Per una storia della glittica “di propaganda”: alcune riflessioni
I. L’antico: gemme inedite a Verona
Alessandra Magni
English abstract
Sono trascorsi tre decenni dalla pubblicazione, quasi contemporanea al saggio sul “potere delle immagini” di Paul Zanker (Zanker [1987] 2006), dell’ampio catalogo della mostra Kaiser Augustus und die verlorene Republik (Kaiser Augustus 1988). In esso lo spazio dedicato alla glittica è significativo (Maderna Lauter 1988): non limitandosi ai preziosi “cammei di Stato” o agli intagli di incisori famosi, vi si indaga invece la produzione di serie, facendo tesoro di quel filone di studi iconografico e iconologico ampiamente esplorato negli anni precedenti da M.L. Vollenweider (Vollenweider 1972-1974; Vollenweider 1976-1979). Sulla glittica dell’età triumvirale e augustea si sono d'altro canto esercitati tutti i più eminenti studiosi, e alcuni capisaldi sono acquisiti: la variabilità delle iconografie politicamente connotate negli anni successivi alla morte di Cesare fino alla prima fase del triumvirato, la svolta ottavianea tra Nauloco ed Azio, infine la “normalizzazione” della fine del secolo, con la rigenerazione iconografica e stilistica di un repertorio destinato a giungere alla media età imperiale.
In Italia Gemma Sena Chiesa ha ripreso più volte il tema della lotta per immagini di età tardorepubblicana (Sena Chiesa 1989, 2002, 2003, 2012: ad essi ci si riferirà anche implicitamente), mentre le ricerche di Francesca Ghedini e della sua scuola hanno insistito sulla relazione tra mito, letteratura e ideologia (a titolo d’esempio, Toso 2007, in particolare 244-248).
Pertanto, nel riconsiderare alcune gemme del Museo Archeologico al Teatro Romano di Verona (MAVr) appartenenti al medesimo orizzonte cronologico, iconografico e stilistico dei saggi sopra citati e non rientrate negli studi di Gemma Sena Chiesa, che della raccolta veronese ha coordinato lo studio e l’edizione (Gemme Verona 2009; Sena Chiesa 2002, Sena Chiesa 2012), mi sono chiesta se fosse opportuno ritornare con nuove riflessioni su temi apparentemente risolti.
Ma la raccolta veronese, il cui nucleo più consistente si costituisce ad opera di Jacopo Verità in età neoclassica, presumibilmente tra le Venezie e l’Urbe, offre ancora per questi temi più di un centinaio di pezzi inediti su cui porre attenzione: gemme di “officine” riconoscibili, tra cui spiccano quelle aquileiesi; repliche vitree delle serie più interessanti; persino degli unica.
Questo lavoro illuminerà solo qualche aspetto del problema, ove possibile ricorrendo al confronto con gli insiemi di gemme da contesto che negli ultimi decenni sono stati resi fruibili, specie nella pars occidentis del mondo romano, in tal modo offrendo nuovi spunti a una ricerca che non è più solo antiquaria o stilistica.
Ambito dell’indagine e questioni di metodo
Occorrerà definire preliminarmente cosa si intenda qui per “propaganda”. Essa si configura come diffusione intenzionale di un repertorio iconografico specifico, appositamente creato o preesistente ma ricondizionato, attraverso il quale signori della guerra, principi e imperatori comunicano il proprio progetto politico o mirano a creare o consolidare il consenso; la propaganda è complementare all’adesione, più o meno consapevole, al messaggio recato dai manufatti da parte di chi ne fruisce.
Sulla relazione tra emittenti, pubblico, messaggio hanno riflettuto ampiamente gli studiosi di numismatica, traendone conclusioni non sempre lineari (riassumeva il dibattito a suo tempo Panvini Rosati 1996, ripreso per altri versi da Assenmaker 2008). È evidente a tutti però la peculiarità e se vogliamo “modernità” dell’età triumvirale, in cui la moneta veicola messaggi politici e mira a formare il consenso. E tuttavia si dovrebbe evitare dall’interpretare secondo la moderna psicologia delle masse la mentalità dell’uomo romano.
Con la numismatica, la glittica “di propaganda” condivide alcuni aspetti: la produzione “in serie” e “di serie”, la modalità di elaborazione dei modelli, financo gli artigiani impegnati nella creazione dei manufatti (specialmente qualora si tratti di matrici per la lavorazione delle gemme vitree).
Pertanto pare utile fare proprie le osservazioni sopra riportate, con la dovuta differenza che portare un anello implica la scelta che si presume consapevole, quando non completamente autonoma, del sigillo, che poi si andava a imprimere su documenti pubblici e privati o semplicemente si indossava per distinzione (ne parla ampiamente Toso 2007, 12-17).
Poiché l’ambito cronologico che ci si è dati in questo lavoro trascorre tra la metà del I secolo a.C. e i primi decenni del successivo, e l’oggetto del nostro discorrere sarà la glittica per le masse, può risultare utile ricordare quali prodotti circolassero in quegli anni per verificare l’effettiva consistenza della glittica “di propaganda”.
Le generazioni di artigiani impegnati in quel periodo a Roma e, nel nord Italia, ad Aquileia, realizzano come è noto una trasformazione epocale nella glittica antica di serie, per stile incisorio e scelte iconografiche.
Nelle botteghe si trovano ancora prodotti di incisori “all’antica”, lavorati a perle: una quantità di gemme con simboli di successo e prosperità, cornucopie, frutti, timoni, caducei, delfini, uccelli e altri animali realizzati su superfici convesse e piane (come nelle officine aquileiesi delle Gemme Semisferiche e degli Animali fantastici: Sena Chiesa 1989, tav. 6).
Gemme analoghe si rinvengono, nelle Alpi e in territorio gallico, in siti occupati tra il II e la metà del I secolo a.C. (ad es. Guiraud 2008, 166, n. 1400, della medesima officina di inv. 26779 [Fig. 1]; simile anche Zwierlein-Diehl 1998, 197, 62). Si tratta forse della prima generazione di gemme con simboli “di propaganda”, secondo M.L. Vollenweider legate ai generali della guerra sociale o addirittura a imprese precedenti. Ma possiamo anche pensare che la lettura politica si sia innestata su un tessuto di più generici simboli beneauguranti.
Nel contempo, gli artigiani che lavorano con strumenti a disco, secondo le tecniche delle officine ellenistiche, senza levigare i solchi, producono ad esempio scenette di genere, figure del tiaso dionisiaco e di Venere, immagini di Apollo con il tripode (Plantzos 1999, 78, 83-84; Gemme Verona 2009, 19-20).
Quanto alle varianti all’interno di uno stesso tipo, l’iconico capricorno si può trovare in questi anni con la sua bella coda attorcigliata, come nella gemma vitrea inv. 26951 (simile ad Harri 2012, tav. LV, n. 107) [Fig. 2] o nell’agata inv. 26917 [Fig. 3], sia pisciforme, come nei celebri aurei augustei del 27 a.C. (Kaiser Augustus 1988, 513, n. 338) e nella gemma inv. 26946 [Fig. 4].
Né possiamo escludere la pratica dell’utilizzo della stessa gemma per più generazioni, tra familiari o perché acquistata, già usata, da un gemmarius come il pompeiano Pinarius Cerialis (di cui si riparlerà oltre).
Accanto alla varietà stilistica e iconografica, anche per forme e materiali si assiste in quest’epoca a fenomeni di passaggio. Agate variegate “attardate”, che rendono difficilmente leggibile la figurazione, con soggetti “augustei” quali capri, globi e cornucopie (Magni, Tassinari 2010, 168-169 [Fig. 9] convivono con onici, per la prima volta nella variante del nicolo blu-azzurro; vi sono l’irrinunciabile corniola, che diventerà il materiale della “democratizzazione di un lusso” (Vizcaíno Sanchez 2018) e i primi esempi di prasio verde (Platz-Horster 2010). Il vetro, a imitazione della pietra, lavorato nelle medesime iconografie delle gemme intagliate, assume talvolta colorazioni tanto improbabili quanto ricercate, come il verde-blu-bianco (inv. 27925 [Fig. 5]).
Parimenti coesistono, per i medesimi soggetti e materiali, forme convesse e forme piane, come nei sopracitati capricorni [Figg. 2, 3].
Questa, pertanto, la variegata offerta sul mercato, che include novità e attardamenti, stilistici e iconografici. Ma a chi è destinata?
Le scarne fonti letterarie alle quali in genere si fa riferimento (esaminate da ultimo in Toso 2007, 3-18, e in Vizcaíno Sanchez 2018, 23-25), sono successive e testimoniano con un certo disappunto l’estensione, nella prima età imperiale, della platea dei possessori d'anello, cui appartengono liberti, donne, provinciali, e un vulgus cui sarebbero destinate le imitazioni di vetro.
Ma osserviamo le testimonianze del ricco archivio di cretule di Delo (ante 69 a.C.), solo parzialmente edito, con i suoi soggetti, a volte, tanto adatti a chi è figlio di una recente ricchezza (come l’attore-schiavo seduto sull’altare: Boussac 1997, 151-152): appare evidente che tale processo di ampliamento è in corso ormai da qualche decennio e le fonti non fanno che cogliere il punto d'arrivo di un fenomeno.
Quanto questa platea variegata e cosmopolita, ben descritta da Zanker nelle prime pagine del suo saggio (Zanker [1987] 2006, 3-5, 10), certamente ellenizzata ma non necessariamente erudita, fosse in grado di cogliere le sfumature di significato, anche contraddittorie, annesse ad alcune delle gemme che andremo ad analizzare è però incerto: e possiamo solo avvicinare il significato che ciascuno attribuiva, nel privato, alla specifica figurazione.
Guardiamo a titolo d'esempio l’insieme di gemme con simboli associati ad Ercole (Ritter 1995, 101-120; 190-198), frequenti sulle monete già dalla fine del II secolo a.C.: nelle raccolte veronesi, una trentina di gemme in tutto, per lo più vetri. L’associazione di Ercole e Antonio, nota dalle fonti e testimoniata nella monetazione (Kaiser Augustus 1988, 497, n. 293: aureo del 42 con l’eroe Antonius figlio di Ercole; Zanker [1987] 2006, 48-50; Ritter 1995, 79-81; Toso 2007, 191), spinge a leggere come “antoniane” molte gemme con clava, specie se accostata al timone del gubernator o alla palma della vittoria, in combinazioni autonomamente create per la glittica (come ad es. inv. 26793, in corniola, con ramo di palma [Fig. 6]): ma in una rara emissione di Ottaviano, in cui il giovane è ritratto barbato, a rovescio vi è proprio la clava (RRC 518/1: denario, 41 a.C.: http://numismatics.org/crro/id/rrc-518.1).
Allo stesso modo, la serie di gemme con la clava associata al caduceo di Mercurio, anch’essa autentica creazione glittica (inv. 26816-26818 [Fig. 7]), potrebbe alludere all’alleanza tra Antonio e Ottaviano suggellata dagli accordi di Brindisi del 40 a.C. Ma in realtà Mercurio e Apollo, come ricorda lo stesso Ritter, spesso erano affiancati come protettori di varie attività, commerciali o sportive; né va escluso, come sostiene Hekster (2004), che anche a livello pubblico Ottaviano recuperasse, in nome della tradizione prima ancora che per annullare l’avversario politico, la figura di Eracle tra i suoi protettori.
In effetti, tra le gemme indossate dai soldati del campo di Haltern am See (16 a.C.-9 d.C. circa) figurano, insieme ad altri temi significativi, tra cui un capricorno, sia una testa giovanile di Ercole, sia una di Apollo (Kaiser Augustus 1988, 599-600, kat. 446-447, ivi con altra interpretazione): il loro eventuale valore “politico”, cinquant’anni dopo i fatti di Modena e trenta dopo Azio, era ormai sfumato.
Forse è la nostra chiave di lettura “colta”, nutrita anche della tradizione letteraria sugli anelli sigillari di Augusto e sulle preziose dattilioteche delle élites, a indurci in errore: nelle gemme correnti, fenomeni di lunga durata, slittamento di significato, riutilizzo e reimpiego non sono rari, in età antica e ancor più, come mostrerà Gabriella Tassinari, in età post-antica.
Occorre riflettere ancora sulla rilevanza del numero delle gemme vitree tra quelle classificabili come “di propaganda”: molti esempi ne presenteremo di seguito. Tale predominanza viene correttamente spiegata (Maderna Lauter 1988, Sena Chiesa 2002, 2012) con la richiesta impellente da parte dei capifazione di “instant gems” da distribuire tra i sodali, specie negli anni 40 e 30 del I secolo a.C. Per la realizzazione di matrici originali si ricorreva, nell’Urbe, direttamente agli artigiani monetali; le stesse matrici potevano poi circolare ed essere riutilizzate in altre aree della penisola.
Vi è da dire però che molte di queste gemme, conservate proprio nelle raccolte formatesi a Roma (come ad esempio la collezione Dressel, Weiss 2007) appaiono con i caratteri del non finito che, oltre 40 anni fa, Martin Henig aveva riconosciuto in un ripostiglio di gemme vitree con soggetti del secondo triumvirato (Henig 1975, 81-94) e che caratterizzano anche le gemme da una bottega del Foro (Harri 2012; Magni, Tassinari 2019, 73-74). Ad esempio, per il tipo del capricorno che sormonta una base, inv. 26947 [Fig. 8], quasi tutte le rare repliche presentano caratteri di non finito (ad es. Maderna Lauter 1988, 470, n. 273).
È possibile che tali gemme vitree avessero una vita breve, tanto più se malfatte: raccolte nelle botteghe per essere riciclate e rifuse, le radicali trasformazioni urbanistiche dell’Urbe nel corso dell’età augustea potrebbero averne obliterato i depositi, come certamente avvenuto per i già citati esemplari del Foro romano, fino alla riscoperta in tempi più vicini a noi e al loro confluire nelle raccolte storiche.
Può accadere che, nel caso delle gemme non finite, si vadano a processare le intenzioni, sovrastimando l’effettiva circolazione di alcune serie di gemme vitree di propaganda che non si propagarono e non propagandarono nulla ma, ben occultate, proprio per questo sono giunte fino a noi.
Diventa pertanto di fondamentale importanza, se vogliamo cogliere l’effettiva penetrazione delle gemme “di propaganda” presso i potenziali destinatari, valutare gli esemplari di cui sia nota la provenienza. Dal loro riesame si ricavano alcune indicazioni generali sulla persistenza di tipi e iconografie.
Frequenti nell’area mediterranea (Italia, Dalmazia) e in misura minore nelle Alpi e nelle Gallie, le gemme con associazioni di simboli quali timoni, cornucopie, delfini lavorati a perle “all’antica” sono quasi totalmente assenti a nord; in Gallia, l’orizzonte inferiore dei loro rinvenimenti è posto nel corso dell’età augustea: e pertanto possiamo affermare che quella maniera incisoria viene meno allora.
Al contrario gemme dichiaratamente “filoaugustee”, in pietra e vetro, come il ritratto del princeps associato a simboli, circolano e sopravvivono ben oltre la durata del principato, anche se in piccoli numeri: se ne ritrovano, oltre che negli insediamenti limitanei di Velsen, Nijmegen, Xanten (ad es. Platz-Hoster 2017, 61-63, nn. 19-20), in un tesoretto di età flavia a Treviri (Magni, Tassinari 2019, 74, nota 18); a Lons-le-Saunier, non prima del 60 d.C. (Guiraud 1995, 395-397, n. 51) e tra le cretule di Cirene (ante 115 d.C.: Salzmann 1984, 158-159 [Fig. 19]).
Ma circolano a lungo anche gemme prodotte in età augustea con composizioni simboliche: così una piccola gemma in prasio, da Caerleon nel Galles, con capricorno, delfini, corvo di Apollo, dextrarum iunctio e cornucopia (e, forse, iscrizione magica), in livelli del 75-85 d.C. (Zienkiewicz 1986, 129-130, tav. 5, n. 7), o una corniola, ora a Colonia, che unisce la clava di Eracle e il tripode di Apollo (Maderna Lauter 1988, 472, n. 273).
Infine, capricorni e aquile – assurti a simboli delle legioni, o con valore zodiacale – o la dextrarum iunctio, segno di concordia frequente nella monetazione imperiale, si ritrovano continuamente replicati fino almeno al III secolo d.C.: lungo il limes, ad esempio, a Carnuntum (Dembski 2005, nn. 892-905, nn. 989-996, nn. 1009-1117).
Nel III secolo d.C., si assiste poi al ritorno di alcuni soggetti ormai “di antiquariato” nelle gemme di vetro che imitano il nicolo, utilizzando come matrici gemme dell’età augustea o protoimperiale: così ricompaiono le Vittorie sul globo, i temi pastorali, e infine la fuga di Enea, depurata ormai della sua componente “politica” (Barrero Martín 2018).
Gemme e numismatica: ricalchi, rielaborazioni, riappropriazioni
Anni cruciali per la definizione del repertorio iconografico del giovane Ottaviano sono, come è noto, quelli che intercorrono tra Nauloco ed Azio, i quali vedono l’affermarsi dell’iconografia “marittima” mutuata da Pompeo, padre e figlio e sottratta per così dire alla propaganda degli avversari, Antonio incluso: figure intere, effigi, simboli, che ritroviamo su gemme e monete, con una certa moderazione dopo il trionfo su Cleopatra (ne avevo parlato, con qualche ingenuità giovanile, in Magni 2003).
Per tutti gli esemplari in vetro che qui presenteremo, possiamo immaginare Roma come centro di elaborazione delle matrici, se non come luogo di produzione degli esemplari stessi.
Ottaviano assimila, da un lato, il ritratto come vincitore sul mare già di Pompeo, nelle emissioni del figlio Sesto, e poi di quest’ultimo (Salzmann 1984, 158-160; Trunk 2008), ma lo schema venne usato anche dopo Azio: si confrontino le due teste accompagnate dalla prua di nave inv. 27993 [Fig. 9], non finita, in cui i tratti ricordano il giovane princeps effigiato in una gemma del Cabinet des Médailles (Vollenweider, Avisseau Broustet 20, 39, n. 36, tav. 46) e inv. 27997 [Fig. 10], a imitazione del nicolo, ove invece Ottaviano appare in forme più composte e “classiche”.
Nella serie di gemme vitree cui appartiene inv. 26109 [Fig. 11], serie composta per lo più da pezzi non finiti, è effigiato un giovane, con scettro e mantello svolazzante nella destra e aplustre nella sinistra, accompagnato dal globo terrestre sormontato da un delfino (o un piccolo capricorno pisciforme). L’immagine riunisce elementi delle statue dedicate nel foro ad Ottaviano dopo Nauloco (Zanker [1987] 2006, 44-48; Assenmaker 2008, 57-58, 78): a proposito di esse Zanker insiste sui particolari del globo, aggiunta di Ottaviano rispetto alla analoga statua di Sesto Pompeo, e della clamide svolazzante, portata al braccio e allusiva dell’entrata trionfale ed eroica nell’Urbe.
Il trofeo eretto per celebrare la vittoria su Sesto Pompeo, effigiato su aurei e denari datati tra la seconda metà del decennio e il 29-28 a.C. (Trillmich 1988, 507-508, kat. 324 e discussione; Assenmaker 2008, 57-58) è a sua volta ripreso con una certa precisione nella gemma inv. 27345 [Fig. 12], certamente coeva, per l’impiego del vetro a imitazione dell’agata e per la superficie convessa: quasi un ricalco del conio monetale.
Un tempio ricorre invece in un’altra serie glittica attestata anche a Verona (inv. 27729 [Fig. 13]; Vollenweider 1976-1979, 389-390, n. 437), creata anch’essa sulla base di suggestioni monetali. Nella cella è collocato un altare ornato di ghirlande e sormontato da una testa animale, allusiva a un sacrificio. La presenza di un’aquila nel timpano suggerisce che si tratti del tempio del divo Cesare, con l’altare effigiato all’interno e non a lato, come invece nelle monete, per esigenze di campo (aurei e i denari del 36 a.C. RCC 540/1: http://numismatics.org/crro/id/rrc-540.1; RCC 540/2: http://numismatics.org/crro/id/rrc-540.2). Ma al contempo il delfino nell’esergo alluderebbe a una vittoria marittima: la gemma si spinge oltre, rispetto alla moneta, nel condensare eventi e nel comunicare messaggi.
Parimenti le vittorie sui mari inducono Ottaviano a fare proprio un altro soggetto molto famoso, quello della galea. Già in uso nella monetazione di II secolo, è utilizzato da Sesto Pompeo (RCC 483/2: http://numismatics.org/crro/id/rrc-483.2), a vele spiegate, come rovescio per un’emissione con il ritratto paterno; quindi da Antonio, in numerose serie di aurei e denarii, emessi nel 32-31 a vantaggio delle truppe (RCC 544/1-39; tra i più diffusi http://numismatics.org/crro/id/rrc-544.18
Gemme in serie, serie di gemme
Si è sopra accennato alle gemme vitree come ad “instant gems” su commissione, distribuite in massa, per un consumo effimero. Ciò potrebbe indurre a pensare che i pezzi prodotti siano tutti uguali, a partire da poche matrici. Ma le gemme, anche in vetro, mostrano tutte una grande variabilità intenzionale.
Tale variabilità agisce a più livelli. Il primo, legato alla combinazione degli elementi delle figurazioni, è ovviamente comune anche alle incisioni su pietra e, anzi, più evidente in esse (è il cosiddetto ‘sistema aperto’ cui allude più volte nei suoi studi Gemma Sena Chiesa).
Un più sottile livello di differenziazione, però, agisce intervenendo su particolari minori all’interno dello schema figurativo di base e conferendo a pezzi quasi identici nuovo valore semantico. Esemplificheremo queste affermazioni con tre gruppi iconografici: due di essi fanno riferimento a immagini nate nel clima post-aziaco; l’ultimo risale agli anni più aspri della “lotta per immagini”.
Il primo gruppo raduna le gemme che rappresentano un altare sovrastato da un uccello: a suo tempo M.L. Volleweider aveva visto in queste gemme, forse un po’ forzatamente, la celebrazione del divo Cesare e contemporaneamente del trionfo del 29 a.C. (Vollenweider 1976-1979, 190-191, n. 438). Resta indubbio tuttavia che l’aria che si respira in esse è quella del decennio 30-20 a.C.
Lo schema avrà poi lunga durata, con lo slittamento del significato dell’aquila a simbolo dell’impero, del successo militare, delle legioni e la predilezione per l’intaglio in pietra; ma le gemme più antiche, apparentemente molto vicine, mostrano variazioni nella forma dell’altare (ora circolare, ora quadrato), nella presenza di decorazioni (bucrani, ghirlande, a volte rostri), nel volatile che lo sormonta (l’aquila, inv. 27722 [Fig. 16], ma anche il corvo sacro ad Apollo, o il gallo di Mercurio – inv. 27724 [Fig. 17]). Per ognuna di queste varianti vi sono alcuni esemplari conservati nelle maggiori raccolte, dimostrando non tanto l’esistenza di un modello “ufficiale”, ma una adesione “dal basso” al ricordo di un evento significativo.
Legata all’arte cosidetta “decorativa” degli anni 20 e 10 a.C. – con la letterale fioritura dei monumenti (Sperti 2009) – è la serie degli uccelli intenti a beccare da un cesto di frutta, come sulle gemme vitree inv. 27793 e 27794 [Fig. 18]. Il motivo ha una sua circolazione anche fuori dalla penisola, trasportato ad esempio fino in Germania dai soldati (Platz-Horster 2017, 65-66, n. 30: gemma vitrea da Xanten). Poche differenze intercorrono tra gli esemplari di una serie o dell’altra; in più, qui ogni legame con un evento specifico pare scomparso, a favore della celebrazione dell’avvento dell’“età dell’oro”.
Veniamo al terzo esempio. La gemma in questione (inv. 26829 [Fig. 19]) è un bel vetro ricavato da una matrice lavorata a piccole perle, molto vicina alle coniazioni della metà del secolo (come ad esempio l’aureo del 46 a.C. RRC 466/1: http://numismatics.org/crro/id/rrc-466.1) e presumibilmente opera di incisori monetali.
Al centro, una coppia di cornucopie incrociate sovrasta un timone orizzontale e un caduceo alato, perpendicolare ad esso; al di sotto si inserisce un globo.
Sulla base del raffronto con i coni monetali e della lettura dei simboli compresi nell’intaglio, M.L. Vollenweider molti anni fa aveva attribuito una gemma molto vicina per stile e iconografia agli anni 48-44 a.C., vi aveva riconosciuto una mano celebre e vi aveva visto l’esaltazione della politica pacificatrice del kosmokrator Cesare (Vollenweider 1970). Rispetto alla nostra gemma, quella ginevrina presenta un’ape (interpretata come simbolo della regalità di Cesare) al centro del caduceo. Ulteriori esemplari pressoché identici, a Monaco (AGDS I, 3, n. 3460-3461) e nella collezione Dressel (Weiss 2007, 300, n. 594), non finiti, non presentano l’ape. Pare dunque che, a partire dallo stesso modello se non dalla stessa matrice, si sia intervenuti salvando il complesso della figurazione ma eliminando l’ape; ma il processo potrebbe essere stato inverso.
L’importanza o forse l’ufficialità dell’impronta legata alla gemma potrebbero aver giustificato gli interventi di adattamento sulle matrici.
Il vincitore si prende tutto: la breve vita delle gemme dei triumviri
Se la “lotta per immagini” degli anni tra il 44 e il 30 si è combattuta anche con le gemme, pur concludendo che Ottaviano abbia sbaragliato gli avversari, assimilandone anche le iconografie e normalizzando i messaggi, dobbiamo pensare che gli altri contendenti non si sottraessero al confronto, come Newman (1990) ha cercato di dimostrare per la monetazione. Certo individuare le “instant gems” degli avversari di Ottaviano, non solo antoniane quindi, pare difficile: le gemme dal messaggio più esplicito e riconoscibile avranno certamente subito un processo di epurazione da parte dei proprietari.
Nel pubblicare un bel granato della collezione Loeb raffigurante un tripode d'Apollo, Carina Weiss presenta come confronto una gemma simile rinvenuta nel 1973 a Eraclea in Lucania, in un tesoretto monetale deposto dopo il 45 a.C. La figurazione che accomuna le gemme compare sui conii monetali di Bruto, con allusione all’antenato Lucio Giunio Bruto e al suo successo sui Tarquinii preconizzato dall’oracolo di Delfi; il proprietario se ne sarebbe privato perché gemma compromettente, in quanto allusiva ai Cesaricidi (Weiss 2012, 14, 27-28, 32-33, n. 8, Figg. 1-2).
Ecco invece qualche proposta di gemme antoniane. La gemma con la galea inv. 26893; una coppia di gemme con cornucopie, globo e tirso inv. 26807-26808 [Fig. 20], che a sua volta integra nell’iconografia la gemma vitrea non finita inv. 26844 con cornucopie e globo ispirata ai sesterzi di Considius del 46 a.C. (RRC 465/8 a: http://numismatics.org/crro/id/rrc-465.8a); la cospicua serie con la clava afferrata in pugno e stretta tra spighe, papaveri, cornucopie e rami di palma (ad esempio inv. 27925 e 27919 [Figg. 5, 21], di cui esiste però anche la versione “ottavianea” con il caduceo al posto della clava (inv. 27920: un’iconografia, quest’ultima, di lunga durata). Infine, l’insolita gemma vitrea inv. 26797, anch’essa non finita [Fig. 22]: al centro la clava, su cui si imposta un serpente “dionisiaco”, tanto simile, nelle sue spire, a quello comunemente effigiato sui cistofori; a sinistra, una colonna votiva su cui poggia un arco, a destra il timone.
Ancora più sfuggente, se vogliamo, riconoscere gemme di Lepido, o ritrovare gemme con i tre triumviri insieme.
Non mancano infatti esemplari di ritratti in vetro con capita iugata di Antonio e del giovane Ottaviano (ad es. Maderna Lauter 1988, 466, n. 243); e ci sono varie gemme coi capita opposita di Ottaviano e Antonio, o di Antonio e Ottavia (come inv. 26731 [Fig. 23]), realizzati in corniola o più spesso vetro, a superficie piana, a imitazione dell’agata o monocromo o fantasia, ma sempre in stile e forme compatibili con una produzione degli anni dal 40 al 30 a.C. Sono piccoli ritratti ben studiati (Vollenweider 1972-1974, I, 208-211) e chi li osservasse noterebbe gli stretti legami con i tipi monetali: segno che l’elaborazione dell’iconografia avvenne in stretta relazione con le officine monetali romane.
Risulta però al momento un unicum la gemma di vetro inv. 26733 [Fig. 24], che presenta tre teste maschili: al centro, in posizione eminente, un busto frontale; a sinistra e a destra, due teste affrontate. Lo schema a tre teste, nella generazione successiva, viene utilizzato su gemme e monete per raffigurare i due eredi Gaio e Lucio con la madre Giulia (RIC I second edition, 404: http://numismatics.org/ocre/id/ric.1(2).aug.404; Hekster 2015, 117-119) e verrà ripreso in età medioimperiale sempre per rappresentare la filiazione dinastica (Antonini, Severi). Una variante dello schema è su un’agata, raffigurante i triumviri, ma ritenuta post-antica (Kaić 2018, 284-285 [Fig. 11]).
I tre triumviri compaiono però come capita iugata su monete di Efeso datate al 40 a.C. circa (Karwiese 2012, nn. 1-7) ove la figura preminente è Antonio, raffigurato in primo piano.
Al centro della nostra gemma potrebbe esserci, come suggeritomi da Rodolfo Martini, proprio Antonio. Il volto carnoso e la chioma voluminosa ritornano peraltro in alcune gemme, che lo raffigurano stante come Eracle (Vollenweider, Avisseau Broustet 2003, 35, n. 31, con discussione e confronti). Il profilo a sinistra condivide il lungo collo (accentuato per ricordare la parentela con Cesare) con i ritratti di Ottaviano del primo tipo (Kaiser Augustus 1988, 309-310, kat. 146) e con alcune emissioni monetali; a destra il volto è obliterato e non leggibile, per cui si può solo immaginare qualche somiglianza ad esempio con il ritratto di Lepido del Museo Nazionale Romano (Grimm 1989, 352).
Se questa gemma raffigura effettivamente i triumviri, ne risulta una variante successiva la serie con solo due teste maschili e dextrarum iunctio al centro, ricordata da M.L. Vollenweider (Vollenweider 1972-1974, 208-209, nota 156).
La gemma vitrea di Verona, che presenta difetti di fabbricazione – il volto di destra è incompleto - mantiene il suo margine: pertanto difficilmente ha circolato e, rimanendo nel magazzino dell’opificio, si è garantita la sopravvivenza. Creata probabilmente nel corso dell’inverno 43-42 a.C., avrebbe infatti perso di significato con gli accordi di Brindisi del 40 e la successiva marginalizzazione di Lepido.
Velare l’accordo triumvirale con la veste del mito avrebbe forse permesso di continuare a utilizzare la gemma più a lungo (a costo di rendere meno intellegibile il messaggio). Il mito con cui narrare, almeno ai più colti, l’accordo di spartizione dell’ecumene è parso ad Erika Simon, come ricorda Francesco Carotta, quello degli eredi di Eracle (Carotta 2013): un mito oltremodo adatto a valorizzare Antonio.
È interessante notare, sulla scorta dell’analisi di Carotta, che gli Eraclidi intenti nel sorteggio raffigurati su queste gemme sono ora tre, ora solo due: diminuiscono, insomma, al pari delle teste nelle gemme coi capita opposita. Inoltre, due esemplari del piccolo nucleo individuato provengono dall’area vesuviana e, forse non a caso, al momento dell’eruzione non erano indossati. Uno, con tre Eraclidi, riposava in un cestino in vimini, in un cubiculum di Ercolano (Pannuti 1983, 101, n. 147), l’altro invece era parte del tesoretto di Pinario Ceriale, un mercante di gemme e orefice, ed era smontato in attesa di nuovo acquirente (Pannuti 1983, 101, n. 148).
Oltre l’età augustea: la continuità delle iconografie
Gettiamo infine uno sguardo oltre il limite cronologico postoci all’inizio. Nella gemma inv. 27716 [Fig. 25] un’aquila stante, frontale, si posa su un supporto troncoconico, probabilmente una prua di nave di prospetto: a lato di essa si stagliano araldicamente in alto una coppia di cavalli (marini?), in basso dei delfini. Il materiale fa collocare l’intaglio nel “gruppo dei diaspri rossi” di età adrianeo-antonina (Gemme Verona 2009, 22-23); ma alcuni analoghi esemplari da Xanten (Platz-Horster 1984, 81, n. 144: realizzato nello stile a perle), e da Coblenza (Krug 1980, 134-135, n. 19: in tomba a incinerazione), indicano che lo schema, allusivo alla vittoria sul mare, venne elaborato entro la fine del I secolo a.C. e circolò presto nelle province; ed è significativo che tra gli scarni confronti iconografici Krug e Platz-Horster riportino proprio le serie in vetro con altari di cui si è trattato sopra.
L’eco della vittoria aziaca giunge dunque fino ai secoli successivi, testimoniando ancora una volta quel fenomeno di acquisizione, rielaborazione e persistenza di schemi che caratterizza il lavoro delle officine glittiche.
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English abstract
This contribution originates from some intaglios and glass gems, kept in the Museo Archeologico al Teatro Romano of Verona, belonging to the so called “propaganda” gems. This class of objects, created as seals and political distinction marks between the end of the Roman Republic and the Augustan age, is well known and studied; nevertheless the Verona gems offer some new insights.
The article emphasises the links between gems and coins, as iconographies, workshops, technics, but also the differences (gems and their impressions were personal marks). Continuation of themes, co-existence of different engraving styles, episodes or re-use of old stones should be considered, as the high presence, in every historical collection, of lots of unfinished glass gems, presumably found in workshop depots.
The selected intaglios in Verona Museum could explain some questions: among them, the use of the same iconography (on coins and gems) from more rulers; the Augustan attitude to incorporate the symbols of the losers, while their gems were hidden or broken; the surviving of Augustan symbols for a long time and their significance.
key words | Museo Archeologico Verona; propaganda gems; Triumvirate
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio.
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo: Per una storia della glittica “di propaganda”: alcune riflessioni. I. L’antico: gemme inedite a Verona, a cura di A. Magni, “La Rivista di Engramma” n. 170, dicembre 2019, pp. 11-32 | PDF dell’articolo