Alice Barale
Prometeo di bolina
con un Regesto di testi inediti e rari dal Warburg Institute Archive sul tema della Fortuna
a cura di Alice Barale e Laura Squillaro
Quella terra italiana di colpo mi parlava greco.
Forse perché in Grecia, come ha scritto Jean Grenier,
“c’è un’amicizia tra il minerale e l’uomo”,
e il Mediterraneo non è altro che un appello alla riconciliazione.
Jean Claude Izzo
È nel periodo del ricovero psichiatrico a Kreuzlingen che la riflessione warburghiana sulla Fortuna, che aveva trovato espressione negli anni precedenti nel saggio su Sassetti (Warburg 1907), si intensifica e si approfondisce. Il divieto che, come scrive Saxl a Doren, Warburg espressamente gli pone di pubblicare l'insieme delle sue opere, suona in questo senso come un avvertimento a chi è tentato di considerare la sua ricerca compiuta. Come Saxl riferisce nella stessa lettera, il professore lo ha coinvolto, nell’ultimo periodo del suo ricovero, nell’elaborazione di una serie di appunti sulle "potenze del destino nello specchio dei simboli anticheggianti". Ad attraversare come protagonista questi ultimi è, come già nel saggio su Sassetti, il timoniere della nave della Fortuna. Ma l’allegra tracotanza che lo caratterizzava si fa, qui, più problematica.
Se il capitano della nave del destino è infatti, come Warburg scrive l'8 dicembre 1923 da Kreuzlingen alla moglie Mary, un Prometeo in grado di controllare con la sua arte lo spazio ("die Steuermanskunst ist wirklich der Prometheusakt in der Beschäftigung des Raumes", WIA, CG/37201) agli stessi prometeici rischi è esposto. Dove l’incertezza della navigazione cede al bisogno dell’"afferrabilità della meta" (postscriptum ad Alfred Doren, vide Stimilli [2004] [2008] 2009), il timoniere si trasforma nel guerriero che rischia, afferrando per i capelli la bella reggitrice della vela, come nella medaglia rinascimentale di cui Warburg scrive a Doren, di far colare a picco la nave. Quello che questo condottiero fa è "insensata, brutale follia" (postscriptum ad Alfred Doren). La fisionomia di Occasio, la fortuna da prendere per il ciuffo che le spunta dalla testa calva (vide ancora la lettera di Warburg a Doren), è quella del condannato, che si appresta a porgere il capo rasato al boia. Ma il sangue dei martiri è, per antica credenza, miracoloso (vide la lettera di Saxl a Warburg), e il carnefice può cercare salvezza nella propria vittima. Nell’"idea di destino" che ha soppresso dal proprio orizzonte l’umanità "avida di preda" può trovare la propria cura.
Si delinea dunque, negli scritti di questi anni, un’idea positiva di destino, che non rimanda al fatalismo dell’"uomo timoroso del futuro" (così nell'appunto del 1913 sul Libro delle sorti di Lorenzo Spirito), ma al carattere piuttosto tradizionalmente aperto, interrogativo della divinazione. Quella "antica, autentica tecnica oracolare" che si contrappone, già nel frammento su Lorenzo Spirito, al determinismo della scienza araba medievale, che trasforma "il sapere astrologico degli Antichi" in un insieme di "semplici regole di salute". La Fortuna che Warburg, nella lettera a Edwin Seligman che scrive qualche anno dopo le dimissioni da Kreuzlingen, sceglie come figura attraverso cui spiegare la sua "nuova estetica energetica" non è allora forse soltanto un esempio fra molti (e in effetti, nella lettera, il "z. B.", 'per esempio', è aggiunto dopo a mano al testo).
Nella raffigurazione della Fortuna si rispecchia infatti quella lotta per l’esserci ("Kampf ums Dasein", nella lettera a Seligman) che è all’origine di ogni raffigurazione in quanto scambio energetico con il mondo, atto che marca, in esso, la propria presenza. All’improvvisa "oscillazione" ("Schwung": così Warburg a Doren) a cui la ruota della dea sottopone l’uomo, corrisponde quella, ugualmente imponderabile, con cui quest’ultimo cerca in essa il proprio posto. Fortuna ed energia sono dunque originariamente intrecciate. Il "destino" di cui Warburg invita l’umanità a riappropriarsi non è allora forse altro che qualcosa di molto vicino a quel vento a cui il marinaio della nave della fortuna porge la propria vela. Quel vortice discontinuo che, chiuse porte e finestre, irrompe frantumato e irrispettoso. In una serie di appunti che risalgono agli ultimi mesi del ricovero, Warburg trascrive una lettera di Goethe a Herder che si apre con l’immagine di una pericolosa navigazione: "Ancora tra le onde con la mia piccola barca, e quando le stelle si nascondono scivolo nelle mani del destino, e coraggio, speranza, paura e pace si mescolano nel mio petto". Quest’ultimo è qui più un luogo reale che metaforico. Stethos e prapides, petto e polmoni (cfr. Onians 1951, pp. 29 ss.; cfr. anche Desideri 2011, pp. 74 ss.), sono infatti le parole che, con la scoperta di Pindaro, svelano a Goethe "un nuovo mondo". E che si affiancano a quegli occhi che sono, nel giudizio di Herder, il senso prevalente di Goethe. "Es ist alles so Blick bei euch", dice Herder all’amico: è tutto così sguardo! Ma non sempre è possibile navigare a vista, e Goethe ci prova: chiude gli occhi e procede a tastoni.
Resta allora, al navigante a cui la meta non è ancora visibile, l’oscillare dell’ago della calamita, di cui Warburg indaga l’etimologia (come si legge nella lettera di Saxl a Urtel e nella risposta di Urtel a Warburg). E del vento, che investe a tratti il mare e i polmoni. Si mescolano infatti, nello stethos e nelle prapides, soffio interno ed esterno. E in questo frastagliato respiro, il marinaio non è più oggetto, come di fronte alla dea con la ruota, né uccisore, come per il demone dal lungo ciuffo (vide la lettera di Warburg a Doren), ma finalmente parte. Una parte non del tutto comoda, se è vero che, seduto "nel parallelogramma delle forze" (come scrive Warburg a Seligman), il timoniere non contribuisce a determinarne il corso che "nella diagonale". Di bolina.
Desidero ringraziare il Dr. Eckart Marchand del Warburg Institute Archive per la sua disponibilità.
Questa ricerca è stata compiuta anche grazie al sostegno dell'Accademia dei Lincei.