"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

210 | marzo 2024

97888948401

Fedeli a Berlino

Influenze della Neue Deutsche Welle nel post-punk emiliano dei CCCP

Guglielmo Bottin

English abstract
Punk e autenticità

Sebbene i CCCP abbiano spesso dichiarato di non appartenere al movimento punk italiano, né di voler imitare i gruppi inglesi e americani, è del tutto evidente che si siano avvalsi in buona parte di quella estetica musicale e performativa. Si tratta di una scena in cui, com’è noto, gli artisti si pongono tipicamente come outsider rispetto alla tradizione del rock e le cui pratiche sarebbero inconciliabili con i valori convenzionali della cosiddetta musica di consumo (Prinz 2014). Ai musicisti punk viene infatti tipicamente attribuita un’intrinseca genuinità il cui valore va oltre i parametri della competenza musicale. In particolare, l’estetica musicale del punk emerge in opposizione alle tendenze musicali dei primi anni Settanta, soprattutto al rock progressivo. Rifiutando il prog, considerato inutilmente complicato, con aspirazioni intellettuali e di riconoscimento culturale, i punk puntano a riaffermare una first person authenticity che consiste in un’espressività diretta e immediata anziché costruita e mediata dalla tecnica esecutiva (Moore 2002). Vi è inoltre un processo di second person authenticity (Moore 2002), rivolto a quella parte di pubblico giovanile, insofferente e disilluso, che si rispecchia nel disfattismo punk e nella denuncia dell’impossibilità di un avvenire migliore, riassunto nello slogan no future. La costruzione di questa autenticità cinica e negativa sconfina talvolta in forme di ricercata inautenticità ironica e grottesca (Grossberg 1992).

In realtà, la musica punk mostra evidenti legami con gli stilemi del rock, impiegando la stessa strumentazione e altri aspetti tipici di quel genere musicale. Al pari del rock, l’impianto ritmico prevede generalmente un basso in ottavi, talvolta doppiato dalla chitarra elettrica. Tuttavia l’elevato livello di distorsione applicato alla chitarra punk tende a confondere il contenuto armonico degli accordi restituendo un’impressione più rumoristica che tonale. Gli assoli vengono evitati o ridotti ai minimi termini, tanto da sembrare una satira del virtuosismo del progressive. La complessità lascia spazio all’immediatezza e a un senso di musicalità viscerale che, oltre a essere un obiettivo estetico, è in molti casi anche conseguenza di una scarsa preparazione tecnica (Grossman 1997). Un’altra caratteristica dei CCCP che li accomuna al punk tedesco è l’impiego di un canto non melodico, urlato oppure salmodiante. Nell’approccio alla vocalità, alla creazione del sound e persino in questioni riguardanti l’intenzionalità e il controllo sulla propria performance, l’estetica punk rock si basa sull’idea che i limiti (tecnico-esecutivi) e l’istintività degli artisti siano elementi che pongono tale musica in diretto contrasto con la popular music di massa che, al contrario, sarebbe spesso innaturale, industriale e artificiosa. Questa opposizione è in realtà un ritorno alla vecchia concezione romantica di un’arte libera che si oppone al commercio, come pure romantica (e rock) appare la missione dei punk di esprimere un’emotività viscerale, indice spettacolare di sovversione dei canoni del pop (Stone 2016, 53). La supposta genuinità è pertanto rintracciabile in una deliberata estetica sonora e in precise strategie comunicative. A livello musicale non vi è solo un ritorno alla semplicità e all’espressività del primo rock’n’roll, ma si incorporano anche alcuni tratti pseudo-avanguardistici di sperimentazione sonora, alla ricerca di un suono scioccante.

Nel nostro paese, il punk arriva inizialmente come fenomeno di consumo. L’industria culturale internazionale diffonde i dischi e promuove lo star system del punk angloamericano che alcuni gruppi italiani cercheranno presto di imitare (Masini 2018, 203). Nella seconda metà degli anni Settanta, l’Italia è investita da un’ondata ideologica che sfocia nel movimento del ’77. In questo contesto, il punk italiano si inserirà spesso nelle esperienze dei collettivi autonomi e anarchici all’interno dei loro spazi autogestiti (Romania 2016), un’associazione del tutto sconosciuta al punk anglosassone che invece rifiuta ogni serietà politica e si diverte a giocare con simboli come la svastica.

Gli aspetti più appariscenti e autolesionistici del punk sono presto oggetto di satire demenziali da parte di cantanti e cabarettisti italiani. Due professionisti della canzone, Andrea Lo Vecchio (autore per Mina e Vecchioni) e Detto Mariano (arrangiatore per Celentano, Battisti e Bobby Solo), creano il progetto discografico Gli Incesti (la cui immagine è affidata ai fratelli Leo e Antonella Stoico), approfittando della moda punk con risultati quasi parodistici: “Il mondo dei benpensanti fa schifo non lo vogliamo […] ecco spiegato in due parole perché punk” (Incesti 1978). Il bolognese Andrea Mingardi esegue alla televisione nazionale il brano Pus, presentato da Gianni Boncompagni:

Con una giacca di pelle umana e una cagna di razza ariana vado in giro tra smorfie e lazzi per me, siete voi i pazzi […]. Sopra il punk la capra cant, sotto il punk la capra crep! (Mingardi 1978).

Il cantante premette che la sua non è solo una satira leggera del movimento punk:

Questo è un pezzo che potrebbe sembrare superficiale, però noi ironizziamo su un certo tipo di violenza e la condanniamo.

Il presentatore gli risponde:

Meno male che c’è chi ci ride sopra, perché ci sono alcuni che la fanno sul serio questa musica, che ci credono […] tu invece hai sottolineato tutta la simbologia deleteria del punk (Mingardi 1978).

Tony Santagata trasmette dalle frequenze di Radio Uno il programma Radio Punk, di cui realizza anche la sigla I Love The Punk (Ai, Lavete Punk):

I love the punk […] Qualche volta mi rivolto in mezzo al fang’
Perché so’ punk o yes, all right forever punk! (Santagata 1978).

Completa il quadro satirico David Riondino con il brano Re dei Punk:

Oh, re dei punk, portami via con te! Spaccami tutta la vita! (Riondino 1979).

Questi brani dimostrano come in Italia, già alla fine degli anni Settanta, il punk fosse ridicolizzato dai media di massa. Nel caso dei CCCP, l’opposizione all’estetica del vecchio rock si estende anche a quella del punk italiano, nella misura in cui viene percepito dal gruppo emiliano come un genere del tutto stereotipato che si limita a scimmiottare il punk angloamericano: “Io non conosco gruppi punk italiani, non ho mai sentito qualche gruppo che non rifaccia pari pari le cose americane o inglesi” (Zamboni in Tacchini 1983, 00:35:19). Oltre che negli aspetti relativi alla struttura della canzone (generalmente breve e di forma chorus-verse, come nel rock’n’roll), il punk adotta una semplificazione degli arrangiamenti, riducendoli al minimo: un impianto in ottavi, con basso e chitarra spesso all’unisono. Tastiere e sintetizzatori vengono inizialmente evitati poiché considerati “accessori elitari di un culto professionale della tecnica” (Marcus 2014, 54). Rispetto alle durate brevi dei pezzi punk, alcune canzoni dei CCCP si estendono per cinque o sei minuti. La forma viene ulteriormente asciugata, con il ritornello identico alla strofa o ridotto a un riff sopra cui si declamano il titolo del brano. I pezzi sono spesso privi di un vero finale e terminano bruscamente, in particolare nelle esibizioni dal vivo. A ogni buon conto, la storia dei CCCP dimostra, al pari e forse anche di più di quella di altri gruppi punk del periodo, come sia possibile giocare sui propri limiti musicali, vocali, tecnici e su un’apparente perifericità geografico-culturale (la provincia emiliana anziché la metropoli americana o britannica) per trarne un valore comunicativo estremamente efficace.

Interni berlinesi

Quando Massimo Zamboni e Giovanni Ferretti si incontrano a Berlino nell’estate del 1981, per poi tornare a Reggio Emilia e dare vita al gruppo MitropaNK, il punk non era certamente qualcosa di nuovo e dirompente: si era già nel pieno delle tendenze post-punk, della new wave angloamericana e del suo equivalente germanofono, la Neue Deutsche Welle (Hilsberg 1979), un movimento che fornisce al gruppo emiliano diversi riferimenti musicali e testuali. Nel discorso interno alla comunità artistica berlinese, l’anti-perfezionismo si contrappone ai criteri tradizionali dell’estetica pop. In mano a dilettanti, la pratica musicale mette ognuno in condizione di provare a dire la sua. Al tempo stesso, questi gruppi improvvisati si ritrovano a esibirsi professionalmente e a un livello percepito come pienamente legittimo. In quel contesto, il valore di una band si misura in base alla sua capacità di comunicare e di esprimere una certa visione del mondo, rappresentandola attraverso gesti culturali e performance musicali (Baumgartner, Binas e Zocher 1989). Il 4 e 5 settembre del 1981 va in scena al Tempodrom il Grosse Untergangsshow (grande spettacolo della decadenza) sottotitolato “Festival der Genialer Dillettanten”. Tra i gruppi che si esibiscono vi sono anche i DAF, gli Einstürzenden Neubauten e i Die Tödliche Doris (Müller 1982):

Un pomeriggio siamo andati al Geniale Dilletanten a Tempodrom […] Il punk tedesco l’abbiamo conosciuto lì. Allora si conosceva il punk inglese, non è che ci piacesse molto. La musica sembrò una strada plausibile. Non era necessario saper suonare, ma volerlo fare. Ho detto: “io da bimbo cantavo, eh, Zamboni” […]. Così abbiamo deciso di tornare a casa e fare un gruppo (Ferretti in Saturnino 2023).

Programma del Grosse Untergangs-Show (1981).

Riportate al contesto reggiano (“La città più sovietica dell’impero americano”, CCCP 1984), le esperienze della scena punk tedesca si riverberano in un processo di costruzione di un immaginario emiliano-berlinese in cui Ferretti e Zamboni fondono simboli sovietici e divise della DDR, l’islam della comunità turca di Kreuzberg, le performance musicali e situazioniste viste al Tempodrom. L’idea di fondare una band non era nuova a Zamboni: suonava già insieme a Umberto Negri nei Frigo, accompagnati da una batteria elettronica (Negri [2010] 2023, 60). Il nome frigo era ispirato alla rivista “Frigidaire”. Un reportage su Berlino lì pubblicato aveva incuriosito Zamboni al punto di decidere di partire:

Frigidaire è la rivista di questo momento. Come noi, detesta tutto e tutti. Impolitamente spietata. Ma se ama, adora. […] L’articolo su Berlino è di giugno. In luglio, sono al Brennero in cerca di un TIR che mi collochi al Nord (Zamboni 2005, 25).

Tornato a Reggio Emilia, Zamboni lascia i Frigo per fare un gruppo insieme a Ferretti e al batterista Agostino ‘Zeo’ Giudici (fratello di Annarella). Qualche mese più tardi, Umberto Negri invitato a unirsi come bassista nella nuova band: i MitropaNK. Il nome è preso da Mitropa, abbreviazione di Mitteleuropa, la società che svolgeva il servizio di ristorazione delle ferrovie e gestiva una catena di autogrill lungo il Berlin Transit, luoghi che Zamboni menziona nel racconto dei suoi viaggi in Germania (Zamboni 2005, 59 e 155). Mitropa è anche il nome del noto locale al 33 di Goltzstrasse, nel quartiere di Schöneberg. Aperto giorno e notte, il Cafè Mitropa era un punto di ritrovo per la scena punk e new wave berlinese. Blixa Bargeld degli Einstürzende Neubauten vi si faceva recapitare la posta (Weedman 1987). 

I MitropaNK si vedono nel mediometraggio Ahimé: il congresso del mondo (Valdesalici, Oleari 1983). Benedetto Valdesalici, medico titolare dei servizi di salute mentale dell’appennino reggiano e amico della band (è lo psichiatra che compare all’inizio del videoclip di De Maria 1985), volle realizzare un laboratorio di cinema con la partecipazione dei pazienti della zona. Nella scena del concerto, girata al cinema-teatro Tiffany di Castelnuovo Monti, la musica è fuori sincrono rispetto al labiale di Ferretti: i brani furono infatti registrati successivamente in una sorta di concerto domestico e aggiunti al film in fase di montaggio (Negri [2010] 2023, 67). 

Fotogramma da Ahimé: il congresso del mondo (Valdesalici, Oleari 1983) e volantino che annuncia il concerto dei MitropaNK a Carpi il 19 settembre 1982. 

Sembra che l’unica registrazione di un vero concerto sia quella della serata al Mattatoio di Carpi, il 19 settembre 1982. Dall’ascolto si evince che la maggior parte di quelli che sarebbero stati i brani più noti dei CCCP erano già nel repertorio dei MitropaNK. La scaletta comprende Stati di agitazione, Sexy Soviet, Punk Islam, Militanz, Valium Tavor Serenase, Emilia Paranoica oltre a Tube Disasters, una cover dei Flux of Pink Indians (1981) la cui parte strumentale verrà riciclata per Spara Jurij (CCCP 1984). Nel finale di Tube Disasters, si sente Ferretti cantare in italiano:

Un altro giorno, un’altra sera, un’altra notte, un’altra idea, un altro sogno, un altro me, un’altra vita, un altro me.
Felicitazioni! Felicitazioni! (MitropaNK 1982).

Trascrizione del riff di chitarra elettrica in Spara Jurij, Sonic Reducer e Tube Disasters. Gli ultimi due brani sono stati trasportati rispettivamente di +3 e +1 semitoni per evidenziare l’equivalenza dei gradi dell’armonia. I tre brani condividono evidentemente lo stesso giro di accordi (I-V-bVI-IV).

Il dattiloscritto di questo testo è riprodotto, insieme ad altri ritagli, nel libro dedicato alla casa di Fellegara in cui la band ha scritto e provato i brani del primo disco (Contiero 2014, 62). Lo stesso medley tra la cover di Tube Disasters e quella che poi diventerà Spara Jurij si sente nella registrazione del concerto del 1983 a Castelvetro e nel cd Live in Punkow, registrato negli anni Ottanta e pubblicato da Virgin nel 1996. Il riff di chitarra di Tube Disasters è del tutto simile a quello di Sonic Reducer (Dead Boys 1977). Questo caso, unito a quello di Militürk analizzato in seguito, sembra confermare una prassi diffusa di rielaborazione del materiale musicale di altri gruppi punk. Emergono inoltre brani che costituiscono una sorta di repertorio di comunità e di cui diverse band si appropriano, talvolta mantenendo le parole e cambiando l’arrangiamento (Militürk/Kebabträume), altre volte mettendo un nuovo testo su musica preesistente (il riff di Sonic Reducer usato in Tube Disasters e in Spara Jurij). 

Le batterie elettroniche usate dai CCCP. A sinistra Korg KPR-77; a destra Yamaha RX11, modello impiegato a partire dal 1984 (Negri 2024).

Dopo l’uscita dal gruppo di Agostino Giudici, chiamato a svolgere il servizio di leva, nell’impossibilità di trovare un batterista sostituto, la scelta di ricorrere alla drum machine è tanto obbligata quando facilitata dalla competenza tecnica di Umberto Negri, che già aveva avuto a che fare con la batteria elettronica al tempo dei Frigo (Negri [2010] 2023, 225). Viene acquistata una Korg KPR-77, modello economico con timbri di sintesi analogica del tutto lontani da quelli della batteria acustica. In seguito sarà sostituita da una più professionale Yamaha RX-11 (Negri 2024) con suoni campionati e, per l’epoca, più realistici.

I pattern ritmici, densi e serrati, trasmettono un’estetica macchinica atipica per il punk anglosassone ma che tuttavia caratterizzerà a lungo il sound dei CCCP. L’uso della drum machine è infatti poco comune nel rock, perché vi era la tendenza a collegare i ritmi elettronici alla musica da discoteca, considerata nell’Italia degli anni Settanta come qualcosa di finto, opposto alla vera musica suonata e impegnata (Tosoni 2020, 65).

Tuttavia, la batteria elettronica è perfettamente accettata nel contesto tedesco, dove timbri sintetici e ritmi programmati fanno da tempo parte dell’identità della popular music di avanguardia (Albiez 2003). È anche per questo motivo che, ai primi concerti dei CCCP, il pubblico berlinese si scatena nelle danze mentre quello italiano resta paralizzato (Negri [2010] 2023, 274), forse perché stranito dalle declamazioni di Ferretti che i tedeschi non erano in grado di comprendere:

Le mie parole, la chitarra di Zamboni, la batteria elettronica ammazzavano tutto. Noi eravamo convinti di suonare musica da ballo, ma il pubblico era immobile (Ferretti in Guglielmi 2002). 

Il rapporto con il pubblico migliorerà con l’ingresso nell’organico dei performer Danilo Fatur e Annarella Giudici (che renderanno gli spettacoli visivamente più accattivanti) ma anche con il passaparola sui concerti fatti all’estero. Come spesso accade nel mondo delle sottoculture musicali locali, tanto alternativo quanto provinciale e dipendente da validazioni esterne, la notizia di un consenso internazionale (per quanto di nicchia), avvalora rapidamente la band tra gli addetti ai lavori della scena italiana:

Devi andare all'estero a un certo punto, perché se no in Italia non ti ascolta nessuno, per i soliti motivi. Poi appena torni dall’estero, ti si buttano addosso (Zamboni, in Pustianaz 1985, 6).

In Italia i CCCP non li voleva ascoltare nessuno, allora siamo andati a suonare a Berlino […] quando siamo tornati abbiamo scoperto che invece, visto che ci ascoltavano a Berlino, visto che ci ascoltavano ad Amsterdam, visto che i giornali riportavano questa cosa, è cominciato ad arrivare un pubblico (Ferretti 1988, 6:02).

Il gruppo non solo non ha mai nascosto le proprie ascendenze simultaneamente emiliane e berlinesi ma, nel dichiarare la lontananza dalla musica angloamericana e rimarcando una matrice sonora europea, inserisce nel proprio repertorio brani e citazioni che confermano una forte affinità con il punk e il post-punk tedesco. Anche il nome CCCP potrebbe venire da Berlino: in città c’era già almeno una band chiamata così (dalle iniziali dei suoi componenti Carsten Schulz, Christian Martini, Crash Rainer, Peter Zerbe) e attiva sin dal 1981 (Rock In Berlin s.d.). Questi primi CCCP suonano in una rassegna musicale a Brunnersplatz il 12 settembre 1981, pochi giorni dopo il festival al Tempodrom, quindi nel periodo in cui Ferretti e Zamboni si trovano a Berlino. L’evento viene così descritto dalla stampa alternativa:

Sabato scorso si è svolto a Wedding il concerto rock dell’anno […] la cosa principale era naturalmente la musica Punk e New Wave […] CCCP, Slime e, infine, I Soldiers of Furtune. […] “Germania, Germania” con questa musica “è tutto finito” per davvero [si tratta di una citazione del testo di Militürk/Kebabträume, “Deutschland, Deutschland, alles ist vorbei”, NdA] (Besetzer Post 1981).

Vi è inoltre evidenza discografica di un secondo gruppo tedesco chiamato CCCP (Nicolaidis e Meyer 1984). Per differenziarsi, Ferretti e Zamboni decidono di aggiungere alla sigla lo slogan “Fedeli alla linea” (Negri [2010] 2023, 134), probabilmente ispirati dalla nota discoteca berlinese Linientreu, sebbene Ferretti abbia affidato alla stampa un aneddoto più fantasioso:

Sapevamo di poterci permettere CCCP: sarebbe stata una forzatura per tutti ma non per noi di Reggio Emilia, la più filosovietica delle province dell’Impero. Il giorno dopo aver scoperto questo nome, che poteva davvero costituire una svolta, alla frontiera tra Germania e Austria un doganiere ci chiese spiegazioni sul nostro abbigliamento. Gli dicemmo del gruppo e dell’idea di CCCP, e la sua battuta di commento fu “Linien treu”, cioè Fedeli alla linea. Una folgorazione (Ferretti in Guglielmi 2002).

In un’altra intervista, si aggiunge un dettaglio pittoresco alquanto improbabile: “[il doganiere] si mise sull’attenti e disse ‘Linien treu!’” (Ferretti in Giustini 2002). Qualche anno più tardi, Zamboni conferma l’origine legata al club berlinese: “Fedeli alla linea, il nostro soprannome, era il nome del locale Linientreu” (Zamboni 2019). Si tratta in effetti di una delle discoteche più importanti della città e, negli anni del punk e della new wave, è frequentata anche da musicisti internazionali tra cui David Bowie, Iggy Pop e Depeche Mode (Lang 2006). 

Militürk

Nel 1980 i DAF (Deutsch Amerikanische Freundschaft) duo di Düsseldorf composto dal cantante di origine spagnola Gabi Delgado-Lopez e dal bavarese Robert Görl, incide Kebab-Träume per l’etichetta britannica Mute (DAF 1980). Il testo di Delgado-Lopez tematizza l’isolamento di Berlino e descrive la forza della cultura turca nel quartiere di Kreuzberg, in prossimità del muro che divide la città:

Kebab-Träume in der Mauerstadt, Türk-Kültür hinter Stacheldraht
[Sogni di kebab nella città del muro, cultura turca dietro il filo spinato].

In Germania, alla fine degli anni Settanta, l’immigrazione turca non era ben vista. A Francoforte, i Böhse Onkelz cantavano Türken Raus, riscuotendo il plauso di skinhead e hooligan (Brown 2004). A un ascolto distratto, anche il testo di Delgado-Lopez potrebbe sembrare un monito contro la turchizzazione anziché una satira delle paure della società tedesca:

Neu-Izmir ist in der DDR / Atatürk, der neue Herr
[La nuova Smirne è nella DDR / Ataturk il nuovo sovrano].

Oltre che essere preoccupati per l’espansione della comunità di Gastarbeiter turchi, i berlinesi dell’ovest temevano la presenza di spie socialiste a ogni angolo della città e negli organi di governo:

Milliyet für die Sowjet-Union / In jeder Imbißstube, ein Spion / Im ZK, Agent aus Türkei
[il Milliyet [maggior quotidiano turco] è per l’Unione Sovietica / c’è una spia in ogni bancarella / un agente turco nel Zentral Klausur] (DAF 1980). 

Così Delgado-Lopez:

Scrivevamo testi astrusi. Ero affascinato dall’uso della lingua tedesca. Sono arrivato in Germania quando avevo otto anni e vedevo le cose in modo diverso [rispetto a chi ci era nato]. Volevo fare musica aggressiva con testi in tedesco […] Uno dei primi è stato Kebabträume, era quasi in stile Dada. In effetti, da lì a poco ci interessammo più al dadaismo che al punk (Delgado-Lopez in Teipel 2001, 78-79, trad. dell’autore).

Tuttavia, quello dei DAF non è l’unico disco in cui si sentono le parole di Kebabträume. Nel 1980 esce Monarchie und Alltag del gruppo Fehlfarben che comprende un brano il cui titolo è Militürk, fusione tra le parole Militär e Türk. La musica è diversa, ma il testo è quello di Kebabträume. In realtà Militürk era già stata incisa l’anno prima dai Mittagspause, band in cui suona Delgado-Lopez prima di approdare ai DAF. Rispetto alla cover completamente reinterpretata e riarrangiata dai Fehlfarben che, come spiegherò più avanti, sembra risentire dell’influsso della new wave newyorkese, l’originale dei Mittagspause del 1979 è più tipicamente rock. Inizia come ballad a tempo moderato (80 bpm), in tonalità maggiore e con armonia che si snoda sugli accordi di I–IV–V–bVII–IV grado. Nella strofa, un unico accordo di primo grado arpeggiato dalla chitarra, le parole sono scandite in stile declamatorio, con la prosodia frammentata della vocalità punk. All’improvviso, sale di un tono e la velocità raddoppia. Arriva così un ritornello piuttosto classico, con riff di chitarra sugli accordi di I-VI-V grado. Qui sentiamo il verso “Wir sind die Türken von morgen” (noi siamo i turchi di domani) ripetersi per sedici volte, poi di nuovo per altre otto, fino alla conclusione del brano con una cadenza perfetta.

Dunque, nel 1980, Peter Hein, già cantante nei Mittagspause, registra un nuovo arrangiamento di Militürk con la nuova band Fehlfarben, mentre Delgado-Lopez fa la stessa cosa con i DAF. Tra il 1979 e il 1980, Militürk appartiene così al repertorio di (almeno) tre gruppi: Mittagspause, Fehlfarben e DAF, che però cambiano il titolo in Kebabträume. Negli anni successivi, Militürk torna più volte nella discografia tedesca. Nel 1981 ne vengono pubblicate tre versioni. La prima è degli ORAVs-Liedermachos (altro gruppo di Hein) che la registrano in stile busker con chitarra acustica e armonica a bocca. Il brano è utilizzato in una scena di O.R.A.V. – der Film (Thiel 1981). La seconda è di Xao Seffcheque, in un arrangiamento divertente che passa dal surf rock al reggae. Il testo viene cambiato e il titolo diventa Fortschrittsträume (sogni di progresso). Infine, il gruppo OHL ne incide una terza versione hard rock, cambiando il titolo in Türkenlied. Nel 1982 i berlinesi Die Deutsche Trinkerjugend pubblicano il brano con il titolo Kindl-Träume (Trinkerjugend 1982), mentre Delgado-Lopez e Görl, nel frattempo passati dall’indipendente Mute Records a una grossa label come la Virgin (la cui filiale italiana metterà sotto contratto i CCCP), fanno una nuova versione di Kebab-Träume per l’album Für Immer prodotto da Connie Plank, tecnico del suono di spicco nella scena krautrock (DAF 1982).

Tornando al testo, all’epoca gli immigrati turchi erano rari nella Germania dell’Est, quindi la giustapposizione tra DDR, Unione Sovietica e turchi “dietro il filo spinato” evoca uno scenario del tutto irrealistico (Hornberger 2020). Questo conferma che la canzone per così dire dadaista di Delgado-Lopez volesse dare voce ai timori irrazionali diffusi nella società tedesca. La chiave umoristica risiede nella sovrapposizione tra la diffidenza verso i turchi e la preoccupazione per le infiltrazioni di agenti segreti da Est (Gutmair 2011). Allo stesso tempo, il brano parla dell’emarginazione degli immigrati turchi nella Germania occidentale. Il punto cruciale è l’ambiguità del verso/slogan “Wir sind die Türken von morgen”: da un lato, si abbina a quello immediatamente precedente nell’evocare la paura di perdere la propria identità nazionale (“Deutschland, Deutschland, alles ist vorbei”, “Germania, Germania, è tutto finito”). Oppure, al contrario, la frase potrebbe essere rivolta ai giovani tedeschi come avvertimento: un giorno potrebbero essere loro quelli poveri e costretti a emigrare (Hayton 2022, 108). La diffusione di Militürk/Kebabträume suggerisce che la canzone fosse quasi uno standard della scena punk tedesca. Zamboni ricorda di aver sentito il brano nella versione dei Fehlfarben durante i suoi soggiorni berlinesi:

Ispirata da questa Turchia che si è riformata, c’è una canzone che rimbomba nei vari Kiez, una cadenza esclusa dalle discoteche più alla moda, ma sentita dappertutto come urgente e nostra […] Il testo declama sogni di kebab nella città del Muro, e proclama Atatürk, il padre della Turchia moderna, signore della DDR. Spie, agenti, comitati centrali: ma chi ha mai ascoltato frasi come queste, in una canzone rock? Sono parole che mi colpiscono come un pugno: di questo, oggi, si deve cantare (Zamboni 2017, 70-71).

Oltre a inserire il verso “Wir sind die Türken von morgen” in Punk Islam, i CCCP eseguono Militürk/Kebabträume ai loro concerti almeno fino al 1987. La scelta di cantare un intero brano in tedesco conferma al pubblico l’ascendenza berlinese del progetto di Ferretti e Zamboni. Oltre che come conseguenza della forte affinità con la scena tedesca, Militürk entra in scaletta anche per ragioni tecniche: “Zamboni durante il pezzo [Emilia paranoica] rompeva sempre le corde della chitarra […] avevamo una sola chitarra e bisognava ripararla. Così mentre Massimo provvedeva, avevamo messo in scaletta un pezzo che suonavamo solo io e Ferretti: Militürk” (Negri 2023, 246). Tuttavia, il brano non viene sempre suonato dopo Emilia paranoica. Nel concerto registrato alla Palestra Galileo di Reggio Emilia il 3 giugno 1983, Kebabträume segue Trafitto (CCCP 2024), mentre a Dicomano (CCCP 1987a) e al Palasport di Torino (CCCP 1987b) viene eseguito come bis sulla musica di Svegliami, pezzo pubblicato successivamente in Canzoni Preghiere Danze del II Millennio – Sezione Europa (CCCP 1989). Inspiegabilmente, in un’intervista pubblicata nell’estate del 1987 a proposito del nuovo album Socialismo e barbarie, Ferretti negherà di aver mai eseguito brani di altri:

Non avevamo mai fatto cover in passato, poiché pensavamo di saper interpretare solo ciò che scriviamo noi, ma con l’inno sovietico era un’altra storia (Ferretti in Campo 1987).

Versioni ed esecuzioni di Militürk/Kebabträume nel periodo tra il 1979 e il 1987. A eccezione dei dischi dei DAF su Mute e Virgin stampate nel Regno Unito e delle registrazioni di concerti in Italia, si tratta di pubblicazioni tedesche. Il brano rimane nel repertorio dei CCCP almeno fino al 1987.

Nelle diverse versioni del brano, elencate in fig. 4, la musica e l’arrangiamento cambiano quasi sempre a seconda del gruppo che lo esegue. Con ogni probabilità, i DAF (1980 e 1982) hanno scelto di registrare il pezzo con un altro titolo (Kebabträume) per poterlo depositare alle società che gestiscono i diritti d’autore e incassare anche le quote relative alla parte musicale. Da una ricerca nell’archivio GEMA sono emersi due depositi distinti. Il primo è quello di Militürk, con numero di repertorio 1149635 e l’indicazione di Kebabträume in der Mauerstadt come titolo alternativo. A Gabi Delgado-Lopez è attribuito il testo mentre la parte musicale è ripartita tra sei compositori: Peter Hein, Thomas Schwebel, Uwe Bauer, Frank Fenstermacher, Michael Kemner e George Nicolaidis. Hein e Schwebel erano sia nei Mittagspause sia nei Fehlfarben. Bauer, Fenstermacher e Kemner solo nei Fehlfarben. Nicolaidis è nei Fehlfarben ma anche in un gruppo chiamato CCCP che, ovviamente, non è quello di Reggio Emilia, e non è neppure il quartetto rock berlinese CCCP Carsten-Christian-Crash-Peter (Rock in Berlin s.d.).

Grafico delle relazioni tra musicisti e band rispetto ai due brani depositati, Militürk e Kebabträume. CCCP* è un omonimo progetto formato da Nicolaidis e Meyer. Oltre a quelli rappresentati, vi sono legami ulteriori: Delgado-Lopez e Hein suonano insieme nei Charley’s Girls; Hein e Nicolaidis nei Camp Sophisto; Nicolaidis e Schwebel nei Vorsprung; Hein e Schwebel nei Not Mean Themselves e negli O.R.A.V.s (Liedermachos).

Si tratta invece quell’altro progetto discografico new wave tedesco menzionato prima (Nicolaidis e Meyer 1984). Il secondo deposito, successivo a Militürk e con numero di repertorio 1517989, è firmato solo da Delgado-Lopez (testo) e da Görl (musica). Secondo le convenzioni sul diritto autore, questa sarebbe una pratica impropria poiché mettere il testo di Militürk sopra una nuova musica costituisce l’adattamento di un brano preesistente, non una creazione ex novo. Evidentemente vi è stata una certa flessibilità di tutte le parti in causa, a partire da Delgado-Lopez che ha tacitamente consentito agli altri gruppi di appropriarsi del suo testo e di pubblicare nuove versioni del brano, talvolta variandone anche il titolo e quindi escludendolo anche come autore. Non dobbiamo dimenticare che le diverse versioni (a parte quella dei DAF, pubblicate nel Regno Unito da Mute nel 1980 e da Virgin nel 1982) si situano nel circuito delle pubblicazioni indipendenti, un mondo di etichette do-it-yourself in cui il conteggio dei corrispettivi non rientra spesso tra le priorità. 

Punk Islam

Come prima accennato, il verso “Wir sind die Türken von morgen", preso da Militurk/Kebabträume, è citato letteralmente in Punk Islam, uno tra i brani più noti del gruppo emiliano (CCCP 1984). Per quanto l’accostamento tra punk e islam fosse del tutto inaudito in Italia e potesse quindi risultare fortemente provocatorio, si tratta in realtà di una descrizione suggestiva della quotidianità vissuta in alcune zone di Berlino Ovest:

Nell’entrata della metropolitana a Kreuzberg c’era questa scritta “islam punk”; era la prima volta che io vivevo in una città in un quartiere in cui la maggior parte delle persone non erano europee ma turche, islamiche (Ferretti in Ottoemezzo 2010, 00:12:10).

La città di Istanbul, in cui Ferretti dichiara di sentirsi al tempo stesso a casa propria e smarrito, è dunque il quartiere turco di Berlino, un luogo per diverse ragioni allora poco attrattivo per le famiglie tedesche. Innanzitutto è posizionato a ridosso del muro che divideva la città, potenziale prima linea in caso di conflitto con la DDR. La presenza degli immigrati turchi era così forte che la metropolitana che attraversa Kreuzberg era soprannominata Orient Express. Alla fine degli anni Settanta, il quartiere diventa ancora più isolato dalla società tedesca anche a causa delle numerose occupazioni abusive di edifici (Berger 1987). Vi sono inoltre bande di giovani turchi che contribuiscono a consolidare l’immagine di un ghetto che la stampa paragona con superficialità a quello newyorkese di Harlem (Stehle 2006). Da punto di vista del testo, Punk Islam potrebbe essere letto come un ribaltamento dell’orientalismo che, secondo la nota teoria di Said (1978) si manifesta nelle immagini stereotipate che l’Occidente produce dell’Oriente, rappresentato come un luogo del mondo e dello spirito arretrato, dispotico, pericoloso. In quel periodo, le notizie da est non sono certo rassicuranti: l’invasione russa dell’Afghanistan, quella israeliana del Libano, la rivoluzione teocratica in Iran. In brani come Up patriots to arms (“L’ayatollah Khomeini per molti è santità, abbocchi sempre all’amo”, Battiato 1980) e Rock the Casbah (“By order of the prophet / we ban that boogie sound / degenerate the faithful / with that crazy Casbah sound”, The Clash 1982) si critica direttamente il leader islamista, colpevole financo di aver messo fuorilegge la musica occidentale. La scritta “punk islam” vista sul muro di Kreuzberg ispira invece Ferretti a immaginare un’ideale fusione tra punk berlinesi e immigrati turchi, entrambi marginalizzati dalla società e colpevoli di vivere secondo i propri costumi, poco borghesi e poco tedeschi. 

Alcuni sostengono che Punk Islam sia direttamente derivato dalla versione di Militürk dei Felhfarben (Negri [2010] 2023, 246), tuttavia, da un ascolto attento, emergono pochi elementi comuni. L’inizio è certamente simile a quello di Militürk (Fehlfarben 1982) con un sintetizzatore che, nella versione discografica di Punk Islam (CCCP 1984), imita il timbro ronzante della zurna, aerofono ad ancia doppia tipico del Medioriente. Anche Berlin dei Mekanik Destrüktiw Komandöh (MDK 1982) è costruito in modo simile, con una melodia pseudo-araba affidata al sassofono di Stephan Schwietzke. Tornando al confronto tra Militürk e Punk Islam, dopo l’introduzione il brano dei CCCP mantiene l’impianto orientaleggiante del modo frigio maggiore (con armonia I-VII-bII-I) e le chitarre distorte del punk. Quello dei Felhfarben (in do minore eolio) si svolge invece quasi tutto sull’accordo di tonica e a una velocità più sostenuta (147 bpm), collocandosi stilisticamente nell’alveo della new wave newyorkese alla Talking Heads e, nello specifico, di brani come Life During Wartime (1979), con accordi di chitarra detti stoppati, di derivazione funk. Un’altra differenza è nella costruzione ritmica. In Islam Punk la batteria elettronica, nell’introduzione e nel ritornello, evoca un tamburo da parata militare mentre, nelle strofe, viaggia a un ritmo simile al motorik del krautrock tedesco (Albiez 2003), arricchito da un battimano sui quattro tempi della misura. Sopra questo impianto elettronico, la chitarra ritmica e il basso procedono in ottavi, quasi all’unisono: uno schema tipicamente rock. A livello vocale, il brano dei CCCP instaura una corrispondenza tra la prosodia spezzata del punk e la salmodia religiosa. L’aspetto pseudo-liturgico si conferma anche con la ripetizione dei versi in coda alle strofe:

Sfondo bianco e pulito
sfondo bianco e pulito
Non ne girano molte
solo nei posti giusti
non ne girano molte
solo nei posti giusti
Tanz Istanbul
Istanbul Tanz.

Come già i Mittagspause in Militürk, anche i CCCP descrivono Kreuzberg ma il testo di Ferretti annulla le (ironiche) preoccupazioni di Delgado-Lopez, citando il verso-slogan “Wir sind die Türken von morgen” ma rovesciandone il senso. Mentre in Militürk le infiltrazioni turche sarebbero le colpevoli cause del declino dell’identità tedesca (“Deutschland, Deutschland, alles ist vorbei!”), in Punk Islam si abbraccia la turchizzazione con aperto entusiasmo. Anche in Wir Stehn Auf Berlin (Ideal 1980), altro brano simbolo della Deutsche Neue Welle, si evince una certa affinità tra i punk tedeschi e la comunità turca locale:

Richtung Kreuzberg, die Fahrt ist frei
Zwei Türken halten die Beamten auf
Oranienstraße, hier lebt der Koran
Fenster auf, ich hör Türkenmelodien
Ich fühl mich gut, ich steh auf Berlin

[Direzione Kreuzberg, il viaggio è gratuito
due turchi bloccano i controllori
Oranienstraße, qui vive il Corano
apro la finestra, sento melodie turche
mi sento bene, mi piace Berlino].

Sembra quasi possibile tracciare una corrispondenza con alcune letture culturologiche del punk inglese. Secondo Hebdige (1979, 64-65), il movimento punk sarebbe emerso anche in conseguenza alla seconda ondata migratoria dall’Africa e delle Indie occidentali: i giovani inglesi, prevalentemente appartenenti alla working class, si identificavano con alcuni aspetti della vita dei nuovi migranti, disperati e disillusi come loro.

Nel caso specifico dei CCCP, Punk Islam può essere inoltre interpretato come una sorta di reazione italo-berlinese, mediata dalla cultura filocomunista emiliana, all’americanizzazione dell’Europa. In un concerto del 1983, il cantante esclama: “Berlino è la capitale d’Europa! L’Europa resiste nonostante tutto! Kreuzberg! Kreuzberg!” (CCCP 1983a, 2’40”). In un’apparizione dei CCCP alla Rai, il brano viene presentato come “Un messaggio da un gruppo di giovani punk italiani al mondo islamico, tutto” e introdotto dalla lettura della sura 109 del Corano, Al-Kâfirûn, detta dei miscredenti o dei negatori. Gli stessi versi sono inseriti alla fine di un brano altrimenti strumentale, Sura, tratto dall’album Socialismo e Barbarie del 1987:

Io non adoro quello che voi adorate, né voi adorate quello che io adoro, io non venero quello che voi venerate, né voi venerate quello che io venero (CCCP 1988).

Punk Islam è stato addirittura considerato un’anticipazione del fenomeno taqwacore, la corrente hardcore punk di musicisti musulmani anglofoni che si diffonde in Nordamerica a metà degli anni Duemila (Fischella 2012). Il termine si riferisce a una controcultura immaginaria descritta nel romanzo The Taqwacores (Knight 2005), in cui si combinano l’estetica hardcore e il concetto islamico di taqwa, coscienza del divino. Tuttavia, il brano dei CCCP veicola una visione leggera e berlinese dell’Islam e della cultura turca – come già facevano i gruppi tedeschi con Militürk/Kebabträume (Mittagspause 1979) o Türkenblues (Abwärts 1980) – mentre gli artisti taqwacore usano il punk per avanzare critiche ben più dirette all’islamofobia della società occidentale. Band come i texani Fearless Iranians From Hell e i bostoniani The Kominas furono probabilmente i primi a fare davvero del punk dichiaratamente musulmano, i secondi peraltro in un periodo da poco successivo all’11 settembre 2001, in cui l’opinione pubblica americana era comprensibilmente molto preoccupata per il radicalismo islamico. I Kominas si ribellano anche alla stampa che cerca di raffigurarli come simboli di un’efficace assimilazione culturale (non-bianchi che suonano musica bianca) e criticano inoltre la scena punk nordamericana, che avrebbe rifiutato la loro musica considerandoli poco autentici proprio a causa dell’eccessiva esposizione mediatica (Abber 2015), un po’ come i punk italiani che accusano i CCCP di aver usato il loro movimento per fare successo (Tosoni 2020, 64). In modo speculare, l’entusiasmo per l’islam come cultura resistente all’americanizzazione aveva spinto i CCCP a inserire l’abbigliamento tradizionale musulmano nelle performance e a citare frasi tratte dal Corano:

Era un periodo in cui io e Annarella stavamo correndo il rischio di diventare fondamentalisti: un rischio tipico degli estremisti, che passano dalla politica estrema alla religione estrema. Eravamo arrivati a pensare cose delle quali uno dovrebbe pentirsi per il resto della vita […] quando è uscita la fatwah degli iraniani contro Rushdie, noi eravamo convinti che avessero ragione, perché era ora di smetterla di scherzare con la sacralità della vita (Ferretti in Campo 1997, 73).

Creatività e confusione

Nell’ottobre del 1984, Marco Belpoliti, amico di Ferretti dai tempi delle scuole superiori, pubblica su “il manifesto” un’intervista ai CCCP:

Cercavo di spiegare parte dell’immaginario che nasceva dalla loro musica, dai testi e dai loro travestimenti. Volevo capire, e far capire a chi leggeva il giornale, il senso del richiamo ai punk, la fedeltà alla linea, la lode di Gheddafi e del mondo islamico (Belpoliti 2021, 219).

Insieme alle dichiarazioni filosovietiche, i riferimenti all’islam contribuiscono infatti a catalizzare l’attenzione dei media italiani. Tra il 21 e il 24 novembre del 1984 si tiene a Reggio Emilia Creatività e confusione, convegno europeo sulla comunicazione, ampiamente coperto dalla stampa nazionale. I CCCP non sono tra gli invitati ma organizzano ugualmente una sorta di happening, facendo entrare nella sede della manifestazione Annarella Giudici e Silvia Bonvicini, in burka nero, per distribuire volantini (Negri [2010] 2023, 413). Una performance simile verrà messa in scena anche per il videoclip girato da Renato De Maria e mandato in onda alla Rai, nel programma Obladì Obladà condotto da Serena Dandini (De Maria 1985). 

Fotogrammi dal videoclip trasmesso dalla RAI (De Maria 1985) con gli elementi principali dell’immaginario CCCP: la bandiera rossa pseudo-sovietica, i burka neri dell’islam, le divise militari della DDR. Sulla destra, il bassista Umberto Negri con accanto la drum machine Korg KPR-77.

Il telegiornale nazionale trasmette un servizio sul convegno emiliano:

L’uso impensabile di politica, partiti, sindacati tocca il suo apice con un gruppo musicale di Reggio che ha scelto di chiamarsi CCCP.

Intercettato dalla troupe della Rai, l’allora bassista del gruppo, Umberto Negri, dichiara:

È una scelta più estetica che politica, noi non siamo comunisti” (Rai 1984).

“Panorama” chiede un’intervista alla band, “l’Unità” contatta direttamente Ferretti. “L’Espresso” manda un redattore in casa di Negri a cercare immagini per corredare un articolo di Pier Vittorio Tondelli su un misterioso movimento filosovietico. Il pezzo era pronto da tempo, ma prima del convegno non si era riusciti a farlo pubblicare:

Grazie a lui, all’intervista di quel ragazzo curioso, nel novembre di quell’anno uscirà su “L’Espresso” la prima grande prova pubblica della nostra esistenza. Tutto cambierà (Zamboni 2017, 243).

Da osservatore delle tendenze internazionali, Tondelli aveva notato l’impiego dell’iconografia sovietica nei videoclip dei Frankie Goes to Hollywood, le monografie dedicate alla Russia dalla rivista francese “Metal Hurlant”, il nuovo sound di gruppi britannici come Cabaret Voltaire e Depeche Mode che dichiaravano di ispirarsi alla new wave tedesca dei Fehlfarben, come del resto anche Ferretti e Zamboni, che certo non tacevano sulle proprie esperienze berlinesi (“A Berlino sei un turco a tutti gli effetti, le culture arabe e asiatiche sono a noi vicine”, Ferretti in Tondelli 1984). Le foto pubblicate da “L’Espresso” sono quelle del concerto dei CCCP, ancora in formazione trio Ferretti-Zamboni-Negri, che suonano dal balcone di una casa durante il Festival del Teatro di Santarcangelo, incorniciati da un drappo rosso simil-sovietico (“Veri pubblicitari di se stessi”, Belpoliti 2021, 219). Nell’articolo di Tondelli, la copertina rossa di Ortodossia, con i soldati della DDR, viene accostata a un’altra immagine in cui si vede Lenin: è la copertina del disco Two Tribes dei Frankie Goes to Hollywood, già star internazionali grazie al successo di Relax. Nel maggio del 1985 i CCCP si esibiscono al Tuxedo di Torino registrando il tutto esaurito (Pustianaz 1985). L’evento è organizzato da Alberto Campo, conduttore Rai e giornalista per “Repubblica” e per testate specializzate come “Rockerilla”, più tardi divenuto anche primo biografo della band (Campo 1997).

Dopo un buon numero di concerti in Italia, nell’estate del 1985 i CCCP tornano a Berlino per suonare all’Uta-Fabrik, tuttavia c’è molta tensione all’interno della band. Ferretti non è soddisfatto perché vorrebbe che il progetto CCCP non fosse più confinato al circuito underground ma diventasse qualcosa di più professionale (Negri [2010] 2023, 435). Al rientro in Italia, comunica di voler abbandonare il gruppo, rifiutandosi di registrare i nuovi brani e rendendosi di fatto irreperibile. Zamboni e Negri, temendo forse un salto in avanti da parte del cantante, decidono di formalizzare l’attività della band con il deposito dei brani alla Siae e con l’apertura di una società in accomandita semplice denominata “CCCP – Fedeli alla linea” (Negri [2010] 2023, 436):

Decidiamo di andare avanti senza Ferretti, ma non ci credeva nessuno […] non l’abbiamo più visto, era scomparso […] era andato a Milano, aveva conosciuto Caterina Caselli, Nanni Ricordi […] è tornato con in mano un contratto con una grossa casa discografica, poi è venuto anche a casa mia offrendomi dei soldi (Negri [2010] 2023, 436).

A quel punto, il bassista preferisce tirarsi indietro, poco rassicurato dai frequenti cambi di umore di Ferretti (ivi, 437). I brani dei primi dischi dei CCCP, la cui parte musicale è anche opera di Negri, furono depositati solo a nome di Zamboni che, più tardi, non volle riconoscere a Negri alcuna quota dei diritti:

Mi ha fatto capire chiaramente che non mi avrebbe concesso nessun riconoscimento, come se i miei pezzi e i miei riff li avesse scritti lui, dicendo che li avevano portati al successo loro e quindi il fatto che ne fossi autore non era rilevante (Negri 2023, 32).

Il chitarrista gli avrebbe risposto per iscritto, minimizzando l’importanza delle musiche: “Come tu ben sai, non sono le canzoni che fanno la storia, ma è la storia che fa le canzoni” (Zamboni in Zoja 2024). Teorizzando una singolare separazione tra cause ed effetti, Zamboni sostiene che non è il repertorio ad aver portato al successo il gruppo; al contrario, sarebbe stato l’impatto del progetto artistico CCCP ad aver reso quei brani rilevanti e “storici”, come se i due aspetti potessero essere in qualche modo distinguibili. 

Tecnicamente, il deposito dei brani a nome del solo Zamboni impedisce anche a Ferretti di ricevere direttamente dalla Siae i proventi derivanti dal diritto d’autore per i primi testi da lui scritti, anche se è probabile vi sia stato un accordo privato.

Mistificazione e affermazione

Nel contesto della Neue Deutsche Welle, Hornberger (2020) ha identificato tre diverse strategie di sovversione comunicativa con cui gli artisti, da una parte, esprimono un atteggiamento cinico e distaccato e, dall’altra, articolano un’estetica musicale e performativa multilivello, con l’accostamento di elementi e simboli eterogenei. Questo modello interpretativo si attaglia piuttosto bene ai brani come Punk Islam e alle performance dei primi CCCP, che constano in buona parte di una sorta di adattamento locale (italiano/emiliano) di quanto stava accadendo nella scena berlinese (Hayton 2022). La prima strategia praticata della Neue Deutsche Welle è quella della provocazione, finalizzata all’attacco della società piccolo-borghese. Si tratta in sostanza di una versione punk e storicamente aggiornata dell’épater les bourgeois decadentista. Il fattore di novità nei CCCP è che gli obiettivi della provocazione non sono più solo i benpensanti e i conservatori ma anche la generazione rivoluzionaria e movimentista. In Punk Islam si accenna a una nuova pseudoreligiosità giovane e urbana (“battezza le strade”, “fa sacrifici al traffico”), edonista e disinteressata all’impegno politico (“dovrebbero seguire le mie voglie, la sera appena alzato o tardi la mattina dopo la colazione prima di addormentarmi”). L’insolito connubio tra punk e islam avrebbe l’effetto di restituire ai giovani, che lo spaesamento metropolitano e la povertà avevano simultaneamente privato di radici e di speranze, la dimensione diacronica della propria esistenza (“ho un passato e un futuro”, anziché lo slogan no future). Anziché attendere la rivoluzione socialista o dover tornare col capo chino alla casa del padre misericordioso per ottenere qualcosa (“se fossi un figliol prodigo, avrei un vitello grasso”), lo stile di vita punk-islam berlinese consente di godere subito della quotidianità (“ho un presente che è Dio e fa la cameriera”). 

La seconda strategia è quella della mistificazione. Volta a mettere in crisi il senso comune, la mistificazione si realizza con affermazioni non solo provocatorie ma anche volutamente contraddittorie o ambigue. Un esempio è il verso “Wir sind die Türken von morgen” prima esaminato. In Punk Islam l’irrazionalità è rappresentata anche dallo spatriamento/spaesamento in un territorio genericamente mediorientale, esemplificato da una lista di toponimi (Istanbul, Smirne, Ankara, Beirut), in cui ci si dichiara a proprio agio (“Istanbul sono a casa”) in quanto lontani dal proprio luogo di origine (“Mi sono perso a Istanbul e non mi trovano più”). Questo mondo pseudoislamico coincide in realtà con Kreuzberg, il quartiere turco di Berlino, lo stesso a cui si riferisce il testo di Militürk/Kebabträume, brano che i CCCP eseguono ai loro concerti, a conferma del loro essere simultaneamente emiliani e berlinesi, provinciali ed europei. I riferimenti al testo di Militürk sono molteplici: dalla menzione della città di Smirne all’evocazione di Berlino attraverso la metonimia del muro. Però, a differenza che in Militürk, l’islam non è visto come una cultura estranea che minaccia l’identità nazionale, ma più come uno stato mentale che sospende la razionalità (“invece di pensare, continua a salmodiare”).

L’ultima strategia individuata da Hornberger è l’affermazione tattica. I testi declamati da Ferretti non sono davvero impegnati o rivoluzionari (come invece accadeva nella musica dei cantautori e nelle canzoni di lotta), ma si oppongono contemporaneamente allo status quo e alla seriosità dell’engagement. Il punk, celebrando il dilettantismo musicale, dileggia il virtuosismo del rock e sostituisce i valori hippie di una vita autentica, magari a contatto con la natura, con un disimpegno urbano e nichilista. Allo stesso modo, i CCCP si fanno beffe della postura ideologica della generazione movimentista e dell’ortodossia dei puristi del punk. Ovviamente questo funziona fintantoché il gruppo ha un pubblico che condivide il fatto di prendere in giro qualcosa o qualcuno. Sebbene la pubblicazione dei primi dischi con l’etichetta Attack Punk Records avesse in qualche modo accreditato i CCCP nel movimento punk locale, l’anarchia semantica della Neue Deutsche Welle e il situazionismo dei Geniale Dilettanten berlinesi (Müller 1982), adottati e adattati al contesto italiano da Ferretti e Zamboni, sono efficaci anche nella misura in cui vengono fraintesi. Vista dal pubblico italiano, la critica alla società benpensante rientra perfettamente nel progressismo. Al contrario, giocare con i simboli dell’Unione Sovietica e della DDR in modo ambiguo, rinunciando apertamente all’utopia socialista, era visto come qualcosa di inaccettabile nei confronti dei movimenti politicizzati degli anni precedenti, fortemente legati a uno spirito rivoluzionario. Inoltre, l’idea di satireggiare sull’ideologia era sconosciuta nell’ambiente della sinistra italiana. I sindacati, i partiti e le associazioni prendevano molto sul serio le canzoni (Romania 2016) e anche il movimento punk aveva le idee chiare su ciò che fosse eticamente accettabile. È nota la protesta in occasione del concerto dei CCCP al centro sociale Leoncavallo: mentre i gruppi del punk italiano erano soliti esibirsi gratuitamente, la band aveva chiesto di essere pagata. Gli ortodossi – una minoranza tra le molte persone accorse all’evento – accusano il gruppo di sfruttare il punk per fare i soldi (Tosoni 2020, 67):

I fratelli punk, ultima sottocultura engagé nell’era del disimpegno post-politico anni Ottanta, li guardavano con sospetto; i cugini new waver erano incuriositi, ma anche guardinghi verso certa retorica extraparlamentare percepita come teatrale e roboante. Alla fine quelli che abboccheranno con più gusto saranno i giornali patinati, cui non pareva vero trovarsi un’etichetta già bella e pronta (“filosovietismo!”) per circoscrivere e trasformare in trend un sentimento di maggiore rilassatezza e superamento della Guerra fredda che già da diverse parti s’iniziava a respirare: il KGB dal volto più o meno umano di Gorky Park (De Luca 2023).

Il loro pubblico in ogni caso non è quello generalista, ma un settore allargato di quello alternativo, meno militante e meno ortodosso, certamente attratto dai temi e dalla simbologia del gruppo, di cui apprezza però anche il lato ironico e situazionista. Da un lato, i CCCP si presentano come anti-commerciali, in opposizione al pop; dall’altro, le strategie che impiegano li portano rapidamente al successo e a grossi contratti discografici. 

Se vai fuori ti vendi, e ti devi vendere, e che storie sono? Non puoi far finta di non volerti vendere e venderti solo un po’. Noi ci vogliamo vendere, vogliamo che la gente venga ai nostri concerti, compri un sacco di dischi, pensi bene o male di noi, ci conosca, magari a fondo, perché se no me ne sto a casa. Se non vendiamo un casino di dischi questa storia non vale un cazzo, capito. Rimani nel regno delle belle idee, va beh, è stato bello e divertente, però io voglio contare molto di più per me e per gli altri e vorrei che gli altri gruppi avessero queste idee e queste cose ben chiare in testa. Allora ci fa ridere la contestazione […] Io andrei a suonare anche per la Dc o l’Msi […] perché non so cosa ci salta fuori. Invece vado a suonare davanti ai miei bravi punkettini, tutti ballano, vado a casa contento però tanto sapevo già come andava a finire: come leggere un romanzo d’amore e sai già che alla fine i due si sposano (Zamboni in Pustianaz 1985, 13).

Le affermazioni e simbologie ambigue e contraddittore, da tecniche di provocazione e mistificazione, diventano le ragioni del successo, attirando l’attenzione della stampa e di un pubblico ben più vasto di quello del punk: “Il messaggio sembrava essere: vogliamo l’autoritarismo, cosa che non era assolutamente vera, era pura provocazione” (Negri [2010] 2023, 371). La grande esposizione mediatica si riverbera negativamente sulla credibilità del gruppo nella scena più militante del cui sostegno, da lì a poco, i CCCP non avranno più bisogno. Se i punk erano visti come sporchi, autolesionisti e distruttivi, il post-punk di Ferretti e Zamboni, condito di esotismi sovietico-islamici, performance situazioniste e sfilate di moda socialista, è un “circo” molto più attrattivo (Negri [2010] 2023, 391). Presentandosi in modo deliberatamente mistificante, Ferretti e compagni possono attirare le critiche dei militanti più ortodossi, ma non saranno messi in ridicolo come era invece avvenuto con altri gruppi punk, derubricati a rappresentanti di una sottocultura musicalmente incapace, demente o demenziale. Roberto ‘Freak’ Antoni degli Skiantos commenta così il rapporto tra la band e i media italiani:

Il solo punk cui è stato dato credito in Italia è quello ideologizzato dei CCCP […] slogan, stupidaggini vuote, ma dette con l’aria di chi ha capito […]. Dicevano: “Ah, che meraviglia i punk, l’urgenza, non sanno suonare ma non è importante, il rock è comunicazione”. Tutto questo per noi non valeva: “Che orrore, non sanno suonare” (Antoni in Madeddu 2014).

L’adozione da parte dei CCCP di una sigla e di una simbologia proprie del socialismo sovietico ha inoltre il vantaggio di fare leva sull’immaginario e sui residui ideologici degli ex movimentisti. Dopo la fine degli anni Settanta, alcune delle migliori menti dei gruppi extraparlamentari si erano infatti riposizionate nei partiti, nei media, nel mondo della cultura: 

Rimanendo in quegli stessi ambiti in cui erano stati militanti, in quelle istituzioni che avevano imparato a conoscere dall’interno, altri scegliendo di lavorare proprio in quei mezzi di comunicazione di massa che avevano costituito il terreno delle iniziative più incisive del movimento, quello in cui la fantasia, la novità, l’efficacia dei nuovi linguaggi sperimentati nella lotta politica avevano spalancato opportunità di lavoro prima impensabili (De Luna 2009, 143).

L’estetica pseudosovietica dei CCCP seduce alcuni di questi ex movimentisti, incuriositi dal progetto poiché vi ritrovano, mescolati e risemantizzati, gli stessi elementi che qualche anno prima erano associati alla loro stessa militanza politica. L’appoggio di questi nuovi opinion leader, “i direttori artistici, gli addetti alla cultura” (Battiato 1980), consente ai CCCP di essere presi sul serio: non tanto a livello ideologico e di messaggio, ma in termini di legittimità artistica della loro musica e della loro performance. In ultima istanza, come suggerisce Romania (2016), il successo dei CCCP va compreso dalla prospettiva della loro deliberata inautenticità (Grossberg 1992, 233-234), espressa con le tecniche di sovversione comunicativa mutuate dalla Neue Deutsche Welle: simulazioni ironiche, mistificazioni, dichiarazioni contraddittorie o ambivalenti, all’interno di un’estetica musicale punk o post-punk. Nel documentario Tempi moderni (Gasparini 1989) realizzato prima dello scioglimento del gruppo nel 1989, Ferretti ricorda così le tappe principali della propria formazione:

Sono stato allevato cattolico e felice, poi con l’adolescenza ho scoperto il mondo moderno. […] Da studente sono stato militante di Lotta Continua per tantissimo tempo, fino a che è esistita. Poi volevo fare qualcosa di più sensato, di utile e ho fatto l’operatore psichiatrico […] Poi non ne potevo più, allora sono andato un po’ in giro per l’Europa e mi sono ritrovato a Berlino […] In una discoteca impossibile ho conosciuto Massimo Zamboni. […] abbiamo deciso che saremmo tornati in Italia e avremmo fatto più o meno quello che vedevamo fare, con così nostro grande piacere, in quei mesi a Berlino (Ferretti in Gasparini 1989, 00:04:08).

Semplicemente ci siamo accorti che non è il caso di produrre altre idee, di produrre niente di nuovo. Già quello che c’è in giro basta per fare centomila dischi, centomila spettacoli […] Non è il caso di inventare niente, semplicemente di capire cosa c’è da prendere e usarlo. Così nascono le canzoni (Zamboni in Gasparini 1989, 00:24:20).

L’autore desidera ringraziare Alessandro Bratus per aver procurato la prima edizione del libro di Negri, Jacopo Tomatis per la segnalazione del testo di De Luna, Mark J. Butler e l’Institut für Musikwissenschaft und Medienwissenschaft della Humboldt-Universität per avere messo a disposizione l’archivio del Forschungszentrum Populäre Musik durante il periodo di ricerca a Berlino.

Bibliografia
Riferimenti bibliografici
Film e video
Dischi e registrazioni
English abstract

The essay focuses on the influence of Berlin’s cultural scene in CCCP's music, tracing cover versions, quotations, and direct references to German punk and post-punk in the Italian group's early repertoire (1982-1985). CCCP’s songs are in fact rooted in Massimo Zamboni and Giovanni Ferretti's experiences in Berlin and conditioned by the cultural, social, and artistic processes acting around the band in its starting years. Neue Deutsche Welle’s ‘subversive’ communicative strategies, cleverly adapted to the Italian context, sometimes clashed with the ideology of the country’s own punk movement. However, for the same reason, CCCP soon attracted the attention of the press and media, allowing the band to reach a much wider audience that sometimes misunderstood them, and other times appreciated their inherently ambivalent musical and performative endeavors.

keywords | CCCP; Neue Deutsche Welle; Geniale Dilettanten; MitropaNK; Italian popular music.

questo numero di Engramma è a invito: la revisione dei saggi è stata affidata al comitato editoriale e all'international advisory board della rivista

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2024.210.0003