Dario Del Corno è scomparso pochi giorni fa, il 28 gennaio 2010. Come omaggio al maestro e all'amico, di scuola e di vita, pubblichiamo il testo del suo ultimo intervento pubblico, tenuto il 18 maggio 2009 presso il Piccolo Teatro di Milano, in occasione della presentazione di Carriglio/Orestiade, Flaccovio Editore, Palermo 2008, a cura della sua allieva Anna Banfi (il testo di questa ultima, breve ma intensa, lezione sarà pubblicato in una prossima riedizione del volume).
A Dario, e alla luce che irradiavano la sua persona e il suo pensiero, dedichiamo anche questo brano di Marco Aurelio.
Ὁ ἥλιος κατακεχύσθαι δοκεῖ καὶ πάντῃ γε κέχυται, οὐ μὴν ἐκκέχυται. ἠ γὰρ χύσις αὔτη τάσις ἐστίν˙ ἀκτῖνες γοῦν αἱ αὐγαὶ αὐτοῦ ἀπὸ τοῦ ἐκτείνεσθαι λέγονται. ὁποῖον δέ τι ἐστὶν ἀκτίς, ἴδοις ἄν, εἱ διά τινος στενοῦ εἰς ἐσκιασμένον οἶκον τὸ ἀφ' ἡλίου φῶς εἰσδυόμενον θεάσαιο˙ τείνεται γὰρ κατ' εὐθὺ καὶ ὥσπερ διερείδεται πρὸς τὸ στερέμνιον ὅ τι ἂν ἀπαντήσῃ διεῖργον τὸν ἐπέκεινα ἀέρα, ἐνταῦθα δὲ ἔστη καὶ οὐ κατώλισθεν οὐδὲ ἔπεσεν. τοιαύτην οὖν τὴν χύσιν καὶ διάχυσιν τῆς διανοίας εἶναι κρή, μηδαμῶς ἔκχυσιν, ἀλλὰ τάσιν, καὶ πρὸς τὰ ἀπαντῶντα κωλύματα μὴ βίαιον μηδὲ ῥαγδαίαν τὴν ἐπέρεισιν ποιεῖσθαι μηδὲ μὴν καταπίπτειν, ἀλλὰ ἵστασθαι καὶ ἐπιλάμπειν τὸ δεχόμενον˙ αὐτὸ γὰρ ἐαυτὸ στερήσει τῆς αὐγῆς τὸ μὴ παραπέμπον αὐτήν.
Il sole sembra disperdersi e in effetti ovunque si diffonde, ma senza disperdersi. È un’effusione per irraggiamento: raggi sono, bagliori di luce che dal sole si irradiano. E cosa sia un raggio si può capire guardando in una stanza scura la luce del sole che penetra da una stretta fessura: lama dritta di luce, che quasi ferisce i corpi solidi in cui attraverso l’aria si imbatte, ma poi, in un punto, infine la luce si ferma, non scivola, non cade. Così deve essere la pervasiva diffusione del pensiero: non dispersione ma irradiamento. E sulle cose che incontra nel suo raggio non deve provocare un urto violento, non deve esserci furia, ma neppure deve cedere e soccombere. Deve stare invece, e illuminare della sua luce chi la riceve. E si priverà di quel fulgore chi non lo saprà riflettere e trasmettere.(Marco Aurelio Antonino, A me stesso, VIII, 57)
Dario Del Corno
Il finale delle Eumenidi e il ritorno all'età dell'oro
Innumerevoli volte abbiamo visto e letto l’Orestea. È possibile provare un’esperienza che apra nuovi e diversi valori e significati a parole ed eventi sedimentati nell’esperienza comune lungo il corso dei millenni? A provocare questa fertile rivoluzione a volte è il dato visivo di uno spettacolo, che inserisce il già noto in un contesto concettuale che si impone come un’energia celata.
È il caso del finale delle Eumenidi nell’edizione Inda 2008. È un’emozionante riconquista della legge che si accompagna al senso di una nuova giustizia, che elimini le fratture del corpo sociale e proponga una veritiera unità cittadina. La novità di pensiero qui sta nella forza della convinzione che ispira le varie componenti della società. Questa forza è sì qualcosa di nuovo, ma si ha l’impressione che in essa giochi pure la riconquista di una unità antica che stringeva la cittadinanza in una concordia unitaria che era stata violata dall’irruzione delle Eumenidi – ossia del male esterno. Può darsi che l’euforia collettiva che pervade il corteo cittadino alla fine della tragedia sia il ritrovamento festoso di una originaria condizione di felicità.
Eumenidi di Eschilo per la regia di Pietro Carriglio, Teatro greco di Siracusa 2008
La tragedia appare a noi, così come è, amputata oggi di molti suoi sviluppi, un tragitto lineare dal bene al male. Ma l’esempio di alcune trilogie eschilee come l’Orestea avverte che poteva anche darsi un tracciato circolare che includesse entrambi i momenti della gioia e dell’afflizione. Dei primordi della tragedia a noi è giunto troppo poco perché si possa dedurre una storia unitaria tale da includere tutte le manifestazioni del genere in un tragitto per forza di cose univoco.
Forse, questo rischio di uniformità non è verace, e si tratterà eventualmente di ritrovarne le eccezioni. Può darsi che la più sensazionale si debba appunto rintracciare nel finale delle Eumenidi. La città ritrova, anziché scoprire, il valore della giustizia, ricongiungendosi a una scelta che aveva fondamenti antichi. La conclusione della trilogia tragica, come la chiusa dello spettacolo comico, portava in sé la consapevolezza quasi implicita di un’antica età dell’oro; e si verrebbe così a risolvere uno dei fatti che più intrigano lettori e spettatori moderni. Cosa significa questa festa? Essa potrebbe non essere radicalmente diversa dalla commedia, ossia indicare il recupero, dopo una lunga pausa, di una sensibilità originaria per il senso del collettivo. In questo tracciato circolare si può forse individuare la ragione per cui gli Ateniesi sentivano con tanta evidenza e concretezza la funzione di un lieto fine tragico, nei non molti casi in cui ne sopravvivono le vestigia. Un itinerario di questo genere resta, ovviamente, una congettura, ma è anche lecito liberarsi delle incrostazioni che si sono sovrapposte nel tempo alla 'pura' idea tragica, per ritrovare una nativa e unitaria 'teatralità' nella catarsi che si attua all’interno dello spettacolo.