“In città a quell’epoca c’erano piccoli gruppi in cui si giocava a faraone [...]
Mi diedi quindi al piccolo gioco d’azzardo”.
Giacomo Casanova, Storia della mia vita, III, XIII 355.
Si entrava con una certa apprensione nello spazio che ospitava la Bisca Vascellari: installazione, happening, performance, mostra, evento messo in azione dall’artista veneto Nico Vascellari a Roma nell’inverno del 2018 e che, nel 2019, sarà ripetuto in diverse sedi non ancora precisate, come una sorta di format itinerante. La sede scelta per la prima apertura della Bisca Vascellari è stata una galleria no-profit, Cura Basement, gestita da Ilaria Marotta e Andrea Baccin, e situata nella zona Prati, in un locale leggermente al di sotto della soglia stradale. Bisognava dunque scendere qualche gradino per accedervi, e questo descensŭs era già una prima tappa del gioco che attendeva il visitatore all’interno del seminterrato, interamente trasformato. Pareti nere, neon rossi, fumo, rendevano gli spazi, di solito bianchi, simili a un club privato, a una sala d’azzardo, a una piccola discoteca, a una stanza segreta, tutti ambienti condensati e racchiusi nell’idea di bisca evocata nel titolo. Il via vai dei presenti, che apparivano come sagome scure, spostandosi da un punto all’altro, e il sottofondo sonoro di voci, musica, brusio, e di improvvisi silenzi, contribuivano alla metamorfosi del luogo.
Per quattro sere, una trentina di partecipanti sono stati ammessi in questa Bisca Vascellari, previo pagamento dell’ingresso e acquisto di un certo numero di fiches, che sarebbero servite a puntare ai vari ‘tavoli’ di gioco allestiti dall’artista. Un quinto incontro – in chiusura del progetto – era aperto a un numero maggiore di visitatori non paganti, che hanno potuto esplorare l’ambiente, documentarlo e partecipare ad alcuni giochi finali.
Era lo stesso Vascellari, insieme ai suoi aiutanti vestiti da croupier, a fare da cerimoniere e regista della performance collettiva che andava in scena, e che rovesciava e intrecciava continuamente, e a più livelli, i meccanismi del gioco d’azzardo e della creatività, del mercato e del valore dell’opera come manufatto, feticcio, oggetto firmato.
In questa bisca d’autore, infatti, il banco è destinato a perdere sempre, poiché tutti i giocatori, con un esborso anche minimo, hanno la chance di acquisire e portare a casa un’opera di Vascellari, vinta grazie alla fortuna o guadagnata con qualche abilità nelle diverse sessioni dei giochi. Si tratta di giochi inventati dall’artista stesso, modificando regole di giochi esistenti in modo da trasformarli in situazioni creative (vedi sotto), che richiedono l’abbandono al flow, e l’adesione alle regole di scambio che vigono nei confini del seminterrato. Impossibilitati a comunicare con l’esterno via cellulare, i giocatori delle quattro serate non possono riprendere quello che accade né fotografare gli ambienti; possono invece scambiarsi impressioni, anticipazioni, racconti, passando, nel buio rossastro, da una sala all’altra. Un aspetto, questo, che collega Bisca Vascellari alla sintassi dei primi happening a compartimenti, strutture ipertestuali, senza inizio né fine, incompletabili ma auto-consistenti nelle loro varie componenti.
La Bisca è poi un’opera di relazione, che risulta - come ha avuto modo di dire lo stesso Vascellari a proposito di molte sue opere - dall’insieme delle energie arcaiche e profonde delle persone che condividono un tempo e un dinamismo. È una performance, che coinvolge il corpo del croupier e la titubanza o l’ardire dei giocatori. È una riflessione sulle modalità di acquisire – da parte dei partecipanti – opere d’autore, investendo una cifra limitata, aumentata però dalla scommessa, dal rischio, dalla buona sorte e – da parte dell’artista – di cedere opere firmate con leggerezza liberale, con ironia, anche. E dunque è un’opera che coinvolge anche la dimensione della negoziazione.
Nato a Vittorio Veneto nel 1976, Nico Vascellari ha al suo attivo il viatico di Marina Abramović (che gli assegnò nel 2005 il Premio Internazionale della Performance, promosso dalla Galleria Civica di Trento, per la performance Nico and the Vascellaris) e il Premio per la Giovane Arte Italiana alla Biennale 2007, ottenuto con l’opera Revenge (un’impressionante parete lignea combusta incastonata di amplificatori da cui escono suoni, voci distorte e rumore cupo), riproposta e riattivata con varianti al MAXXI di Roma nel giugno del 2018 (Vascellari 2018). Performer, cantante, aggregatore di esperienze indipendenti, giocatore con le parole, assemblatore di suoni, oggetti e immagini: il suo sito web si apre con la discesa resiliente, e potenzialmente senza fine, di un tamburo che rotola lungo un bosco; un ritratto della sua attività, in forma di tassonomia immaginaria, si trova nel primo numero della rivista Cujo; mentre la sua pagina Instagram è un catalogo di incontri e relazioni, in cui si possono seguire tracce sonore, percorsi installativi, anteprima e backstage anche privati, hashtag misteriosi eppure eloquenti come #telepathy.
La passione per i numeri, per la prestidigitazione e per il mentalismo – che lo mette su una linea di discendenza che dal veneto Casanova arriva ai surrealisti eretici – si manifesta anche nelle tipologie di giochi della Bisca. Eccone alcune:
Il distributore automatico di palline, chewing-gum, pupazzetti, sfere trasparenti, è adattato da Vascellari a distribuire - dopo aver inserito le fiches richieste - foglietti con domande a cui il giocatore deve rispondere, e le frasi raccolte servono di ispirazione per opere future dell’artista. La slot-machine come macchina (e architettura) produttrice di poesia potenziale, di oracoli creativi e autonomi, è stata una delle grandi presenze del surrealismo anomalo di Joseph Cornell, ridotto da Vascellari all’osso della struttura e soprattutto reso partecipativo e co-attivo.
La pesca a sorpresa di opere nascoste in sacchetti neri della spazzatura appesi alla parete: in cambio di una fiche, al momento stabilito, si può correre verso i sacchetti per accaparrarsene uno. Dolcetti (e scherzetti), biglietti, Zettel, cd, collage sono il bottino più o meno apprezzato dai partecipanti. Un classico dell’intrattenimento popolare, ma anche una forma di marketing alternativa, se si pensa al fukubukuro giapponese. Da fuku che significa ‘fortuna’ e bukuro che vuol dire ‘borsa’, il termine indica i sacchetti che negozi e aziende mettono in vendita ‘al buio’ all’inizio dell’anno. Dentro ci si può trovare merce dal valore inferiore, ma talvolta anche superiore, al prezzo pagato e molti clienti accettano la scommessa (Il Post 2019). In cerca di forme di scambio sperimentali e parallele rispetto al circuito mercantile delle gallerie, Vascellari condensa l’aspettativa e la fortuna nella dinamica del sorteggio e l’agonismo nella corsa al sacchetto ‘vincente’ in termini di sorpresa e consistenza linguistica.
Un altro gioco allestito nella Bisca riprende, variandola, la ‘righea’, una competizione tradizionale che si fa nel periodo della Pasqua a Vittorio Veneto, usando uova sode, al posto di palle o bocce, da lanciare su catini di argilla. La ‘righea’ della Bisca si svolge in una stanza semibuia, occupata quasi completamente da un ripiano in argilla e tufo, dove è posizionato un uovo in bronzo realizzato dall’artista. Al costo di una fiche per ogni tentativo, si può lanciare un uovo sodo e cercare di avvicinarsi il più possibile all’esemplare bronzeo, per vincerlo come trofeo, ricordo e opera di valore.
Non c’entra la fortuna, ma la creatività dei presenti, nell’invito a completare con segni e disegni a piacere le lettere SC, le due consonanti comuni alle parole ‘Bisca’ e ‘Vascellari’: l’invenzione migliore vince la tela su cui le lettere sono tracciate dall’artista, che coglie nella sequenza – come un monogrammista antico – una ripetizione che emerge come un marchio. Non stupisce che Vascellari abbia riversato le proprie intuizioni verbo-visive nella campagna della maison Fendi, con anagrammi (Fendi/Fiend) palindromi (Roma/Amor) e ossimori cromatici.
Nella Bisca, i tavoli in legno, che ricordano – in contrasto dinamico con il resto dell’ambientazione – quelli delle sagre di paese, ospitano in tempi contigui i giocatori intenti a disegnare, giri di tombola diretti dall’artista e anche la cena a base di pizze (anch’esse oggetto di trasformazioni creative, con i pezzi residui che fanno da modello e matrice per future sculture).
In questa bisca d’autore, il rischio non riguarda la perdita di denaro né l’ossessione a ripetere, ma l’accettare regole diagonali, equivoche, inaspettate, travestite. Il lancio dei dadi, per esempio, è indirizzato alla creazione cooperativa di un’opera plastica e insieme all’individuazione del suo prezzo: il giocatore lancia tre dadi, la somma dei punti corrisponde (in proporzione) alla cifra da spendere per comprare gli stessi tre dadi, fissati su un ripiano nella posizione in cui sono caduti, e firmato dall’artista. Un loop concettuale fra caso, valore, denaro, autorialità.
“Fu l’umanista ferrarese Celio Calcagnini a chiarire, nel suo De talorum, tesserarum, et calculorum ludis (1544), come per la lingua romana alea identificasse il dado a sei lati, puntato dal numero uno al numero sei” (Dotti 2013, 35). Nella Bisca Vascellari il dado è dappertutto, compare sin dalla maniglia della porta del locale; ma è un dado strano, in cui il numero sei è ripetuto demonicamente su tutte e tre le facce visibili in prospettiva. Il suo profilo è proiettato rosso sulle pareti, sagomato con il tubo al neon e tatuato in diretta gratuitamente sui visitatori e sulle visitatrici che hanno scelto di portare su sé stessi questa immagine (in cambio, concorrono all’estrazione di un viaggio in un luogo da definirsi, non necessariamente ameno).
Qualche gioco prosegue poi anche oltre la chiusura della Bisca, per esempio quello della chat telefonica che alcuni visitatori accettano di intrattenere con sconosciuti per un periodo di tempo deciso dall’artista, consentendo alla cieca a una relazione a distanza, chissà se fortunata o meno.
Nella Bisca, ‘fortuna’ è una disposizione d’animo, un campo intermedio fra l’inventore Nico Vascellari e i suoi ospiti giocanti. E la Bisca è il luogo dove convergono le origini di questo artista, che racconta spesso dell’attrazione precoce per le situazioni rischiose, per la dimensione clandestina, per l’azione che incrina la superficie quotidiana interpolandovi nuove regole.
Rispondono a questi criteri anche la creazione, nel 2012, del gruppo Ninos Du Brasil: “Chi li ha visti narra di esperienze memorabili in grado di condensare in meno di mezz'ora le parate carnevalesche di Bahia, la fisicità dei concerti hardcore, la coralità delle tifoserie della curva e la techno primordiale” (fonte rockit.it) e, anni prima, intorno al 2005, lo sviluppo del progetto Codalunga, vòlto ad aggregare artisti e a far accadere situazioni creative al di fuori di pratiche curatoriali e produttive consuete. Sulle origini, i contesti partecipativi e le metamorfosi dell’esperienza musicale di Vascellari, si può leggere il fitto dialogo con Andrea Lissoni (Vascellari 2018, 30-72).
Infine, fra le diverse elaborazioni possibili del monogramma SC, una è un anagramma di Nico Vascellari: le quattordici lettere del suo nome e cognome si trasformano nella frase “Scrivi con l’alea”, dove SC segna l’incipit e le altre lettere rimettono in gioco inaspettatamente l’alea. Questa parola dall’origine incerta indica il dado, il gioco con i dadi e anche il rischio, il caso, l’incognita, oscillando – nella sua storia millenaria – fra il pericolo dell'azzardo e il calcolo delle combinazioni.
Lucia Amara racconta come il termine abbia in sé “qualcosa che non tutte le parole possiedono e che certi linguisti chiamano le condizioni anatomiche e fisiologiche della genesi di una parola, o la ‘vita pulsante’ delle parole, tutto ciò che è impossibile racchiudere in un lemmario” (Amara 2013, 99-107; Amara 2016). Nel caso di alea questo sovrappiù riguarderebbe “i gesti e le voci che si trattengono attorno al getto, nel momento della puntata”.
Questa rievocazione fisio-filologica, vertiginosamente distante nel tempo dal sotterraneo della Bisca di Nico Vascellari, ne attraversa gli spazi come una ventata che rimescola le carte (e i dadi) in tavola, e fa rabbrividire i presenti che offrono – divertendosi – nuova materia a un’antica cerimonia, officiata dall’artista sciamano, ‘happener’, catalizzatore e croupier al contempo.
Riferimenti bibliografici
- Amara 2013
Lucia Amara, Postfazione, in Marco Dotti, Il calcolo dei dadi. Azzardo e vita quotidiana, Milano 2013. - Amara 2016
Lucia Amara, Breve catalogo della parola alea, “La Rivista di Engramma” 137 (agosto 2016). - Giacomo Casanova, Storia della mia vita
G. Casanova, Histoire de ma vie, ed. it. Storia della mia vita, a cura di Piero Chiara e Federico Roncoroni, vol. III (1764-1774), Milano 1989. - Dotti 2013
Marco Dotti, Il calcolo dei dadi. Azzardo e vita quotidiana, Milano 2013. - Il Post 2019
Fukubukuro, gli strani saldi giapponesi, “Il Post”, 12 gennaio 2019. - Vascellari 2018
Nico Vascellari Revenge, catalogo della mostra (Roma, MAXXI, 8 giugno – 9 settembre 2018) a cura di B. Pietromarchi, Imola 2018.
Sull’artista si veda anche:
- http://www.nicovascellari.com
- NV Nico Vascellari, catalogo della mostra (Bolzano, Museion, 5 giugno – 29 agosto 2010) a cura di L. Ragaglia, Milano 2010.
English abstract
The essay is a review of the exhibition ‘Bisca Vascalleri’, by the Italian artist Nico Vascellari, held in Rome during Winter 2018 that will be re-launched in an itinerant format in 2019. A Roman project space run by laria Marotta and Andrea Baccin (Cura Basement) has been transformed for a month into a gambling house, where people can participate in games invented by the artist, testing one’s skills, imagination, willing to take risks and, generally, try one’s luck. With a few chips and limited expenditure, all gamblers have a chance to win a work by Vascellari. The ‘Bisca’ has triggered both amusement and reflections on the topics of gambling, participatory creativity, alternative art markets and the value of original artwork.
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Per citare questo articolo: Antonella Sbrilli, In forma d’azzardo. Una nota su ‘Bisca Vascellari’, “La Rivista di Engramma” n. 162, gennaio/febbraio 2019, pp. 137-143. | PDF dell’articolo