Giovanni Ponti milanese, d’ingegno originale e generoso, architetto, decoratore, scrittore, inventore, propagandista, direttore di riviste, ordinatore d’esposizioni, rispettoso dell’antico, curioso del futuro, ha un’idea nuova ogni giorno, fa un disegno all’ora e un libro al mese per regalare idee e disegni al pubblico di buon gusto, o meglio a quello di cattivo gusto con la fondata speranza che si converta
Ugo Ojetti, 1933
Già nel 1933, sulle pagine del “Corriere della Sera”, Ugo Ojetti riconosce, accanto al carattere instancabile e poliedrico dell’attività di Gio Ponti, l’importanza da lui affidata alla scrittura per l’affermazione di un gusto moderno. Negli oltre dieci libri di cui è autore, come nei più di mille articoli pubblicati nell’arco di cinquant’anni in quotidiani e riviste, Ponti non intende infatti esporre le proprie ricerche teoriche o progettuali, quanto provocare e soprattutto educare il lettore con alcune idee che “urgono” al suo spirito, servendosi di un linguaggio colto, spesso ispirato, ma sempre chiaro e comprensibile. Egli non scrive dunque solo di architettura e arredamento, ma anche di arti applicate, fotografia, teatro e cinema, nel tentativo di far conoscere l’“elevatissimo clima” espresso dalle arti e dalle produzioni d’arte italiane, e contribuire così alla formazione di uno “stile” italiano moderno.
Al di fuori dell’ambito dell’architettura si colloca una delle imprese editoriali meno note di Ponti, ma assai rappresentativa del suo progetto culturale. Alla fine del 1940, in procinto di lasciare “Domus”, dopo averla diretta per i precedenti dodici anni, Ponti immagina due nuove riviste: “Stile”, dedicata ad architettura e arredamento, e uscita per le edizioni Garzanti in più di settanta numeri fino al 1947, di cui Ponti è redattore e impaginatore, oltre che direttore e principale autore (Rostagni, 2016), e “Linea”. L’obiettivo comune a entrambe è di documentare l’alto livello delle arti e degli avvenimenti della vita italiana, con cronache di teatro e cinema, articoli d’illustri scrittori, riproduzioni e tricromie di quadri e sculture, al fine di mostrare il gusto e il clima spirituale dell’epoca. Rivolta ad un pubblico prevalentemente femminile, “Linea”, nelle intenzioni di Ponti, avrebbe dovuto essere l’“Harper’s Bazaar” italiana, presentando la moda, non come mera successione di fotografie e di modelli, ma in funzione del contesto artistico, sociale e civile italiano.
Ponti aveva fatto spesso riferimento alla moda nei suoi scritti, ponendola a confronto con l’architettura. Nel 1928, ad esempio, in uno dei primi editoriali di “Domus”, egli aveva sottolineato come la casa moderna non dovesse essere solo una questione di “moda”, intesa come espressione del capriccio di un sarto, ma di adesione alla vita e alla cultura del proprio tempo (Ponti 1928). Alcuni anni dopo, in occasione della II Mostra nazionale della moda di Torino del 1933, Ponti aveva precisato che architettura e moda si incontrano nell’essere entrambe espressione dello stile di un’epoca, del suo costume, con la differenza che l’architettura “sorpassa le espressioni d’arte e del costume che l’hanno di volta in volta creata”, facendo “di questi fenomeni umani transitori una espressione vivente solo in quanto eterna”, mentre la moda “premuore al fenomeno generale ed umano che la genera”, facendo “di un fenomeno eterno una espressione vivente solo in quanto transitoria” (Ponti 1933). Ponti, dunque, non critica la moda di per sé, ma la moda del tempo, effimera, bizzarra ed evocativa, lontana dal ritmo della vita e del lavoro, ritenendo, sulla scia delle riflessioni di Edoardo Persico, che ad un modo di vivere moderno debba corrispondere un modo di abitare e di vestire moderno, un costume moderno, anche se “come un abito, pur alla moda, può essere fatto – ahimè – da un cattivo sarto ed essere brutto, così anche un’architettura moderna potrà essere bella e brutta secondo le virtù dell’architetto” – ma qui, aggiunge, “passiamo dallo stile all’arte” (Ponti 1933).
A supportare la posizione di Ponti concorrono le parole di Bernard Rudofsky, pubblicate sul numero 124 di “Domus”, e dedicate alla moda come abito disumano, ovvero alla difficoltà della moda di farsi espressione della civiltà contemporanea (“Domus” 1938). Nell’estate del 1940, nascondendosi forse dietro lo pseudonimo Arital, Ponti annuncia su “Aria d’Italia”, la rivista di Daria Guarnati di cui, tra il 1939 e il 1941, è collaboratore e ispiratore (Bignami, 2008), che è arrivato il momento per la foggia italiana: non “una futile e capricciosa moda”, ma una “foggia”, dice, che “rappresenti assolutamente una creazione italiana, riaffermante quei grandi diritti al prestigio ed al primato in tutte le espressioni vigorose d’arte che sono stati nel passato ben riconosciuti all’Italia” (Ponti 1940a). Gli italiani, scrive ancora come Arital nel numero successivo, “con i tessuti meravigliosi di Ferrari e Lisio, coi suoi magnifici tessitori di seta e stampatori di seta (Frua è il primo del mondo), con le sue grandi industrie del rayon e della canapa, con le sue calzature eccezionali (come Ferragamo dimostra)” sono nati “per questo campo, che è di fantasia, d’arte, di creazione, di invenzione e d’esecuzione geniale” (Ponti 1940b).
È presumibilmente in questi mesi che Ponti concepisce l’idea di una rivista aperta alla moda. Il 30 ottobre 1940, infatti, egli prende parte alla costituzione della società Centro Edizioni Italiane Moda (Ceim), avente per oggetto “la pubblicazione di periodici ed affini ed ogni altra iniziativa diretta ad assecondare le attività produttive artistiche e commerciali afferenti alla moda ed alle arti decorative”. Nei mesi successivi Ponti inizia a cercare collaboratori per “Linea” il cui scopo, come scrive a Enrico Fulchignoni, è di rappresentare, insieme a “Stile”, “una documentazione altissima del gusto italiano, in tutti i campi (arte, lettere, musica, oggetti d’arte, cinema etc…) in modo da convalidare le foggie italiane e imporle nella nuova Europa” (Lettera di Ponti a Enrico Fulchignoni, 3 dicembre 1940). Scrive quindi ad altri artisti e intellettuali, come Massimo Bontempelli, Irene Brin, Fabrizio Clerici, Curzio Malaparte, Romano Romanelli, Libero De Libero, Alberto Moravia, per chiedere il loro contributo, dicendo che la rivista tratterà anche la moda, ma specialmente le arti e la vita intellettuale italiana.
Ma poco prima che venga dato alle stampe il primo numero, “Linea” viene rilevata dall’Edizione Moda Società Anonima di Torino (Emsa) e trasformata in un nuovo periodico dal titolo “Bellezza”, diventando l’organo ufficiale dell’Ente Nazionale della Moda, l’organismo creato dal regime fascista nel 1935 con lo scopo di diffondere una moda nazionale, valorizzando tutte le forze artistiche, artigianali e industriali coinvolte nel campo dell’abbigliamento, e vietando ogni riferimento agli abiti prodotti all’estero (Grandi, Vaccari, 2004). La società rileva tutte le spese fatte dalla Ceim sino a quel momento, i collaboratori già assunti e i materiali predisposti per i primi numeri di “Linea”. Ponti non è più l’unico direttore, ma fa parte di un comitato di direzione, presieduto da Cipriano Efisio Oppo, insieme a Lucio Ridenti e al critico d’arte Alberto Francini, e la redazione è articolata tra Milano, Roma e Torino.
Il primo numero di “Bellezza”, che viene distribuito alla fine di gennaio, si apre con un editoriale di Ponti dal titolo Costume e civiltà, che precisa il taglio da lui dato originariamente alla rivista:
Il costume è il vivo specchio della civiltà. La civiltà è soprattutto un ordine interiore, umano, dello spirito e del cuore; esso però deve esprimersi e si esprime, con tre cose: il garbo, la grazia, la bellezza (Ponti 1941a).
L’obiettivo di “Bellezza”, dunque – che esce per tutti gli anni della guerra senza subire ridimensionamenti editoriali e si afferma come la pubblicazione ufficiale della moda italiana, diffusa e letta anche all’estero – rimane per Ponti quello di documentare non tanto il variare delle mode, ma il “costume” del tempo in quanto espressione della civiltà. Così scrive l’architetto nel presentare la nuova rivista sulle pagine di “Stile”:
Una moda non può trionfare se non è lo specchio di uno ‘stile di vita’ elevato, colto, spirituale, la cui eleganza deriva da una scelta esercitata da persona di gusto, che rappresentano un clima espresso non solo dall’abito, ma nell’educazione e nella cultura (Ponti 1941b).
Oltre a Federico Pallavicini e Elsa Robiola – gli unici redattori assunti a tempo pieno, sotto il controllo continuo di Ponti – ai primi numeri di “Bellezza” collaborano Vera Rossi Lodomez, Elena Celani, Raffaele Calzini, Jia Ruskaja, Enzo Ferrieri, Corrado Pavolini, Giuseppe Gorgerino, con scritti sulla danza, il teatro, il cinema, la letteratura e le arti. Le fotografie, di Elio Luxardo, Claudio Emmer, Ghitta Carrel e dello stesso Ridenti, non hanno tanto lo scopo di dare modelli e indicazioni per farsi i vestiti in casa, ma di valorizzare e far conoscere le creazioni italiane: per questo per ciascuna fotografia viene studiata l’inquadratura e la scenografia, suggerendo narrative glamour e atmosfere teatrali (Lupano, Vaccari, 2009). Le copertine sono dipinte da artisti, pittori e grafici, come Filippo De Pisis, Gianni Vagnetti, Emilio Cecchi, Erberto Carboni, mentre i disegni dei modelli all’interno sono opera di Pallavicini, Adriano Alessandrini, Brunetta Mateldi, Edina Altara e Maria Pezzi.
Ma nonostante la cura e il controllo che Ponti cerca di esercitare sulla redazione di “Bellezza”, già dopo i primi mesi egli inizia a manifestare alcune perplessità, e nel dicembre 1941 così scrive al direttore della società:
Voi sapete che io ho visto in “Bellezza” non una occupazione, ma una missione per battere gli stranieri per far trionfare l’Italia. Io mi dispero di vedere una macchina con motori che potrebbero farla andare a 200 all’ora, e che invece marcia a 20: e tutto ciò quando voi disponete tanto signorilmente dei mezzi più che sufficienti, anzi larghissimi (Lettera di Ponti a Attilio Pacces, 30 dicembre 1941).
Come scrive a Oppo, infatti, egli ritiene che siano tutti troppo bravi per fare solo quel prodotto:
Tu hai grande autorità e capacità di dirigere di indicare una strada. Francini è un critico d’arte e può avere in mano e coordinare un materiale esauriente per informare donne e famiglie (funzione sociale) dell’arte, io potrei parlare di architettura, di interni, di produzioni d’arte e di tante altre cose, Ridenti è – oltre al resto – un fotografo eccezionale, la Celani è brava… Non manca nulla perché si possa fare una rivista piena, ardente, interessante, informativa senza per nulla diminuire la moda. Ho la sensazione che così come è facciamo come uno spreco di quel ben di Dio di carta che ci è consentito.
Ponti ritiene inoltre che con la contrazione della moda dovuta al periodo bellico, la giustificazione della rivista debba essere a maggior ragione nella cultura, nella morale, nel costume, nella casa, nell’arte, pur senza sacrificare il numero dei modelli presentati (Lettera di Ponti a Oppo, 6 aprile 1942). Egli infatti riconosce come le creazioni delle principali case di moda siano sempre più orientate verso “una linea, uno stile di semplicità, di vero gusto, di interpretazione della vita d’oggi che prelude ad una reale moda italiana” basata sulla formula: “eccellenza di linea in un costume aderente alla vita sociale moderna” (Ponti, 1942).
Le sue indicazioni non vengono però seguite e nel febbraio 1943 egli critica apertamente il disimpegno culturale della rivista, in particolare nel mezzo della guerra e delle distruzioni:
Che noi si debba in essa preconizzare solo dei colori, o delle foggie, o dei vezzi, o delle grazie di maniche, di stoffettine, di sottane, in relazione per esempio all’estate, a questa decisiva estate ed alle prossime stagioni nelle quali si devono maturare le sorti del mondo, mi pare una cosa fuori di luogo, in troppo stridente contrasto con le ferite di sangue e ora di opere d’arte (vedi Torino stessa) che comportano la salvezza ed il trionfo della nostra civiltà.
Ponti sottolinea come “Bellezza” dovrebbe impiegare “i suoi privilegi di esistenza in un’alta propaganda e rappresentanza di gusto, di cultura, di critica, d’arte, di elevazione, affrontando i settori della vita spirituale italiana con elevatissimo e serissimo impegno”, come il teatro, il cinema, la letteratura, il pensiero filosofico, la musica e le arti figurative”. E aggiunge:
Non dobbiamo figurarci che le lettrici di “Bellezza” debbono essere delle italiane stupide: possiamo anche aggiornarle sul fenomeno dell’ermetismo e dell’esistenzialismo, magari combattendoli […]. Ci sono figure italiane di grandissimo piano da rilevare, voci altissime (dalla Ada Negri, a Papini, a Cecchi, a Bacchelli, ed una di giovani scrittori e poeti) da recare alle donne italiane, artisti da far conoscere attraverso le tricromie e le pagine in nero in modo da solvere un programma critico ben formulato e disciplinato, avvenimenti culturali, luoghi cari, sovrane opere d’arte antiche (Lettera di Ponti a Oppo, 13 febbraio 1943).
E ancora, il mese successivo:
“Bellezza” è una rivista semi-ufficiale se non ufficiale del tutto o finirà a dare un esempio sopprimendosi (assieme all’Ente Moda) o dovrà decidersi a essere un esempio di gusto e di opportunità nella moda, nella vita, nella cultura. Noi possiamo giustificarne l’esistenza solo rendendola più seria, attiva, programmatica, educativa; dove la moda sia 3/5 o metà (come “Vogue” ed “Harpers”) e la vita (cultura, libri, teatri, guerra anche, arte, lavoro questioni ecc. ecc.) siano 2/5 o metà. Abbiamo in mano una pubblicazione privilegiata e fiorente, non lasciamola leggermente in balia degli eventi” (Lettera di Ponti a Oppo, 3 marzo 1943).
A proposito di “Vogue” e “Harper’s Bazaar” Ponti si era peraltro già espresso in una lettera del giugno 1941, mostrando di apprezzarne il progetto grafico oltre che editoriale, tanto da suggerirle a Oppo come modello per “Bellezza” (Lettera di Ponti a Oppo, 10 giugno 1941). Ma Oppo gli aveva risposto semplicemente rifiutando il confronto con quelle “non belle pubblicazioni straniere” (lettera di Oppo a Ponti, 13 giugno 1941).
Il 19 maggio 1943, infine, dopo aver preso atto che la sua idea di rivista non trova seguito nel comitato direttivo, Ponti comunica le proprie dimissioni a Oppo, dicendo che non si tratta di un atto polemico ma la sua opera non gli sembra più così necessaria. Oppo gli risponde dispiaciuto, ma convinto che non sia “sul terreno effimero della moda” che si possa parlare di arte e di pensiero, perché, dice, “il giuoco non vale la candela” (Lettera di Oppo a Ponti, 26 maggio 1943).
Nei difficili mesi successivi la rivista risente degli eventi drammatici che vive il paese, ma così come la produzione di modelli non si interrompe, dando vita a una collezione 1943-44, allo stesso modo “Bellezza” continua a uscire, nonostante la guerra civile. Pur senza un ruolo ufficiale, Ponti continua di fatto a collaborare e nel numero di dicembre è presente un suo articolo che segnala come la drammaticità del momento stia trasformando finalmente la moda in un costume, ovvero “in una cura personale, in una linea morale e fisica, in una dignitas, in una civiltà stesa di creature che vogliono sopravvivere, nella loro civiltà, alle durezze degli eventi”. E questo è, secondo lui, ciò che distingue il costume dalla moda:
Se nella moda, che è opera e frutto e ragione di moltissimo lavoro per moltissima gente v’è qualcosa di artificiosamente (oltre che fantasiosamente) mutevole, perché les affaires sont les affaires (…) il ‘costume’ è oggi rappresentato da quella sorta di tendenza che viene ineluttabilmente seguita pur nel variare e nelle diversioni o diserzioni o evasioni della moda (Ponti 1943).
E ancora, “‘Moda’ è la fantasia degli uomini: ‘costume’ è quel che è dettato dalla vita e incatena quella loro fantasia”; e, fiduciosamente, dice: “Realizzerà l’umanità un costume dove non si prevarrà – ripetiamo – col lusso, né col denaro, né con la eccentricità, ma con la distinzione, la cura di sé, il portamento, la civiltà, in un abbigliamento che lasci il corpo sempre più libero d’impacci” – cosa di cui egli vede già diversi indizi. È lo stesso, egli dice, che è accaduto all’arredamento, dove vi è uno ‘stile’, ovvero ‘un costume’, che significa:
[…] semplicità, buona fattura, buona materia, novità di materia e di tecnica, nettezza, chiarore. Le condizioni di oggi, e più quelle di domani, determinano nella realtà (la vita!) quello stile che è stato tanto predicato dagli architetti moderni e tanto poco creduto ed amato. Essi erano nel vero della Storia; come sempre gli artisti, che presentono e prevengono. La storia degli uomini, per l’insania loro, raggiunge i suoi fini, ahimè, non per mezzo di ragionevoli evoluzioni, ma attraverso violente e passionali convulsioni. Quelle cui assistiamo, per quanto atroci, sboccheranno in un reale progresso civile. A questo si adeguerà non solo l’abbigliamento, ma l’arredamento, cioè tutto il nostro modo di vivere, semplificato esteriormente ma arricchito interiormente (Ponti 1943).
Finché “Bellezza” non interrompe le pubblicazioni – e accade con il numero 48 di novembre-dicembre 1944 – Ponti continua a seguirne con attenzione l’andamento, e ancora ad aprile egli manda una lunga lettera di commenti sul numero appena uscito, ripetendo, oltre a diverse critiche sull’impaginazione, che gli argomenti dovrebbero essere “vestiti, idee, case, orto, fiori, libri da leggere, discussioni, arte, teatro, grandi questioni: vita vera insomma!”, e non “signore sfollate” e “alta moda e vita italiana” (Lettera di Ponti alla redazione di “Bellezza”, 13 aprile 1944).
Dopo quasi un anno di pausa, la rivista ricomincia a uscire nel novembre del 1945 sotto la direzione di Michelangelo Testa, con una veste grafica rinnovata, con il sottotitolo “Rivista internazionale di alta moda” e sede editoriale a Milano. Ponti è presente in questo numero con l’articolo È superfluo il superfluo?, che riprende la domanda che egli si fa girando per una Milano appena uscita dalla guerra, “crudamente colpita e tuttavia viventissima”, che risorge con una serie di negozi per lo più dedicati a cose “delicate” e che parrebbero superflue per esistere. Ma egli spiega come:
[...] il superfluo non è, per grazia di Dio, superfluo. Questa vitalità stessa del superfluo, che rifiorisce tanto vittoriosamente, insopprimibilmente ed emozionantemente dalle rovine è un gran segno per fortuna nostra di italiani, di quanto sia vivo in noi il bisogno della grazia, di un accento di bellezza, il fatto puro e semplice di esistere. L’avventura del vivere è una cosa arcana e magica, è la prima, la più avventurosa delle nostre possibili avventure: ed è irresistibile per noi italiani il viverla nella presenza di un segno, almeno, di bellezza e d’eleganza. La belle aventure (…) (Ponti, 1945).
Nonostante la corrispondenza documenti l’interesse di Ponti a continuare a collaborare alla nuova serie di “Bellezza”, con la presenza in ciascun numero di un certo numero di pagine dedicate ad arredamento, artigianato, arte, la sua firma non compare più e la rivista si afferma come uno dei più importanti periodici di moda, non avendo però più nulla a che fare col progetto culturale del suo ideatore e con la sua incrollabile fede negli ideali di “stile” e “bellezza” che illuminano la civiltà italiana.
Note
* Il presente contributo è parte di uno studio più ampio su Gio Ponti scrittore ed editore in corso di pubblicazione. Ringrazio gli Eredi Ponti per avermi permesso di accedere all’Epistolario Gio Ponti per consultare documenti e corrispondenza relativi alla rivista “Bellezza”.
Bibliografia
- “Domus” 1938
La moda: abito disumano, “Domus” 124 (aprile 1938) (s.f.). - “Domus” 1939
Moda, “Domus” 139 (luglio 1939), 50-53. - “Domus” 1940
Artigianato e moda, “Domus” 153 (settembre 1940), 24-25. - Ojetti 1933
U. Ojetti, La casa all’italiana, “Il Corriere della Sera”, 23 aprile 1933. - Ponti 1928
G. Ponti, La casa di moda, “Domus” 8 (agosto 1928), 11. - Ponti 1933
G. Ponti, L’architettura e la moda, in Ente autonomo per la mostra permanente nazionale della moda, II Mostra nazionale della moda, ottobre, Roggero e Tortia, Torino 1933, 35-36. - Arital 1940a
Arital (G. Ponti), La foggia italiana, “Aria d’Italia”, vol. III (estate 1940), 59-60. - Arital 1940b
Arital (G. Ponti), Moda, “Aria d’Italia”, vol. IV (autunno 1940), 74. - Ponti 1941a
G. Ponti, Costume e civiltà, “Bellezza” 1 (gennaio 1941), 1 (s.f.). - Ponti 1941b
G. Ponti, La moda nella nuova Europa, “Stile” 3 (marzo 1941), VII, 99. - Ponti 1942
G. Ponti, Scelta di bellezza, “Bellezza” 16 (aprile 1942), 3. - Ponti, 1943
G. Ponti, Abbigliamento ed arredamento (con disegni di Pallavicini), “Bellezza” 36 (dicembre 1943), 47-51. - Ponti, 1945
G. Ponti, È superfluo il superfluo?, “Bellezza” 1 (nuova serie) (novembre 1945), 45. - Rostagni 2016
C. Rostagni (a cura di), Gio Ponti. Stile di, Milano 2016.
English abstract
One of the less known editorial projects of Gio Ponti is also one of the furthest from the popular architectural discussion. “Bellezza” – initially titled “Linea” – was a fashion magazine, or rather more precisely it was a cultural project, aiming to bring fashion to be considered as an artistic, civic and social project. Both architecture and fashion were for Gio Ponti expressions of the style and costumes of an epoch. “Bellezza” was devoted to Italian intellectual and cultural production and was directed by a board of well-known personalities, amongst which Ponti himself. The main objective of such a publication was to educate the civic lifestyle of Italian people through the appreciation of beauty, rooted and encouraged by intellectual and artistic discussions. Ponti contributed to “Bellezza” only for a limited period of time, between 1940 and 1943, when he resigned due to a divergence of opinions with the board. His contribution remained present, although gradually reduced, until 1945 when under the direction of Michelangelo Testa the magazine changed its title into “Rivista internazionale d’alta moda”.
keywords | Gio Ponti, Cipriano Efisio Oppo, Bellezza, fashion magazine, civic project.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio.
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: Cecilia Rostagni, “Bellezza” della vita italiana. Moda e costume secondo Gio Ponti, “La Rivista di Engramma” n. 175, settembre 2020, pp. 287-298 | PDF dell’articolo