La stella di Alessandro. La lastra di S. Apollonia a Venezia: materiali e letture
Presentazione del numero monografico
Maria Bergamo, Giacomo Calandra di Roccolino
English Abstract
In questo numero monografico presentiamo i primi esiti di un lavoro di ricerca iniziato nel 2005 e tuttora in corso presso il Centro studi classicA IUAV di Venezia. L'oggetto dello studio è una lastra in pietra, presente nel lapidario del chiostro del Museo Diocesano di Santa Apollonia a Venezia, che porta scolpito uno scudo con stella macedone e tracce di altri elementi di una panoplia. I materiali e i contributi critici qui pubblicati, tutti inediti, comprendono: una campagna fotografica; una scheda tecnica petrografica; una ricostruzione della situazione e delle coordinate del ritrovamento; alcune nuove ipotesi interpretative sul contesto storico in cui il manufatto, con quella particolare iconografia, fu commissionato ed eseguito.
La lastra lapidea fu rinvenuta tra le fondazioni dell'abside maggiore della Basilica di San Marco nel 1962. Sebbene fossero risultati immediatamente evidenti l'importanza e il pregio del manufatto, al momento del ritrovamento la lastra venne interpretata e valutata soltanto come elemento di reimpiego nel contesto del dibattito sulla complessa vicenda costruttiva della Basilica (vedi il contributo di Maria Bergamo). La sua iconografia non fu presa in considerazione e, fatta eccezione per qualche menzione sporadica in saggi specifici (dello status quaestionis tratta il contributo di Maddalena Bassani), nei quarant'anni successivi al ritrovamento la lastra non è stata oggetto di particolari attenzioni da parte degli studiosi.
Soltanto di recente si è acceso l'interesse intorno alla lastra di Santa Apollonia. In un saggio uscito nel 2004 (e ripubblicato in una seconda versione nel 2007) lo studioso inglese Andrew Chugg, a conclusione di un lavoro pur interessante e documentato sulla storia della tomba di Alessandro, ha proposto come scoop la tesi secondo cui la lastra di Santa Apollonia sarebbe la prova, simbolica e materiale, del fatto che nella Basilica di San Marco sarebbero conservate le reliquie non dell'Evangelista, bensì di Alessandro Magno (o che, perlomeno, lo sarebbero i resti dei due, mescolati insieme). La lastra sarebbe nientemeno che il coperchio della perduta tomba del macedone, trasportata da Alessandria nel IX secolo insieme al suo contenuto in occasione del trafugamento del corpo di San Marco. Purtroppo, però, prima di rendere pubblica una tesi tanto clamorosa, lo studioso, che vanta peraltro formazione scientifica di biologo, non si è peritato di compiere un esame autoptico del manufatto. Lo si evince non solo dalle sue stesse, oneste, dichiarazioni, ma anche dal fatto che nella prima edizione del libro non compare nemmeno una foto della lastra, raffigurata solo per mezzo di un disegno ripreso da Forlati e riprodotto ribaltato. Nella ricostruzione proposta, dunque, sono disattesi i dati materiali, come la qualità e quindi la datazione della pietra), e sono trascurate sia l'evidenza formale dell'opera che la sua posizione al momento del ritrovamento. L'affascinante 'scoperta' della "tomba perduta di Alessandro" (a cui si sono accodati anche altri studiosi, in particolare si veda il lavoro del veneziano Gianni Vianello) potrebbe, certo, fornire un ottimo spunto per un film di fantarcheologia - genere saggistico-romanzesco che di questi tempi attira l'attenzione del grande pubblico su rivelazioni sorprendenti, relative tanto alle simbologie occulte delle piramidi d'Egitto quanto al contenuto eretico dell'Ultima cena di Leonardo (sull'argomento v. in "Engramma" la recensione a Dan Brown, Il codice da Vinci) – e certo ha avuto il merito di richiamare l'attenzione degli studiosi sulla lastra che per decenni era rimasta ignorata nella quieta ombra del chiostro posto dietro la Basilica marciana, ma non è fondata storicamente né verificata scientificamente.
Si poneva quindi con urgenza il compito di reimpostare totalmente la ricerca su di una solida base metodologica, analizzando il manufatto nella sua realtà storica e materiale. In generale, infatti, se da un lato l'eccesso di tecnicismo specialistico è il difetto che troppo spesso rende impraticabili gli esiti delle ricerche archeologiche a più ampie contestualizzazioni, anche l'opposto divagare in fantasmagorie (a cui talvolta non viene negato credito anche in contesti accademici) risulta altrettanto inutile per il progresso del sapere. Emblematicamente, la tesi che vede la lastra di Santa Apollonia come parte della perduta tomba di Alessandro - che pure produce l'effetto di eccitare la fantasia romanzesca del lettore - si conclude con un paradossale risvolto positivistico: "We are fortunate also that the science of forensic archeology has recently achieved such a degree of profiency that a detailed investigation of the remains would be expected to reveal the true provenance (such as carbon dating, wound evidence, facial reconstruction, tomography, examination of stomach contents, pollen grains in wrappings, DNA analysis, dentine isotope studies)".
L'istanza di 'verità' che l'esame scientifico sulle reliquie dovrebbe garantire denuncia tutta l'ingenuità intellettuale dell'autore. Le reliquie, i corpi dei santi e dei martiri, la tradizione del loro culto e dei loro 'viaggi' non si affrontano con le armi dello scientismo, invocando macabre riesumazioni e impugnando analisi al carbonio 14 o test del DNA: il simbolo e il culto delle reliquie è un tema che va trattato con le armi disciplinari della storia e dell'antropologia culturale. Le reliquie sono immagini, sono simboli, sono porte, sono testimoni; la vita di una reliquia e il potere che essa esercita sono legati al culto che alla stessa reliquia viene deputato; la sua 'verità' appartiene a una dimensione altra. Il culto devozionale investe e trasforma la realtà della cosa, le dona una natura nuova, un valore che linguisticamente - prima ancora che misticamente - trascende la concretezza materiale dell'oggetto: sul piano della 'verità' devozionale, ma anche su quello della 'autenticità' storica, il corpo che da secoli è oggetto di culto sotto la Pala d'Oro non può essere altri che San Marco, proprio perché ormai da secoli come San Marco è venerato; e su quel corpo, già a partire dal doge Giustiniano nel IX sec., la città di Venezia ha fondato una radice profonda della sua identità religiosa e, soprattutto, civile e politica.
Constatare questo non significa deporre gli strumenti del mestiere e abdicare a un'attenta analisi del manufatto, bensì condurre un'analisi storica attenta a non cadere negli estremi, talvolta così propensi ad avvicinarsi sino a coincidere, dello scientismo e dello scoop mirabolante. Il primo passo per le nuove ricerche è, anzi, proprio stato quello di effettuare un'analisi petrografica, affidata al Laboratorio di Analisi dei Materiali Antichi IUAV. È stato così possibile identificare con precisione la natura della pietra, circoscrivendo il materiale in un arco temporale e in un'area geografica precisi: la lastra è in pietra di Aurisina, materiale usato in area altoadriatica a partire dal II sec. a.C. Questi soli dati positivi hanno eliminato, senza possibilità di appello, ogni ipotesi sul trasporto della pietra da Alessandria, sulla datazione all'età ellenistica e sul suo impiego in un sarcofago del IV secolo a.C.
La ricerca è proseguita in direzione della riconsiderazione delle fonti archivistiche e documentarie relative agli scavi: è stato ricostruito puntualmente lo status quaestionis critico e bibliografico sulle relazioni che legano la lastra di Santa Apollonia alle fondazioni della Basilica Marciana, datando il suo reimpiego, come solido masso di costruzione della prima Basilica, al IX secolo.
Sulla scorta dei dati petrografici e documentari si sono così aperti nuovi, interessantissimi, orizzonti di indagine critica: i contributi di Maddalena Bassani, Giacomo Calandra di Roccolino e Lorenzo Braccesi propongono tre diverse ipotesi sulla datazione, il contesto storico, il significato del manufatto. Le ricerche si sono sviluppate su tre filoni indipendenti: archeologico, numismatico e storiografico, collocando però anche la lastra di Santa Apollonia in un ampio e complesso campo d'indagine che si estende dall'iconografia macedone nel mondo romano all'architettura dell'area altoadriatica e alla politica di ricerca del consenso di Ottaviano in ambito provinciale. Le tre diverse ipotesi proposte che qui si presentano riescono a coniugare in modo convincente il dato materiale e la valenza simbolica dell'iconografia dello scudo con emblema macedone.
I primi risultati del gruppo di studio sulla lastra di Santa Apollonia presentati in questo numero di "Engramma"mostrano la trama di vari significati che si intesse intorno alla straordinaria figura di Alessandro Magno, la cui stella brilla, con luce intermittente ma fortissima, dall'antichità a oggi. La ricerca si apre a dimensioni suggestive e affascinanti anche senza dover scomodare corpi di eroi, e tanto meno di santi.
English abstract
This photographic study is divided into two sections: the first, relating to the place where the stele was found in the excavation conducted by Forlati in 1962; the second, relating to the slab itself, which is today located in the cloister of S. Apollonia (Diocesan Museum). The series was executed on November 10, 2008.
keywords | Venice; Museum Santa Apollonia; stone slab; Macedonian iconography
Per citare questo articolo / To cite this article: M. Bergamo, G. Calandra di Roccolino, La stella di Alessandro. La lastra di S. Apollonia a Venezia: materiali e letture.
Presentazione del numero monografico, “La Rivista di Engramma” n. 67, novembre 2008, pp. 5-8 | PDF