatores sibi videntur phisiologice per allegoriam hanc artem exercere, et sub quadam rerum similitudine fingere. Nam tribus tesseris ludere perhibent propter tria saeculi tempora: praesentia, praeterita et futura; quia non stant, sed decurrunt. Sed et ipsas vias senariis locis distinctas propter aetates hominum ternariis lineis propter tempora argumentatur. Inde et tabulam ternis discriptam dicunt lineis.
[Alcuni giocatori ritengono che l’esercizio di quest’arte si fondi su basi naturali e credono che esso abbia un determinato significato allegorico. Dicono, infatti, che si gioca con tre dadi a significare i tre tempi del mondo: il presente, il passato e il futuro, che come i dadi non rimangono mai fermi, ma trascorrono incessantemente].
Isidoro Etymologiae LXIV, 1
L’origine ricondotta alla sfera semantica del verbo ἀλάομαι dura in molti dizionari e interpreta quel sostrato semantico che permane invariato in alea, attraverso il tempo, e che rimanda a un’azione, agita nell’incertezza e nell’erranza, in un esilio temporaneo – perché inscritto nel tempo concluso del ludus – dalla ragione (Huizinga [1938, 1949] 2002; Caillois [1967] 1981). Il che equivarrebbe, nella forma deteriore, a molti degli assunti del gioco d’azzardo. Giovanni Semerano si immette in tale linea: l’alea è tipica dell’homo ludens che abbandona le remore del calcolo logico e si affida all’irrazionale, alla follia del gioco. Ed ecco il rapporto con l’ebraico hālal 'folleggiare', 'to be foolish', con l’accadico alālu e con l’arabo hallala, 'darsi bel tempo' in tedesco 'jubeln' (Semerano 1994).
Per il Dictionnaire Étymologique di Ernout e Meillet (1959) alea è una sorta di gioco di dadi che si esegue su una tavola con i tāli, ossicini o astragali. Significa anche 'gioco d’azzardo' e, per spostamento figurato, 'azzardo' tout court, in opposizione a rātio. Per l’antitesi tra alea e rātio il dizionario rinvia al De re rustica (I, 4-18 passim) in cui Varrone associa alea a un tempo di assenza di salubritas della terra in cui la coltura è affidata al caso e non alla cura del padrone e della famiglia. Invece dal punto di vista etimologico-semantico nello specifico – secondo i due studiosi – l’accostamento di alea con il verbo ālucinor ('farneticare', 'parlare vanamente', 'errare'), che corrisponde al verbo greco άλάομαι, non ha fondamento, così come l’ipotesi di una possibile mutuazione dall’aggettivo ἠλεός (folle), attraverso l’intermediario dorico ᾱλεᾱ, non produce alcun appiglio sul senso. Per Ernout-Meillet alea è una parola "senza etimologia" e, di certo, un termine emprunté, cioè 'preso in prestito'. La teoria dei prestiti, detta anche teoria dei calchi, fu teorizzata proprio da Antoine Meillet nel saggio Comment les mots changent de sens (Meillet [1905-1906] 1958), testo da molti considerato iniziatore della semantica storica. Il modello individuato da Meillet prevede che una parola, spesso di ordine tecnico o specifico, utilizzata da un preciso gruppo sociale, transiti, improntandosi "a calco", nella lingua comune, o viceversa. Nel passaggio la parola subisce dei cambiamenti e dall’uso tecnico volge in una accezione più generale e vaga, implicando in ogni mutamento di forma un mutamento di senso.
Il Totius Latinitatis Lexicon di Forcellini-Furlanetto (1827-1831), tra le rubriche di alea, ne rileva l’impiego in funzione sinonimica, al posto di discrimen ('prova', 'momento decisivo', 'pericolo'), dubitatio ('incertezza', 'indugio'), incertuum eventum ('evento incerto' o 'oscuro'). La poesia latina ha dispiegato facondia di epiteti estendendo ulteriormente i domini semantici di alea. Louis Quicerat, nel Thesaurus Poeticus Linguae Latinae (1843), rubrica alcuni casi: anceps, dubia, incerta, fallax, damnosa, iniqua, fugienda.
Per Ovidio, in un passaggio dell’Ars amatoria (I, 375-380), alea e casus sono tra gli elementi cui affidare la tecnica “venatoria” della seduzione. Infine nell’espressione piuttosto comune nella lingua latina di alea fati, 'incertezza del destino', si riconosce il senso di un evento arbitrario e non governabile, presente anche nella costruzione subire aleam.
L’altra possibile origine di alea è il verbo ἰᾱλλω, 'getto', 'lancio', 'scaglio' (Valpy 1928). Ci troviamo ancora nell’ambito di ipotesi derivate da assonanza semantica, in questo caso domina l’azione del getto e del lancio. Domizio Ulpiano, fra i maggiori esponenti della dottrina giuridica romana e mentore dell’imperatore Severo, nel Digesto Giustiniano (18.1.8) mette in guardia dal praticare l’alea in una vendita (vendĭtĭo) in quanto equivarrebbe pressoché a guadagnare (ĕmĕre) una res incerta (Thesaurus Linguae Latinae 1900) come per la cattura dei pesci (piscium) e degli uccelli (avium) o il lancio di qualsiasi arma da getto (missilium). Da cui il senso di una nota espressione idiomatica francese, "acheter un coup de filet", che è il lancio, fortunato o no, del filo da pesca (Freund, Theil 1855). Il concetto di rischio contrattuale relativo alla pratica dell’alea nell’atto negoziale ha originato la nozione di “vendita aleatoria” nella disciplina giuridica e nel diritto civile italiano (vedi Codice Civile italiano, art. 1472);
A seconda dell’enfasi data al gesto volontario della mano o all’azione che il tiro produce, i dadi in latino si lanciano (iactāre: iactŭs è tecnicamente il lancio), o cadono (cādĕre). I due usi sono presenti in egual misura. Per esempio nel proverbio Iacta alea est, reso celeberrimo perché pronunciato da Cesare quando varcava il Rubicone in armi consegnando l’evento eccezionale al caso (Svetonio, De vita Caesarum XXXII). La stessa locuzione appare sotto altra foggia e con il verbo cadere, iudice Fortuna cadat alea, nel Satirycon di Petronio (CXXII, 171) quando il vecchio letterato Eumolpo declama i versi sulla guerra civile e le imprese di Cesare. In questo caso però si nomina esplicitamente l’inappellabile giudizio della dea Fortuna a cui la caduta del dado è affidata.
Tuttavia i dadi possono cadere non solo dalla mano. Gli stessi Romani introdussero l’uso di un bossolo o bussolotto (pyrgus, turrĭcŭla, phīmus o frĭtillus) che avrebbe evitato i lanci mirati con la mano di taglio a cercare la caduta migliore e dal lato più favorevole. Soltanto a Zeus – recita un frammento di Sofocle (fr. 895) – i dadi cadono nel verso giusto. L’uomo che tenta di introdurre un elemento volontario non sta praticando correttamente l’alea che, per esser tale, non deve possedere alcun rapporto tra causa ed effetto, in definitiva tra il gesto e i suoi esiti. È sintomatico che il termine greco βαρός, da cui si è originato 'baro', oltre a significare 'gravità' e 'pesantezza', vuol dire anche 'pressione', 'influenza', 'credito'.
I dadi si lanciano e cadono sopra una tavola, o tavoliere, che il latino esprime con un ricco ventaglio lessicale: alveus, alveolus e abacus. Secondo il racconto di Svetonio, l’imperatore Claudio – incallito giocatore d’azzardo (aleam studiosissime lusit) – fece approntare un alveus nella sua carrozza da viaggio, così da poter lanciare i dadi durante le lunghe trasferte attraverso l’impero romano (De vita Caesarum XXXIII). Svetonio accenna anche al fatto che l’imperatore scrisse un trattato sull’arte aleatoria di cui, tuttavia, non ci è giunta traccia.
Nell’Apocolocyntosis di Seneca, feroce pamphlet satirico sulla morte e apoteosi per “inzuccamento” dell’ingordo e dissoluto imperatore, Claudio dopo la sua morte sarà condannato a giocare l’alea (ludere aleam) in eterno e con un bussolotto bucato (pertuso fritillo) da cui i dadi cadranno a vuoto (Seneca, Apocolocyntosis XIV: Et iam coeperat fugientes semper tesseras quaerere et proficere). Pare che l’aneddoto abbia costituito l’antecedente cui Dante si ispirò per la legge infernale del contrappasso.
Dare enfasi alla caduta cancella dalla scena del lancio ‘aleatorio’ l’elemento volontaristico, cioè l’azione della mano o dell’organo umano. Questo proverebbe, in parte, come il termine si sia evoluto nel tempo da dado a rischio o azzardo. Ne è prova l’etimologia della parola francese chance, derivante dal latino popolare cadentia, che designava esattamente la maniera di lanciare i dadi, da cui 'jeter la chance'. Per il Lessico di Frédéric Godefroy (1901) chance, in origine, ha un significato specifico e tecnico: è il punto segnato col dado o la sua stessa caduta, accezioni che hanno dato luogo alle espressioni 'donner la chance' e 'livrer la chance'.
I dadi potevano essere fatti di legno, di pietra, di osso o di qualsiasi metallo. Proprio sulla loro fattura ‘ossea’ si fonda l’ipotesi etimologica – da definirsi in un certo qual senso organica – di uno dei più recenti dizionari, quello di Michiel de Meen (2008). Giacché falangette di agnelli o altri animali, dette anche astragali o aliossi (in latino tālī), erano usate come dadi, anche il termine ālea, in modo analogo, potrebbe essersi generato da un’altra parte del corpo animale, per esempio da āla, che significa appunto 'ala', o 'ascella'. Tale congettura, anche se apparentemente stravagante, ha il merito di far intravedere origini molto remote e arcaiche dell’oggetto-dado, inerenti a strati sacrificali e a sprofondamenti viscerali delle pratiche divinatorie, ancora attive in età paleocristiana (cfr. Tavola 23a dell'Atlante Mnemosyne di Aby Warburg; Urbini 2011).
Sembra che i dadi migliori fossero quelli di osso, di quello più pesante che era dato trovare perché in qualunque modo si lanciassero, potevano produrre una caduta piana e uniforme. Nel De Senectute Cicerone scrive che il gioco dei dadi è adatto alla vecchiaia la quale, per essere beata, deve dilettarsi e rifuggire qualsiasi sforzo corporeo che spetta alla gioventù:
Nobis senibus ex lusionibus multis talos relinquant et tesseras, id ipsum ut lubebit, quoniam sine eis beata esse senectus potest.
Cicerone, De Senectute XVI, 58.
In netta opposizione a questa idea di levità del gioco aleatorio, una singolare pratica dell’alea, che non sembra avere affini, è attestata nel De origine et situ Germanorum, meglio conosciuta come Germania, in cui Tacito descrive una sorta di rituale comunitario alla fine del quale gli uomini giocano a dadi – in modo serio e senza bere, nota lo storico meravigliandosene – e una volta dilapidate le sostanze, con un ultimo e definitivo lancio (extremo ac novissimo iactu), si giocano (contendant) la propria libertà e il proprio corpo (de libertate ac de corpore). Chi è vinto affronterà una servitù volontaria. I Germani hanno tanta ostinazione in questa perversione (re prava) e la chiamano fides (Tacito, Germania XXIV). Anche se è noto che Tacito non abbia usato materiali di prima mano, resta ugualmente singolare l’accostamento tra alea e fides, affiliati in una sorta di rituale prova di forza, per addestrare lealtà, prestigio e fede, le accezioni più comuni del termine fides, che può significare anche 'credito'. Non è secondario che il termine alea, seppur da lontano, sfiori luoghi accosti a questo termine; e qui bisognerebbe approfondire l’analisi perché l’associazione di alea con questioni di fides, rimanda a problemi di scambio, simbolico e non, tra uomini e cose. Sembra che in età tardo-antica e medievale alea fosse associato –seppure in una etimologia fantasiosa – al pronome alter perché il gioco dei dadi e delle tavole inscenano l’alterità e la reciprocità. “L’altro” è colui che ci siede accanto e a cui si cede la mano e, forse, anche la fortuna (Canettieri 2009).
Se si guarda il termine alea in prospettiva, fino all'accezione che l’aggettivo 'aleatorio' ha acquisito nelle lingue neolatine, ci si accorge come la latinità letteraria e giuridica ne avesse già tracciati i destini, scavato i luoghi di senso e marcato le afferenze. Una battuta del Curculio di Plauto (354) scandisce e articola la differenza tra talus e alea, nonostante entrambi possano nominare i dadi:
Talos poscit sibi in manus. Provocata me in aleam, ut ego ludam.
[Prese in mano i dadi (talos), e provocatomi a sfidare la sorte (aleam) perché io giocassi].
Plauto, Curculio, v. 354
Emblematica è l’estensione con cui il termine alea si lega a luoghi semantici concernenti il tempo. Sia nell’accezione di un tempo trascorso nel diletto e nello svago in espressioni quali indulgere aleae ('abbandonarsi all’alea') o oblectare se alea ('occupare il proprio tempo nell’alea'). Sia nel senso deteriore di un tempo consumato in perdita, come attestato in alcuni passaggi ciceroniani (Nizolio, Scot, Facciolati 1820):
In lustris, popinis, alea, vino, tempus aetatis omne consumere.
[Nei bordelli, nelle bettole, nei dadi, nel vino, si consuma il tempo dell’esistenza].
Cicerone, Filippiche XIII, 11.
Celebre lo sferzante attacco al giovane aristocratico ozioso della satira VIII di Giovenale:
Effigies quo / tot bellatorum, si luditur alea pernox / ante Numantinos, si dormire incipis ortu / Luciferi, quo signa duces et castra movebant?
[A che ti servono i ritratti di tanti guerrieri, se tutta la notte (pernox) tu giochi ai dadi (alea) sotto gli occhi di chi vinse Numanzia, se inizi a dormire quando sorge Lucifero, nell'ora in cui quei generali dagli accampamenti movevano le insegne?]
Giovenale VIII, 9-12.
Questa idea per estreme conseguenze generò una riprovazione etica del tempo sperperato in alea e l’adozione, nell’antica Roma, di una legge apposita contro il gioco d'azzardo (Lex de alea) e di uno spazio legale riservato all’alea esclusivamente durante la festa dei Saturnali.
Anche se il termine è attestato almeno fino al XVI secolo, soprattutto nei trattati in latino sui giochi da tavolo, il passaggio in Europa alle lingue volgari confonde in alea l’oggetto, il concetto e il gesto. In questo lento processo di trasformazione alea perderà definitivamente la sua oggettività e la sua tecnicità serbando per lo più il suo lacerto astratto: "Something which involves uncertainty, a risk enterprise or purchase" secondo l’Oxford Latin Dictionnary (1968).
In italiano alea perdura, nel linguaggio colto, o in quello contrattuale, come chiosa la rubrica del dizionario di Battaglia:
alea n.f. [pl. -ee] 1. (lett.) sorte incerta, rischio: correre l’alea. 2. (dir.) margine di rischio insito in qualsiasi contratto, che caratterizza in particolare i contratti detti appunto aleatori. 3. nella musica d’avanguardia, criterio compositivo che include elementi più o meno ampi di indeterminazione o di casualità.
Nel suo emanciparsi dalla relazione concreta con l’oggetto, infine, alea va a collocarsi in alcuni luoghi fondativi del pensiero occidentale che la favorevole motilità della lingua latina aveva in un certo qual senso già indicato. La questione è molto complessa ma si possono sinteticamente tracciare due linee di sviluppo. La prima concerne la denuncia del pericolo, insito nel gioco aleatorio, di deteriorare il tempo dell’otium e del negotium, raccolta a larghe mani dalla concezione protestante e calvinista della festa, in cui si rintracciano certi snodi della riflessione sul capitale (Weber [1922] 1983; Althusser 2000). La seconda prende inizio dalla tradizione rinascimentale, il cui acme è rappresentato dal De Ludo aleae del matematico e astrologo Girolamo Cardano, a partire dalla quale i giochi di dadi e le sue tecniche aprono alle prime teorie sul calcolo combinatorio delle probabilità, che condurrà alle scienze matematiche moderne.
Infine ci sarebbe, nella parola alea, qualcosa di suo proprio, che non tutte le parole possiedono e che certi linguisti chiamano le condizioni anatomiche e fisiologiche della genesi di una parola, o la "vita pulsante" delle parole, tutto ciò che è impossibile racchiudere in un lemmario. Nel caso di alea ci sarebbero i gesti e le voci che si producono attorno al getto, nel momento della puntata; cioè le interiezioni, le bestemmie (chi le condannava le chiamava accidentia); la messa in gioco di anima e moglie; la pronuncia del nome della fanciulla amata; le parole auspicali in favore delle persone care; le acclamazioni al lancio buono (Venus), o al lancio sfortunato (Canis) (Lübker 1898). In definitiva ciò che gravita (anche orale) attorno a un gruppo umano che si accinge a lanciare i dadi. Opus aleae la chiama Orazio nelle Odi (II,1,6).
Quando alea decadrà come parola in uso per cedere il posto ai termini corrispondenti delle lingue neo-latine, disporrà il lascito, stigmatizzato linguisticamente dalla permanenza dell’aggettivo 'aleatorio', di ciò che il dado richiede come condizione estrema: quella di affidarsi, in una cessione incondizionata, al lancio nell’aperto – che è il caso o la sorte.
Riferimenti bibliografici
Fonti greche e latine
- Cicerone, Cato Maior de senectute
- Cicerone, Philippica XIII
- Domizio Ulpiano, Iustiniani Digesta
- Eschilo, Agamennone
- Giovenale, Satura VIII
- Isidoro di Siviglia, Etymologiae Sive Origines
- Orazio, Carmina
- Ovidio, Ars amatoria
- Petronio, Satyricon
- Plauto, Curculio
- Seneca, Apocolocyntosis
- Sofocle, Frammento 895
- Svetonio, De vita caesarorum
- Tacito, De origine et situ Germanorum
- Varrone, De re rustica
Fonti moderne
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- G. Cardano, Liber de ludo aleae (traduzione italiana con testo a fronte a cura di M. Tamborini, Franco Angeli, Milano 2006).
Bibliografia critica, dizionari e lessici
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English abstract
Short catalogue of the word alea is an essay that deals with the uncertain origins and the multifaceted meanings of the latin word alea for 'dice' and 'chance'. From the onomastic origin proposed by Isidore of Seville, the author analyzes the definitions offered by several etymological and linguistic studies, following them through historical, narrative and technical sources."Something which involves uncertainty, a risk enterprise or purchase": this is the definition according to Oxford Dictionary (1968). Alea is a pivotal word in Western thought, expressing both the dangers of wasting time in gambling and an original meaning coming from combinatory calculus, on which modern mathematics are based. As a very rich and pulsating word, alea testifies the layering of experiences that set on it throughout its history.
keywords | Fortune; Alea; Dice; Chance; Etymology.
Per citare questo articolo / To cite this article: L. Amara, Breve catalogo della parola alea, “La Rivista di Engramma” n. 137, agosto 2016, pp. 11-21 | PDF di questo articolo