Una favola americana
Il carteggio transatlantico tra Josef Singer e Gio Ponti (1950-1979)
Valeria Casali
English abstract
Le lettere di Gio Ponti sono spesso ricordate come una delle particolarità dell’architetto. Nella loro diversità riflettono il carattere della produzione pontiana, vulcanico laboratorio di esperienze: messaggi lunghi o brevi, battuti a macchina o redatti con un’elegante calligrafia, o ancora disegni colorati e sottili linee a china che inanellano le parole. Nel 1987 infatti le lettere di Ponti sono state oggetto anche di una mostra intitolata “Gio Ponti. Cento lettere”, tenutasi presso la Galleria Antonia Jannone di Milano, e dell’omonimo volumetto a stampa (Ponti 1987; sul tema v. il contributo di Francesca Dell’Aglio in questo stesso numero di Engramma). In merito a questa sua attività epistolare, in una leggera intervista per Dacia Maraini pubblicata su “Vogue Italia” nel 1972, Ponti afferma:
Sono un amico fedelissimo, scrivo una media di dieci lettere al giorno. [...] Non ricevo altrettante risposte. La gente è pigra. Molti non rispondono mai. Ma se per caso uno risponde, io gli riscrivo subito. Se aggancia, non lo lascio più (Maraini 1972).
Joseph ‘Josef’ H. Singer della M. Singer & Sons, azienda produttrice di mobili di New York, è proprio fra questi: il fitto scambio epistolare tra i due, conservato presso l’Archivio Ponti di Milano, fornisce un quadro piuttosto completo della loro storia, una vicenda che ha inizio con una collaborazione lavorativa nel corso degli anni Cinquanta e che, tra interruzioni e silenzi, continua per quasi trent’anni, nonostante l’attività della M. Singer & Sons possa considerarsi conclusa già nella prima metà degli anni Sessanta. Entrambi parlano infatti di un’amicizia nata grazie ai mobili, ma che poi si è fondata su ben altro: i Ponti sono per Singer una vera e propria seconda famiglia (Singer 1964, A).
Le lettere, i disegni e i telegrammi in entrata e in uscita non solo rendono testimonianza, nel dettaglio, del rapporto lavorativo e personale intercorso tra Ponti e Singer. Diventano anche un interessante strumento per inquadrare da una prospettiva molto personale alcuni dei momenti, degli episodi e delle figure che hanno in parte segnato il legame tra Ponti e gli Stati Uniti, nonché la sua variegata attività lavorativa in territorio statunitense a partire dai primi anni Cinquanta, momento di una vera e propria internazionalizzazione dell’opera dell'architetto. Sebbene infatti l’emergenza sanitaria globale intervenuta in questi mesi del 2020 abbia impedito un esauriente approfondimento su altri materiali d’archivio o fonti secondarie, la corrispondenza di Ponti con i protagonisti del panorama culturale e professionale americano annovera una lunga lista di nomi, come Alfred Barr, Charles Eames, Bernard Rudofsky o Esther McCoy.
L’accostamento di queste fonti primarie a due contributi in particolare risulta strumentale nella ricostruzione di queste relazioni. Si tratta, in primis, del saggio di Daniel Sherer Gio Ponti a New York che traccia in modo dettagliato le occasioni che hanno visto coinvolto Ponti negli U.S.A. sia prima che dopo la Seconda guerra mondiale. Secondo Sherer peraltro, il legame tra Ponti e Manhattan ha inizio nel 1928, quando l’architetto è invitato insieme ad altri progettisti europei a disegnare una sala da pranzo modello per una mostra di Macy’s. Complementare al testo di Sherer è il lavoro di Elena Dellapiana, Italy Creates, che consente di delineare in modo più esteso le relazioni che Ponti tesse invece nel dopoguerra, dalla Handicraft Development Inc. (HIH) alle iniziative di promozione dei prodotti di design italiani in America, che si inseriscono all’interno del quadro degli eventi culturali, didattici e formativi promossi attraverso organi governativi, come la mostra itinerante del Brooklyn Museum “Italy at Work: Her Renaissance in Design Today” (Sherer 2011; Dellapiana 2018).
In questo quadro, il presente contributo vuole contribuire al posizionamento della collaborazione Ponti-Singer e della loro vicenda all’interno del panorama più ampio e complesso degli studi sullo scambio di saperi, modelli, idee, tecniche e pratiche progettuali intercorso tra Italia e Nord America nel secondo dopoguerra (Ponti 2011; Sherer 2011; Scrivano 2016; Dellapiana 2018).
La collaborazione Singer-Ponti e i “mobili Singerini”
Penso al mio primo viaggio, Josef, in U.S.A., o ai miei primi, con una passione da morire (Ponti 1973).
Favola Americana è il titolo di un articolo di Gio Ponti dedicato all’architettura statunitense apparso sul numero di luglio-agosto di “Domus” nel 1952, in concomitanza con l’inizio di questa avventura d’oltreoceano. Il testo prende le mosse dalle fotografie dei riflessi sulle facciate del Palazzo delle Nazioni Unite e della Lever House di New York per descriverne le caratteristiche: si tratta di un’architettura “che innamora” e che “come un cristallo [...] riflette il cielo, s'inciela, prende sostanza, si fa trasparente e leggera, ha i colori non suoi ma della giornata, specchia le nuvole e il loro moto, e il giro del sole e le vecchie architetture che ha vicine”.
Più di vent’anni dopo, in alcuni scambi epistolari tra il 1973 e il 1977 Josef Singer e Gio Ponti ricordano con nostalgia il primo viaggio di quest’ultimo a New York dopo la fine della guerra nel 1952. L’ultimo incontro dei due risale infatti al 1950, quando l’imprenditore americano si trasferisce da giugno a ottobre in Italia alla ricerca di nuovi modelli da introdurre sul mercato americano (Brennan 1951).
Nelle lettere si racconta di un primo arrivo in una New York deserta, una domenica mattina di settembre, richiamando alla memoria l’aeroporto John F. Kennedy (allora Idlewild Airport, del quale Ponti confondeva sempre il nome) e della solitaria colazione di Ponti e Singer da “Longchamps”, una caffetteria dal sentore art-deco. Il loro breve tragitto in auto li porta poi oltre il “Ponte Ponti”, ovvero il Queensboro Bridge, il preferito dall’architetto in America proprio perché il primo da loro attraversato, e lungo Park Avenue per vedere la Lever House di Skidmore, Owings e Merrill. Ponti ricorda la sua prima visita allo showroom della M. Singer & Sons, con l’insegna verticale sulla diciannovesima strada, a due passi dall’hotel “dallo stesso nome gentile” del vicino Gramercy Park. Quella è l’occasione in cui conosce per la prima volta il resto della famiglia Singer e visita il loro negozio di mobili, con il saloncino rotondo con pareti in legno satinato e “un ascensore enorme che avrebbe contenuto una casa”, che portava ai piani superiori, “dove c’erano degli operai giganteschi, (italiani credo) e sulle pareti delle stampe a colori di donne nude” (Ponti 1973; Singer 1977, A; Ponti 1977).
Un articolo generosamente illustrato di Dorcas Brennan, associate editor di “Interiors”, aiuta a delineare l’identità e la reputazione della M. Singer & Sons, azienda produttrice di mobili a conduzione familiare fondata nel 1884 a New York. Oltre a impiegare numerosi artigiani italiani espatriati negli Stati Uniti, la Singer & Sons secondo l’autore ha il merito di essere riuscita a definire attraverso la propria produzione un’immagine aziendale ben precisa negli anni, producendo arredi tradizionali dalle finiture impeccabili e dalle linee eleganti. Sebbene negli anni Venti infatti la M. Singer & Sons avesse già prodotto delle linee di arredamenti moderni, l’azienda aveva presto abbandonato questa strada tornando a linee più classiche, riuscendo comunque a crescere notevolmente. Josef Singer, alla guida dell’azienda, decide riprendere il filo di questo discorso nel 1950, attraverso il coinvolgimento strategico di alcuni designer e progettisti, pratica vincente presso altri produttori statunitensi, quali ad esempio Knoll o la Herman Miller Furniture Company. Oltre a coinvolgere Bertha Schaefer, progettista e proprietaria di una galleria d’arte a New York, Singer decide di mettere a profitto il crescente interesse americano nei confronti del design italiano del secondo dopoguerra. Lo stesso Brennan sostiene che, al di fuori delle pagine delle riviste di settore, fino a quel momento ci fossero infatti pochi esempi di mobili italiani in circolazione negli States, in quanto erano generalmente visti come pezzi unici, prodotti per l'architetto-designer da artigiani locali. Il merito di Josef Singer, per l’autore, è proprio quello di aver messo in discussone questa concezione, tentando per primo di costruire un ponte con la realtà dell’arredamento di design italiano, contattando Ponti nel 1950 (Brennan 1951).
Questa collaborazione prende dunque la forma della linea Modern by Singer, con mobili disegnati da Bertha Schaefer, Carlo Mollino, Ico Parisi e Carlo de Carli, oltre ovviamente a Gio Ponti. Il lancio viene pubblicizzato su riviste di settore quali “Interiors” attraverso un annuncio essenziale, ma evocativo: una pagina bianca, qualche riga di testo a descrizione dei mobili che verranno esposti, e soprattutto una riproduzione della mano di Dio nell’affresco della Creazione di Adamo di Michelangelo, questa volta con l’indice volto alla S di Singer (Modern by Singer 1951). Con il vernissage Modern by Singer del novembre 1952, viene poi consolidato il successo dei prodotti nati dalla collaborazione transatlantica della M. Singer & Sons e l’Italia, proprio presso il punto vendita newyorkese dell’azienda, dove anche gli interni sono rivisti e allestiti da Bertha Schaefer (Modern by Singer 1952).
In realtà, questa partnership artistica e commerciale non ha vita facile. Già nel febbraio 1951, Singer si dichiara infatti preoccupato per gli innumerevoli ostacoli incontrati nella collaborazione con Ponti: dall’epistolario emergono i retroscena della loro prima collezione, lanciata nell’autunno dello stesso anno (Pepis 1951; Singer 1951).
Innanzitutto, come Elena Dellapiana precisa per il caso di Ponti, sia nella collaborazione d’oltreoceano con i Singer che in quella successiva con Altamira, la maggior parte dei prodotti è in realtà una rielaborazione di pezzi di design progettati per altre aziende come Cassina, con la quale viene proposta ad esempio la sedia Leggera, che da lì a pochi anni verrà rielaborata per diventare la nota Superleggera (Dellapiana 2018). In una delle lettere del 1951 Singer tesse le lodi dell’azienda e dei Cassina, che si stanno occupando delle sedute, sia per i risultati eccellenti del loro lavoro che per la loro disponibilità alla cooperazione, dichiarandosi dispiaciuto di non esser riuscito a trovare un’azienda dello stesso livello che potesse produrre gli armadietti e le vetrine (Singer 1951, A). Altri pezzi non erano invece adattamenti, ma venivano disegnati espressamente per il mercato americano, come per esempio il tavolino D.552.2, oggi riedito da Molteni, in legno massello di palissandro con piano triangolare in vetro trasparente e piedi in ottone satinato.
Proporre arredi descritti da Brennan come “unmistakably jewel-like”, concepiti come sculture, come opere d’arte dalla “classic dignity of a master painting” significa mantenere un alto standard di qualità senza sacrificare la funzionalità del singolo arredo: per queste ragioni, i pezzi più ambiziosi delle collezioni sono comunque prodotti in Italia, e non negli Stati Uniti (Brennan 1951). Solitamente, Ponti chiedeva alle aziende italiane di produrre dei campioni da mostrare a Singer in occasione delle sue visite in Italia, in seguito alle quali erano presi accordi per la relativa spedizione (Ponti 1954). Proprio la spedizione risultava però esser causa di rallentamenti, e talvolta il viaggio oltreoceano costituiva in sé un considerevole ostacolo all’integrità dei pezzi stessi, che si deformavano o danneggiavano in corrispondenza dei giunti. Dalle lettere si intuisce come, da un lato, il vincolo del contenimento dei prezzi mettesse Singer in difficoltà rispetto alla scelta delle aziende artigiane partner in Italia; dall’altro, le caratteristiche dei mobili stessi rendevano la produzione negli Stati Uniti virtualmente inattuabile nel breve termine (Singer 1951). Infatti, nell’agosto 1951, contemporaneamente alla riparazione dei pezzi precedentemente inviati dalle aziende italiane da mostrare nel lancio autunnale, Singer scrive di un unico grande ostacolo alla produzione di questi stessi mobili in America: “la ligne Ponti est trop dificile”. Singer comunica infatti all’amico che, nonostante gli innumerevoli tentativi, la curva del legno, che costituiva la vera essenza del suo stile, era anche “la vera essenza dei suoi problemi”.
Come precisa Singer, produrre in breve tempo un mobile di qualità fedele al disegno avrebbe necessariamente richiesto una produzione in serie, in quanto i costi per produrne una serie limitata ma di alto livello sarebbero stati altrimenti troppo alti da sostenere (Singer 1951, A). Dall’articolo di Brennan traspare invece, in questo senso, uno scarto in termini di toni e immagini calibrate che fanno leva su un immaginario americano dell’Italia romanzato e pittoresco: agli occhi del pubblico americano, alcuni arredi della linea Modern by Singer venivano infatti prodotti oltreoceano “so that old-school craftsmen can hand carve each sculpturesque member with loving care” (Brennan 1951).
La corrispondenza Ponti-Singer si intensifica in seguito alla stagione di successo del 1952, soprattutto tra il 1953 e il 1956: la produzione americana sembrerebbe essere stata perfezionata, e l’architetto invia quindi spesso oltreoceano schizzi, proposte e correzioni ai disegni non solo di sedie, ma anche tavoli, armadietti, librerie, poltroncine e divani (Singer 1954).
In alcune occasioni, Singer ricorda all’amico anche la discussione avuta nel 1953 dopo che Ponti disegna dei mobili per Altamira per il mercato statunitense, nello stesso momento in cui i Singer finalmente, dopo tre anni di sforzi e sacrifici, iniziano a vedere dei risultati positivi nelle vendite (Singer 1953, A). È rilevante considerare che la Singer & Sons non vendesse direttamente al pubblico, in quanto la sua clientela era prevalentemente composta da department stores, architetti e designer d’interni. Singer scrive a Ponti, risentito, perché la messa in commercio della gamma di mobili per Altamira, direttamente acquistabile dal pubblico a prezzi competitivi rispetto a quelli ai quali i loro abituali clienti rivendevano i loro, costituiva per i Singer una concorrenza piuttosto sleale che avrebbe incrinato i rapporti con l’abituale clientela, che non sarebbe stata più un intermediario obbligato nell’acquisto dei pezzi (Singer 1953, B). Ponti giustifica questa scelta chiaramente secondo il proprio interesse, rimarcando la profonda differenza tra il repertorio dei mobili ‘Singerini’, più classici, essenziali ed eleganti, rispetto a quelli più avanguardisti e originali da lui pensati per Altamira, definendo i primi come rappresentazione del “Ponti-raisonnable” e i secondi come quelli del “Ponti-fou” (Ponti 1953).
I prodotti presentati nel vernissage del novembre 1952 hanno comunque un notevole successo. Non solo Singer allarga successivamente il proprio mercato di distribuzione, aprendo dei punti vendita anche a Chicago, Boston, Miami, Dallas e raggiungendo la West Coast, con San Francisco e Los Angeles, ma allo stesso tempo è possibile osservare come riviste di moda quali “Vogue” includano sulle loro pagine i pezzi nati da questa collaborazione transatlantica, sia in articoli dedicati al design italiano che per i setting di servizi fotografici di moda (Fluid Diamonds 1952; Italian Influence on American Decor 1954; New Bloom on Summer 1956). Anche il Museum of Modern Art di New York include la Leggera e altri pezzi nella selezione per l’edizione dell’autunno 1952 della Mostra “Good Design”. La sommatoria di simili iniziative contribuisce progressivamente a creare un’aura di desiderabilità e sofisticata eleganza intorno al prodotto di design italiano, ma anche a costruire la popolare retorica del progettista italiano moderno come paradigma dell’uomo universale Rinascimentale (Universal Man 1954; Dellapiana 2018). Benché in questo quadro sia difficile fissare una data precisa della fine dell’attività della Singer & Sons, una nostalgica e dispiaciuta lettera di Singer del settembre 1964 rivela che l’esperienza dell’azienda era già allora giunta al capolinea (Singer 1964, A).
Oltre il Design: cronache da New York, andata e ritorno
Negli anni è inoltre possibile trovare nelle lettere tra Singer e Ponti numerosi riferimenti ad alcuni episodi della cronaca statunitense, come per esempio l’assassinio di Kennedy, il problema dell’odio razziale, o la guerra del Vietnam del 1966. Singer è interlocutore diretto di Ponti in merito agli avvenimenti e alle vicende interne all’ambiente newyorkese, intercettando quindi diversi livelli del dialogo transatlantico, oltre che figure attive e protagoniste sia in Italia che in Nord America. Per esempio, Singer scrive a Ponti quando la Rizzoli apre a New York sulla 5th Avenue di fronte alla Ginori, e nella sua risposta l’architetto racconta chi sia Angelo Rizzoli, facendo riferimento non solo alla sua impresa nell’editoria ma menzionando il suo ruolo nella produzione di film noti e apprezzati dal pubblico statunitense, come La Dolce Vita o 8 e mezzo.
Ponti chiede inoltre a Singer informazioni quando l’amico Henry Luce IIIrd lascia la Time-Life Company nel 1964 (Ponti 1964). Nel 1957, lo stesso periodo in cui Ponti stava realizzando l’ufficio Alitalia sulla 5th Avenue, Luce aveva commissionato all’architetto un auditorium all’ottavo piano del Time-Life building, piccolo padiglione al centro delle riflessioni di Caterina Barioglio sui processi di ricezione e ibridazione tra l’Italia e New York inerenti la specifica tipologia architettonica del grattacielo (Barioglio 2015).
Dopo una prima stagione di viaggi legati alla collaborazione tra Ponti e la Singer & Sons, dal carteggio emergono anche una serie di altre occasioni lavorative che coinvolgono Ponti negli Stati Uniti e che arrivano a interessare entrambi, sia direttamente che indirettamente.
Per esempio, nel febbraio 1959 Ponti viene coinvolto nell’organizzazione di un viaggio a New York con il Collegio Regionale Lombardo degli Architetti. Il Collegio, oltre a essere luogo di confronto e punto di riferimento per professionisti, organizzava infatti viaggi di formazione per i propri affiliati, come quello del 1959 o quello del 1960 tra New York, Chicago e Detroit. Il programma del viaggio, oltre ad alcune attività obbligatorie, prevedeva un ricco palinsesto di eventi facoltativi e attività proposte dal Collegio di concerto con l’United States Information Agency, l’agenzia governativa Statunitense a capo delle attività culturali e di propaganda, e grazie all’aiuto sul campo di Josef Singer. Tra le varie attività, possiamo per esempio ricordare la visita guidata al palazzo delle Nazioni Unite o la visita alla casa di New Canaan dell’architetto Eliot Noyes, come anche ricevimenti e gala presso alcuni musei e fondazioni locali (Ponti 1959). I particolari organizzativi come spostamenti, alberghi, teatri, e manifestazioni erano affidati e pianificati insieme alla CIT – la Compagnia Italiana Turismo, allora in prima linea nel settore dei viaggi – KLM e Alitalia. La quota partecipativa variava tra le 70.000 e le 91.000 lire a seconda delle opzioni di viaggio prescelte: alla fine, il viaggio coinvolse 230 persone, tra industriali e architetti, divisi in più gruppi guidati da un interprete (Collegio regionale 1959).
Gli incontri americani o italiani degli anni Cinquanta sono quindi i primi di una lunga serie di viaggi da parte di entrambi. Dal carteggio emerge però anche quello che sembrerebbe essere uno degli ultimi incontri tra Singer e Ponti in America e che occorre in un’occasione particolare, legata all’altra importante realizzazione statunitense dell’architetto: l’inaugurazione del Denver Art Museum in Colorado nel 1971. Il Museo è infatti progettato da Ponti in collaborazione con la James Sudler Associates e con la consulenza del direttore museale Otto Bach. Dalle lettere, tra le lamentele per il fatto che Singer non fosse stato invitato all’inaugurazione, scopriamo che è stato proprio lui a presentare Ponti a Sudler e quindi, se vogliamo, a rendere possibile questa collaborazione. Se quest’ultimo si occupò dell’esecuzione e degli interni del museo, si deve a Ponti il disegno degli esterni: Singer è in copia quando i due progettisti dialogano sui mock-up delle lucenti piastrelle di ceramica invetriata a diamante che ricoprono le facciate dell’edificio, e sui tentativi fatti per testare la loro resistenza alle basse temperature di Denver.
Tra mostre americane e critica
Singer non è solamente un collaboratore di Ponti: nelle lettere si trova traccia di un continuo confronto intellettuale, nel quale vengono menzionati e discussi episodi del dibattito e della scena culturale e architettonica newyorkese, talvolta attraverso l’opinione di altri, in particolare attraverso le parole di Ada Louise Huxtable, architecture critic del “New York Times”. Quest’ultima è, insieme a Claire Luce McGill e Bertha Schaefer, una delle figure che spesso ricorrono nel carteggio con Singer. Per la sua formazione, la Huxtable si inserisce in modo particolare nelle dinamiche dello scambio transatlantico: oltre a essere stata una dei primi borsisti Fulbright in Italia, e aver curato una mostra per il MoMA sull’architettura moderna italiana, è anche l’autrice della prima monografia in inglese su uno dei collaboratori di Ponti, Pier Luigi Nervi (Huxtable 1960). I dettagliati diari personali di Garth Huxtable, industrial designer e marito di Ada Louise, confermano inoltre la conoscenza con Singer, così come il carteggio tra Ponti e la stessa Huxtable delinei un altro incontro newyorkese in occasione di uno dei viaggi di Ponti a New York nel 1954 (Huxtable 1954, A).
Singer invia spesso a Ponti ritagli del “Times” richiamandola alla memoria come “la loro amica”: per esempio, quando nel marzo 1964 si avvicina l’apertura del New York State Theatre presso il Lincoln Center for Performing Arts progettato da Philip Johnson, Singer menziona i continui cambi di stile delle architetture di Johnson e fa cenno ai blandi rimproveri da parte della Huxtable, che aveva precedentemente lavorato con Johnson al MoMA (Singer 1964).
Un altro esempio sono alcune interessanti note su “Italy: The New Domestic Landscape”, la famosa mostra curata da Emilio Ambasz per il MoMA nel 1972, uno degli eventi fondamentali nella storia della divulgazione del design italiano in Nord America (Peruccio 2006). Singer scrive all’amico pochi giorni dopo l’apertura della mostra, specificando di non aver partecipato all’inaugurazione benché membro del Museo poiché era stato comunque imposto un biglietto d’ingresso di $25.00. L’esposizione curata da Ambasz è infatti la più costosa mai organizzata fino ad allora dal MoMA. Per questo Singer sospende il giudizio sull’evento, ma riporta i commenti dell’opinione pubblica, dipingendolo come un episodio piuttosto elitario, letteralmente “a game played by the designers for the designers”. Dopo aver visitato la mostra, riscrive a Ponti allegando semplicemente la recensione della Huxtable per il “Times” con una nota: “This time I agree with her” (Singer 1972). L’articolo racconta di una mostra ricca di contenuti sofisticati ed eleganti, di un’installazione didattica e ambiziosa, ma piuttosto ambigua e contraddittoria nella sua stessa tesi di fondo: secondo la Huxtable, l’evento voleva fondamentalmente contestare l’insensatezza e l’irrilevanza di “beautiful objects” e del “good design” attraverso un'installazione che faceva leva proprio sugli stessi (Huxtable 1972). In risposta, Ponti, escluso dalla selezione dei contenuti per l’evento, concorda su tutto e chiosa sulla mostra definendola una “diabolic race” partita da Ambasz, e non da un’iniziativa del MoMA o dei progettisti italiani coinvolti (Ponti 1972).
Sempre in tema di mostre, ci sono dei riferimenti a due eventi che hanno coinvolto lo stesso Ponti. Ci sono infatti dei brevi cenni aa una mostra itinerante, presumibilmente “Italy at Work: Her Renaissance in Design Today” (Singer 1953), che circola negli Stati Uniti tra il 1950 e il 1953. L’evento, organizzato inizialmente presso il Brooklyn Museum, era stato promosso dal Ministero degli Esteri italiano e dalla CADMA (la Commissione Assistenza Distribuzione Materiali Artigianato), l’omologa italiana della Handicraft Development Inc., organizzazione no-profit che insisteva sull’esportazione dei prodotti di design italiani negli Stati Uniti e che rientrava nei programmi promossi attraverso il Marshall Plan per riattivare il commercio di un’Italia devastata dalla guerra. Dellapiana riconosce in Ponti una delle figure chiave legate all’evento, per il quale disegna gli interni di una sala da pranzo in collaborazione con Fornasetti e Melotti e allo stesso tempo, secondo Sherer, è proprio grazie ad Italy at Work che Josef Singer vede per la prima volta nel 1950 il suo lavoro e decide di intraprendere la loro collaborazione (Dellapiana 2018; Sherer 2011).
Infine, ci sono soprattutto alcune lettere interamente dedicate a “The Expression of Gio Ponti”, mostra monografica del 1966 curata da Nathan H. Shapira, storico collaboratore di Ponti in Nord-America, che dalla University of California Los Angeles Art Galleries circola per due anni tra Stati Uniti e Canada. Nel novembre 1966 Ponti viaggia a Los Angeles, ma non può fare lo stesso per le successive aperture (Ponti 1966). In realtà, il carteggio dimostra come Ponti facesse affidamento su Singer per avere informazioni sull’edizione newyorkese di questa mostra: dopo essere stata esposta alla Casa Italiana presso la Columbia University (per volere di Romaldo Giurgola), la mostra si sposta all’Istituto Italiano di Cultura di New York. I Singer anticipano però a Ponti in modo del tutto informale che quasi sicuramente l’installazione verrà tagliata in alcune delle sue parti rispetto all’edizione dell’UCLA, per via delle ridotte dimensioni dell’Istituto, informazione poi confermata a Ponti dallo stesso Shapira, scatenando la preoccupazione dell’architetto. Singer si reca addirittura in sito su richiesta dell’amico, e misura le stanze dell’Istituto con i suoi piedi, si occupa della lista degli inviti per l’evento, mentre Christine, moglie di Singer, si propone per curare e gestire il catalogo. Ponti li ringrazia e si dice piuttosto deluso per la scelta di tagliare alcune parti dell’installazione senza avere la possibilità di intervenire personalmente; per questo scrive un telegramma di raccomandazioni all’Istituto, lasciando tutto in mano a loro e ai suoi fidati Singer (Singer 1968; Singer 1968, A; Singer 1968, B; Ponti 1968).
Una “Favola americana”
La maggior parte delle lettere che compongono il carteggio Ponti-Singer sono scritte in inglese, anche se spesso si incontra qualche traccia di francese o di italiano. Ponti, dopo qualche tempo dall’inizio della loro collaborazione, si trova costretto a rivelare all’amico che l’inglese delle lettere non è, in effetti, farina del suo sacco, ma di Letizia ‘Tita’ Ponti, figlia e collaboratrice dell’architetto: da una nota di lei si legge che Josef le confessò divertito che l’inglese delle prime lettere del 1950 aveva un che di femminile, che lo lasciò inizialmente titubante. A margine delle lettere si legge spesso a caratteri cubitali il nome della figlia, o “Tita tradurre in inglese corretto”, e in allegato alla posta in entrata sono infatti spesso proposte le traduzioni per intero in italiano.
Gli stessi autori si domandano cosa potrebbe pensare un lettore delle loro stravaganze, e Singer un giorno scrive, in una nota, che la sua segretaria pensa siano entrambi matti (Singer, n.d.). Infatti, come in ogni amicizia, i due hanno un codice tutto loro. Per esempio, Singer talvolta si firma come “Le Général qui marche à cheval”, Ponti invece come “Le Soldat qui marche à pieds”, nomignoli ricorrenti lungo tutto l’arco temporale dello scambio. Ponti, inoltre, è l’unico a ricordare ogni anno con un telegramma all’amico che il 19 marzo è San Giuseppe, il giorno del suo onomastico (Singer 1977). Alcune delle più curiose e, se vogliamo, divertenti lettere sono quelle sugli Scripto gialli, dei pennarelli che Singer cerca di inviare periodicamente a Ponti, sebbene la crisi attraversata dalla Scripto nel 1970 avesse reso molto difficile reperirli. In un telegramma del 2 febbraio 1970, Ponti scrive “Bravo general victorieux avanti così”, in risposta a un breve messaggio di Singer che recita: “Bollettino: vittoria. Dodici gialli fatti prigionieri: 23 Gen ’70, 22 hrs, zona guerra Scripto” (Singer 1970).
Nel 1975, per ringraziarlo di avergli spedito degli Scripto, insieme ad alcune fotografie della sua amata New York, Ponti invia all’amico alcune delle sue lettere disegnate. Protagonista di questi giocosi fogli in rima dedicati a Josef e Christine – e intrisi di nostalgia per la moglie Giulia, da qualche tempo scomparsa, e dei ricordi dei viaggi in Italia di Singer – è ‘Favola Favolanti’, che “dice a tutti quanti, che senza favole non si tira avanti”. Si tratta di un personaggio immaginario nato dalla penna di Ponti che ricorre nella corrispondenza di quegli anni. Favola, scrive Ponti, “quando era bambina era chiamata Favolina, quando era ragazzetta era chiamata Favoletta, e quando era sposa era chiamata Favolosa”. Singer, che a sua volta sta al gioco, risponde a Favola e non all’amico, ricordando il suo primo viaggio in Italia del 1950, quando tutto è iniziato: Giulia gli aveva insegnato le parole di Addormentarmi così – composta da Biri e Vittorio Mascheroni – mentre erano in viaggio sulla loro Fiat 500 sulla strada per Civate, dove i Ponti avevano una casa, e insieme avevano scalato la montagna verso l'abbazia di San Pietro al Monte. Singer scrive spesso, in realtà, dei giorni a Civate quando gli capita di riguardare le innumerevoli foto di Ponti che dorme: “il suo passatempo preferito della domenica pomeriggio” (Ponti 1975; Ponti 1975, A; Ponti 1975, B; Singer 1975).
Nel rispondere a Favola, Singer scrive anche che
[...] senza favole non siamo niente – i nostri sogni, le nostre speranze, i nostri desideri – sono tutte favole. Ma dobbiamo sempre averne delle nuove. Non dobbiamo dimenticare le favole del passato, sarebbe terribile. Tu devi aiutare tuo padre Gio nel creare le favole del futuro (Singer 1975).
E così torna alla mente la favola della quale Ponti aveva scritto quasi trent’anni prima su “Domus”, dove già emerge tutta la fascinazione che Ponti ha per una New York “celeste più che terrestre” e per la realtà architettonica statunitense. Infatti, in realtà, l’articolo si compone di due parti: una prima, dedicata all’architettura verticale di New York, e una seconda, dedicata all’architettura orizzontale del deserto Californiano che, “così abitato, deserto non è più”. Se i grattacieli di New York non oscurano il cielo “ma lo captano e lo tirano giù, ce lo portano giù, ce lo avvicinano”, una scuola elementare e un nuovo ospedale nel deserto a Palm Springs si spingono in un “campo ideale sperimentale […], questo deserto abitabile”. L’architettura dipinta da Ponti che è protagonista di questa duplice “favola americana” viene presentata come uno strumento puro e rigoroso, frutto di un’audacia tecnica che diventa motore trainante del nuovo pionierismo americano, portatrice e rappresentante di qualcosa di più grande, di “una favola generosa e pulita, la favola d'un ordine, d'una bellezza possibili, la favola di una profezia incantevole, la favola dei bei sogni ottimistici dell'uomo, la favola del Bene senza il Male.”
Panorama americano, Racconto americano e Leggenda americana: questi i titoli per l’articolo valutati dalla redazione e svelati nell’incipit del pezzo – tutti espressione di un immaginario che sottolinea il carattere leggendario e quasi eroico attribuito alla realtà architettonica d’oltreoceano in un momento in cui le collaborazioni transatlantiche di Ponti stavano solo iniziando a concretizzarsi, e la sua favola americana a misurarsi con la realtà, popolandosi di molteplici racconti, progetti, e figure.
Nota sulla consultazione degli archivi
Purtroppo, la situazione di emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 (primavera 2020) mi ha portato a dover fare riferimento solamente ad alcune delle lettere fotografate e degli appunti presi durante una visita all’archivio Ponti nel gennaio 2020, arricchendo e contestualizzando le vicende con riferimento a una limitata quantità di materiali. La corrispondenza di Ponti con i protagonisti del panorama culturale e professionale americano annovera comunque, per fare alcuni nomi, personaggi come Alfred Barr, Charles Eames, Bernard Rudofsky ed Esther McCoy.
Lo scambio con Ada Louise Huxtable, strumentale per la mia ricerca di dottorato in corso, è stato approfondito per il momento in modo parziale, consultando la corrispondenza tra la Huxtable e Ponti presso l’Archivio Gio Ponti di Milano e il fondo della stessa autrice - seppur in via preliminare - presso il Getty Research Institute di Los Angeles, dove tuttavia non vi è traccia della corrispondenza con Ponti, ma solo materiale di ricerca sui lavori dell’architetto. Complementare potrebbe essere prendere visione completa del fondo del marito, in quanto Garth Huxtable teneva dei sintetici ma dettagliati diari quinquennali one-line-per-day, così come i documenti relativi all’attività della Huxtable conservati presso il Museum of Modern Art di New York.
Riferimenti bibliografici
- Barioglio 2015
C. Barioglio, Gio Ponti in America, in A. Coppa e L. Tenconi (a cura di), Grattanuvole: un secolo di grattacieli a Milano, Santarcangelo di Romagna 2015, 177-86. - Brennan 1951
D. Brennan, Across the Seas Collaboration for the new Singer collection, “Interiors” 5 (dicembre 1951), 120-129, 158. - Dellapiana 2018
E. Dellapiana, Italy Creates. Gio Ponti, America and the Shaping of the Italian Design Image, “Res Mobilis: Revista Internacional de Investigación En Mobiliario y Objetos Decorativos” vol. 7, 8 (2018), 19-48. - Fluid Diamonds 1952
Fashion. Fluid Diamonds: Floating White, “Vogue” 119, 4 (1 marzo 1952), 144-145. - Huxtable 1954
A. L. Huxtable. Stainless Comes to Dinner. “Industrial Design” 1, 4 (1954), 30–37. - Huxtable 1960
A. L. Huxtable, Pier Luigi Nervi, New York 1960. - Huxtable 1972
A. L. Huxtable. Italian Design Show Appraised - Ambiguous but Beautiful, “The New York Times”, 26 maggio 1972. - Italian Influence on American Decor, 1954
Entertaining. Italian Influence on American Decor. A six-page study, “Vogue” 124, 7 (15 ottobre 1954), 116-121,148. - Maraini 1972
D. Maraini, Gio Ponti in dialogo con Dacia Maraini, “Vogue Italia” 243 (gennaio 1972), 76-77, 88. - Modern by Singer 1951
Pubblicità per Modern by Singer, “Interiors” 4 (novembre 1951). - Modern by Singer 1952
Modern by Singer, Invito per il vernissage, lunedì 5 novembre 1952, New York, 32-38 East (9 street), Epistolario - Archivio Gio Ponti, Milano. - New Bloom on Summer 1956
Fashion. New Bloom on Summer: Rosy Peach, “Vogue” 127, 10 (1 giugno 1956), 100-101. - Pepis 1951
B. Pepis, Following Sculptural Lines, “The New York Times”, 4 novembre 1951. - Peruccio 2006
P. P. Peruccio, La mostra “Italy. The New Domestic Landscape” al MOMA di New York, in F. Filippi, L. Gibello, M. Di Robilant (a cura di), 1970-2000 Episodi e temi di storia dell'architettura, Torino 2006, 45-50. - Ponti 1952
G. Ponti, Favola Americana, “Domus” 272 (luglio-agosto 1952), 6-15. - Ponti 2011
L. Ponti, Gio Ponti e lo sbarco italiano a New York, in G. Celant (a cura di), Espressioni di Gio Ponti, Milano 2011, 46-47. - Scrivano 2013
P. Scrivano, Building Transatlantic Italy: Architectural Dialogues with Postwar America, Farnham 2013. - Sermisani 1987
S. Sermisani (a cura di), G. Ponti. Cento lettere, Milano 1987. - Sherer 2011
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Features, Articles, People. Gio Ponti, Universal Man, “Vogue” 124, 5 (15 settembre 1954), 98-101.
Corrispondenza
Si ringrazia Alberto Rosselli per la cortesia e la disponibilità accordatami per la lettura del carteggio.
- Singer, n.d.
Josef Singer a Gio Ponti, senza data, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Singer 1951
Josef Singer a Gio Ponti, 13 febbraio 1951, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Singer 1951, A
Josef Singer a Gio Ponti, 7 agosto 1951, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Singer 1953
Josef Singer a Gio Ponti, 1 giugno 1953, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Singer 1953, A
Josef Singer a Gio Ponti, 12 giugno 1953, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Singer 1953, B
Josef Singer a Gio Ponti, 15 giugno 1953, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Ponti 1953
Gio Ponti a Josef Singer, 17 giugno 1953, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Huxtable 1954, A
Ada Louise Huxtable a Gio Ponti, 17 giugno 1954, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Ponti 1954
Gio Ponti a Cassina, 20 agosto 1954, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Singer 1954
Josef Singer a Gio Ponti, 16 settembre 1954, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Collegio Regionale 1959
Collegio Regionale Lombardo degli Architetti a Gio Ponti, “Viaggio a New York”, 17 febbraio 1959, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Ponti 1959
Gio Ponti a Eliot Noyes, 22 giugno 1959, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Singer 1964
Josef Singer a Gio Ponti, 23 marzo 1964, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Ponti 1964
Gio Ponti a Josef Singer, 21 aprile 1964, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Singer 1964, A
Josef Singer a Gio Ponti, 7 settembre 1964, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Ponti 1965
Letizia Ponti a Josef Singer, 13 settembre 1965, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Ponti 1966
Gio Ponti a Esther McCoy, ottobre 1966, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Singer 1968
Christine Singer a Gio Ponti, 21 febbraio 1968, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Singer 1968, A
Josef Singer a Gio Ponti, 25 febbraio 1968, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Ponti 1968
Gio Ponti a Christine e Josef Singer, 1 marzo 1968, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Singer 1968, B
Josef Singer a Gio Ponti, 8 marzo 1968, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Singer 1970
Josef Singer a Gio Ponti, 19 gennaio 1970, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Singer 1972
Josef Singer a Gio Ponti, 5 giugno 1972, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Ponti 1972
Gio Ponti a Josef Singer, 19 giugno 1972, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Ponti 1973
Gio Ponti a Josef Singer, 18 luglio 1973, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Ponti 1975
Gio Ponti a Josef Singer, 20 giugno 1975, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Ponti 1975, A
Favola Favolanti (Gio Ponti) a Josef Singer, 4 agosto 1975, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Ponti 1975, B
Favola Favolanti (Gio Ponti) a Josef Singer, 28 agosto 1975, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Singer 1975
Josef Singer a Favola Favolanti (Gio Ponti), 4 settembre 1975, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Ponti 1977
Gio Ponti a Josef Singer, novembre 1977, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Singer 1977
Josef Singer a Gio Ponti, 20 marzo 1977, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano. - Singer 1977, A
Josef Singer a Gio Ponti, 22 novembre 1977, Epistolario. Archivio Gio Ponti, Milano.
English abstract
This text originates from the sense of wonder and involvement felt in reading the correspondence between the Milanese architect and designer Gio Ponti and Joseph 'Josef' H. Singer of M. Singer & Sons, a furniture manufacturer of New York, held by the Ponti Archive in Milan. An exchange which, between letters, drawings and telegrams not only testifies the working and personal relationship between the two figures, but which also becomes an interesting tool to frame some of the moments, episodes and figures that have marked, at least in part, the links between Ponti and the United States. In this way, this text aims to contribute to the positioning of his activity within the broader and more complex panorama of the exchange of knowledge, models, ideas, techniques, and design practices between Italy and North America in the post-war period.
keywords | Gio Ponti; Josef Singer; Transatlantic Exchange; Correspondence.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio.
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: Valeria Casali, Una favola americana. Il carteggio transatlantico tra Josef Singer e Gio Ponti (1950-1979), “La Rivista di Engramma” n. 175, settembre 2020, pp. 347-369 | PDF dell’articolo