Questo contributo sulla figura di Peter Behrens ‘educatore’ trae spunto dalle sollecitazioni del convegno sulla ricezione critica e sull’influenza del pensiero e dell’opera di Behrens nel mondo tenuto al Warburg-Haus di Amburgo nel maggio 2015 (Zeitloses und Zeitbewegtes. Zur wechselnden Wahrnehmung und Wirkung des Werkes von Peter Behrens), in occasione della presentazione del volume antologico che raccoglie i suoi scritti (Frank, Lelonek 2015).
Tra i diversi momenti della ricezione di Behrens in Italia – questo era il tema del mio intervento – uno in particolare aveva catturato la mia attenzione: la presenza di Behrens alla V Triennale di Milano nel 1933 e la sua partecipazione alla Réunion Internationale d’Architectes organizzata a Milano dalla rivista francese “L’Architecture d’Aujourd’hui” in collaborazione con il Sindacato Nazionale degli Architetti Italiani e con la Triennale di Milano (Architecture d’Aujourd’hui 1933) [Figg. 1, 2].
La prima ragione per cui questo episodio mi ha colpito in modo particolare è assai banale. Nel numero de “L’Architecture d’Aujourd’hui” dell’ottobre 1933 dedicato all’incontro era contenuto, tra gli altri, un testo di Behrens in lingua francese di cui ignoravamo l’esistenza e che non avevamo preso in considerazione nella raccolta degli scritti appena pubblicata. Ma c’è un’altra ragione: il tema di quell’incontro internazionale era “La formazione dell’architetto”, dunque un punto di partenza ideale per parlare di Behrens als Erzieher.
In realtà di educazione Behrens parla molto poco – il testo è una ripresa letterale del già noto saggio Zeitloses und Zeitbewegtes del 1932 (Frank, Lelonek 1030-1044) – ma nel corso della ricerca sono emersi altri interessanti elementi e temi, di cui tratterò qui di seguito, in cinque punti:
I. La V Triennale di Milano del 1933
II. La Mostra Internazionale di Architettura
III. Peter Behrens: Die Baugesinnung des Faschismus (1933)
IV. La Réunion Internationale d’Architectes
V. Il contributo di Peter Behrens ne “L’Architecture d’Aujourd’hui”
I. La V Triennale di Milano del 1933
La V Triennale di Milano è innovativa da due punti di vista. Innanzitutto si tratta della prima Triennale organizzata nel nuovo Palazzo dell’Arte, appositamente costruito a Milano come sede permanente dell’istituzione. Le quattro precedenti Esposizioni di arte decorativa e industriale moderna – due Biennali più una Triennale organizzate tra il 1923 e il 1930 – si erano infatti tenute nella Villa Reale di Monza (Pica 1957; Pansera 1978; Marchesoni; Giussani 1985).
Presidente e artefice del trasferimento della Triennale da Monza a Milano era stato Giulio Barella, Direttore amministrativo della Rivista “Il Popolo d’Italia” e presidente della Triennale da 1930 al 1938, in collaborazione con l’artista Mario Sironi. La collaborazione tra Barella e Sironi era cominciata nel 1928 alla Esposizione Internazionale della Stampa di Colonia (Internationale Presseschau Köln) e si era consolidata con l’Esposizione internazionale di Barcellona del 1929. Il Direttorio della V Triennale era composto da Sironi, Gio Ponti e Carlo Alberto Felice [Figg. 3, 4].
Il progetto del Palazzo dell’Arte, commissionato grazie al lascito del Senatore Antonio Bernocchi, imprenditore tessile, attraverso il Senatore Giuseppe De Capitani D’Arzago, depositario del lascito e presidente della Fondazione Bernocchi, viene affidato direttamente a Giovanni Muzio, già responsabile per la costruzione del monumento ai caduti della prima guerra mondiale, e realizzato a tempo di record. I primi disegni datano ottobre e dicembre 1931, la posa della prima pietra è del 28 ottobre 1931, la concessione edilizia del febbraio 1932 e l’inaugurazione ha luogo il 10 maggio 1933 dove Marcello Visconti di Modrone, podestà di Milano, legge un discorso alla presenza del Re Vittorio Emanuele III, il Re il Duca di Bergamo Adalberto di Savoia-Genova, e Luigi Federzoni, Presidente del Senato (Fiori, Belski 1982)[Fig. 5, 6] nel Salone d’onore.
Per il Palazzo dell’Arte viene scelta un’area centrale, di proprietà comunale, all’interno del Parco Sempione, e Muzio propone una posizione a conclusione dell’asse sud-ovest, in modo da completare il sistema monumentale composto dal Castello Sforzesco, dall’Arco della Pace e dall’Arena [Fig. 7]. Dal punto di vista distributivo e funzionale si tratta di un moderno edificio per esposizioni, dotato di tutti i servizi necessari, con una superficie di 12.000 mq di cui 8.000 mq solo per l’area espositiva, la cui specificità si riflette nella complessa articolazione volumetrica [Fig. 8].
La critica ipotizza su solide basi una collaborazione artistica tra Muzio e Sironi nel progetto dell’edificio, in particolare per quanto riguarda l’ingresso, che presenta il motivo dell’arco trionfale in forme astratte e semplificate ampiamente utilizzato da Sironi anche per l’allestimento degli interni [Fig. 9]. Muzio e Sironi avevano peraltro già collaborato nel padiglione italiano alle esposizioni di Colonia nel 1928 e di Barcellona del 1929 oltre che alla IV Triennale di Monza nel 1930.
Ma questa triennale è innovativa anche da un altro punto di vista. Nel 1933 per la prima volta viene affiancata alla Triennale delle Arti Decorative e Industriali Moderne anche l’Esposizione Internazionale di Architettura Moderna. L’esposizione assume così un forte carattere internazionale e l’architettura acquista un ruolo centrale. La brochure della mostra di architettura viene pubblicata in quattro lingue: italiano, francese, inglese e tedesco. Ho trovato solo una immagine della copertina della versione francese e una fotografia del frontespizio di quella tedesca; un esemplare completo non è conservato neppure nell’archivio della Triennale. Occorre qui precisare che l’archivio cartaceo della V Triennale, cioè documenti, corrispondenza, contabilità ecc., è andato perduto durante la seconda guerra mondiale. È disponibile oggi solo la documentazione fotografica. Sulla copertina della brochure c’era una riproduzione dell’Apollo di Veio, una delle più celebri sculture di epoca etrusca, come simbolo della volontà di combinare in questa esposizione rievocazione classica e modernità [Figg. 10, 11].
Ma il tema centrale dell’esposizione era l’unità dell’architettura e di tutte le altre arti, sia le ‘maggiori’, pittura e scultura, sia le ‘minori’ o ‘applicate’. Un tema che in Germania aveva già fatto epoca, se pensiamo al Deutscher Werkbund o al Bauhaus, fondati l’uno nel 1907 e l’altro nel 1919 e definitivamente soppressi dal nazionalsocialismo rispettivamente nel 1934 e nel 1933.
La convivenza della dimensione pratica e simbolica, dell’arte applicata alla vita e dell’arte pura, che innalza lo spirito, è una questione che Behrens tematizza programmaticamente nella sua opera e negli scritti già nel periodo di Darmstadt, cioè intorno al 1900. Il teatro, uno dei suoi primi interessi, viene eletto a metafora della relazione tra arte e vita (Feste des Leben und der Kunst (1900), in Frank, Lelonek 2015, 120-126): esso rappresenta in forma esemplare l’unità tra materiale e spirituale, ma è anche un interessante laboratorio la sperimentazione artistica sul tema dell’unità delle arti nello spazio (Die Dekoration der Bühne (1900); Die Dekorative Bühne (1900); Bühnenarchitektur (1907); Über die Kunst auf der Bühne (1910), in Frank, Lelonek 2015, rispettivamente 116-119, 255-257, 342-351).
La prima opera architettonica di Behrens, la sua casa sulla Mathildenhöhe a Darmstadt, vuole essere in tutto e per tutto un Gesamtkunstwerk, un manifesto dell’opera d’arte totale, come era ovvio per un giovane artista Jugendstil all’inizio del 1900 (Haus Peter Behrens (1901), in Frank, Lelonek 2015, 160-167). L’edificio nel suo complesso deve apparire come un’unità formale ideale permeata insieme dall’arte e dalla vita, e il risultato non passa inosservato: su Haus Behrens scrivono, tra gli altri, Julius Meier-Graefe, Karl Scheffler, Kurt Breysig e Wilhelm Schaefer, solo per citare i più noti (Meier-Graefe 1901; Scheffler 1901; Breysig 1901; Schaefer 1901; Meier-Graefe 1902).
Qui è tuttavia già evidente che il Gesamtkunstwerk di Behrens è disciplinato da un punto di vista architettonico o, per dirla più semplicemente, è reinterpretato come opera architettonica. Gli scritti programmatici della Scuola di Arti Applicate a Düsseldorf – la nomina di Peter Behrens a direttore della Kunstgeweberschule è del 1903 – descrivono questo processo come un passaggio logico necessario:
Die logische Entwickelung der neuzeitlichen angewandten Kunst hat zur Architektur geführt. Die logische Weiterentwickelung der Architektur wird zu einem Zusammenfassen aller Kunstgattungen führen, was eine künstlerische Befruchtung und Umgestaltung unserer gesamten ästhetischen Lebensäußerungen im Gefolge haben wird. Der einzelne abgelöste Gegenstand wird nur im Geiste einer gesamtkünstlerischen Auffassung, im Zusammenhang mit der Architektur eine sachgemäße, künstlerisch wertvolle Form gewinnen können. “Architektur und Kunst” werden damit “wieder synonyme Begriffe” (Behrens [1906] 2015, 121, 132, 134).
[Lo sviluppo logico dell’arte applicata moderna ha portato all’architettura. L’ulteriore sviluppo logico dell’architettura porterà ad una sintesi di tutti i generi artistici e avrà come conseguenza una fioritura dell’arte e una trasformazione di tutte le espressioni estetiche della nostra vita. Il singolo oggetto indipendente potrà conquistare una forma adeguata e artisticamente valida solo nello spirito di una concezione artistica globale e in relazione all’architettura [...]. “Architettura e arte” torneranno ad essere nuovamente “termini sinonimi”].
Nel 1907 Behrens figura, insieme ad altri artisti, designer e imprenditori, tra i fondatori del Deutscher Werkbund, l’organizzazione che ha unito i principi del movimento inglese Arts and Crafts con le nuove e moderne idee di produzione per avvicinare la progettazione degli oggetti di uso quotidiano all’arte, e nello stesso anno materializza egli stesso queste teorie nel suo lavoro di consulente artistico per la AEG.
Per la V Triennale Mario Sironi assume allo stesso modo il ruolo di ideatore, promotore, architetto e artista: si occupa dell’organizzazione e della grafica in tutte le sue forme, progetta l’allestimento degli spazi e realizza importanti opere d’arte (Bigai 1999; Sironi, Sironi 2003; Longari 2007; Spadoni, Serri, Fienga 2014). Sironi è assistito nella realizzazione dei lavori dagli architetti Angelo Bordoni e Antonio Carminati [Figg. 12, 13, 14, 15, 16, 17].
Tanto importante per Sironi e per gli altri curatori della Triennale quanto la questione dell’unità delle arti era il tema, per dirla con Ponti, dell’arte come “l’espressione, la testimonianza dei costumi e della educazione di un popolo, vale a dire della sua civiltà” (v. Longari 2007, 11). Tema questo – la dialettica tra arte, cultura e civiltà – centrale anche nella riflessione di Peter Behrens, come possiamo vedere negli scritti, a partire da Kunst und Technik del 1909.
A questo proposito, non dobbiamo dimenticare che la Triennale del 1933 è uno specchio fedele della politica culturale del fascismo e del suo desiderio di affermarsi sulla scena internazionale e che l’autorappresentazione della civiltà italiana era un tema centrale della sua politica culturale. Il 28 ottobre 1932 era stata inaugurata a Roma, nel Palazzo delle Esposizioni progettato da Adalberto Libera e Mario De Renzi, la Mostra della Rivoluzione Fascista, con la partecipazione, tra gli altri, di Mario Sironi. Il grande successo della esposizione ne aveva consentito il prolungamento dell’apertura fino al 28 ottobre 1934, con un bilancio finale di 4 milioni di visitatori (Emporium 1933, 238).
La necessità di autorappresentazione del fascismo attraverso le arti si manifesta in una forma del tutto particolare. Si verifica, infatti, nell’Italia del periodo tra le due guerre, un sorprendente fenomeno di conciliazione degli opposti: Futurismo, Novecento e Razionalismo convivono, in nome della rinascita delle arti, più o meno pacificamente, sotto lo stesso tetto. E il fascismo si mostra, soprattutto nei suoi grandi eventi culturali, come il regista più o meno consapevole di questa armonizzazione con cui si presenta al pubblico italiano e internazionale (Celant 2018). Tra le personalità politiche che partecipano all’inaugurazione della V Triennale di Milano, oltre ai padroni di casa il presidente del consiglio Benito Mussolini e il re Vittorio Emanuele III, è visibile nelle fotografie anche Joseph Goebbels, Ministro per l’Educazione popolare e la Propaganda del Reich tedesco [Fig. 18]. Inaugurata il 10 maggio 1933, l’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative e Industriali Moderne e dell’Architettura Moderna è rimasta aperta fino alla fine di settembre del 1933 e ha avuto 641.126 visitatori paganti.
La Mostra Internazionale di Architettura era situata al piano terra del nuovo edificio della Triennale [Fig. 19]. L’esposizione era costituita da un atrio, progettato con pilastri liberi dal pittore Felice Casorati; dalla Galleria delle Nazioni, che esponeva grandi pannelli fotografici con immagini di opere costruite, circondate sulle pareti dai ‘progetti di edifici tipici’; nell’abside c’erano la sezione italiana e, infine, la galleria di mostre personali [Fig. 23].
La galleria di mostre personali presentava una selezione di autori stranieri. In nicchie opposte si fronteggiavano: Dudok e Sant’Elia, Hoffmann e Gropius, Frank Lloyd Wright e Le Corbusier, Lurçat e Loos, Melnikoff e Mendelsohn, Perret e Mies van der Rohe. I cosiddetti ‘fotomosaici’ – essenzialmente collage fotografici di opere costruite – erano grandi pannelli disposti in ordine alfabetico per nome della nazione (in numero di venti, dall’Argentina all’URSS) uno dietro l’altro lungo l’asse centrale della stanza, e dovevano rappresentare “un’immagine, per così dire, panoramica e per quanto sintetica pur sempre suggestiva e caratteristica dell’architettura contemporanea in ogni nazione” (Pica 1933) [Fig. 20].
La partecipazione di Peter Behrens all’Esposizione Internazionale di Architettura era in rappresentanza non della Germania, bensì dell’Austria, e consisteva in quattro fotografie della Tabakfabrik di Linz nel fotomosaico austriaco della Galleria delle Nazioni [Fig. 23].
Insieme alla fabbrica di tabacco di Behrens e Alexander Popp, nel catalogo sono pubblicati una casa d’abitazione di Lois Welzenbacher, un isolato di residenza sociale di Ernst Lichtblau a Vienna e la Volkswohnhaus Dielgasse del comune di Vienna degli architetti Fritz Judtmann ed Egon Riss.
Qui, tuttavia, c’è qualcosa che non torna: se si confrontano le foto pubblicate nel catalogo e le foto del collage nella mostra, solo due degli edifici sopra elencati sono riconoscibili e la foto di Behrens è specchiata [Fig. 21].
Curatore della sezione austriaca era Felix Augenfeld (1893-1984), allievo di Adolf Loos, che dal 1922 aveva uno studio a Vienna insieme a Karl Hofmann e che con l’avvento del nazionalsocialismo sarà costretto a emigrare, prima a Londra nel 1938 e poi negli Stati Uniti.
Augenfeld è anche autore del saggio sull’Austria nel catalogo ufficiale della V Triennale, dove cerca di inquadrare il contributo austriaco nel dibattito sull’architettura moderna. A questo saggio di Augenfeld fa riferimento Agnoldomenico Pica (curatore del catalogo ufficiale del 1933) in un articolo del maggio 1935 pubblicato sulla rivista “Emporium” intitolato: Architettura ultima e penultima in Austria.
Il testo prende le mosse dalla Secessione, che, nonostante tutti i limiti, ha avuto il merito indubbio di affermare una “cosciente rivendicazione dell’indipendenza costruttiva di fronte all’impaccio degli schemi storici” e di affrontare “la necessità di una disciplina unitaria di fronte alla versiforme baraonda dell’eclettismo imperversante”. Quindi si riferisce, come a due esperienze opposte, al lavoro di Josef Hoffmann, che è in grado di “conciliare la funzione con la rappresentazione, che è quanto dire la ragion pratica con la necessità estetica”, e a quello di Adolf Loos, la cui “identificazione della civiltà con la progressiva abolizione dell’esornativo e del pleonastico è una intuizione nettamente moderna e anticipatrice” (Pica 1935, 288-290). In questo contesto, egli menziona Alexander Popp, “unitosi al Behrens nella costruzione della bellissima fabbrica di sigarette di Linz”, con una fotografia dell’edificio (Pica 1935, 294-295).
Agnoldomenico Pica pubblicherà inoltre, nel 1938, nella serie dei Quaderni della Triennale dell’editore Hoepli di Milano, il volume Nuova architettura nel mondo, con una prefazione di Giuseppe Pagano, catalogo della mostra esposta nella Galleria Internazionale della VI Triennale di Milano del 1936; l’anno prima, cioè nel 1937, aveva pubblicato il libro dedicato alla nuova architettura italiana esposta nella stessa Triennale (v. Pica 1937 e Pica 1938).
Peter Behrens riappare qui insieme ad Alexander Popp, ancora come rappresentante non della Germania, ma dell’Austria, con la fabbrica di tabacco di Linz. Hermann Gretsch era il commissario per la selezione dei progetti per la Germania, mentre Carl Brunner e Max Fellerer erano i responsabili per l’Austria. La selezione riguarda in ogni caso opere realizzate nel periodo compreso tra il 1933 e il 1936, anni in cui le ultime opere berlinesi di Behrens, Alexanderhaus e Berolinahaus, erano già completate.
Che la fabbrica di tabacco fosse stata assunta nella ricezione internazionale come opera-manifesto dell’ultimo Behrens è testimoniato anche da un numero di “Costruzioni-Casabella” uscito nel 1942 (dopo la morte di Behrens), sotto la direzione di Giuseppe Pagano, con un contributo riccamente illustrato dedicato al complesso di Linz (Diotallevi, Marescotti 1942, 10-13).
La Germania era anche presente nell’area espositiva al primo piano della Triennale, nella sezione delle mostre estere, in un allestimento organizzato dal Deutscher Werkbund di Berlino (direttore era Ernst Jäckh). La mostra, organizzata dal Deutscher Werkbund E. V. di Berlino, era limitata a un ramo specifico della produzione di arti applicate, ovvero all’arte industriale grafica e alle arti decorative e industriali [Fig. 22]. Anche qui si potrebbe, dunque, ipotizzare una presenza di Behrens, ma non ne ho trovato alcuna traccia. L’Austria aveva invece dedicato la sua mostra, a cura di Felix Augenfeld e allestita da Oskar Strnad, ai tessuti.
Mi sono anche chiesta se Behrens avesse partecipato a una Biennale o Triennale milanese prima del 1933. Come ho già accennato, la Biennale dell’arte decorativa e industriale, fondata nel 1918, aveva già organizzato quattro esposizioni nella Villa Reale di Monza, nel 1923, 1925, 1927 e 1930.
Nella sezione delle esposizioni estere la Germania era sempre presente, rappresentata in particolare dal Deutscher Werkbund. Nel 1925 il curatore era Walter Rietzler, membro fondatore del Werkbund nel 1907 e poi direttore del Museo di arti applicate di Stettino; nel 1927 era Bruno Paul, anch’egli membro fondatore del Werkbund e direttore dal 1924 delle Vereinigten Staatsschulen für freie und angewandte Kunst, le scuole d’arte statali unificate di Berlino.
Nel 1930 l’esposizione è curata dalla sezione di Berlino del Deutscher Werkbund con un allestimento di Ludwig Hilberseimer. Solo qui è possibile ipotizzare la presenza di Behrens, dato che erano esposte, come si legge nel regesto delle opere, apparecchiature elettriche della Siemens e della AEG. Per entrambe le aziende Behrens aveva disegnato molti prodotti. Ma non ci sono immagini nel catalogo (Mostra Internazionale delle Arti Decorative 1927, 192).
La grande attrazione architettonica della Triennale del 1933, tuttavia, erano le ventuno case prototipiche per diverse categorie di abitanti di diversi strati sociali, costruite nel parco e rifinite nei minimi dettagli [Figg. 24, 25].
Anche la pubblicistica tedesca aveva dato ampio spazio alla mostra (v. Ermers 1933; Hoffmann 1933). Behrens stesso pubblica nel novembre 1933 sulla rivista “Die neue linie” un articolo con otto fotografie di case italiane moderne. Il titolo dell’articolo è Die Baugesinnung des Faschismus ed è espressamente dedicato alle architetture italiane progettate per la V Triennale del 1933 e costruite nel parco del castello [Fig. 26]. Così Behrens inizia il suo articolo:
Die alte Sehnsucht des Deutschen nach Italien hatte auch mich wieder nach dem sonnigen Süden getrieben, diesmal aber nicht nach den Städten alter Kultur, sondern in die moderne und lebhafte Stadt des Nordens, die durch die große Schau ‘Triennale’ zur Zeit in den Mittelpunkt des europäischen Interesses gestellt ist: nach Mailand (Behrens 1933).
[L’antico anelito dei tedeschi per l’Italia mi ha spinto di nuovo verso il soleggiato sud, ma questa volta non verso le città di antica cultura, ma nella moderna e vivace città del nord, che ora si trova al centro dell’interesse europeo grazie alla grande mostra ‘Triennale’: a Milano].
Behrens è colpito dallo spirito generale della mostra che, come ho detto prima, è certamente in continuità con la sua lunga esperienza di progettista di allestimenti e di edifici espositivi.
Es liegt mir fern, auf alle Sonder- und Spezialausstellungen zu blicken. Wenn ich von der Ausstellung der Triennale spreche, so denke ich mehr an den Gesamteindruck, der im Repräsentativen liegt, und dann zeigt sich, wie es hier gelungen ist, eine Manifestation gesamtkünstlerischen Erwachens und Zusammenklingens der Künste in all ihren verschiedenen Gattungen wie Malerei und Plastik mit Technik und Architektur zu einer harmonischen Einheit zu verschmelzen (Behrens 1933).
[Lungi da me l’idea di mettermi a guardare tutte le mostre eccezionali e speciali. Quando parlo dell’esposizione della Triennale, penso piuttosto all’impressione generale che sta nel risultato di grande effetto. E poi si vede, come si sia riusciti qui a realizzare una manifestazione che rappresenta una rinascita artistica e una sintesi armoniosa delle arti in tutti i diversi generi, come pittura e scultura, con la tecnica e l’architettura].
Ciò che più interessava Behrens, tuttavia, era come, in Italia si fosse riusciti a dare significato e forma al concetto di
… “Rationalismus” (als “bis ins Letzte geführte Vereinfachung der Formen gegriffen “) als “großen nationales Erlebnis zu formen und zu gestalten” (Behrens 1933).
… “razionalismo” (inteso come “la semplificazione delle forme portata fino all’estremo”) come a “una grande esperienza nazionale”.
L’identificazione del razionalismo con lo stile nazionale del fascismo è, ovviamente, una visione semplificata. La situazione italiana nel 1933 è molto più complessa e frammentata. Behrens, tuttavia, comprende chiaramente la peculiarità del razionalismo italiano, cioè, il riferimento a qualcosa di “classico ” e persino di “antico”, che lo distingue dalla “banalità” del razionalismo internazionale (Frank, Lelonek 2015, 1065-1069).
Il testo è altrimenti molto generico e, come è consuetudine per Behrens, non ci sono riferimenti diretti agli architetti o alle opere che sono effettivamente raffigurate nelle immagini. Tuttavia Behrens avrebbe potuto esprimersi con competenza, dato che aveva familiarità con il tema della villa ed era per questo ben noto anche in Italia. Si potrebbe perfino pensare che Behrens non si sia recato personalmente alla mostra, se non fosse che ne parla nell’articolo e soprattutto se non sapessimo che Behrens era effettivamente a Milano nel settembre del 1933.
Dal 16 al 18 settembre 1933, la rivista francese “L’Architecture d’Aujourd’hui” organizza a Milano la II Réunion Internationale d’Architectes, con un convegno dedicato alla formazione dell’architetto. Il direttore di “L’Architecture d’Aujourd’hui” era André Bloc, il caporedattore Pierre Vago. Gli incontri (Réunion Internationale d’Architects – RIA) erano stati istituiti da Pierre Vago nel 1932 come risposta francese ai Congressi Internazionali di Architettura Moderna (CIAM). Il primo si era tenuto a Mosca nel 1932.
All’incontro in Triennale partecipano circa 150 architetti italiani e 130 architetti stranieri. La delegazione più numerosa è rappresentata dagli architetti francesi e inglesi, mentre erano presenti pochi tedeschi. Erano invitati, ma non hanno partecipato: Heinrich Tessenow, Hans Poelzig e Erich Mendelsohn oltre al Bund Deutscher Architekten. Che Peter Behrens fosse personalmente presente alla riunione, lo sappiamo con certezza dai verbali delle riunioni:
Um 15:00 Uhr, im Kongresssaal der Triennale, erste Arbeitssitzung. Unter Vorschlag von Herr Calza-Bini, wird Herr Auguste Perret (Frankreich) einstimmig als Vorsitzender des zweitens internationalen Architektentreffen! Vier Vizepräsidenten werden dann nominiert: Prof. Peter Behrens (Deutschland), Prof. Gaetano Moretti (Italien), Direktor der Architektur Hochschule von Mailand; Prof. Lopez Otero (Spanien), Direktor der Architektur Hochschule von Madrid; und Herr Koeff (Bulgarien) (Architecture d’Aujourd’hui 1933, 38).
[Alle 15:00, nella Sala dei congressi della Triennale, prima sessione di lavoro. Su proposta del Sig. Calza-Bini, Auguste Perret (Francia) è eletto all’unanimità presidente della seconda riunione internazionale degli architetti! Vengono quindi nominati quattro vicepresidenti: il Prof. Peter Behrens (Germania), il Prof. Gaetano Moretti (Italia), Direttore della Scuola di Architettura di Milano; il Prof. Lopez Otero (Spagna), Direttore della Scuola di Architettura di Madrid; e il Sig. Koeff (Bulgaria)].
In una immagine sfocata di una delle sessioni del congresso immagino che Peter Behrens sia il quarto da sinistra, seduto di fianco ad Auguste Perret [Fig. 27]. Era presente anche Julius Posener (L’Architecture d’Aujourd’hui 1933, 43): “M. Julius Posener (Berlin), prend ensuite la parole”. Forse non è un caso se pochi mesi dopo Posener pubblicherà proprio su “L’Architecture d’Aujourd’hui” un lungo saggio sull’opera di Behrens (Posener 1934) [Fig. 28].
Venerdì 15 settembre 1933 gli architetti arrivano a Milano (le delegazioni austriaca, ungherese e bulgara vengono da Venezia, dove si erano incontrati un giorno prima). Il congresso in Triennale dura dal 16 al 18 settembre. Al termine del convegno, dal 19 al 25 settembre, 75 tra gli architetti partecipanti intraprendono un viaggio di studio attraverso l’Italia, con tappe nelle principali città del centro-nord. Il 19 settembre alla mattina il gruppo parte per Genova e nel tardo pomeriggio si dirige verso Roma in treno. Il 20 e 21settembre gli architetti sono a Roma (il 21 ricevuti da Mussolini). Il 22 settembre effettuano una escursione ad Ostia e al rientro visitano la Mostra della Rivoluzione Fascista che, come ho ricordato, rimane allestita fino all’ottobre del 1934. Il 23 settembre da Roma si spostano a Bologna. In serata addio ai colleghi bulgari che rientrano passando da Venezia. Il 24 settembre partono da Bologna alla volta di Torino. Il 25 e 26 settembre sono a Firenze. La cronaca pubblicata sulla rivista è in realtà frammentaria e a volte contraddittoria (il 24 settembre il gruppo risulta essere contemporaneamente a Torino e in visita a Littoria e alle paludi Pontine e poi in viaggio verso Firenze) [Fig. 29]. Il tema necessita di un approfondimento che qui non mi è stato possibile. Se Behrens fosse presente tra i viaggiatori non è verificato e le foto di gruppo non consentono una facile identificazione: portano quasi tutti il cappello.
È tuttavia interessante il fatto che nel 1938 Behrens pubblichi, sempre in “Die neue Linie”, con il titolo Neue italienische Bauten un secondo articolo dedicato all’architettura italiana con tredici fotografie di edifici degli anni Trenta (Frank, Leolonek 2015, pp. 1128-1131) e che molti di questi edifici siano tra quelli visitati dagli architetti della Réunion del 1933 durante il loro viaggio di studio.
La rivista “L’Architecture d’Aujourd’hui” nel n. 8 di ottobre-novembre 1933 pubblica i contributi dei partecipanti al convegno, formulati sulla base di un questionario di otto domande sulla formazione dell’architetto [Fig. 30].
Un testo di Behrens viene pubblicato tra le comunicazioni trasmesse alla Riunione Internazionale degli architetti dal Comitato nazionale austriaco. Anche in questo caso Behrens viene consultato come rappresentante dell’Austria in veste di professore alla dell’Accademia di Belle Arti di Vienna. Gli altri rappresentanti dell’Austria sono: Clemens Holzmeister (Rettore dell’Accademia di Belle Arti di Vienna) e Joseph Frank (direttore del Werkbund Austria). Per la Germania figura il parere dei professori Heinrich Tessenow e Hans Poelzig (risposte al questionario).
Rispetto agli altri contributi, che rispondono più o meno alle domande poste dal Congresso, il testo di Behrens è completamente disorientante. Come spesso accade con Behrens, egli non scrive alcun testo speciale, ma riprende più o meno letteralmente un testo già pubblicato, che aveva scritto in un’altra occasione. Infatti, dopo poche righe, ci rendiamo conto, come ho accennato all’inizio, che Behrens ha semplicemente tradotto in francese il saggio Zeitloses und Zeitbewegtes, del 1932. Il testo è ridotto a circa due terzi per ragioni editoriali e – come ho potuto verificare in un confronto letterale tra i due scritti – Behrens non introduce niente di nuovo.
Questa è la ragione della delusione rispetto al tema dell’educazione di cui ho parlato all’inizio: il testo non riguarda affatto la formazione dell’architetto, nemmeno in senso lato. Per Behrens, tuttavia, non sarebbe stato un argomento difficile. Aveva già affrontato il problema dell’educazione dell’artista e dell’architetto, in particolare quando era stato nominato direttore della Scuola di arti applicate di Dusseldorf nel 1903 e più tardi durante gli anni di insegnamento a Vienna (dal 1921 al 1927). A questo tema ha anche dedicato diversi scritti (Frank, Lelonek 2015, 191-217, 218-235, 496-513, 598-609, 718-735, 973-982). Nel 1933 forse non era più tanto interessato all’argomento. In ogni caso, l’articolo di “L’Architecture d’Aujourd’hui” mette davanti agli occhi del lettore lo stato delle riflessioni teoriche e critiche di Behrens sull’architettura in questa fase della sua carriera.
Ritmo, ripetizione e movimento sono i temi che lo accompagnano nel passaggio dall’arte all’architettura a grande scala, dal bidimensionale al tridimensionale, e trovano naturalmente riscontro nella sua produzione teorica. È precisamente “durch das rhythmische Prinzip der gleichmäßigen Reihung” (“attraverso il principio ritmico della ripetizione regolare”) che si possono raggiungere l’unità della forma e la corporeità dell’architettura, non solo attraverso “undurchbrochenen geraden Mauerflächen” (“ininterrotte superfici murarie piane”), come afferma in Einweihung des Verwaltungsgebäudes der Mannesmannröhren-Werke (1912) e in Über den Zusammenhang des baukünstlerischen Schaffens mit der Technik (1914) (Frank, Lelonek 2015, 439, 466).
Behrens vede la necessità di una definizione formale unitaria e di una solida corporeità dell’architettura in particolare nei “umfangreichen Geschäftshäusern der Großstädte” (“vasti edifici commerciali delle grandi città”), i cui requisiti tecnici e funzionali possono essere trasposti in forma artistica proprio attraverso “das rhythmische Prinzip ” (“il principio del ritmo”) di cui parla in Einfluss von Zeit- und Raumausnutzung auf moderne Formentwicklung (1914) (in Frank, Lelonek 2015, 477). Stando a Zur Ästhetik des Fabrikbaus (1929), Behrens stesso ha risolto in maniera esemplare questo problema artistico nel lungo fronte della Kleinmotorenfabrik per la AEG su Voltastraße “durch eine Pfeilerstellung aus stahlblauen Eisenklinkern, die durch ihre Farbe, ihre gerundete Form und ihre unzählige Wiederholung eine rhythmische Absicht anstrebt” (“attraverso una sequenza di pilastri rivestiti in clinker sui toni del blu, che grazie al colore, alla forma arrotondata e alla ripetizione infinita perseguono l’intento di generare un ritmo, permettendo così, attraverso la struttura seriale della costruzione, di percepire l’edificio come un’unità” (in Frank, Lelonek 2015, 956) [Fig. 31]).
Anche nella composizione della relazione tra pieni e vuoti, tra aperture e superficie muraria in una facciata, Behrens attribuisce una importanza decisiva al ritmo, come spiega nel testo dedicato al suo edificio amministrativo Mannesmann a Düsseldorf:
Ein Geschäftshaus verlangt Licht und darum viele Glasflächen. Große zusammenhängende Scheiben aber wirken naturgemäß wie Löcher und zerreißen die Gesamtform. Die enger gestellten Pfeiler jedoch belassen dem Haus (...) die Wirkung einer geschlossenen Wandfläche. Wenn man nicht den Standpunkt genau in der Achse des Hauses hat, sondern von irgend einer Seite hinzutritt, wirken die Fenster nicht als Öffnungen, sondern das Mauerwerk der Pfeiler dominiert im Interesse einer einheitlichen Fassadenwirkung (Behrens [1912] 2015).
[Un edificio commerciale richiede luce e quindi molte superfici vetrate. Ma grandi lastre contigue, agiscono come buchi e distruggono la forma complessiva. Tuttavia, la fitta sequenza di pilastri conferisce all’edificio [...] l’effetto di una superficie di parete chiusa. Se ci si trova in un punto di osservazione che non è esattamente nell’asse della casa, ma ci si avvicina di lato, le finestre non agiscono come aperture, ma la muratura dei pilastri domina nell’interesse di un effetto facciata uniforme – Fig. 32].
Come mostra chiaramente questa citazione, affinché la disposizione ritmica degli elementi abbia effetto, è determinante anche la posizione dell’osservatore che si muove attorno all’edificio. L’impressione della corporeità di un edificio è prima di tutto una questione di percezione e di effetto. La constatazione “daß unsere Zeit schneller geht als die unserer Väter” (“che il nostro tempo è più veloce di quello dei nostri padri”) porta Behrens a considerare il mutamento delle condizioni estetico-formali dell’architettura urbana. Da questa prospettiva Behrens trae la conclusione che “dai veicoli che sfrecciano per le strade della nostra città [...] così come dal treno espresso” (Frank, Lelonek 2015, 362), lo spettatore non si può più concentrare sui particolari e “vedere i dettagli degli edifici [...]. I singoli edifici non parlano più per se stessi” (Frank, Lelonek 2015, 419), conta solo la loro “silhouette”, precisamente “la silhouette dei grandi complessi architettonici” (Frank, Lelonek 2015,476).
Nel suo scritto Einfluss von Zeit- und Raumausnutzung auf moderne Formenentwicklung, Behrens approfondisce ulteriormente questa idea:
Zeit- und Raumausnutzung könnte man ihrer Wirkung nach als das rhythmische Prinzip bei der Formgestaltung auffassen. Rhythmik ist eigentlich ein Zeitmaß, ein Maß der Bewegung (Behrens [1914] 2015).
[L’uso del tempo e dello spazio potrebbe essere interpretato come il principio ritmico di definizione della forma. Il ritmo è in realtà una misura del tempo, una misura del movimento].
Attraverso la combinazione di percezione e movimento, il concetto stesso di forma diventa un’espressione di spazio e tempo (Behrens [1914] 2015, 477, 481).
Infine, nello scritto Zeitloses und Zeitbewegtes del 1932 – quello che Behrens propone a “L’Architecture d’Aujourd’hui” – queste considerazioni trovano anche un riferimento filosofico. Behrens (Frank, Lelonek 2015, 1036) attribuisce a Henri Bergson il merito di aver “coordinato”, sulla scorta dell’epistemologia di Kant, “den Zeitbegriff mit dem Raumbegriff” (“il concetto di tempo con la nozione di spazio”).
Per inciso, Eugen Diederichs, l’editore tedesco di Bergson, era uno dei membri fondatori del Werkbund nel 1907, quindi non è difficile supporre che Behrens avesse facile accesso ai suoi libri. Diedrichs aveva pubblicato Materie und Gedächtnis (Materia e memoria) nel 1908, Einführung in die Metaphysik (Introduzione alla metafisica) nel 1909, Zeit und Freiheit (Tempo e Libertà) nel 1911 e Schöpferische Entwicklung (L’evoluzione creatrice) nel 1912. Dopo la guerra i due riprendono contatto e vengono ripubblicati nel 1920 Zeit und Freiheit e nel 1921 Materie und Gedächtnis e Schöpferische Entwicklung. Nel 1921 esce anche Einführung in die Metaphysik (Introduzione alla metafisica), nel 1928 Die seelische Energie (L’energia spirituale) e nel 1933 Die beiden Quellen der Moral (Le due fonti della morale e della religione) (Zanfi 2013).
Behrens vuole elevare questa unità di spazio e tempo, come aveva fatto prima di lui Erich Mendelsohn nel 1923 in Dynamik und Funktion (Dinamica e funzione) e, con lui, avevano fatto altri architetti sotto l’influenza della teoria della relatività di Einstein, a principio di una fondamentale rifondazione dell’architettura nel segno del movimento:
Und wenn von Stilwende gesprochen wird, so ist damit gemeint, daß die Statik, das Stehen, Lagern und sichere Ruhen der Bauglieder nicht mehr den Anreiz zu neuer, charaktervoller Formbildung gibt, sondern daß es die Dynamik ist: die Bewegung, die Bewegtheit, das Pulsieren und Lebendige, an das unser ganzes Dasein gebunden ist (Frank, Lelonek 2015, 931).
[E se si parla di un cambiamento di stile questo significa che non è più la statica, il sostegno, l’appoggio e l’equilibrio degli elementi architettonici a fornire l’incentivo per una nuova, caratteristica definizione della forma, ma è la dinamica: il movimento, l’emozione, la pulsazione e la vita a cui tutta la nostra esistenza è legata].
Questa idea è programmaticamente trascritta nell’immagine del lungo fronte della fabbrica di tabacco di Linz che era esposta alla Triennale. Qui, tuttavia, sembra che Behrens non agisca più come formatore, ma che preferisca piuttosto uniformarsi alla linea modernista degli allievi e dei colleghi più giovani [Fig. 33].
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English abstract
This paper documents Peter Behrens’ presence at the V Triennale di Milano in 1933 and his participation in the Réunion Internationale d’Architectes organized in Milan by the French magazine “L’Architecture d’Aujourd’hui” in collaboration with the National Union of Italian Architects and the Triennale. In the new seat of the Palazzo dell’Arte, opened for the occasion in May 1933, Behrens participates in the International Architecture Exhibition representing not Germany but Austria with four photographs of the Linz tobacco factory in the Austrian photomosaic of the Nations Gallery. The great architectural attraction of the 1933 Triennale, however, were the 21 prototypical houses for different categories of inhabitants of different social classes, built in the park and finished to the smallest detail. In November 1933, Behrens publishes in the magazine Die neue linie an article with eight photographs of modern Italian houses. The title of this article is “Die Bau Gesinnung des Faschismus” and it is dedicated to the Italian architectures designed for the V Triennale in 1933 and built in the park. In this article, Behrens expressly states that he was in Milan to visit the exhibition. Behrens’ presence is also confirmed by his participation, from 16 to 18 September 1933, at the II Réunion Internationale d’Architects organized by the magazine L’Architecture d’Aujourd’hui, for which he also delivers a text on architect’s education, which is published in French in the number 8 of October-November 1933 dedicated to the meeting. The set of these events, in the political framework of rising Fascism, represents an interesting cross-section of the architectural culture of the 1930s and an important key to understanding the influence and role of an architect as Behrens in the years of his artistic maturity.
keywords | Behrens, V Triennale di Milano 1933, Réunion Internationale d’Architectes.
Per citare questo articolo / To cite this article: S. Malcovati, Peter Behrens alla V Triennale di Milano, 1933, “La Rivista di Engramma” n. 164, aprile 2019, pp. 103-129 | PDF dell’articolo