English abstract
A foot’s difference
Giochi da tavolo e carte del tempo nelle mnemotecniche moderne
Paolo Castelli
Gli attributi comunemente riferiti alla memoria denotano una concezione di essa come un apparato fisico, quasi una propaggine del corpo o del cervello. Si è soliti infatti parlare di una buona memoria, una memoria robusta, allenata, una memoria di ferro, come se si parlasse di sana e robusta costituzione. Il problema di una buona memoria è centrale nella vita di tutti noi: se non dotati di una ‘sana e robusta’ memoria dalla natura ci arrangiamo come possiamo con supporti per l’esternalizzazione della memoria tecnologicamente sempre più avanzati. Greci e Romani antichi distinguevano una memoria naturale e una memoria artificiale e quella che pensavano si potesse allenare era, in realtà, quella artificiale. Per questo l’Occidente ha sviluppato la mnemotecnica: una téchne, cioè un’arte della memoria, che venne poi a identificarsi in toto con il concetto di memoria artificiale, quindi di artificio, di dispositivo.
La storia della mnemotecnica come disciplina si intreccia così con la storia dell’evoluzione tecnologica dei sostegni alla memoria e dei dispositivi di registrazione, di archiviazione del sapere e di information retrieval. Nel corso dell’Ottocento, secolo in cui la mnemotecnica non era affatto agonizzante come si pensa, molte menti si sono ingegnate alla ricerca di metodi e di espedienti per supportare la memoria elaborando una quantità di testi, strumenti, dispositivi, marchingegni… quanti mai prima di allora. Cartografi, cronisti, pedagogisti e mnemonisti dell’epoca, tra gli altri, hanno divulgato pubblicazioni contenenti illustrazioni, apparati, schemi, mappe geografiche e mappe del tempo, calendari e persino giochi da tavolo che si possono considerare sistemi di memoria.
Un dato curioso, oltre alla varietà di forme che questi dispositivi mnemonici hanno assunto, è che, se spesso gli autori erano veri e propri professionisti della memoria, talvolta si trattava di personaggi più 'insospettabili'. Tra questi spicca il caso di Samuel Langhorne Clemens, meglio noto con lo pseudonimo di Mark Twain.
Il noto scrittore americano vissuto tra il 1835 e il 1910, autore di romanzi fondamentali per la storia della letteratura americana come Le avventure di Tom Sawyer (1876) e Le avventure di Huckleberry Finn (1884), si lamentava spesso della sua scarsa memoria. Fin da giovane gli capitava, come racconta nella sua biografia Albert Bigelow Paine [PAINE 1912, pp. 678-681], di perdersi nel vicinato o di non riconoscere dipinti appesi da anni alle pareti di casa e di dimenticare appuntamenti e impegni. Egli stesso si definiva come uno la cui memoria "was never loaded with anything but blank cartridges" [TWAIN [1883] 1903, p. 59].
La cosa doveva costituire un serio problema per un personaggio come Twain, per le professioni e le attività che svolse, da quella di pilota sui battelli a vapore che risalivano il Mississippi, a quella di conferenziere itinerante e soprattutto di romanziere, sostanzialmente realista, per il quale erano ausili imprescindibili la capacità di osservazione e di registrazione dei fatti, dei dettagli e persino dei diversi linguaggi, dei modi di dire, dei tic e delle manie della gente: materiale da trasporre in fiction in un successivo processo di incubazione e decantazione in cui il dato memorizzato si trasforma in interpretazione e visione del mondo.
Nel suo racconto della giovinezza come pilota di battelli a vapore, in Old Times on the Mississippi, Twain sostiene: "…there is only one faculty that a pilot must incessantly cultivate until he has brought it to absolute perfection. Nothing short of perfection will do. That faculty is memory…" [TWAIN [1883]1903, cap. 13: A Pilot’s Needs].
In effetti era fondamentale a quei tempi conoscere la topografia del fiume alla perfezione per navigarlo, saperne prevedere l'andamento, le secche, le rapide e la loro successione, la distanza, anche perché mappature dettagliate del fiume Mississippi verranno realizzate solo intorno agli anni '60 dell'Ottocento, in seguito allo sviluppo della navigazione mercantile e alle necessità militari della guerra di Secessione (1861-1865). Una volta ottenuta la licenza di pilota, dopo aver navigato per quattro anni sul fiume, si può dire che Twain conoscesse a memoria the shape of the river:
And the young pilots who used to tell me, patronisingly, that I could never learn the river, cannot keep from showing a little of their chagrin at seeing me so far ahead of them... [Lettera di Mark Twain al fratello Orion Clemens del 27? giugno 1860]
Anche se la stessa figlia Susy rimarca nella sua biografia del padre quanto questi fosse absent-minded, Twain avrebbe potuto navigare sul Mississippi a occhi chiusi, come risulta dalle sue memorie. Fu inoltre uno scrittore molto prolifico ed era noto per essere un parlatore di successo. "Nothing short of perfection will do": quella espressione, usata dallo stesso Twain per descrivere le caratteristiche di un pilota modello, può aiutare a dare una spiegazione delle apparentemente eccessive lamentele dell'autore circa la propria scarsa memoria. Forse questa frustrazione derivava da un bisogno esagerato di memoria: il bisogno di ricordare tutto, di inglobare qualunque cosa osservasse all'interno dei suoi scritti, che fossero diari, quaderni di ritagli o romanzi.
Molti romanzi di Twain sono rimasti incompleti perché, se da una parte si esauriva l'ispirazione e l'autore interrompeva la stesura dell'opera finché questa non tornava, dall'altra Twain aveva la tentazione costante di seguire tutte le strade e le storie che la narrazione poteva suggerire e i suoi romanzi rischiavano così di diventare potenzialmente infiniti, in una superfetazione compositiva simile alla narrazione ininterrotta delle Mille e una notte o alle continue digressioni del Tristram Shandy di Sterne e in qualche modo accostabile ai dilemmi teorici dei racconti di Borges [CARBONI 1992]. La tentazione di Twain è in realtà onnisciente, onnicomprensiva: è sufficiente leggere la dichiarazione che fa riguardo un racconto come His Grandfather’s Old Ram per capirlo.
The idea of the tale (His Grandfathers Old Ram) is to exhibit certain bad effects of a good memory: the sort of memory... which remembers everything and forgets nothing, which has no sense of proportion and can't tell an important event from an unimportant one but preserves them all, states them all, and thus retards the progress of a narrative, at the same time making a tangle, inextricable confusion of it and intolerably wearisome to the listener. [TWAIN 1940, p. 217]
Infatti la narrazione nel racconto è interrotta da continue digressioni, in un gioco intertestuale di incastri per cui ogni dettaglio introdotto porta con sé un'ulteriore storia e l'esile trama resta un puro pretesto. La stessa concezione della propria autobiografia da parte di Mark Twain denuncia questa tentazione onnicomprensiva [RENZA 1987] perché è strutturata come una registrazione continua e non sequenziale del flusso dei ricordi, in cui passato e presente continuamente si intrecciano senza seguire un ordine cronologico.
In questi approcci letterari sperimentali di Twain si intuiscono un desiderio e un bisogno di controllo che rendono qualunque memoria inabile, inferiore, insufficiente al compito. Portando alle estreme conseguenze questi presupposti, Twain arriverà a considerazioni sulla memoria e sul suo rapporto con la creatività che appaiono decisamente moderne per l’epoca:
The kernel, the soul – let us go further and say the substance, the bulk, the actual and valuable material of all human utterance – is plagiarism… No doubt we are constantly littering our literature with disconnected sentences borrowed from books at some unremembered time and now imagined to be our own, but that is the most we can do. [TWAIN 1917b, cit. in Walsh e Zlatic 1981]
In un'ottica che pare quasi postmoderna e più vicina alla memetica che a certe parascienze ottocentesche, dalla frenologia al mesmerismo – comunque frequentate da Twain – si può allora interpretare anche la sua fede in quella forma di telepatia che egli aveva definito come Mental Telegraphy (Sulla Mental Telegraphy nella concezione di Mark Twain si rimanda a: Mark Twain, Mental Telegraphy, A Manuscript with a History, Harper’s Monthly Magazine, December 1891 e Mark Twain, Mental Telegraphy Again, Harper’s Monthly Magazine, September 1895):
Certain mental telegraphy is an industry which is always silently at work – oftener than otherwise, perhaps, when we are not suspecting that it is affecting our thought... I imagine that we get most of our thoughts out of somebody else's head, by mental telegraphy – and not always out of the heads of acquaintances, but, in the majority of cases, out of the heads of strangers; strangers far removed... [PAINE 1912, cit. in www.twainquotes.com]
Si vede come sia complesso e problematico il rapporto dello scrittore americano con la memoria e con la possibilità di ridurne in scrigni il colossale patrimonio e di catturarne e conservarne un'immagine fedele ed esaustiva se questo tesoro costantemente si arricchisce a un ritmo inafferrabile. Sebbene la visione di Twain possa apparire pessimista – almeno negli ultimi anni [WALSH e ZLATIC 1981] – la sua innata curiosità e la sua fede nella scienza non lo fanno demordere dal cercare soluzioni al problema di un più efficace controllo sul materiale mnestico.
Nel corso della sua vita, Mark Twain investì, infatti, parecchio tempo e denaro in una serie di progetti e invenzioni il cui comune denominatore era proprio la possibilità di rendere più facile e più rapida la registrazione dei dati. Il Self-Pasting Scrapbook, ad esempio, brevettato nel 1872, è un album per ritagli con le pagine già preparate con la colla, la cui idea nacque a Twain dalla necessità di accelerare i tempi della sua maniacale archiviazione di qualunque cosa venisse scritta dai giornali sul suo conto. La macchina da scrivere con caratteri fonetici rimase invece un progetto inattuato che accompagnò lo scrittore per tutta la vita, insieme al tentativo di riforma dell'alfabeto inglese [TWAIN [1899]1917].
"Also, if I had a typewriting with the phonographic alphabet on it – oh, the miracles I could do!" [WALSH, ZLATIC 1981, p. 228] sosteneva Twain, riferendosi al tempo che questo strumento gli avrebbe fatto risparmiare nello scrivere e alle potenzialità che avrebbe avuto nella trascrizione dei diversi slang. Non si può dimenticare, infine, il Paige Compositor, il progetto che lo manderà in rovina: una macchina per rendere automatica l'impaginazione tipografica, senza l'ausilio umano, che tuttavia, a causa dei continui perfezionamenti di cui necessitava e della impossibilità di commercializzarla, fece perdere allo scrittore centinaia di migliaia di dollari.
Dunque Mark Twain cercò costantemente di inventare dispositivi o metodi, anche letterari, capaci di supplire a una deficienza intrinseca della memoria umana in generale e della letteratura, o meglio, della forma-romanzo in quanto tale, che lui considerava per certi aspetti inadatta a registrare tutti gli eventi e a riproporli come in un grande affresco senza filtri di valore. Come si vedrà, tra questi dispositivi progettati dallo scrittore, ci sono anche alcuni giochi e mappe del tempo in forma di gioco.
Uno dei primi espedienti mnemonici ideati da Mark Twain è finalizzato a ricordare i punti nodali delle sue conferenze. Per quanto volessero apparire spontanei, i discorsi di Twain erano sempre molto elaborati e accuratamente preparati, spesso scritti prima e poi imparati a memoria. Ma, come sappiamo, Twain non aveva un buon rapporto con la sua memoria e così inventa e sperimenta una serie di trucchi per seguire il filo del discorso: prima prova con una sequenza di brevi appunti con gli incipit delle frasi cardine del discorso, ma non vuole dipendere dal suo taccuino, così prova a scriverseli sulle dita, finendo per sembrare quantomeno eccentrico alla platea che lo ritiene più interessato ai suoi polpastrelli che all'argomento del discorso. Finalmente gli viene un'idea risolutiva, quella di riassumere i propri discorsi in una serie di cinque o sei schizzi tracciati rapidamente, molto più facili da memorizzare per lui di qualunque parola o lettera.
Molto tempo dopo Twain ricorderà:
I threw the pictures as soon as they were made, for I was sure I could shut my eyes and see them any time. That was a quarter of a century ago; that lecture vanished out of my head more than twenty years ago, but I could rewrite it from the pictures – for they remain. [TWAIN 1914]
Twain chiamava questi disegnini hieroglyphics. È lo stesso termine che veniva utilizzato in quel periodo nei trattati di Arte della memoria che circolavano in Inghilterra e negli Stati Uniti per indicare le immagini da associare a numeri, parole o concetti per ricordarli. Twain non sembrerebbe dunque aver inventato nulla di nuovo. Un metodo già pronto, con una consolidata tradizione alle spalle, era a disposizione: la mnemotecnica per loci ed imagines si fondava da due millenni proprio sul ricorso ad analogie visive ordinate in sequenza. Per semplificare: alle cose da ricordare vanno associate immagini mentali e queste immagini vanno collocate mentalmente ognuna in un luogo diverso.
Non è solo una coincidenza: Twain incontrò mnemonisti professionisti in più di un'occasione. Si trattava di quegli esperti di memoria itineranti o "memory doctors", come si facevano chiamare, che già alla fine del Settecento e poi soprattutto nel corso dell'Ottocento si aggiravano per l'Europa e per gli Stati Uniti, promuovendo il proprio metodo e dandone dimostrazioni pubbliche in performance annunciate dai giornali, cercando di raccogliere proseliti e allievi per le proprie lezioni di memoria [CASTELLI 2009, in Engramma, 70]. Il Professor Loisette, che Mark Twain conobbe nel 1887 nella sua scuola di memoria di New York, è stato definito the prince of mnemonic hucksters: il principe di questi imbonitori mnemonici [HREES 1985, p. 1398].
È l'epoca in cui al tradizionale metodo della mnemotecnica topica, fondata su imagines e loci, si sostituiscono i cosiddetti verbal mnemonics, metodi incentrati su principi fonetici anziché visivi. L''innovativo' sistema di memorizzazione che Marcus Dwight Larrowe, con lo pseudonimo di Alphonse Loisette, andava propagandando apparteneva proprio a questo nuovo genere di mnemotecniche, ma era in realtà il risultato di uno spregiudicato e sistematico saccheggio di metodologie e formulari mutuati da autori precedenti o contemporanei.
Da principio Twain fu entusiasta del metodo di Loisette e scrisse anche una recensione a suo favore che quest'ultimo, opportunisticamente, subito diffuse, pubblicandola tra i credits del suo trattato di mnemotecnica. In seguito, però, Twain prese le distanze tanto da Loisette quanto dal suo metodo e insistette a lungo perché questi cancellasse il suo nome dall'elenco dei propri allievi.
Ciononostante, il contatto con l'arte della memoria e l'impressione suscitata in lui dalle esibizioni di memoria prodigiosa cui aveva assistito – come anche quella di Bayard Taylor, poeta e critico letterario, oltre che mnemonista amatoriale, incontrato già dieci anni prima su una nave in viaggio verso l'Europa – lasciarono il segno. Fu infatti dopo l'incontro con Taylor che Twain iniziò a concepire un progetto che lo avrebbe coinvolto per circa 20 anni, fino al 1899: il suo Historical Biographical Game.
La prima versione del gioco fu inventata nell'estate del 1883 a Quarry Farm – tenuta dove Twain trascorreva l'estate con la famiglia – per aiutare le proprie figlie a memorizzare la successione dei regni dei monarchi inglesi. Questo tipo di rote learning era incoraggiato nella cultura anglosassone dell'Ottocento che dell'"imparare a memoria" faceva un'imprescindibile direttiva pedagogica e aveva reso la Cronologia una materia di primaria importanza. Tenendo presente la sua passata esperienza con le conferenze, Twain era convinto di poter inventare qualcosa di utile facendo ricorso alle immagini, ma voleva contemporaneamente trovare un modo di lasciar giocare le figlie allaria aperta: occorreva permettere loro di vedere i re e i regni con i loro occhi. Twain ebbe allora l'idea di misurare la durata del regno di ogni sovrano inglese in passi, avanzando lungo il sentiero che collegava tra loro i vari fabbricati della proprietà. Un passo equivaleva a un anno e l'inizio di ogni nuovo regno era contrassegnato con un cartello su cui erano scritti nome e date di ogni re.
La History Road, come la ribattezzò Twain, si snodava da un fabbricato all'altro della tenuta, partendo dalla casa padronale, passando per il capanno ottagonale che fungeva da studio dello scrittore e arrivando alle diverse strutture per ospitare gli animali o gli attrezzi. In questo modo, ogni elemento della proprietà, comprese colline e depressioni, cespugli, alberi o fontane, oltre agli edifici, poteva essere sfruttato per associarvi un regno, favorendone la memorizzazione.
...and you could stand on the porch and clearly see every reign and its length, from the Conquest down to Victoria, then in the forty-sixth year of her reign – EIGHT HUNDRED AND SEVENTEEN YEARS of English history under your eye at once! [TWAIN 1914]
L’idea di Twain funzionò sia come gioco che come ausilio didattico: le figlie ne erano entusiaste. Riferendosi alla sua History road, Twain orgogliosamente dice:
Are your kings spaced off in your mind? When you think of Richard III. and of James II. do the durations of their reigns seem about alike to you? It isn't so to me; I always notice that there's a foot's difference. [TWAIN 1914]
"Un piede di differenza": Mark Twain riprendeva i principi di spazializzazione sequenziale della memoria predicati dai retori latini che insegnavano a distribuire le cose da ricordare in spazi ordinati e familiari per poi richiamarle alla memoria ripercorrendoli mentalmente. In più però, Twain creava uno spazio effettivamente percorribile in cui ogni passo percorso fisicamente era insieme un passo avanti nell'apprendimento e un passo avanti nel tempo.
Il progetto si allargò poi a comprendere, all'interno del percorso cronologico dei re inglesi, tutti i fatti e i personaggi più importanti della storia europea e americana. Sullo sfondo dell'idea di Twain si intuiscono così anche le Map of history o Historical chart, carte del tempo allora molto diffuse negli Stati Uniti, come quella di Sebastian Adams che si srotolava per oltre 5 metri e conteneva tutti gli eventi dalla creazione del mondo al 1878, anno della terza edizione [ADAMS 1878]. Nel caso di una mappa del tempo ampia e dettagliata come quella di Adams la forma del rotolo è quintessenziale all'idea di poter vedere il tempo srotolarsi sotto i propri occhi e funzionale alla possibilità di maneggiare comodamente il dispositivo.
In effetti il formato dello scroll, che conosce un importante revival proprio in quel periodo in ambito cartografico [Rosenberg e Grafton 2010, p. 189], conferisce a questa timeline una dimensione interattiva più spiccata rispetto al foglio piano, rilegato nel formato del libro (formato in cui oggi la Adams' Syn Chronological Chart or Map of History si trova ancora in commercio). Il fruitore è più attivo e più partecipe: srotolando pian piano il volumen si sposta da un'epoca all’altra senza soluzione di continuità, senza che la storia sia inquadrata in epoche e in tavole discrete.
Visione sinottica, onnicomprensività, interattività e fluidità sono dunque elementi che accomunano la Adams' Syn Chronological Chart e la History Road. Ma, quanto all'aspetto immersivo e propriocettivo nell'utilizzo del tracciato, la possibilità cioè di "percorrere il tempo" con il proprio corpo, l'idea di Twain in realtà anticipava timeline più moderne, percorribili. Una delle più originali e recenti è il Cosmic Pathway dell’American Museum of Natural History di New York (2000), in cui fare un passo equivale a percorrere milioni di anni di storia dell'universo.
Twain aveva ideato un gioco all'aperto, ma in seguito si industriò a tradurlo in un gioco da tavolo e vi dedicò grandi energie per alcuni mesi, lasciando in sospeso qualunque altra attività, compresa la stesura di Huckleberry Finn. La sua intenzione era di metterlo al più presto sul mercato, pubblicizzarlo e farne un gioco di società di successo con diverse applicazioni che potessero coinvolgere giornali, associazioni, circoli, tornei. Una volta brevettato (nel 1885 e poi, con alcune modifiche, nel 1891), il Mark Twain's Memory Builder – A game for acquiring all sorts of facts and dates fu un completo disastro, e, con grande disappunto di Twain, non ebbe nessun successo commerciale.
La versione da tavolo differiva molto dall'originale. Si tratta semplicemente di un tabellone (board) con le istruzioni scritte sul retro, corredato di una scatolina di segnalini (pins) di diversi colori. Il tabellone è spartanamente suddiviso in cento riquadri numerati, all'interno dei quali, a turno, si marcano con contrassegni colorati le date che ciascuno dei concorrenti ricorda della storia universale o di un singolo secolo (si deve scegliere in anticipo). Non tutte le date hanno però lo stesso valore: le accessions (cioè incoronazioni, elezioni, prese di potere ecc.) valgono dieci punti, cinque le battaglie e solo uno gli eventi minori. Scopo del gioco è accumulare il maggior punteggio possibile in un tempo prestabilito.
Quando Twain presentò il suo gioco all’Ufficio Brevetti gli fu risposto che esso era simile in maniera sospetta a un altro gioco di storia, il Centenary Game di Victor Klobassa, del 1875. Twain obiettò, con successo, che il gioco di Klobassa era in realtà una sorta di roulette, in cui si vinceva solo in base alla fortuna, mentre il suo era un gioco di cultura, in cui la conoscenza della storia era la condizione per vincere. È però significativo che i due giochi venissero considerati simili. Erano infatti entrambi ascrivibili a una categoria molto diffusa al'epoca: quella dei giochi di storia, tipologia confinante e parzialmente sovrapponibile con quella dei giochi di memoria e dei cronological games.
Tuttavia, a differenza di altri giochi di storia ottocenteschi, ad esempio il New Game of Universal History and Chronology di John Wallis (Victoria & Albert Museum), stampato a Londra nel 1840 (riedizione aggiornata di una versione del 1814), o i vari giochi di carte o puzzle a sfondo storico, o persino lo stesso Centenary Game di Klobassa, quello di Mark Twain manca di appeal visivo essendo totalmente privo di immagini. La differenza è evidente se lo si confronta, ad esempio, con un gioco di percorso come il Nouveau jeu historique et cronologique des Rois de France (British Museum) realizzato a Parigi alla fine del Settecento. Il tabellone di questo gioco contiene, all'interno delle caselle, dei medaglioni con tutti i ritratti dei re di Francia in successione.
Molti giochi, come quelli appena visti, avevano una funzione didattica ed erano concepiti per aiutare la memorizzazione della storia o di altre discipline. Tant'è che regole per lo svolgimento di giochi di questo tipo si affacciavano talvolta all'interno dei manuali scolastici o di prontuari per l'educazione dei più giovani. Simili passatempi erano già popolari dalla fine del Settecento e con il diffondersi di tecniche di stampa più economiche e convenienti, con l'ampliarsi del mercato e con l'affermarsi di una crescente consapevolezza dell'importanza della visual education, continuarono a proliferare nel secolo successivo [ROSENBERG, GRAFTON 2010, p. 195].
Il gioco da tavolo di Twain, come si è detto, non ebbe successo e non gli fece ottenere i guadagni sperati. Aveva qualcosa di troppo razionale, complicato, quasi matematico. Come ebbe a dire un critico: "Sembrava un incrocio tra un formulario delle tasse e una tavola di logaritmi" [MELTZER 1960]. Terminata la partita, il tabellone offre una restituzione visiva di insieme di un periodo storico e dei suoi avvenimenti, ma questa immagine è incomprensibile a prima vista, in quanto astratta, codificata. Invece di restare fedele alle regole della tradizionale mnemotecnica per loci ed imagines, che informavano il gioco all'aperto, Twain, nel gioco da tavolo, sembra piuttosto ispirarsi alla astratta formalizzazione cronologica del cosiddetto "metodo polacco", uno strumento di registrazione di eventi storici diffuso nei trattati di mnemotecnica a partire dagli anni '20 dell'Ottocento e poi introdotto nelle scuole. Anche qui sono assenti immagini, parole (e persino date). Ogni griglia rappresenta un secolo e ogni simbolo geometrico, con la sua collocazione, la sua forma e il suo specifico colore, indica un tipo di evento, la data e la nazione in cui si è svolto. Ad esempio, un quadrato blu al centro della settantaseiesima casella, indicava una rivoluzione – negli Stati Uniti – nel 1776. Se immaginiamo il tabellone del Memory Builder costellato di puntine colorate, l'effetto finale doveva essere molto simile.
Si potrebbe paragonare questo passaggio di Twain dalla History Road al Memory Builder alla transizione, che si verifica a fine Settecento, dai sistemi mnemotecnici topici, basati cioè su articolati sistemi di luoghi e immagini e quindi sulla visualizzazione e sulla spazializzazione della memoria, ai metodi cosiddetti verbali (verbal mnemonics), fondati sulle associazioni per analogia fonetica e sulle trasformazioni di numeri in lettere, tramite tabelle di corrispondenze (per cui una data poteva essere espressa con una parola diventando perciò più facile da ricordare, oppure concetti diversi tra loro potevano essere collegati tramite catene di associazioni puramente verbali). Dalla maggior parte dei trattati di mnemotecnica ottocenteschi scompaiono così le illustrazioni che avevano reso tanto affascinanti i testi di questa disciplina dal Quattrocento al Seicento, sostituite per lo più da tabelle o da lunghi elenchi.
In alcuni casi, tuttavia, gli autori dei trattati di mnemotecnica non rinunciarono del tutto al tradizionale metodo dei loci e delle imagines agentes e lo combinarono con quello della trasposizione fonetica e delle omofonie, allora in voga: in questi testi metodologicamente ibridi sussiste perciò un interessante corredo di illustrazioni. Spesso, per di più, tali trattati mirano ad approntare un vero e proprio corredo di immagini che il lettore trova già impostato in tavole estraibili, non dovendo poi far altro che utilizzarlo, come se si fornissero le regole di un gioco di società e il 'tabellone' su cui giocare. Del resto, gli stessi trattati di mnemotecnica ottocenteschi, in generale, contenevano moltissimi espedienti ludici veri e propri: dalle rime, ai rebus, alle illustrazioni da ritagliare, fino alle regole mnemoniche per avere successo nei giochi di società più diffusi, dal Bridge agli scacchi.
Nel 1899 Twain proporrà, in un articolo dal titolo How To Make History Dates Stick pubblicato postumo [TWAIN 1914, consultabile in www.twainquotes.com], un terzo History Game, ritornando ai principi che avevano decretato il successo del primo gioco, quello all'aperto: visualizzazione, spazializzazione e sequenzialità. Tralasciando il Memory Builder, nel saggio egli traccia un filo rosso tra gli espedienti inventati per le conferenze, la History road e una nuova proposta di trasposizione indoor di quest'ultima. Twain si rivolge ai bambini: per memorizzare la successione dei sovrani inglesi, in questo caso, ognuno deve disegnare su piccoli fogli di carta un'immagine corrispondente al nome di ogni re, tante volte quanti sono gli anni del suo regno. Le immagini, che costituiscono l'elemento di novità rispetto al gioco all'aperto, si ricavano per analogia fonetica dal nome di ciascun sovrano seguendo la propria fantasia (ad esempio Twain propone di ricavare da William: whale = balena; da Henry: hen = pollo; da Edward: editor = redattore). I foglietti, di colori diversi a seconda del sovrano, andranno poi appesi a un muro di casa, in successione, creando un percorso a zig-zag che cambia direzione e colore a ogni nuova incoronazione.
Mark Twain accompagna il saggio con una serie di suoi schizzi che servono da esempio, caratterizzati da una forte carica grottesca e ridicola. Alla stessa maniera le immagini mnemoniche, secondo le regole della mnemotecnica per loci ed imagines, per essere agentes, cioè efficaci, dovevano avere caratteristiche di forte suggestione: essere ad esempio ridicole, o truculente, o eccitanti e così via. Twain sottolinea che i suoi disegni sono solo un esempio e che ognuno li deve realizzare per proprio conto, non solo per fissarli meglio nella memoria, ma anche per sviluppare l'immaginazione e il talento artistico, e con il suo tono sempre sospeso tra serietà e ironia afferma: "The effort of inventing such things will not only help your memory, but will develop originality in art. See what it has done for me." [TWAIN 1914]
Lo stimolo all'immaginazione e il ricorso alla figurazione sono dunque moventi centrali nella progettazione del nuovo gioco di Twain. I soggetti delle immagini sono però ricavati secondo il principio dell'analogia fonetica, caratteristico dei nuovi metodi mnemotecnici verbali: in questo Twain sembra pagare un debito nei confronti di Loisette, il cui metodo si fondava proprio sulle omofonie, sulle analogie fonetiche e sulle catene di associazioni (correlations). Sembrerebbe così che Twain trovi la giusta chiave per l'elaborazione del suo nuovo History Game nella fusione dei due metodi, quello per immagini e quello verbale, così come la trattatistica mnemotecnica ottocentesca, che in molti casi non riesce a schierarsi definitivamente a favore dell'uno o dell'altro metodo e sceglie una soluzione di compromesso.
In questo terzo gioco, però, soprattutto la dimensione spaziale è tornata ad essere protagonista, anche se è solo visiva e non immersiva. La processione a zig-zag dei sovrani inglesi richiama il percorso cronologico tra i fabbricati sparsi nel paesaggio rustico dell'illustrazione di apertura che erano invitati a tracciare i lettori di un testo francese di mnemotecnica del 1808 di autore anonimo [ANONIMO 1808]. Ogni edificio, qui, rappresenta un secolo ed è circondato di figure che richiamano i principali fatti occorsi. Le immagini che fungono da appiglio per la memoria sono collocate nel campo della rappresentazione senza il ricorso ad alcuna struttura tassonomica che le incaselli e le ordini. Il tragitto a zig-zag, all'aperto, ricorda quello del primo, ma anche del terzo gioco di storia di Twain e ne condivide la vocazione spaziale e l'idea di percorso in cui ogni cambiamento di direzione denota una svolta, in questo caso da un secolo all'altro. Nel passaggio dal primo, quello outdoor, al terzo gioco, che è praticamente la versione indoor, Twain finisce per rappresentare bidimensionalmente quello che nel gioco all'aperto era uno spazio tridimensionale.
Tuttavia Twain concludeva il suo saggio del '99 con queste parole:
If you do not find the parlor wall big enough for all of England's history, continue it into the dining-room and into other rooms. This will make the walls interesting and instructive and really worth something instead of being just flat things to hold the house together. [TWAIN [1899] 1917]
La pensava allo stesso modo Gregor Von Feinaigle, uno dei più influenti autori di Arte della memoria del XIX secolo, che aveva tappezzato le pareti della scuola di memoria da lui fondata a Dublino di immagini e di loci per permettere agli allievi di averli sempre sotto gli occhi [STRAY 2002]. Feinaigle, del resto, era anche l'ideatore del modello "a stanze sovrapposte", un sistema di cento loci da collocare in due immaginarie stanze mentali [CASTELLI 2009, in Engramma, 70]. Nelle intenzioni dell'autore, però, queste stanze non dovevano restare solo mentali né solo illustrazioni bidimensionali sulle pagine di un libro. Nel testo di Feinaigle, come in quello di altri autori anglosassoni della prima metà dell'Ottocento, compaiono, infatti, istruzioni che invitano a ritagliare lungo i bordi questi sistemi di immagini, piegandoli poi in modo adeguato per ottenere il modellino tridimensionale di una stanza di memoria.
By carefully cutting round the out lines with the point of a knife, and raising the walls from their prostrate condition, and gently bending over the squares, or straps, to form the ceiling, the room will be complete; and could that be made large enough, or a man be found small enough to be placed in it, he might see realized what has been pointed out as divided and numbered. [MURDEN 1818, p. 17+
Before the reader uses Plates II.III.IV and V. it will be advisable to take them out of the volume and paste them on stiff paper. If the white paper be cut away, it will fold up, so as accurately to represent the floor, four walls and ceiling of a room. [FEINAIGLE 1812, p. XVI]
Si vuole dare così al lettore la possibilità, assente nei trattati antichi, di costruirsi materialmente il sistema di loci, come una sorta di prezioso giocattolo. È il principio del teatro di memoria camilliano reso disponibile per ogni lettore. Questo tipo di istruzioni dimostra chiaramente che il sistema di luoghi viene concepito come un dispositivo materiale, tridimensionale, manipolabile e asportabile, ma non solo. Talvolta si suggerisce persino di riprodurlo in dimensioni aumentate, in modo che un uomo possa entrarci. Il tutto sembra finalizzato a uno scopo ben preciso: tradurre questi sistemi di memoria mentali in ambienti immersivi, in cui ci si possa aggirare con il proprio corpo e i propri occhi.
Questa era anche l’idea vincente del gioco all'aperto di Twain: immergere il giocatore all'interno della storia e degli eventi per potere in qualche modo vivere l'esperienza del tempo, assimilare le nozioni attraverso diversi canali sensoriali e propriocettivi che imprimessero una traccia mnestica più duratura nella memoria.
Un invito all'immersione, pur se in una rappresentazione bidimensionale, sembra venire anche dal Temple of Time di Emma Willard. Siamo ancora nell'ambito della mnemotecnica ottocentesca: nel suo testo Universal History in Perspective (1846), il sistema di memoria, concepito come un tempio classico, viene rappresentato prospetticamente come per invitare il lettore a entrare e a guardare in profondità. Quello che è scritto sul pavimento e sulle colonne, infatti, non si può leggere se non 'inoltrandosi' all'interno dell'edificio. Anche se i rimandi dell'autrice sono ai teatri di memoria rinascimentali, le scelte tipografiche e i colori piatti su sfondo nero evocano irresistibilmente i videogiochi arcade degli anni '80 del Novecento e i successivi videogame in cui a immergersi nella realtà virtuale sarà un avatar.
Quello di Emma Willard è un invito raccolto centocinquanta anni più tardi dal video-artista Jeffrey Shaw, che nel suo Legible City (ZKM, Karlsruhe), realizzato in tre versioni tra il 1988 e il 1991, esorta l'osservatore a non limitarsi a guardare l'immagine, ma a percorrerla guidando una bicicletta che si inoltra virtualmente in città fatte di parole. Il dispositivo visivo di Shaw costituisce un prototipo seminale di installazione video interattiva in ambito artistico e attinge alla cultura del videogioco non senza strizzare l'occhio all'Arte della memoria, disciplina la cui eredità culturale era nota e discussa negli anni Novanta tra gli artisti del Zentrum für Kunst und Medientechnologie di Karlsruhe. Nello stesso periodo infatti, la compagna di Shaw, l'artista ungherese Agnes Hegedüs, elaborava presso lo ZKM il progetto del Memory Theatre VR (1997 - ZKM, Karlsruhe), un'opera immersiva esplicitamente ispirata agli apparati mnemotecnici tridimensionali rinascimentali (da Camillo a Fludd), in cui il visitatore entra come in un cave e, manipolando un cursore, esplora atlanti virtuali di immagini. Non è un caso che all'esterno del Memory Theatre VR, nel cartello che elenca il Cast, inteso dall'artista come l'insieme dei personaggi cui la sua opera è in qualche modo debitrice, compaia il nome di Aby Warburg.
Alcuni aspetti di questa ricerca, legati alla tematica della memoria e del gioco, sono stati oggetto dell'intervento presentato in occasione delle Lectures on Memory organizzate dal Centro di Studi sulla Memoria del Dipartimento della Comunicazione dell'Università degli studi della Repubblica di San Marino (luglio 2012), in corso di pubblicazione presso l'editore Guaraldi di Rimini.
Ringrazio per l'aiuto e i suggerimenti: Antonella Sbrilli, Patrizia Violi, Monica Centanni, Maria Sole Cardulli, Gabriella Lorenzi e il personale della Biblioteca del DCOM di San Marino.
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English abstract
Many different mnemonic devices were created during the Nineteenth Century, along with new publications on mnemonics. The example of Mark Twain’s memory games suggests a new approach towards learning: immersive devices seemed to better fulfil the goal of memorization rather than traditional illustrated memory systems or new-coming verbal mnemonics.
keywords | Rebus; Puzzle; Board games; Mark Twain; Mnemotics.
Per citare questo articolo / To cite this article: P. Castelli, A foot's difference. Giochi da tavolo e carte del tempo nelle mnemotecniche moderne, “La Rivista di Engramma” n. 100, settembre-ottobre 2012, pp. 78-90 | PDF