Introduzione
Dei rapporti tra Lina Bo e Gio Ponti hanno parlato alcuni testimoni diretti, quali Lisa Licitra Ponti e Carlo Pagani, ed entrambi ne hanno ridimensionato l’importanza e la profondità, dandone una lettura piuttosto limitata nel tempo e nello spazio, oltreché nei reciproci esiti. In particolare, Pagani ha affermato che Lina non ha mai lavorato direttamente con Ponti (Pagani 2017, 102) e che per sua intermediazione ha collaborato da esterna, in modo saltuario e indiretto, per incarichi che abitualmente le venivano affidati (Oliveira 2000, 246). Analogamente Lisa Ponti ha dichiarato che Lina non ha mai lavorato nello studio del padre (Oliveira 2000, 246).
Pagani, attraverso queste asserzioni, contesta il Curriculum letterario di Lina Bo – ovvero il testo introduttivo al catalogo Lina Bo Bardi – un collage di frammenti scritti dall’architettrice che ricostruisce il suo periodo italiano (Bo Bardi [1993] 1994, 9-12). In esso, tra l’altro, si legge:
Mi sono laureata alla Facoltà di Architettura dell’Università di Roma. […] In virtù della tendenza di nostalgia stilistico-aulica, non soltanto dell’Università ma di tutto l’ambiente professorale romano, me ne sono andata a Milano. […] A Milano, per far pratica, sono entrata nello studio del celebre architetto Gio Ponti, leader del movimento per la valorizzazione dell’artigianato italiano, direttore delle Triennali di Milano e della rivista “Domus”. Mi disse subito: Io non ti pagherò, sei tu che devi pagarmi. Lavoro ininterrotto dalle 8 di mattina fino a mezzanotte, sabati e domeniche comprese. Il lavoro: dal design di tazze e seggiole, dalla moda, cioè vestiti, a progetti urbanistici, come quello di Abano Terme. L’attività dello studio si estendeva dalla costruzione della Montecatini all’organizzazione delle Triennali di Arti Decorative e alla redazione di varie riviste. In questo modo sono entrata in contatto diretto con i problemi reali della professione. […] Nel bombardamento del 13 agosto (1943 n.d.r.) perdetti il mio studio. Uscii dal grande atelier-studio di Ponti” (Bo Bardi [1993] 1994, 9-10).
Evidentemente il racconto di Lina Bo Bardi parla di una collaborazione di studio con Gio Ponti aperta ai diversi ambiti del progettare, come peraltro ha confermato anche in un’intervista rilasciata nel 1991 alla studiosa Olivia de Oliveira, in cui ha citato il suo lavoro nello studio di Ponti, pur precisando che avrebbe preferito andare a lavorare nello studio di Pagano, dove però non avrebbe trovato posto, essendo molto ambito poiché pagava i suoi collaboratori (Oliveira 2000, 246). Ma per leggere criticamente le dichiarazioni di Lina Bo Bardi bisogna sapere che per lei esistevano tante verità quante erano le occasioni in cui raccontava un aneddoto, fornendone ogni volta una nuova e accattivante versione.
Le ricerche d’archivio condotte presso l’Istituto Lina Bo e P. M. Bardi di São Paulo hanno permesso di rintracciare il frammento scritto da Lina, e confluito nel Curriculum letterario, che racconta del suo periodo milanese: si tratta di un curriculum vitae redatto per partecipare al concorso per l’insegnamento della disciplina Teoria dell’Architettura alla Facoltà di Architettura e Urbanistica dell’Università di San Paolo nel 1957 (Catalano 2015, 13-15). A quell’epoca Lina doveva ricordare perfettamente come si fossero svolti i fatti essendo passati non troppi anni da quegli eventi, ma potrebbe averli modificati in funzione dell’obiettivo professionale da perseguire in ambito universitario, al fine di presentare il suo percorso italiano in modo accattivante. Avvalora questa tesi una riflessione di Renato Anelli sul periodo italiano di Lina Bo Bardi in cui afferma che alcune incongruenze tra realtà e racconto – con particolare riferimento al Curriculum letterario – sono probabilmente determinate dallo sforzo, messo in atto da Lina, di costruirsi un passato eroico al fine di sostenere la sua azione nel contesto brasiliano (Anelli 2010, 9). Pertanto, non è da escludere la tesi di Carlo Pagani e Lisa Ponti secondo cui la collaborazione tra Lina Bo e Gio Ponti sia stata non di studio ma esterna. Ma essa deve essere stata comunque intensa, significativa e profonda se si considerano i molteplici materiali editoriali risalenti al periodo dal 1940 al 1943 da cui emergono le attività condivise, spesso anche insieme a Carlo Pagani, che costituiscono un contributo rappresentativo alla cultura del periodo, e che attraverso una lettura critica dimostrano di essere state determinanti per il successivo sviluppo professionale di Lina Bo Bardi.
Milano 1940. L’incontro con Gio Ponti
Lina Bo entra in contatto con Gio Ponti nel 1940 nella capitale lombarda, dove a presentarli è senz’altro Carlo Pagani, che è stato allievo di Ponti alla Facoltà di Architettura di Milano. Ma, provenendo da Roma, è molto probabile che Lina avesse avuto modo di conoscere indirettamente Ponti attraverso la Scuola di Matematica, costruita all’interno della Città Universitaria e inaugurata nel 1935, opera in grado di coniugare le istanze della modernità con quelle della rappresentatività, comprendendo le diverse scale del progetto dall’edificio all’arredo (Mornati 2019, 92-93). Lina e Carlo, invece, si sono incontrati dalla Facoltà di Architettura di Roma, dove lei si è laureata nel 1939 e che lui ha frequentato per un certo periodo. I due giovani architetti sono legati da stima reciproca e probabilmente da un’amicizia sentimentale. Decidono così di re-incontrarsi a Milano e di lavorare insieme, aprendo lo studio Bo-Pagani in via del Gesù. Per Lina è un’occasione di crescita personale e professionale: lasciare la capitale fascista d’Italia, allontanarsi dalle rovine storiche e dal monumentalismo, mettersi in gioco in un ambiente più aperto alle nuove sperimentazioni in cui provare a trovare un proprio posto. Ma il sogno milanese deve fare i conti con l’ingresso dell’Italia in guerra, con la difficoltà a trovare commissioni d’architettura, con la necessità di procurarsi da vivere lontano dalla famiglia, con la complicazione di essere donna in un ambiente professionale maschile…
È qui che entra in gioco Ponti, attraverso Carlo Pagani. A quell’epoca Lina ha 26 anni, Carlo ne ha 27, Gio ne ha 49, la distanza generazionale è tale che i due giovani architetti potrebbero essere suoi figli. E come tali li tratta, riconoscendo le loro potenzialità e dando loro molteplici occasioni di lavoro in cui mettere a frutto i propri talenti. In un periodo in cui, soprattutto per gli architetti neolaureati, costruire è davvero difficile, la proposta di Ponti riguarda in particolare l’ambito editoriale e la redazione di progetti di carta o “paper architecture”, secondo la definizione dello studioso Zeuler Lima (Lima 2013, 19). D’altronde gli anni del conflitto vedono una stasi dell’architettura costruita anche per l’atelier di Gio Ponti ed un’intensificazione dell’attenzione ai progetti ideali (Tinacci 2019, 113), insieme all’impegno nei campi dell’editoria, delle arti decorative, della pittura e della scenografia teatrale (Casciato, Irace 2019, 299).
La vicinanza di Bo e Pagani all’architetto milanese subirà una battuta d’arresto tre anni dopo. Infatti, come spesso accade ai padri, la sua aura è ingombrante, e dopo alcuni anni soprattutto Lina sentirà la necessità di ricominciare in modo autonomo avendo come base le esperienze fatte con, e grazie a, Ponti, ma prendendo – almeno in parte – le distanze da esse. Eppure, molto di ciò che avrà visto, letto, imparato, sperimentato attraverso Gio Ponti, nel periodo dal 1940 al 1943, le rimarrà come bagaglio e troverà ulteriore e compiuto sviluppo in Brasile.
Una collaborazione lunga tre anni
L’inizio della collaborazione tra Ponti, Lina Bo e Carlo Pagani è sancito da un articolo sul numero 152 di “Domus” dell’agosto 1940. La splendida copertina di Ponti introduce il consueto numero estivo dedicato alla casa al mare [Fig. 1] e Lina e Carlo, con il progetto ʻdi fantasiaʼ, privo cioè di una committenza reale, Casa sul mare di Sicilia (Bo, Pagani, 1940a), danno il loro contributo su questo tema [Fig. 2].
Ponti deve senz’altro apprezzare il lavoro dei due giovani se dà loro uno spazio per il debutto ampio sei pagine, in cui descrivere e documentare il progetto, consentendo ricchezza e varietà di elaborati. Inoltre, è significativo che questo loro primo contributo pubblicato riguardi un tema tanto caro a Ponti quale è quello dell’architettura mediterranea (Licitra 2018, 15). Lina e Carlo lasciano trasparire con stima evidente l’influenza del loro maestro, riuscendo ad incarnare alcuni tra gli aspetti principali del testo introduttivo pontiano Problemi italiani dell’abitazione al mare (Ponti 1940a). Ciò nonostante, il progetto rivela anche significativi elementi autonomi, alcuni dei quali troveranno completa maturazione nelle opere brasiliane di Lina Bo Bardi.
L’abitazione sul suolo siciliano, Magna Grecia vivente, è un’architettura che volutamente accoglie il clima mitico, sorprendente e affascinante della storia del luogo. D’altronde “l’architettura che diventa paesaggio”, proclamata da Bo e Pagani nel lungo testo descrittivo del progetto, fa parte delle condizioni architettonico-urbanistiche a cui l’edilizia per le ferie al mare secondo Ponti deve rispondere. Così come il fatto che la casa sia un cubo e sia costruita in forte muratura come le casette della costa e con l’utilizzo autarchico delle risorse locali, riecheggia quanto, poche pagine prima, aveva esplicitato lo stesso Ponti riguardo all’importanza di utilizzare nelle nuove costruzioni elementi costitutivi delle costruzioni locali preesistenti (Ponti 1940a, 20). Analogamente, l’interesse per il luogo che, sebbene di fantasia, viene immaginato nei dettagli altimetrici e naturali e dettagliatamente disegnato, deriva a Lina e a Carlo Pagani da un analogo atteggiamento di Ponti, così come si può vedere per esempio nei suoi molteplici progetti di case al mare.
L’abitazione è costituita da tre livelli fuori terra [Fig. 3]. Il primo livello, chiuso, ospita i servizi: la cucina, l’autorimessa, la lavanderia, la cisterna per le acque piovane, il deposito per le barche e per gli attrezzi. Il primo piano è servito da una scala serrata tra muri ed è organizzato intorno a un patio coperto [Fig. 4]. A questo livello si trovano le camere con i bagni privati e lo spazio principale dell’abitazione: un grande vano aperto sul mare e destinato al soggiorno, alla musica e al pranzo [Fig. 5]. Infine, l’ultimo livello ospita il giardino pensile [Fig. 6] – anch’esso citazione pontiana – posto in comunicazione con il patio sottostante in virtù di una balaustrata a clessidra. Il tetto a terrazza comprende una parte a prato, coperta da una vela, e una parte destinata a solarium, pavimentata con lastre di lava. L’unico prospetto esterno disegnato coniuga razionalismo e mediterraneità [Fig. 7]. Procedendo dal basso verso l’alto si distinguono: il basamento chiuso e inviolabile; il primo piano marcato da una forte orizzontalità, dovuta al lungo terrazzo aggettante – su cui si aprono tre larghe bucature – e sormontato da una struttura sporgente che regge un telo rosso di copertura, utile a creare l’ombra; l’ultimo piano definito da logge che schermano il tetto a terrazza.
La casa si colloca al centro di un grande e alto recinto bianco che la difende dal vento, in cui si aprono larghi occhi che lasciano vedere a intervalli i grigi ulivi, la roccia arida, il mare azzurrissimo. Lo spazio esterno è costituito da boschetti di aranci, filari di ulivi e palmizi, ed è organizzato con percorsi che conducono al padiglione per i riposi estivi e al giardino chiuso, quest’ultimo caratterizzato da capanne di bambù e piante esotiche e attraversato da un ruscello. Fuori dal recinto il corso d’acqua si allarga a formare un lago sulle cui acque si specchia un obelisco [Fig. 8]. Come è evidente, Lina Bo e Carlo Pagani, nella Casa sul mare di Sicilia, accolgono e fanno propria la visione idilliaca e lirica del mito mediterraneo di Ponti e la sua poetica di armonia tra progetto di architettura e natura (Tinacci 2019, 113). Inoltre, alcune soluzioni adottate – l’ispirazione all’impianto della domus romana, le nicchie scavate nelle pareti, i motivi decorativi classici, la balaustra con il motivo a clessidra, il sistema per assicurare l’ombra, il tetto a terrazza, ed alcuni particolari, quali le sedie in ferro battuto, le figure di donne – sono un chiaro ʻomaggioʼ allo stesso Ponti. Ma il progetto contiene anche diversi elementi originali e per alcuni aspetti sorprendenti. Notevole è la possibilità di rintracciare quanti temi grafici e progettuali, presenti nella poetica e nell’immaginario di Lina, si riscontrino già in questo primo progetto mediterraneo a quattro mani (Catalano 2008, 19). Per questo sarebbe importante capire quanto in questo lavoro sia dovuto a Bo e quanto a Pagani, ma distinguere i singoli apporti risulta oggi, allo stato attuale delle ricerche, estremamente difficile.
Tra gli elementi cari a Lina, vi sono innanzitutto le barche, i rimorchiatori, e poi la cabina, il riparo primitivo, il muro di mattoni a vista, la capanna di bambù, il laghetto e il corso d’acqua, l’elemento totemico... Oltre a ciò, è indubbio che il tema dell’architettura mediterranea permeerà il lavoro oltreoceano di Lina Bo Bardi, trovando una prima importante ed inaspettata sperimentazione nella natura ibrida della Casa de Vidro (Lima 2013, 60), che coniuga un fronte principale che è originale manifesto dell’architettura moderna ed internazionale ed un retro che si rifà alle costruzioni spontanee e popolari. Vi sono, ancora, inoltre elementi spaziali, organizzativi e formali presenti nel progetto della Casa sul mare di Sicilia che saranno approfonditi nella Casa de Vidro, nella Casa di Valeria Cirell, nella Cappella Santa Maria dos Anjos, nello studio per la Casa do Chame-Chame, nella Casa del Benin e nel Centro di Convivenza LBA, nella Chiesa Espírito Santo do Cerrado – tutte opere realizzate da Lina Bo Bardi in Brasile. Vi è poi un ʻelemento visionario e premonitoreʼ nel recinto di mattoni che chiude la proprietà e che così viene descritto nel testo: “Larghi occhi nei muri lasciano vedere ad intervalli i grigi ulivi, la roccia arida, il mare azzurrissimo” (Bo, Pagani 1940a, 31). Sono gli stessi occhi che a distanza di oltre trent’anni si apriranno verso la città di São Paulo nel blocco sportivo del Sesc Pompéia, e verso il centro storico di Bahia nel Teatro Gregório de Mattos.
Un’ultima considerazione riguarda due disegni rispettivamente firmati ‘Carlo’ [Fig. 9] e ‘Lina’ [Fig. 10] e sicuramente pensati nell’ambito del progetto Casa sul mare di Sicilia, che rifluiscono – forse per banali motivi di spazio – in alcune pagine precedenti: l’uno va ad illustrare l’articolo Una casetta allungata sulla riva disegnata per voi da Gio Ponti e Carlo Pagani (Pagani, Ponti 1940a), mentre l’altro accompagna Un’altra casina disegnata per voi da Gio Ponti e Carlo Pagani (Pagani, Ponti 1940b). La provenienza dei due disegni è certa, poiché essi rispecchiano a pieno i caratteri paesaggistici che contraddistinguono il progetto di Bo e Pagani:
I Templi sperduti nelle lande selvagge, gli scogli che si gettano nel mare profondo, il vento snervante, i fiori africani, il cielo intenso e cupo, le case bianche aggrappate alle rocce, sono prepotenti e indimenticabili richiami del luogo (Bo, Pagani 1940a, 30).
In particolare, l’illustrazione firmata da Lina comprende le immagini del vulcano e dei reperti archeologici presenti anche nelle rappresentazioni che accompagnano il progetto Casa sul mare di Sicilia. Inoltre, in questo disegno, uno degli scogli che emerge dall’acqua presenta una bucatura grande e profonda, dalla forma organica, un vero e proprio occhio sul mare, come un déjà vu delle bucature del Sesc Pompéia. Ancora una volta viene da chiedersi se si tratta di disegni a quattro mani o se vi è la prevalenza di un collega sull’altro, poiché il tratto è pressoché identico sia nell’illustrazione firmata da Carlo che in quella di Lina.
Dopo questo importante debutto per Lina e Carlo, permesso dalla generosità di Ponti, “Domus” nel corso del 1940 ospita altri due loro contributi. Infatti, a novembre firmano Una stanza per due ragazzi (Bo, Pagani 1940b), un progetto di architettura degli interni e arredamento di grande chiarezza e funzionalità [Fig. 11], in cui vengono proposte soluzioni facilmente applicabili in ogni contesto, affinché i lettori possano realizzarle senza difficoltà nelle loro case, secondo una modalità che Gio Ponti già da tempo promuove nella sua rivista (La Pietra 2018, 28). Un modo di lavorare che persegue finalità di educazione all’abitare, che Lina Bo e Carlo Pagani acquisiscono in questo contesto pontiano e approfondiranno nell’intensa collaborazione con il periodico “Grazia” nel periodo dal 1941 al 1943.
Ancora, a dicembre, la pubblicazione di un ulteriore progetto è accompagnata da un significativo riconoscimento di Gio Ponti: “Gli architetti Bo e Pagani sono ormai degli specialisti in fatto di giardini. Questo che presentiamo ha tutte le caratteristiche della fantasia e della geometria delle loro composizioni” (Ponti 1940b, 42). Il lavoro riguarda la sistemazione di uno spazio esterno di forma rettangolare, cinto da mura, di pertinenza di un’abitazione isolata [Fig. 12]. Anche in questo caso soluzioni originali si affiancano a influenze pontiane e, al contempo, compare “il gioco all’aperto”, un’invenzione probabilmente ispirata all’universo di De Chirico, artista protagonista delle pagine di “Domus”, che evidentemente entra da subito in contatto con Lina e Carlo [Fig. 13]. Infatti, se è vero che i due giovani non lavorano quotidianamente gomito a gomito con Ponti, è però certo che entrano nel suo ambiente ricco di stimolanti incontri nei diversi ambiti della cultura e della società.
Inoltre, in quello stesso numero di “Domus” (dicembre 1940), Lina per la prima volta è impegnata nell’attività di illustratrice, firmando – da sola, senza Pagani – una rappresentazione di ispirazione classica che accompagna un articolo sull’invenzione del violino (Dal Fabbro 1940, 89) [Fig.14]. Evidentemente Ponti ha subito notato e apprezzato la sua abilità nel disegno, oltre che la sua immaginifica fantasia, e ha iniziato ad impiegarla in ambito editoriale. D’ora in poi le collaborazioni di Lina all’universo di Ponti riguarderanno non solo l’architettura e l’arredamento, ma anche l’illustrazione. Contemporaneamente, nella seconda metà del 1940, Lina Bo e Carlo Pagani collaborano anche alla quarta uscita della rivista “Aria d’Italia”, un raffinatissimo periodico trimestrale, ideato ed edito da Daria Guarnati, a cui vengono quasi sicuramente introdotti dallo stesso Ponti che sostiene la rivista con stima, affetto e diversi contributi scritti e grafici.
Nel numero autunnale, dedicato a “La bellezza della vita italiana”, i due giovani architetti presentano un progetto dal titolo Un giardino a Tarquinia (Bo, Pagani 1940c), immaginando appunto un giardino, di pertinenza di una villa, in una località compresa tra Tarquinia e Civitavecchia, nel Lazio, a poca distanza dal mare [Fig. 15]. Il lavoro è illustrato in cinque pagine, in cui la scrittura ricercata e poetica si compenetra al disegno, anch’esso aulico, ricco di riferimenti al mondo classico e alla storia in generale. Questa impostazione si confà sicuramente al taglio, agli interessi e al pubblico della rivista e risente dell’ispirazione culturale pontiana, lasciando trasparire una grande abilità nella rappresentazione e una profonda conoscenza della storia dell’arte e dell’architettura, mentre deve ancora maturare un linguaggio autonomo e originale, pur essendo presenti in nuce alcuni elementi della poetica bo-bardiana successiva. Effettivamente, Lina Bo deve avere a quest’epoca ancora l’entusiasmo dei debuttanti – avida di esperienze, senza eccessivi magoni e tormenti etici, con la voglia di misurarsi con prove nuove e anche complesse e di iniziare a farsi conoscere e apprezzare nei diversi ambienti culturali. E sicuramente “Aria d’Italia” deve essere stata una importante vetrina per Lina, come per Carlo, sotto la protezione di Ponti.
In seguito, nel gennaio 1941, quando Gio Ponti lascia l’ormai storica direzione di “Domus” e dà vita ad una nuova rivista “Lo Stile nella casa e nell’arredamento”, Lina e Carlo lo seguono lavorando alla nuova rivista sin dal primo numero con continuità (Rostagni 2016, 7). In particolare, Pagani sarà indicato in copertina come redattore dall’uscita n. 5-6 (maggio-giugno 1941) e Lina maturerà un’ampia ed eterogenea esperienza occupandosi di progettazione – soprattutto d’interni e d’arredo – e prestando la sua mano preziosa e agile come illustratrice, collaborando alla realizzazione di molte copertine e scrivendo testi teorici. Inoltre, questa rivista sarà un mezzo per presentare alcuni lavori realizzati dello studio Bo-Pagani, dimostrando il loro impegno nel campo dell’architettura costruita, nonostante la scarsezza di commesse dovuta alla guerra.
Come già era accaduto per “Domus”, il primo contributo dei due collaboratori a “Stile” è un lungo inserto, dal titolo 3 arredamenti degli architetti Lina Bo e Carlo Pagani (Redazione 1941), in cui l’ampiezza dell’intervento dà ancora una volta misura della stima di Ponti nei loro confronti. Risulta infatti estremamente significativa la scelta di avviare una nuova rivista concedendo tanto spazio ai contributi di collaboratori giovani e inseriti nell’ambiente professionale da poco tempo. Questa decisione non può che risentire della piena fiducia di Ponti verso i due architetti e della volontà di fare emergere le loro abilità. L’articolo propone ai lettori le soluzioni per una eterogenea terna di temi progettuali: la stanza di soggiorno di una casa di campagna, la stanza da pranzo di una casa in città (porzione di un progetto effettivamente realizzato da Lina e Carlo, e che quindi nasce da una committenza reale), la stanza per una bambina [Fig. 16]. Le ipotesi sono ampiamente illustrate da piante, viste prospettiche, schizzi anche acquerellati e disegni esecutivi degli arredi. Come risulta evidente, questo ricco articolo costituisce per Bo e Pagani un ampio e variegato debutto nei campi degli interni e dell’arredo, non senza un evidente riferimento al modus operandi di Ponti, e all’indirizzo culturale che d’ora in poi contraddistinguerà la nuova rivista “Stile”, ma con elementi di ricerca personali e originali.
Poi, dall’uscita di marzo, inizia una stimolante collaborazione anche per le ricercate copertine. La prima è firmata “Bo + Ponti”, e vede emergere – da uno sfondo animato da intense pennellate nei toni del rosa, rosso, marrone e nero – la sagoma di un vaso panciuto, al cui interno la mano riconoscibile di Lina ha disegnato con la china nera su fondo bianco una ricchissima composizione di oggetti, arredi e soprammobili [Fig. 17]. Ad aprile la copertina è firmata da Bo e Pagani che rappresentano, in una vista dall’alto, una villa storica con un grande giardino di pertinenza organizzato secondo una maglia romboidale, inserita in un paesaggio fluviale [Fig. 18]. Parallelamente si susseguono nei diversi numeri progetti, illustrazioni, consigli d’arredamento e decorazione curati da entrambi, tra cui approfondimenti su terrazze in città [Fig. 19], gabbie finte e gabbie vere, aspetti nuovi di vecchi mobili [Fig. 20], fodere d’estate, tende e cabine [Figg. 21-22], l’acquario in casa, idee per gli apparecchi Lumen [Fig. 23], stoffe e poltrone [Fig. 24], vecchi mobili in provincia [Fig. 25], classicità nel panneggio, giochi per i bambini, finestre, una casetta di caccia, vita d’oggi nella casa d’oggi [Fig. 26], paglia sintetica, idee di mobili [Fig. 27].
Senza soffermarci pedissequamente sui contenuti, si può senz’altro affermare che si tratta di un esercizio creativo di alto livello, che tocca tematiche diversificate, senza rinunciare all’ironia; inoltre alcuni contenuti affrontati risultano particolarmente affini alla ricerca personale degli autori. D’altronde la costante progettazione d’arredi ex novo o come trasformazione di mobili preesistenti ha avuto senz’altro una ricaduta nei progetti di mobili prodotti nell’ambito dello Studio d’Arte e Architettura Palma.
Inoltre, dall’ottobre 1941 si registra un fatto estremamente interessante: la comparsa della prima copertina firmata ‘Gienlica’, abbreviazione dei nomi di Gio Ponti, Enrico Bo, Lina Bo e Carlo Pagani [Fig. 28]. Ciò significa che a fine 1941 si realizza il coinvolgimento del padre di Lina nella rivista “Stile”, la cui figura si aggiunge alla triade Ponti, Lina e Carlo e la completa. Enrico Bo è un pittore esordiente in tarda età, apprezzato dallo stesso De Chirico, autore di una produzione naif e surrealista al tempo stesso, che alla fine della guerra sarà anche esposta nella galleria milanese Barbaroux. Nel corso della guerra si era trasferito da Roma a Milano con tutta la famiglia, seguendo la figlia Lina, e ora avvia questa collaborazione con lei e con il suo nuovo entourage di amici e colleghi, proseguendo quel dialogo culturale e artistico che aveva nutrito fin da quando lei era bambina, guidandola nel disegno e in seguito nella scelta degli studi. Le bellissime copertine a firma ‘Gienlica’ diventeranno una presenza costante nel periodico per oltre un anno, fino all’uscita numero 24 (dicembre 1942) e con l’unica interruzione nel n. 18.
Parallelamente si compie l’esordio sulla rivista di Pietro Maria Bardi, che in seguito si legherà a Lina. In questa fase il loro contemporaneo coinvolgimento nella stessa testata non equivale necessariamente al loro incontro personale, dato che Bardi risiedeva a Roma e il suo apporto come redattore deve essere stato dato – probabilmente – a distanza. Il lavoro fatto da Lina Bo e Carlo Pagani su “Stile” è vasto ed eterogeno, e probabilmente non sempre risponde alle rispettive sensibilità e inclinazioni, dovendo rispondere agli indirizzi della rivista e del suo direttore. Esso permette comunque in molti casi l’avvio di un approfondimento su alcuni temi progettuali che faranno parte della poetica di Lina in Italia e in Brasile: le sedute, i tessuti, le tende, i giardini, i tetti verdi, le cabine e i padiglioni, l’infanzia...
Matura anche, in questo contesto, una riflessione teorica, attraverso la redazione di alcuni scritti sui temi dell’abitare che verranno ampiamente ripresi da Lina Bo Bardi nella tesi Contribuição Propedeutica ao Ensino da Teoria da Arquitetura, redatta nel 1957 nell’ambito del concorso per la cattedra di Teoria dell’Architettura presso la Facoltà di Architettura e Urbanistica dell’Università di São Paulo (Bo Bardi 1957).
Attraverso “Stile” e sotto la protezione di Gio Ponti vengono anche presentati i progetti che Lina Bo e Carlo Pagani realizzano in questi anni di guerra. Tra essi vi è la “Mostra del cartello di guerra” (Rava 1942, 79) [Fig. 29], firmata insieme ad uno dei fratelli Castiglioni – probabilmente Pier Giacomo – e con il contributo scultoreo di Angelo Casati, un artista che trova spazio tra le pagine di “Stile”. Evidentemente l’entourage di Ponti, anche attraverso le sue riviste, consente a Lina e Carlo preziose e fertili occasioni di contatto, collaborazione e scambio con le più varie personalità del mondo dell’arte. Vi è poi l’allestimento per la raccolta della lana (Rava 1942, 80) [Fig. 30], a firma Bo e Pagani, che assume le forme di una vera e propria architettura costruita. In entrambi i casi si tratta di lavori di allestimento di matrice razionalista che si inseriscono nel filone della ricerca italiana di quegli anni: essi inoltre contengono in nuce alcuni temi della successiva produzione di Lina come l’impalcatura con i tubi metallici, la tenda, i pali decorati (Catalano 2014).
Sulle pagine di “Stile” Gio Ponti recensisce con entusiasmo un progetto di Bo e Pagani concernente la ristrutturazione e l’arredamento di un appartamento a Milano (Ponti 1942a) [Fig. 31], dando ampio spazio alle immagini della realizzazione e ai disegni esecutivi dei mobili in ben otto pagine e introducendo così il loro lavoro:
Presentando in queste pagine il primo di quegli arredamenti che Lina Bo e Carlo Pagani vanno in questi tempi realizzando, penso di far cosa grata ai lettori di Stile che seguono e apprezzano quanto me la validissima collaborazione che già da due anni l’architetto Pagani mi dà nel redigere questa rivista [...]. In più nel presentare quest’opera dei due giovani architetti m’è grato di segnalare quel contenuto di fattivo entusiasmo, di ricerca alacre, di invenzione pronta e fresca, che è nelle opere dei giovani. Essi inaugurano idee nuove, colori nuovi, forme nuove: v’è una gioventù nel loro lavoro che è cara agli abitatori dei loro ambienti. Bo e Pagani hanno un temperamento ingegnoso ed elegante, minuzioso in alcuni particolari, esuberante non nel peso e nelle masse, ma nel non stancarsi di invenzioni delicate: come quasi tutti i giovani partecipano del carattere sottile, leggero, dell’arredamento e hanno in odio le masse gravi e pesanti. I loro ambienti figurano, prospettano un vivere fresco, alacre ordinato e sciolto, un amore ai colori freschi e numerosi, ad una fantasia, entusiastica (Ponti 1942a, 15).
In realtà questo progetto era, almeno in parte, già noto ai lettori di “Stile”, che ne avevano potuto apprezzare i bei disegni relativi a una stanza da pranzo per una casa in città, proprio nel primo numero della rivista. Evidentemente non sempre i lavori di Bo e Pagani pubblicati sulle riviste sono “paper architecture” infatti a volte, come in questo caso, hanno un riscontro nella piena realizzazione. L’intervento presentato riguarda la ristrutturazione parziale di un appartamento, “dalla particolare infelice disposizione”. Dal confronto tra le due piante – prima e dopo l’intervento – emerge come gli architetti abbiano focalizzato la loro azione in particolare sull’ingresso, il corridoio, il soggiorno-pranzo, il disimpegno tra la camera matrimoniale e la camera della figlia. L’approccio progettuale è a 360 gradi e prende in considerazione spazio, materiali, forme, arredi e decorazione. Perciò fanno parte dell’intervento un dipinto di Gio Ponti che adorna la porta dell’offizio e raffigura l’ancella che accede per servire, alcune opere di Enrico Bo, i fianchi del camino scolpiti da Leonardo Garbagnati, i tappeti di Fede Cheti. Mentre Lina e Carlo disegnano gli arredi fissi e mobili. L’insieme risente senz’altro dell’influenza pontiana, nella concezione generale e nei particolari – fra tutti la balaustrata stilizzata ricavata da un profilo metallico in cui si alternano ironicamente piccole colonne diritte e a testa in giù (soluzione già presente nelle due architetture di carta Casa sul mare di Sicilia e Un giardino a Tarquinia). In generale si tratta di un progetto che, a fronte di una spiccata razionalità della pianta, impiega nelle soluzioni d’arredo un linguaggio formale sospeso tra progressiva semplificazione e sviluppi ancora accessori e decorativi. L’intervento possiede, però, anche elementi originali – soprattutto dal punto di vista spaziale e per l’utilizzo dei tendaggi come elemento separatore – che Lina approfondirà in molteplici successive progettazioni.
Successivamente Gio Ponti recensisce anche un progetto realizzato dello studio Bo-Pagani nell’articolo La camera di un bimbo (Ponti 1942b) [Fig. 32], presentando la realizzazione di una stanza per un bambino nell’appartamento Bernabei a Milano, con il coinvolgimento artistico di Enrico Bo. Come si è visto, la collaborazione con Ponti ha senz’altro il merito di veicolare l’avvio di una cooperazione professionale tra Lina Bo e il padre Enrico Bo, che adesso si trova al suo fianco non solo nella collaborazione a “Stile”, ma anche in alcuni lavori progettuali come questo. Una vicinanza tra padre e figlia in ambito lavorativo che proseguirà anche in Brasile. D’altronde lo “Stile” di Ponti esprime la propria forza nel rendere possibili incontri e nel costruire rapporti fecondi tra gli intellettuali del periodo. A questo proposito un evento che non si può non ricordare è che, nel numero di giugno del 1943, Lina Bo interviene sulla rivista come ‘disegnatrice’, a illustrare un articolo di Pietro Maria Bardi concernente la figura e il pensiero di Padre Lodoli (Bardi, 1943). Probabilmente questo può essere considerato il punto di avvio di quel sodalizio intellettuale che legherà la coppia per tutta la vita. Per altro il tema della dissertazione di Bardi sarà ripreso da Lina nella Contribuição Propedeutica ao Ensino da Teoria da Arquitetura (Bo Bardi 1957).
Parallelamente all’impegno d’architettura su “Stile”, Lina Bo collabora anche a un’altra rivista diretta in quegli anni da Gio Ponti: “Bellezza”. È probabile che l’architetto milanese, avendo avuto modo di conoscere e apprezzare l’abilità nel disegno della ragazza nel corso del 1940, decida di coinvolgerla anche in questa pubblicazione, coniugando le istanze di arricchire il mensile con le fantasiose e poetiche illustrazioni di Lina e di assicurare alla giovane fuorisede qualche introito in più. Lina disegna sulle pagine di “Bellezza” da sola, senza Carlo Pagani, utilizzando soltanto la sua mano di illustratrice e non essendo, invece, autrice degli articoli. Ma l’impegno non è costante: i disegni di Lina, quasi sempre firmati, si riscontrano nelle uscite da gennaio ad aprile 1941, e poi ricompaiono a gennaio e marzo 1942. Un contributo dunque limitato e saltuario, la cui osservazione introduce però a un universo affascinante in cui si incontrano immaginazione e realtà.
I suoi schizzi – dal nitido e continuo tratto nero, e solo talvolta acquerellati o più vistosamente dipinti – aprono a un mondo domestico e femminile. Sulle pagine di “Bellezza” Lina Bo traccia un disegno accattivante e evocativo: ritratti di donne, visioni leziose, familiari e casalinghe, oggetti del cuore – ricchi di ricordi e di significati – si mescolano a scene ispirate al mondo classico, e a riferimenti alla storia dell’arte [Fig. 33]. Il disegno di Lina accompagna i testi, rende le pagine piacevoli, cattura lo sguardo del lettore, guidandolo in piccoli universi iconografici da esplorare, non senza veicolare – in alcuni casi – interpretazioni critiche o sarcastiche. È probabile che tra le suggestioni che guidano Lina nella realizzazione di queste illustrazioni vi sia, anche, la raffinata elaborazione pontiana per i manufatti di Richard-Ginori del periodo 1923-1930, che conciliava ispirazione al mondo classico, temi di derivazione popolare e sottile ironia (Pratesi 2015, 28). C’è poi da chiedersi che cosa Lina pensasse del suo contributo su questa rivista, se ne fosse orgogliosa o se se ne vergognasse, trattandosi di un lavoro estraneo all’architettura progettata e costruita. Ma è sicuramente un modo alternativo per usare i propri talenti e al tempo stesso per sbarcare il lunario in tempi di guerra in cui vi è poco spazio per progettare e costruire l’architettura. Ed è inevitabilmente, per Lina Bo, un esercizio di osservazione e di introspezione, utile e costante strumento di lavoro nel suo operare presente e futuro.
Un’ulteriore attività comune del 1942, seppur breve, vedrà Gio Ponti, Lina Bo e Carlo Pagani insieme nel “Comitato tecnico di redazione” del periodico “Vetrina e negozio. Rivista mensile della vetrina e del negozio” [Fig. 34]. Infine, probabilmente rientra sempre negli incarichi in qualche modo resi possibili dall’intermediazione di Gio Ponti la collaborazione nel corso del 1941 e del 1942 con il settimanale “L’Illustrazione Italiana”, anch’esso edito da Garzanti. In questo periodico di informazione, attualità e cultura, Lina presta la sua mano di disegnatrice, realizzando le tavole per due romanzi a puntate: La scure d’argento di Giuseppe Marotta [Fig. 35] e Magoometto di Enrico Pea [Fig. 36].
Dopo questo intenso percorso accanto a Ponti, durato tre anni, l’estate del 1943 segna l’allontanamento e la separazione. A giugno del 1943 si conclude l’esperienza di Carlo Pagani come redattore capo di “Stile”, mentre l’ultima collaborazione di Lina Bo alla rivista risale al mese successivo (luglio, n. 31): l’addio al periodico è una entusiastica recensione di “una casa a nuclei abitativi in Roma” di Luigi Piccinato. Sebbene non siano esplicitamente note le motivazioni dell’allontanamento professionale di Bo e Pagani da Ponti, è comunque accertato che Lina considerasse ormai insopportabile il lavoro presso “Stile”, non condividendone più l’approccio, come hanno messo in luce sia Renato Anelli (Anelli 2010, 5) che Zeuler Lima (Lima 2013, 24), citando una lettera di Lina a Pagani del maggio 1943. Il testo di sfogo afferma come per Lina il lavoro con Ponti fosse ormai moralmente insostenibile, fino a trovarne nauseante la superficialità, a sentirsi ipocrita e a non poter considerare più la possibilità di continuare in questo modo. Tra i motivi che probabilmente accentuano la distanza tra le due generazioni di professionisti vi è senz’altro la progressiva presa di distanza di Bo e Pagani da alcuni elementi caratteristici della poetica pontiana quali l’attenzione alla tradizione e al classicismo, l’eclettismo, il gusto per la decorazione (Ugo La Pietra 2018, 27), ed una sempre più marcata adesione alle istanze razionaliste. Evidentemente i due giovani architetti sono cresciuti: in questi anni hanno imparato molto da Gio Ponti e sotto la sua protezione hanno avuto accesso a importanti contatti nei campi delle arti e della cultura in generale; con la collaborazione a “Domus” prima e a “Stile” dopo hanno anche trovato un modo alternativo per lavorare e sostentarsi durante la guerra ma nel frattempo, inevitabilmente, hanno maturato un modo proprio di intendere l’architettura e la professione, e adesso hanno voglia di sperimentarsi in modo autonomo e senza compromessi.
La fine del rapporto lavorativo tra Bo, Pagani e Ponti anticipa di poco alcuni tragici eventi storico-politici. Infatti nell’estate del 1943 il tragitto di “Stile” subisce un arresto improvviso. In agosto, durante pesanti bombardamenti su Milano, vengono colpite la sede della Garzanti e la redazione della rivista con gravi devastazioni (Martignoni 2002, 17) che peraltro coinvolgono anche lo studio di Lina e Carlo sito in via del Gesù. Già nei mesi immediatamente successivi a questi fatti, Bo e Pagani percorreranno nuove strade, in modo autonomo, con determinazione e coraggio. Nell’autunno del ’43 riprenderanno a collaborare con “Domus” fino a diventarne vicedirettori nel ’44 affiancando Melchiorre Bega il cui ruolo in questa fase è soltanto ‘ufficioso’. I temi trattati dalla rivista in questo periodo riguardano la tanto attesa e sperata ricostruzione, mentre su tutte le considerazioni primeggia la ferma difesa del moderno e del razionale, e la condanna di ogni riproposizione stilizzante. Evidentemente Bo e Pagani, dopo aver acquisito un’importante esperienza collaborando a “Stile”, sono adesso in grado di camminare sulle loro gambe e di guidare persino una rivista ‘antagonista’. D’altronde le loro capacità devono essere indubbie ed evidenti se l’editore Gianni Mazzocchi decide di affidarla a loro. In realtà secondo il racconto di Pagani, l’incarico sarebbe giunto a lui, che poi avrebbe chiesto la collaborazione di Lina, visto anche il suo coinvolgimento – in quanto uomo – nella guerra in corso (Pagani 2017, 95).
Inoltre nel 1945, nonostante la pubblicazione di “Domus” venga temporaneamente sospesa, Bo e Pagani iniziano a dirigere una nuova collana strettamente legata alla rivista e intitolata “Quaderni di Domus”, piccoli volumi monografici dedicati ai diversi aspetti dell’attrezzatura della casa, orientati verso scelte di funzionalità e modernità. Oltre a ciò, Bo e Pagani nel 1945, insieme a diversi colleghi, firmano il manifesto del “Movimento di Studio e di Propaganda per l’Architettura”, di impronta razionalista, attivamente coinvolto nei temi della ricostruzione edilizia e sociale. Ed ancora nel 1946 Bo e Pagani, insieme a Bruno Zevi, inventano e dirigono il periodico “A”, pubblicato da Editoriale Domus.
La grande lettera “A” che campeggia sulle copertine è attraversata al suo interno dalle parole ʻattualità, architettura, abitazione, arteʼ e persegue l’obiettivo di far conoscere a tutti i problemi della ricostruzione, creando in ogni uomo e in ogni donna la coscienza di ciò che è la casa e la città. Queste attività e molte altre mostrano l’evidente svolta dei percorsi di Bo e Pagani in senso razionalista. Ma quanto fatto con Gio Ponti non è caduto nell’oblio e Lina Bo, incaricata dell’allestimento della sezione dedicata a tessuti, tende e stoffe nell’ambito della esposizione organizzata al Palazzo dell’Arte dalla neocostituita ‘Rima’ (Riunione italiana mostre di arredamento), realizzerà un lungo muro – che fa da sfondo alla sistemazione – ricoperto da un pannello con l’ingrandimento fotografico di un prato con margherite, elemento di congiunzione con gli esordi di Lina Bo: si pensi innanzitutto al prato fiorito di Casa sul mare di Sicilia dipinto nel 1940, ma anche alla rappresentazione del prato nel progetto di carta Un giardino a Tarquinia pubblicato su “Aria d’Italia” nel 1940, o alla copertina numero 10 di “Stile” a firma ‘Gienlica’ del 1941. Inaspettatamente ma forse non insperatamente, Lina Bo il 24 agosto del 1946 sposa Pietro Maria Bardi e insieme a lui lascia l’Italia, trasferendosi in Brasile dove vivrà per il resto della sua vita.
Nel 1953, dieci anni dopo la fine della collaborazione con Ponti, lui stesso recensirà su “Domus” la prima opera di Lina Bo Bardi realizzata ex novo in Brasile e sarà un’architettura domestica: la Casa de Vidro a São Paulo, che Ponti avrà avuto modo di vedere e ammirare (Gio Ponti 1953). Nell’articolo, Ponti analizzerà l’abitazione attraverso quelli che individua come i principi verso i quali muove l’architettura moderna: essenzialità, illusività, fantasia di precisione, personalità. E definirà questa casa un atto di fantasia: “fantasia nel suo coraggio, che è magari temerità”, fino ad affermare che quest’opera deve essere classificata nell’argomento dell’architettura moderna. Concludendo: “Fa onore al Brasile che l’ha motivata, e all’Italia dalla cui scuola deriva” (Gio Ponti 1953, 25). A onor del vero di quella ‘scuola’ fa parte a pieno titolo lo stesso Ponti che con generosità l’ha accolta e ne ha intuito il valore e le potenzialità, e a distanza di tempo è stato in grado di riconoscere il suo contributo all’architettura moderna.
D’altronde, l’aura di Gio Ponti continuerà a permeare molti aspetti del lavoro di Lina Bo Bardi in Brasile. Tra essi vi è senz’altro l’interdisciplinarietà del lavoro (Licitra 2019, 50), ovvero l’apertura ai plurimi ambiti dell’architettura: oltre al progetto e alla costruzione di edifici, l’arredamento, il disegno di oggetti di uso comune, l’allestimento, la scenografia e i costumi, l’attività editoriale, la promozione delle arti, la grafica, la scrittura… Tutti campi esplorati da Ponti (Pratesi 2015, 19), che Lina Bo ha avuto modo di osservare da vicino, e in alcuni casi anche di condividere ed esplorare a sua volta, negli anni milanesi, e che ancor di più avrà modo di indagare nel suo percorso professionale oltreoceano.
Inoltre, è senz’altro nel periodo italiano e attraverso la mediazione della sensibilità pontiana che Lina Bo matura quell’attenzione alle produzioni artigianali e locali che la porterà a ricercare e portare all’attenzione di un vasto pubblico la cultura materiale delle popolazioni autoctone brasiliane, anche al fine di avviare e promuovere la nascita un disegno industriale profondamente legato al territorio.
Se, come ha rilevato Alessandro Mendini, Gio Ponti può essere definito padre nobile e generoso degli architetti italiani del pieno Novecento, ovvero moltiplicatore della loro cultura (Pratesi 2015, 19-20), esso vale senz’altro per Lina Bo Bardi, che attraverso la conoscenza e la collaborazione – diretta e indiretta – con questa figura della generazione precedente alla sua ha modo di venire a contatto con un quadro culturale ampio e vario, in cui progressivamente riconosce, seleziona, sperimenta ed approfondisce i temi più vicini alla sua personalità e alle sue inclinazioni e al tempo stesso prende le distanze da quanto è estraneo alla sua sensibilità.
Bibliografia
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English Abstract
Some direct witnesses, such as Lisa Licitra Ponti and Carlo Pagani, spoke about the relation between Lina Bo and Gio Ponti, and both of them reduced its importance and depth, giving a rather limited reading in time and space, as well as in the mutual outcomes. But this relation must have been intense, significant and profound in any case if we consider the many editorial materials dating back to the period from 1940 to 1943, from which shared activities emerge, often also together with Carlo Pagani, constituting a representative contribution to the culture of the period, and that through a critical reading they prove to have been decisive for the subsequent professional development of Lina Bo Bardi.
keywords | Gio Ponti; Lina Bo Bardi; “Stile”; illustration.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio.
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: Sarah Catalano, Lina Bo (Bardi) e l’aura di Gio Ponti, “La Rivista di Engramma” n. 175, settembre 2020, pp. 319-345 | PDF dell’articolo