"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Una nave può. Alla ricerca della libertà con Mediterranea Saving Humans”

Recensione di: Cosa può una nave (Roma 2019)

Maria Bergamo

English abstract

A un anno esatto dalla nascita del progetto “Mediterranea Saving Humans” è stato pubblicato il primo diario collettivo di bordo delle missioni di salvataggio in mare. Cosa può una nave? è un racconto a più voci in cui si alternano le immagini e le cronache dei soccorsi ai naufraghi, insieme ad alcune riflessioni politico-teoriche sull’odierno sistema delle migrazioni e la loro gestione da parte dei governi dei vari paesi. Il libro, con illustrazioni di Claudio Calia, esce nel gennaio 2020 come Edizioni Mediterranea, e trova specchio – traduzioni da e verso entrambe le lingue – nella contemporanea pubblicazione del numero 119.1 della rivista di filosofia politica “South Atlantic Quarterly” (nella sezione ‘Against the Day: Mediterranea: Sea Rescue as Political Action’).

Un progetto umanitario attivo, ma frutto di un pensiero profondo sui diritti civili, sull’etica umanitaria, sulla libertà sociale e sulla necessaria e costante lotta per la loro difesa. Raccontare “Mediterranea” – e per questo motivo questa recensione trova spazio nel numero 174 di Engramma dedicato alle “Navi della libertà” – non vuol dire scrivere di immigrazione, un tema sul quale le parole sembrano talvolta sature di enfasi, di retorica o di compassione. Vuol dire piuttosto scrivere di un sapere situato, di parte, che non si arrende alla superficialità e intende scavare a fondo i concetti, scomporli e renderli utili nel presente. Scrive Giuliana Visco nell’introduzione al volume:

Migranti e migrazioni, rifugiati e clandestini, solidarietà e pratica, umano e umanitario, diritto e diritti, libertà e liberazione, salvataggio e salvezza, sono molti i termini che richiedono uno sforzo di interpretazione, declinazione, utilizzo. Vogliamo comporre racconti, stimolare nuovi linguaggi, contaminarci nell’utilizzo delle parole. E ancora: vogliamo produrre una presa di parola collettiva per conoscere, utilizzare e ribaltare ‘il diritto’ vigente recuperando la sua dimensione originaria di giustizia. Vogliamo reagire a una normalizzazione della violenza iconografica e linguistica che ci viene proposta come ineluttabile.

Terra

“Mediterranea” nasce a terra nel 2018, negli stessi mesi in cui l’allora Ministro degli Interni Matteo Salvini aveva chiuso i porti italiani all’Aquarius, nave delle ONG Sos Méditerranée e Medici Senza Frontiere, e in seguito impedito lo sbarco dei naufraghi dalle navi Diciotti e Gregoretti, facendo approvare il Decreto Sicurezza e il Sicurezza bis – in base ai quali sarebbe poi stata arrestata il capitano Rackete – facendo esplodere il dibattito sull’immigrazione in Italia e in Europa con toni decisamente violenti tra social, media e propaganda politica. Per i fondatori era urgente un’azione, non tanto di disobbedienza morale ma di obbedienza civile: “Mediterranea” disobbedisce al discorso pubblico nazionalista e xenofobo e al divieto di testimoniare quello che succede nel Mediterraneo per obbedire, invece, alle norme costituzionali e internazionali, dalla legge del mare alla carta dei diritti umani. E se il teatro delle tragedie è il mare, il consenso pubblico risuona sulla terra. Ponendosi come piattaforma di connessione sociale tra realtà esistenti e singoli attraverso la costruzione di una rete territoriale di supporto, “Mediterranea” cura la preziosa collaborazione con le principali ONG che svolgono attività di salvataggio; connette le città-rifugio europee e italiane che hanno sviluppato buone pratiche di accoglienza; gestisce le attività di donazioni e crowfunding grazie al supporto di Banca Etica; organizza eventi di promozione e diffusione. Fin dall’inizio l’interesse e l’adesione al progetto sono stati straordinari: centinaia di assemblee, manifestazioni e iniziative si sono svolte in città e paesi lungo tutta la penisola, coinvolgendo centri sociali e teatri, scuole, università, circoli e parrocchie. Si è costituito quindi un “equipaggio di terra” – così viene chiamato! – pronto a accompagnare quella che i promotori definiscono non una ONG, ma una Ang, “Azione non Governativa”.

“Mediterranea” ha un carattere fortemente politico perché nasce in un fondamentale storico momento di passaggio di status del cosiddetto ‘lavoro umanitario’: in paesi con governi marcatamente di destra come in quelli a guida socialdemocratica, di fatto è stato istituito il ‘reato di solidarietà’. Pratiche di assistenza sociale fino a poco tempo fa condivise e virtuosamente comprese nei programmi statali si sono trovate perseguitate e ostacolate da enormi barriere. Se da un lato emergono continui tagli di fondi, penalizzazioni, vincoli burocratici e legali, dall’altro si assiste alla creazione di nuovi immaginari propagandistici finalizzati a rovesciare la realtà: sono le navi che salvano vite ad attirare i migranti in mare; sono i volontari che distribuiscono cibo a chi ha fame che creano concentrazione di poveri; sono quelli che distribuiscono coperte a chi dorme fuori a trasformare le città in bivacchi…

Le ONG criticano “Mediterranea” – “Voi fate politica”, dicono. Ma è la stessa violenza del dibattito a premere e spingere sul terreno dello scontro. È proprio comprendendo questo che Beppe Caccia e Sandro Mezzadra, tra i fondatori, scrivono:

Ci sembrava necessario mettere in campo una pratica capace di determinare spiazzamento e quantomeno di alludere a una mossa ‘offensiva’, al di là del carattere necessariamente difensivo della resistenza – e per riqualificare il terreno su cui quest’ultima si determina. E allora, perché non agire direttamente nel vivo delle contraddizioni del dispositivo retorico e politico della campagna governativa? Perché non comprare e mettere in mare una nave? Una nave battente bandiera italiana, in modo che nessun governo potesse chiuderle i porti del nostro Paese.

Nave

Ecco allora una nave. Un’azione che si concretizza in un simbolo. Nave della salvezza, arca nel diluvio, traghetto per la vita, ma anche nave di folli, zattera di naufragio, legno della croce. Il valore iconico e rappresentativo è perfettamente chiaro fin dal titolo del libro. Riprendere la domanda deleuziana diventa la sfida attuale del progetto stesso: Cosa può una nave? 

Innanzitutto può ‘esserci’. Dopo l’allontanamento delle navi delle Ong dal Mediterraneo, 1 persona su 6 che si mette in mare fuggendo dalla Libia muore nel silenzio. Nessuno può più testimoniare ed eventualmente portare aiuto a chi si trova in pericolo di vita, e sapere che tante tragedie si consumano nell’invisibilità risulta ancor più intollerabile. “Mediterranea” quindi si pone come obiettivo principale monitorare, testimoniare e denunciare ciò che accade e, se necessario, soccorrere. Per farlo, per essere presenti nel centro del Mediterraneo: non c’era altra alternativa che acquistare una nave e salpare. Con l’aiuto di alcuni armatori e di tante persone generose ed esperte di mare, nonché di una rete di sostegni economici e politici volontari – risorse raccolte clandestinamente, nel segreto, per evitare il blocco da parte delle autorità – “Mediterranea” mette in mare ‘la Mare Jonio’, un vecchio rimorchiatore del 1973, battente bandiera italiana, lungo 37 metri, attrezzato per la sua nuova funzione di monitoraggio e salvataggio. Un’avventura iniziata quasi rocambolescamente tra entusiasmo e inesperienza, ma consapevole e forte, come raccontato nel libro dal capomissione Luca Casarin al suo primo imbarco:

Siamo partiti il 3 ottobre 2018 dalle coste della Sicilia pensando all’anniversario che cadeva proprio in quel giorno: la strage di Lampedusa del 2013, un naufragio a mezzo miglio dall’isola che si è portato via 400 vite umane stipate su un barcone partito dalla Libia. Avevo nel cuore quella circostanza, mentre per la prima volta in vita mia mi accingevo a navigare in mare aperto come membro di un equipaggio. Pensavo che era per loro, per tutti quelli che erano sepolti in fondo al nostro mare, che bisognava farlo.

‘La Mare Jonio’ ha continuato le sue missioni, rendendosi protagonista di molte azioni: come riportato nel libro (dati a gennaio 2020) ha compiuto 15 viaggi, partecipando al soccorso diretto e indiretto di quasi 600 persone, mentre da terra il crowdfunding ha raccolto 800.000 euro in 8 mesi attraverso migliaia di piccole donazioni. Nello scorso autunno, dopo essere passata alle cronache come ‘la nave dei bambini’ perché portava 22 minori, ‘la Mare Jonio’ è stata sequestrata e multata per effetto dei Decreti sicurezza. La nave è stata poi restituita ai volontari, che grazie alla raccolta fondi hanno potuto svolgere importanti interventi di aggiornamento fino a ottenere dal Registro navale Italiano (Rina) la certificazione Sar (Search and rescue) che riconosce la capacità operativa per la ricerca e il soccorso in mare. Superato anche il blocco per l’emergenza Covid, la nave è tornata in acqua orora, nel giugno 2020.

“Mediterranea” è quindi innanzitutto un atto simbolico di coraggio, la dimostrazione che si può fare. Si può comprare una nave e andare a strappare le persone da morte certa. Si può evitare di piangere i morti e al contrario spingere i vivi nella battaglia per i diritti fondamentali dell’uomo.

Mare

Il fondamento della legge mare è molto chiaro, esiste l’obbligo di soccorrere e il diritto a essere soccorsi. Testimonia ancora Casarin:

Quando ci si incontra in mezzo al mare con qualche peschereccio tunisino o siciliano, si scambiano quattro parole, un saluto, si chiede se hanno bisogno di qualcosa. Loro fanno lo stesso con noi. E quando gli raccontiamo cosa facciamo, sempre lo stesso commento: “È la legge del mare”. Questo assunto, detto dal mare, l’ho sempre percepito come enormemente più potente e significativo di ogni pur sacrosanta ragione del diritto.

Durante le cosiddette ‘crisi degli sbarchi’, si è evidenziato un conflitto tra questa cosiddetta legge del mare, che impone l’obbligo di salvare chiunque sia in pericolo e condurlo in un porto sicuro, e i regimi di regolamentazione delle migrazioni, che riconoscono ai singoli stati il controllo sui propri confini. Lo spazio del mare diviene quindi un campo di battaglia politica, giocata in gran parte sul terreno giuridico. Il ricorso al diritto è uno degli aspetti più innovativi del progetto “Mediterranea”, che gode dell’appoggio di un nutrito team legale, come descrive nel volume Elisa Rigo, docente di Filosofia del diritto a RomaTre: nel corso di quest’anno sono state attivate diverse azioni legali per tutelare da un lato le persone che venivano soccorse dalle organizzazioni civili e dall’altro le organizzazioni stesse. Sono cause ancora aperte, ma il fine significativo ancora una volta è l’azione stessa, ovvero il ricorso a procedure giuridiche a fronte dell’illegittima, violenta, propaganda di criminalizzazione dei migranti e dei loro salvatori. La presa di posizione di organizzazioni come “Mediterranea” è chiara: reagire all’interno della cornice legale per smascherare le scelte illecite delle autorità nazionali. Il diritto internazionale prescrive, infatti, non solamente che in caso di situazioni di naufragio e in condizioni di pericolo in mare si debba intervenire per portare rapidamente soccorso, ma impone di condurre le persone aiutate in porti sicuri. I naufraghi, una volta raggiunta la costa, saranno accolti secondo quanto previsto dalla legge del paese accogliente. Ne deriva quindi che un ‘porto sicuro’ è il porto di un paese che rispetta le convenzioni internazionali, la carta dei diritti umani e quindi garantisce nel concreto il rispetto della dignità e dei diritti delle persone che accoglie, compreso la possibilità di chiedere asilo. La Libia – in testa a tutti – non risponde a nessuno di questi requisiti. Nelle tragiche odissee di navi da un porto europeo all’altro alle quali assistiamo, tristemente, in continuazione, nella mancata indicazione di un porto sicuro nel più breve tempo possibile – così come nella chiusura dei porti stessi, o nel rinvio in paesi non sicuri – si può individuare quindi una violazione di alcuni diritti fondamentali, tra cui il divieto di trattamenti inumani e degradanti, e il divieto di privazione arbitraria della libertà personale.

Libertà

Un altro fronte importante su cui il dibattito si apre è proprio quello della libertà personale: al di là dell’intervento umanitario e della solidarietà militante, è basilare riconoscere che i migranti, attraverso le loro peregrinazioni, rivendicano il diritto alla libertà di movimento nei termini di una libertà essenziale, alla base di ogni altra libertà.

Scrivono Michael Hardt e Sandro Mezzadra, rispettivamente docenti di Letteratura alla Duke University e Filosofia del Diritto a Bologna:

La prima regola, quando si ha a che fare con le migrazioni, dovrebbe essere quella di considerare i migranti non solo come vittime bisognose di carità o protezione, ma come attori consapevoli del proprio destino. L’intervento umanitario, naturalmente, è necessario: chi è in difficoltà in mare e nel deserto deve essere aiutato, e questa consapevolezza è e deve rimanere centrale nell’azione di chi impegnato direttamente a prestare soccorso. Guardando esclusivamente alla vittimizzazione e alla violenza, si rischia tuttavia di scivolare in una logica umanitaria che divide i rifugiati meritevoli dai migranti illegali.

Certamente molti dei migranti che tentano di attraversare il Mediterraneo o il confine Usa-Messico sono persone in fuga da guerre e persecuzioni, e rispondono quindi ai criteri stabiliti dalla definizione di ‘rifugiato’, ma vi sono altre innumerevoli ragioni per lo spostamento, magari meno nobili dal punto di vista umanitario: sfuggire agli effetti del cambiamento climatico, ricongiungersi con amici e familiari, cercare un lavoro migliore, sottrarsi a genitori e mariti violenti, liberarsi da rapporti falliti, o semplicemente cercare la fortuna. Se si inverte la prospettiva e si adotta il punto di vista di coloro che migrano, si deve riconoscere che tutti i migranti intraprendono un viaggio con un progetto di libertà, a prescindere dalla motivazione personale, affermando ed esercitando la libertà di movimento come diritto fondamentale. Oltre a contrastare la violenza nei confronti dei migranti e garantire protezione da ulteriori violenze, occorre dunque affermare il contenuto politico del progetto che realizzano. 

Un progetto come “Mediterranea” aiuta a mettere a fuoco la questione della libertà di movimento in termini teorici, rimettendo al centro del vocabolario politico i concetti di libertà e liberazione. La massa incontenibile dei migranti che oggi attraversa mari, deserti e frontiere di ogni genere, afferma il diritto di lasciare il proprio paese di origine alla ricerca di nuovi luoghi in cui vivere, praticando concretamente, necessariamente e oggettivamente la libertà.

È sorprendente notare con quale intensità e sistematicità la parola ‘libertà’ venga cantata in una babele di lingue ai raduni e alle manifestazioni dei migranti in tutto il mondo. Ma libertà è anche l’esercizio del proprio dissenso e del proprio pensiero critico, e l’esercizio della libertà di movimento di ciascuno: ed è questa prospettiva che un progetto come “Mediterranea” apre su nuove frontiere. Equipaggi di terra e di mare, imbarcati, appunto, su navi di libertà.

English abstract

Exactly one year after the birth of the “Mediterranea Saving Humans” project, the first collective diary of the sea rescue missions was released. Cosa può una nave (Roma 2019) is a multi-story tale in which images and chronicles of aid to shipwrecked people alternate with some political-theoretical reflections on today's migration system and its management by international governments. The book, with illustrations by Claudio Calia, comes out in January 2020 as the Mediterranean Editions, and finds reflection – translations from and into both languages – in the contemporary publication of n.119 of the famous magazine of political philosophy South Atlantic Quarterly.
The action of Mediterranea is moral and civil disobedience. Disobedience to the nationalist and xenophobic public discourse and to the interdiction of witnessing what is happening in the Mediterranean; but obeying constitutional and international law, the law on the seas and general human rights, including the obligation to save those who are in danger convey them to a safe harbor.
For this, Mediterranea decided to bring a ship flying the Italian flag to the sea, prepared to monitor, but also ready for rescue, knowing better than ever that saving one life in danger means saving all of us, bringing one life to freedom means opening all our minds to freedom.

 

keywords: migration; searescue; Mediterranearescue.

Per citare questo articolo: Maria Bergamo, Una nave può. Alla ricerca della libertà con “Mediterranea Saving Humans”. Recensione di: Cosa può una nave (Roma 2019), “La Rivista di Engramma” n. 174, luglio/agosto 2020, pp. 329-336. | PDF dell’articolo

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2020.174.0016