Tra ignavia e perseveranza: il doppio valore della Melancholia
La personificazione di Metanoia/Paenitentia nella Calunnia di Apelle di Sandro Botticelli
Sara Agnoletto
English Abstract
La fortuna di Metanoia/Paenitentia dall’Antichità al Rinascimento
Il riscatto dall’oblio della figura allegorica di Metanoia/Paenitentia avvenne in età umanistica in seguito al recupero di due passaggi ecfrastici: il brano che Luciano nel II secolo a.C. dedicò al quadro di Apelle dedicato alla Calunnia, e l’epigramma su Occasio e Metanoia (alla latina Metanoea), scritto da Ausonio nel IV secolo. Si trascrivono qui i due passaggi (cfr., in Engramma, traduzione e commento di questi due brani in Borga 2005 e in Bordignon, Centanni, Urbini et all. 2011):
Luciano di Samosata, Περὶ μὴ τοῦ ῥᾳδίως πιστεύειν διαβολῇ, 5
κατόπιν δὲ ἠκολούθει πάνυ πενθικῶς τις ἐσκευασμένη, μελανείμων καὶ κατεσπαραγμένη, Μετάνοια <οἶμαι> αὕτη ἐλέγετο. ἐπεστρέφετο γοῦν εἰς τοὐπίσω δακρύουσα καὶ μετ΄ αἰδοῦς πάνυ τὴν Ἀλήθειαν προσιοῦσαν ὑπέβλεπεν.
Dietro seguiva una donna completamente vestita a lutto, nera e lacera nelle vesti, si diceva (credo) fosse Metanoia (il Pentimento). Dunque ella si voltava all'indietro in lacrime e piena di vergogna guardava la Verità che avanzava.
Ausonio, Epigr. XXXIII, In simulachrum Occasionis et Poenitentiae
Cuius opus? Phidiae, qui signum Pallados, eius, quique Iovem fecit, tertia palma ego sum. Sum dea quae rara et paucis Occasio nota. Quid rotulae insistis? Stare loco nequeo. Quid talaria habes? Volucris sum. Mercurius quae fortunare solet, tardo ego, cum volui. Crine tegis faciem? Cognosci nolo. Sed heus tu occipiti calvo es? Ne tenear fugiens. Quae tibi iuncta comes? Dicat tibi. Dic rogo quae sis. Sum dea, cui nomen nec Cicero ipse dedit. Sum dea, quae facti non factique exigo poenas, nempe ut paeniteat: sic Metanoea vocor. Tu modo dic, quid agat tecum. Quandoque volavi, haec manet: hanc retinent quos ego praeterii. Tu quoque dum rogitas, dum percontando moraris, elapsam dices me tibi de manibus.
Di chi sei opera? – Di Fidia: lo stesso che fece la statua di Pallade, lo stesso che fece la statua di Giove, e io sono la sua terza gloria. Io sono una dea rara, a pochi nota con il nome di Occasio. – E perché ti ostini a girare sulla ruota? – Non posso stare ferma in un luogo. – E perché hai le ali? – Sono volatile. Mercurio usa far avere la fortuna che vuole, io mi attardo quando voglio. – Ti copri il volto con i capelli? – Non voglio essere riconosciuta. – Sei calva sulla nuca? Se fuggo non sarò trattenuta. – Chi è colei che a te si accompagna? –Te lo dirò. – Dimmi: chi sei? – Io sono la dea a cui nemmeno Cicerone poté dare un nome. Sono la dea che esige le pene di ciò che si è fatto e di ciò che non si è fatto. Sono la dea che fa penare. Così sono chiamata Metanoea. – Ma – dimmi – che fai? – quando mai io sottraggo qualcosa questa rimane e la tengono in pugno coloro che io risparmio. E anche ora mentre tu ti interroghi, mentre indugi a meditare, dirai che ti sono sfuggita dalle mani.
Dalla lettura delle due fonti si deduce che Metanoia doveva essere la personificazione del rammarico per una scelta sbagliata nei due sensi: per quanto si è fatto e non si doveva fare; per quanto non si è fatto e si doveva fare. Così la definisce il grammatico latino Marius Claudius Plotius Sacerdos (sec. III-IV d.C.) nell’Ars grammatica (GLK VI 470,1 ss.):
“Metanoea vel metagnosis est dictio continens paenitudinem rei aut factae, quae fieri non debuit […] aut non factae, quae fieri debuisset”.
Essa rappresenta il senso di colpa, il pentimento per un errore commesso, sia esso il risultato di un’azione che di un’omissione. Si tratta comunque di un’allegoria che esprime uno stato d’animo dolente. Un atteggiamento d’afflizione che Luciano rappresenta con l’habitus del lutto (πενθικῶς ... ἐσκευασμένη), come una donna piangente (δακρύουσα) che veste un abito nero (μελανείμων) e lacero, fatto a brani (κατεσπαραγμένη) come avveniva, secondo molte testimonianze, nei rituali antichi del lutto e del dolore. Alla sofferenza fanno chiara allusione anche le parole con cui Metanoea si presenta nel componimento di Ausonio, sebbene nell’epigramma non si trovi alcuna descrizione del suo aspetto: "[...] Sum dea, quae facti non factique exigo poenas,/ nempe ut paeniteat [...]" (vv.11-12).
Nell’epigramma di Ausonio Occasio, che nella rappresentazione è abbinata a Metanoea, è una dea rara et paucis nota, che si manifesta solo eccezionalmente e che solo un numero esiguo di persone sa riconoscere quando si presenta; Occasio non offre all’uomo punti di presa, giacché il ciuffo di capelli sulla fronte, che secondo l’interpretazione convenzionale è l’unico attributo favorevole all'uomo, l'unico appiglio con cui la figura fugiens di Occasio può essere ‘acciuffata’, viene ribaltato e diventa un ulteriore elemento all’uomo sfavorevole: infatti proprio il ciuffo è il mezzo con il quale la dea si copre il volto (crine tegis faciem) e quindi è utilizzato da Occasio, “ostilmente e malignamente”, per non farsi riconoscere (cognosci nolo: cfr. Mattiacci 2011, 142). Ma, nonostante tutti questi ostacoli, Ausonio giudica l’uomo stesso responsabile della propria sventura, a causa del suo indugiare nelle domande (percontando moraris), e quindi, più in generale, a causa della sua esitazione e della sua ignavia. Pertanto nel testo ausoniano l’allegoria di Metanoea/Paenitentia esprime l’impotenza dell’uomo a trovare una via di riscatto da quel che ha fatto (non dovendo agire) o non ha fatto (dovendo agire), senza però esimerlo dalle sue responsabilità. L’uomo, che non riesce a portare ad effetto il proposito di cogliere al volo l’occasione, è in ogni modo causa del proprio destino, che non è attribuibile a una superiore volontà divina, a un fato inesorabile o ai capricci della fortuna, ma alla sua propria indecisione.
Sulla personificazione di Metanoea/Paenitentia scarse sono le fonti, sia letterarie che iconografiche: le testimonianze privilegiano e promuovono la figura dell’uomo capace di cogliere il momento propizio. Luciano inserisce Metanoia anche all’interno di un’altra descrizione ecfrastica, questa volta di una pittura immaginaria (quasi una sequenza cinematografica, più che una pittura), che pone a conclusione dell’operetta De Mercede, una satira pungente sui corrotti, e in particolare sui greci colti che si mettono al servizio di ricchi romani. In essa Metanoia è rappresentata nuovamente in lacrime, ma sono lacrime buttate a vuoto:
Luciano, De Mercede, 42
ἡδέως μὲν οὖν Ἀπελλοῦ τινος ἢ Παρρασίου ἢ Ἀετίωνος ἢ καὶ Εὐφράνορος ἂν ἐδεήθην ἐπὶ τὴν γραφήν ἐπεὶ δὲ ἄπορον νῦν εὑρεῖν τινα οὕτως γενναῖον καὶ ἀκριβῆ τὴν τέχνην, ψιλὴν ὡς οἷὸν τέ σοι ἐπιδείξω τὴν εἰκόνα. καὶ δὴ γεγράφθω προπύλαια μὲν ὑψηλὰ καὶ ἐπίχρυσα καὶ μὴ κάτω ἐπὶ τοῦ ἐδάφους, ἀλλ᾽ ἄνω τῆς γῆς ἐπὶ λόφου κείμενα, καὶ ἡ ἄνοδος ἐπὶ πολὺ καὶ ἀνάντης καὶ ὄλισθον ἔχουσα, ὡς πολλάκις ἤδη πρὸς τῷ ἄκρῳ ἔσεσθαι ἐλπίσαντας ἐκτραχηλισθῆναι διαμαρτόντος τοῦ ποδός. ἔνδον δὲ ὁ Πλοῦτος αὐτὸς καθήσθω χρυσοῦς ὅλος, ὡς δοκεῖ, πάνυ εὔμορφος καὶ ἐπέραστος. ὁ δὲ ἐραστὴς μόλις ἀνελθὼν καὶ πλησιάσας τῇ θύρᾳ τεθηπέτω ἀφορῶν εἰς τὸ χρυσίον. παραλαβοῦσα δ᾽ αὐτὸν ἡ Ἐλπίς, εὐπρόσωπος καὶ αὕτη καὶ ποικίλα ἀμπεχομένη, εἰσαγέτω σφόδρα ἐκπεπληγμένον τῇ εἰσόδῳ. τοὐντεῦθεν δὲ ἡ μὲν Ἐλπὶς ἀεὶ προηγείσθω, διαδεξάμεναι δ᾽ αὐτὸν ἄλλαι γυναῖκες, Ἀπάτη καὶ Δουλεία, παραδότωσαν τῷ Πόνῳ, ὁ δὲ πολλὰ τὸν ἄθλιον καταγυμνάσας τελευτῶν ἐγχειρισάτω αὐτὸν τῷ Γήρᾳ ἤδη ὑπονοσοῦντα καὶ τετραμμένον τὴν χρόαν. ὑστάτη δὲ ἡ Ὕβρις ἐπιλαβομένη συρέτω πρὸς τὴν Ἀπόγνωσιν. ἡ δὲ Ἐλπὶς τὸ ἀπὸ τούτου ἀφανὴς ἀποπτέσθω, καὶ μηκέτι καθ᾽ οὓς εἰσῆλθε τοὺς χρυσοῦς θυρῶνας, ἔκ τινος δὲ ἀποστρόφου καὶ λεληθυίας ἐξόδου ἐξωθείσθω γυμνὸς προγάστωρ ὠχρὸς γέρων, τῇ ἑτέρᾳ μὲν τὴν αἰδῶ σκέπων, τῇ δεξιᾷ δὲ αὐτὸς ἑαυτὸν ἄγχων. ἀπαντάτω δ᾽ ἐξιόντι ἡ Μετάνοια δακρύουσα εἰς οὐδὲν ὄφελος καὶ τὸν ἄθλιον ἐπαπολλύουσα. |
Ci vorrebbe davvero un Apelle, un Parrasio, un Eezione, un Eufranore per dipingere questo quadro; ma poiché ora non è possibile trovare un artista che sia così valente e bravo, ti farò io uno schizzo, come sono capace. Si dipinga un vestibolo d’un palazzo alto e dorato, non già posto in piano, ma posto alto da terra sopra un colle: la salita sia lunga, erta, sdrucciolevole, di modo che più volte chi spera di essere già quasi in cima, si scapicolli, scivolando sui suoi passi. Dentro starà seduto lo stesso Pluto tutto d’oro, bellissimo e amabilissimo alla vista. In preda alla brama l’uomo, dopo esser salito con molta fatica, accostandosi alla porta, resterà abbagliato vedendo tutto quell’oro. Lo prenderà per mano Speranza, bella anch’essa e in veste variopinta, e mentre è ancora tutto pieno di meraviglia lo farà entrare. E da questo punto sarà sempre la Speranza a guidarlo; una coppia poi lo riceverà, Inganno e Servitù, e lo consegneranno a Fatica. Questa, dopo averlo molto strapazzato, lo consegnerà a Vecchiaia, già mezzo ammalato e mutato di colorito: per ultima lo prenderà Superbia, e lo trascinerà verso Disperazione. Qui Speranza volerà via e sparirà: l’uomo, non più per la porta d’oro da dove entrò, ma per una porticina sul retro, sarà cacciato via nudo, panciuto, giallo, vecchio, con una mano coprendosi le vergogne, e con l’altra strozzandosi: sulla soglia gli verrà incontro Pentimento (Metanoia), che piange a vuoto e compie la perdizione di quel miserabile. |
In ambito figurativo, si è voluto identificare con Paenitentia/Metanoia la figura femminile che, in un rilievo proveniente dall’ambone della cattedrale di Torcello (XI sec.), manifesta, con la mano al volto (il "gesto di Sterope", secondo Settis 1975, 14: il riferimento è al gruppo di Sterope e Enomao nel Frontone est del Tempio di Zeus a Olimpia) – Pathosformel distintiva dell’afflizione – il suo rammarico. Questa la lettura delle figure allegoriche: la composizione ruota attorno alla figura di Occasio/Kairos, raffigurato con un rasoio e una bilancia tra le mani, mentre avanza rapido su due sfere alate. Gli altri personaggi sono disposti simmetricamente intorno alla divinità dell’opportunità da prendere al volo: sulla sinistra, un giovane imberbe lo acciuffa prontamente, mentre sulla destra, una seconda figura maschile barbata, quindi più adulta, tende inutilmente un braccio alle sue spalle per afferrarlo. Due figure femminili completano la scena: sull’estrema destra, Metanoia/Paenitentia; sull’estrema sinistra, il suo contrario, Pronoia/Praevidentia, che corona il capo del giovane che è riuscito nell’impresa di cogliere al volo il momento propizio.
Più controversa è l’identificazione della scena scolpita a bassorilievo su una lastra in pietra calcarea, originaria di Tebe e oggi conservata presso il Museo del Cairo, databile al III/IV sec. – e quindi all’incirca coeva di Ausonio. Una parte della critica (Strzygowski 1904; Polito 1992; Zaccaria Ruggiu 2006; Mattiacci 2011) la ritiene una rappresentazione di Kairos, Pronoia e Metanoia, identificando Kairos con la figura principale, alata, che indossa una veste militare, stringe nella mano sinistra una ruota radiata, ed ha a fianco una piccola bilancia; Pronoia con la figura femminile distesa sotto i suoi piedi in atto di portarlo in volo; e Metanoia con la figura femminile penitente, scolpita nell’angolo inferiore sinistro del rilievo che, seduta, si sorregge la testa con la mano sinistra. Diversa l’interpretazione di Paul Perdrizet (1912), accolta da Arthur Bernard Cook (1925) e da Giovan Battista D’Alessio (1995), che identifica la figura alata con Nemesis e quella distesa con Hybris, pur confermando la presenza di Metanoia.
Non mi consta che la figura allegorica di Metanoia/Paenitentia persista in Occidente durante il Medioevo. Diversamente, nell’Impero Bizantino, la sua tradizione è affidata all’illustrazione del racconto biblico dei rimproveri di Natan, narrato integralmente nell’Antico Testamento (2 Samuel 12, 1-19; Salmo 51), secondo cui Natan, mediante una parabola, rimprovera al re David il suo adulterio con Betsabea, moglie di Uria l’Ittita, aggravato dall’assassinio del rivale commesso per poter prendere in moglie l'amante. Alle parole di Natan, David si pente, si converte, e compone il salmo 51.
Manoscritti miniati con l’iconografia dei rimproveri di Natan iniziarono a diffondersi sia in Oriente che in Occidente nel IX secolo. In essi David è rappresentato in piedi, in ginocchio, o seduto su un trono, mentre Natan lo accusa stando in piedi e Betsabea presenzia agli avvenimenti, ma stando in disparte. A Bisanzio questa iconografia si arricchisce con l’inclusione di due personaggi: Metanoia, che impersona la ‘conversione’ di David, e un angelo, che porta l'annuncio dell’esecuzione della sentenza divina. Una variante che è documentata fino al XIII secolo, quando si imporrà l'immagine di David, seduto sul trono o in ginocchio, dinnanzi all'implacabile Natan (Walker Vadillo 2009, 47-49).
Per quanto riguarda l’aspetto propriamente iconografico, Metanoia è in generale nimbata, un nastro le cinge la testa e si affaccia al di sopra di un pulpito massiccio, avvicinando la mano sinistra al mento, in un atteggiamento riflessivo e introspettivo. Veste un peplo fermato con una fibula sopra la spalla destra, che lascia allo scoperto il fianco, e un mantello rosso che cade dalla spalla sinistra (Antonopoulos 2002, 13).
Unica eccezione a questi testimoni, che non si scostano molto dal tipo pittorico che poggia la testa su una mano, è la rappresentazione che appare in una Tavola dei canoni di due evangeli affini, conservati rispettivamente a Melbourne (National Gallery of Victoria, cod. 710/5 fol. 5v.) e a Venezia (Biblioteca Marciana, cod. Gr. Z540, fol. 6) e datati l’uno al 1100 ca., l’altro agli inizi del XII sec. Qui Metanoia è rappresentata come una virtù, con il capo coperto con un velo rosso, mentre stringe una palma tra le mani. Affiancata da Preghiera e Carità, essa fa propria l’iconografia di un’altra personificazione: la Saggezza (Antonopoulos 2002, 25-26).
In Occidente la figura allegorica di Metanoia/Paenitentia fu recuperata solo a partire dalla fine del ’400, quando i testi con le ekphraseis di Luciano e Ausonio ritornarono disponibili. In Italia, tra la fine del XV e il XVI secolo, le immagini di Metanoia/Paenitentia sono numerose, grazie soprattutto alla fortuna del tema della Calunnia di Apelle, che fu ripreso in numerose varianti sia testuali che figurative (cfr. Agnoletto 2005). Si nota che la postura della mano appoggiata al volto, che contraddistingueva Metanoia/Paenitentia nei rilievi del Cairo e di Torcello, è scomparsa: si impone invece l’immagine di una donna con le mani giunte, tristemente dimessa e pesantemente velata.
Così avviene anche nelle raffigurazioni che traggono spunto direttamente da Ausonio, come nel dipinto che Girolamo da Carpi realizzò per il duca signore di Ferrara Ercole II, agli inizi degli anni ’50 del XVI sec., e nello schizzo eseguito da Giorgio Vasari in occasione della "famosa Mascherata della Genealogia degli dei de’ Gentili", la sfilata delle antiche divinità organizzata a celebrazione dello sposalizio tra Francesco I de’ Medici e Giovanna d’Austria nel 1565 (Wittkower [1977] 1987, 213).
Leggermente diverso è il caso dell'affresco monocromo di scuola mantegnesca che ornava il camino della dimora mantovana del marchese Biondi, in cui la figura femminile che accompagna Occasio subisce una lieve variazione iconografica che comporta uno slittamento semantico significativo: la donna appare salda su un solido basamento rettangolare che si contrappone alla sfera su cui avanza rapida, in precario equilibrio, Occasio. “Opposto all’instancabile ridda del fato, questo solido piedistallo significa sicurezza e stabilità” (Wittkower [1977] 1987, 198s.), e converte la figura da personificazione del rimorso per una scelta poco meditata, in un’allegoria virtuosa che, lungi dall’essere inoperosa (con le mani giunte), non permette che la gioventù si lasci trarre in inganno dalle lusinghe dell’instabile Fortuna (non più intesa come occasione favorevole), trattenendola dal prendere decisioni troppo affrettate, contenendone l’audacia e frenandone gli entusiasmi.
Apatia e tristezza caratterizzano Metanoia/Paenitentia nella Calunnia di Fonzio e Botticelli, laddove un’altra peculiarità che Luciano le aveva assegnato, vale a dire l’atteggiamento vergognoso, passa a diventare un attribuito della Nuda Veritas, la quale si copre il pube con un gesto casto. Questa modifica è presente anche in diverse traduzioni/trascrizioni del brano ecfrastico, in cui per l’appunto Verità diviene pudica, mentre Metanoia/Paenitentia è descritta solo come una donna dolente. Di seguito si trascrivono i passaggi dei testi che, nel XV sec., attribuiscono a Verità il disagio proprio di Metanoia/Paenitentia.
Luciano, Περὶ μὴ τοῦ ῥᾳδίως πιστεύειν διαβολῇ, 5
κατόπιν δὲ ἠκολούθει πάνυ πενθικῶς τις ἐσκευασμένη, μελανείμων καὶ κατεσπαραγμένη, Μετάνοια <οἶμαι> αὕτη ἐλέγετο. ἐπεστρέφετο γοῦν εἰς τοὐπίσω δακρύουσα καὶ μετ ΄ αἰδοῦς πάνυ τὴν Ἀλήθειαν προσιοῦσαν ὑπέβλεπεν.
Guarino versione latina di Luciano [1403-08]
Subinde quaedam lugubri vehementer apparatu oscura veste seque dilanians assequitur, eaque esse penitentia ferebatur. Obortis igitur lacrimis haec retrovertitur, ut propius accedentem veritatem pudubunda suspiciat.
Alberti, De Pictura III, 53, [1435]
Subinde quaedam lugubri vehementer apparatu oscura veste seque dilanians assequitur, eaque esse penitentia ferebatur. Obortis igitur lacrimis haec retrovertitur, ut propius accedentem veritatem pudubunda suspiciat.
Alberti, Trattato Della Pittura III, 53, [1436]
Drieto a queste era la Penitenza, femmina vestita di veste funerali, quali sé stessa tutta stracciava. Dietro seguiva una fanciulletta vergognosa e pudica, chiamata Verità.
Bartolomeo Fonzio, versione italiana di Luciano [1472]
Drieto a queste era la Penitenza, femmina vestita di veste funerali, quali sé stessa tutta stracciava. Dietro segue la Penitentia donna maninchonosa con veste negra et lacerata, che lacrimando si volta indietro la Verità che ne viene vergognosa et timida raghuardando.
Agricola, versione latina di Luciano [1479]
Haec erat poenitentia, sed reprehendebatur ea et idcirco retrorsum conversa flebat, cumque pudore summo adeuntem respiciebat veritatem.
Rucellai, Canzone facta da Piero di Bernardo Rucellai per il trionpho della Calunnia [1493]
La tarda Penitenza in negro manto/ Guardo la Verità ch’è nuda e pura;/ Gli occhi suoi versan pianto/ Ch’ognun se stesso alfin nel ver misura.
Queste infedeltà filologiche, in cui la nudità di Verità è per lo più lasciata all’immaginazione, lasciano intravedere un possibile riferimento colto alla nuda veritas cantata da Orazio.
Orazio, Carmina I, 24, 7
Quis desiderio sit pudor aut modus
tam cari capitis? Praecipe lugubris
cantus, Melpomene, cui liquidam pater
vocem cum cithara dedit.
Ergo Quintilium perpetuus sopor
urget? Cui Pudor et Iustitiae soror,
incorrupta Fides, nudaque Veritas.
Ma nella Calunnia d’Apelle di Botticelli (come pure nella canzone del Rucellai), nudità è anche sinonimo di purezza. Infatti, a differenza di Calunnia, Insidia e Frode, che ricorrono alla simulazione e al travestimento per raggirare e ingannare, Verità non ha bisogno di maschere e costumi, ma si mostra semplicemente così com’è, senza veli e senza fraintendimenti. Diventata pudica in seguito alla cessione da parte di Metanoia/Paenitentia di una delle sue qualità, la Nuda Veritas della Calunnia d’Apelle di Botticelli diviene anche, per analogia con la figura protagonista della Nascita di Venere, raffigurata anch’essa come una Venus pudica, una figura Veneris (Agnoletto 2016).
Metanoia/Paenitentia nella Calunnia: il recupero e la rinascita di un'allegoria
La figura allegorica di Metanoia/Paenitentia ritrova un ruolo centrale nella Calunnia di Botticelli. In essa il Filipepi non si limita a seguire le indicazioni testuali fornite da Luciano e a tracciare l’immagine di una donna sofferente e vergognosa. Qui come altrove nel dipinto, il brano ecfrastico antico è arricchito di piccoli particolari che accrescono e approfondiscono il significato delle singole allegorie (si veda a titolo d’esempio il caso della Calunnia, che è adornata e agghindata da Frode e Insidia con un nastro bianco e dei boccioli di rosa, simboli di purezza e innocenza a lei del tutto estranee e improprie, con il fine di precisare che si basa sulla falsità delle accuse che la rendono verosimile; cfr. Agnoletto 2016). Questi dettagli sono particolarmente importanti perché in essi, allo stesso modo che nei rilievi che decorano il fondale architettonico del dipinto, affiora con originalità il discorso che l’auctor intellectualis della Calunnia sviluppò a partire dall’ekphrasis di Luciano, sulla base delle nuove esigenze maturate nell’ambito del Rinascimento fiorentino della fine del XV sec. Pertanto, questi innesti iconografici, nuovi o diversi, comunque indipendenti rispetto alla fonte antica, forniscono informazioni imprescindibili alla comprensione dell’opera stessa e del pensiero che l’ha generata e che ne è il fondamento.
Nel caso specifico di Metanoia/Paenitentia si può osservare che la figura allegorica oltre ad essere “vestita a lutto, nera e lacera nelle vesti”, ha il volto solcato da una profonda ruga, indizio di un’età avanzata. Inoltre l’attenzione è sollecitata dalla particolare posizione delle mani, incrociate sul davanti.
Questi due elementi, già presenti nella Calunnia di Bartolomeo Fonzio, stanno a indicare, il primo l’impossibilità di agire per cause naturali; il secondo letteralmente lo ‘stare con le mani in mano’, senza fare nulla; ossia l'apatia e l’esitazione che ostacolano l’agire dell’uomo.
Nel De Vita Longa, Marsilio tesse le lodi della lunga durata della vita, se bene condotta, dato che è necessario un lungo tempo per ottenere la perfectio scientiae ("artem scientiamque perfectam [non] posse nos eam nisi vitae longitudine consequi", De Vita Longa, I). Ma tuttavia Venere e Saturno congiurano contro le energie esteriori e interiori dell’uomo e, oltre all’attacco all’aspetto esteriore del nostro corpo, provocato da Venere, la vecchiaia si rivela, nel segno di Saturno, come il tempo in cui qualsiasi impegno mentale, o la fatica di una qualsivoglia occupazione, strema le forze mentali e insieme il vigore fisico:
Citam igitur senectutem tum Venus interioribus nostris, tum Saturnus exterioribus infert — Venus quidem praecipue, ubi ex quovis eius motu facile corpus debilitatur atque labascit; Saturnus quoque potissimum, quando ex quocunque contemplationis officio vel curae labore ingenii corporisque vires labefactantur (De Vita Longa XVI).
Vecchiaia saturnina, dunque, che ha una sua deriva nella apatia, nell’indolenza, nell’inazione – freni che come già Ausonio indicava e come il bassorilievo di Torcello mostra con didascalica allegoresi – è d’impedimento alla presa su Occasio.
La Calunnia recupera un senso profondo dell’idea di Metanoia, che si oppone alla senile apatia, ed è invece connesso con la capacità decisionale e l’intraprendenza umana nell’agire. Un concetto quello della necessità per l’uomo di una azione intraprendente, stimolata dal suo libero arbitrio centrale nel pensiero umanistico, inteso a difendere il primato della libertà umana rispetto al determinismo naturale, e a riaffermare, in questo esercizio di libertà, la superiorità dell’uomo rispetto alle altre creature: la libertà di scegliere da sé stessi gli scopi e i modi del proprio agire, e di perseguirli tramite la volontà, nel pensiero di Pico e di Ficino, ma anche di Nicolò da Cusa, è la prerogativa specifica dell’uomo, e, rispetto agli altri esseri, gli consente di forgiare se medesimo e il proprio destino nel mondo, giusta il monito latino homo faber ipsius fortunae.
Il tema della libertà di scelta è centrale non solo nel pensiero umanistico, ma anche nel dipinto di Botticelli, che ancora una volta si spinge oltre il dettato ecfrastico di Luciano e le semplici indicazioni allegoriche contenute nella fonte antica. Nel testo in cui invita a non credere alla calunnia, lo scrittore greco dà delle istruzioni per poter valutare correttamente persone e fatti. Affinché un giudizio sia giusto e illuminato dalla verità, ogni cosa dovrà essere esaminata con cura e sottoposta a un vaglio e a un giudizio rigoroso, smascherando le frodi, dissipando l’ignoranza, mettendo da parte sospetti e rancori. In questo modo si eviterà il pentimento e la vergogna cagionati da un giudizio erroneo. Botticelli nella sua Calunnia riecheggia la lezione di Luciano e rilancia l’idea di un giudizio giusto basato su criteri oggettivi e razionali, decorando con un’immagine di Minerva, la dea della saggezza, la tribuna sulla quale siede il re giudice (cfr. Agnoletto 2013a).
Ma nel complesso testo botticelliano la riflessione procede, sviluppando assieme alla questione della razionalità della scelta e dell’oggettività del giudizio, il problema del libero arbitrio: se la responsabilità di distinguere fra bene e male è assegnata all’intelletto, quella di perseguire l’uno o l’altro è invece assegnata alla libera volontà individuale: “lume v’è dato, i. v’è dato la ragione, et lo ’ntellecto, col quale conoscete el bene, et la virtù, et el male, et el vitio. Et certo è in voi libero arbitrio, et in vostra podestà eleggere quel voi volete” (Landino [1481] 1999, Purgatorio XVI, 73-75). L’uomo, nel discrezionale esercizio della propria volontà, può orientare verso il bene o verso il male le proprie innate tendenze, degenerando verso una dimensione inferiore, oppure rigenerandosi verso la dimensione superiore (Pico della Mirandola). Non a caso nel fondale della Calunnia, exempla di magnanimità da imitare (Muzio Scevola, David, Giuditta) si contrappongono a exempla di meschinità da evitare (Atamante, cfr. Agnoletto 2014; e la punizione di ruffiani e seduttori, cfr. Agnoletto 2016), mettendo in guardia sulla pericolosa instabilità che minaccia costantemente gli uomini, in bilico tra due poli opposti (alto/basso, bene/male, virtù/vizio, merito/colpa, perfezione/imperfezione).
E accanto alla ragione che può guidare l’uomo alla conoscenza del Vero, anche l’amore può, accendendo il desiderio, orientare la volontà affinché l’uomo persegua il bene e operi virtuosamente, migliorando la sua condizione, fino a provocare una conversione morale. Dà prova di ciò la vicenda sentimentale di Cimone che, da rozzo villano, per sedurre la bellissima Efigenia e diventare un compagno di lei degno, si converte in gentiluomo (architrave 8 e base 14, secondo la griglia alfanumerica proposta in Agnoletto [2013] 2014; per approfondimenti sul tema di Cimone e Efigenia si veda, in Engramma, Viero 2005; Agnoletto 2013b).
Se, come si è cercato di argomentare, l’amore è la sola forza direttrice capace di orientare verso il bene e rendere decisa ed efficace la libera volontà individuale, rendendo l’uomo perseverante nel raggiungimento dei propri propositi nobilitanti, è facile comprendere quanto fosse importante, anzitutto, scegliere Venere, la dea dell’amore, seguendo l’esempio di Paride (in architrave 5), così come evitare di disprezzare e rifiutare l’amore, colpa di cui si rendono responsabili sia Dafne (nel plinto 2), sia la giovane Traversari amata da Nastagio degli Onesti (nei cassettoni S1-S6).
Infine si osserva che, come di consueto nella complessa polisemia della Calunnia botticelliana, all’elogio della volontà ferma, che permette di forgiare una personalità e una esistenza degna, si contrappone la critica di chi ha un difetto di volontà e, in conseguenza, una scarsa propensione verso il bene. Si torna così alla centralità della figura di Metanoia/Paenitentia, che rappresenta proprio la lentezza, la debolezza, la negligenza nel desiderare; la rinuncia e il cedimento della volontà. Un vizio che il Medioevo fece coincidere con il peccato dell’accidia, “la quale non è altro, che non amare Idio, et le virtù, con quel fervore, che si conviene” (Landino [1481] 1999, Purgatorio XVII, 85-87).
Metanoia/Paenitentia come Melanconia nella Calunnia: la renovatio neoplatonica
Finora si è deliberatamente evitato di prendere in esame un aspetto che accomuna le figure allegoriche di Metanoea/Paenitentia di Bartolomeo Fonzio e Botticelli: l’incarnato scuro. Lungi dall’essere un elemento insignificante, questo connotato venne utilizzato da Fonzio e Botticelli, prima ancora che da Albrecht Dürer nella sua celebre incisione Melencolia I, per far riferimento al difetto di temperanza – per eccesso – dell’umor nero, che contraddistingue i soggetti melanconici.
Sul colorito del malinconico rimandiamo alle pagine dello studio fondamentale del primo Warburgkreis, Saturno e la malinconia:
“Sia il figlio di Saturno che il melanconico (si trattasse di melanconia patologica o di melanconia temperamentale) erano ritenuti dagli antichi scuri e neri d’aspetto. Quest’idea era comune nella letteratura medica medioevale, come pure negli scritti astrologici sui pianeti e nei trattati popolari sulle quattro complessioni” (Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 272).
A tale proposito si ricorda che per Archigene di Apamea “i sintomi tipici della melanconia erano [tra gli altri]: pelle scura, gonfiore, cattivo odore”; per Rufo di Efeso il melanconico “era gonfio e di colorito scuro”; e per Aristotele “le caratteristiche del melanconico corrispondevano sostanzialmente a quelle del πικρóς (amaro/scostante), che era caratterizzato dai capelli neri e dalla carnagione scura” (Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 44; 47; 55-56).
È verosimile che sia Fonzio, membro dell’Academia Platonica e amico di Marsilio Ficino, sia l’auctor intellectualis della Calunnia, il quale intesse temi caratteristici del neoplatonismo fiorentino (la tematica dell’amore nobilitante, della contemplazione amorosa, della bellezza), conoscessero le idee elaborate nell’antichità sulla melanconia e sapessero che Metanoia/Paenitentia e Melanconia sono accomunate da una identica sintomatologia, quale la tristezza, lo scoraggiamento, la perdita del tono vitale; e da una stessa peculiarità, l’età avanzata, poiché era comune la credenza che la “bile nera” o atra bilis dominasse nella vecchiaia:
"Una connessione si poteva quindi stabilire senza troppe difficoltà tra i quattro umori (e più tardi i quattro temperamenti) e le quattro età dell’uomo: connessione che ha resistito sempre e che sarebbe stata di importanza fondamentale negli sviluppi futuri sia della speculazione, sia delle rappresentazioni figurate. Per tutto il Medioevo e il Rinascimento questo ciclo si mantenne virtualmente immutato, se si tolgono alcune divergenze circa il suo inizio: poteva cominciare con l’infanzia 'flemmatica' e passare per la gioventù 'sanguigna' e la maturità 'collerica', per giungere alla vecchiaia 'melanconica' (in certe circostanze ritornando a una 'seconda infanzia'); o invece poteva cominciare con la gioventù 'sanguigna', passare per un periodo 'collerico' tra i venti e i quarant'anni e un periodo 'melanconico' tra i quaranta e i sessanta, per concludersi in una vecchiaia 'flemmatica'" (Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 14).
A ragione di tutto ciò, Metanoia/Paenitentia e Melanconia sarebbero due allegorie pressoché sovrapponibili, se non fosse che Marsilio Ficino, senza dimenticare la facies sinistra della melanconia, ereditata per mezzo dei trattati medici dell’Antichità e del Medioevo, ne mostrò la straordinaria potenza positiva, elaborata a partire da un passaggio degli pseudoaristotelici Problemata (XXX, 1), nel quale si presenta la melanconia come l’umore dei grandi uomini: di eroi tragici quali Ercole, Aiace, Bellerofonte; e di uomini straordinari quali i filosofi Empedocle, Platone e Socrate, o la maggior parte dei poeti. Rivisitando, o meglio dignificando questa complessione umorale, il filosofo fondatore dell’Accademia di Careggi situerà l’umore melanconico alla base della personalità eccezionale, al considerare che si tratta dell’umore che conferisce la superiorità dello spirito, giacché predispone l’anima alla comprensione del sublime, ad essere stimolata ed elevata (Rius 1987, 25).
Dunque, nel rappresentare Metanoia/Paenitentia con un corpus niger sicut lutum (così Johann von Neuhaus, autore del Tractatus de Complexionibus) Fonzio e Botticelli non insistono nella descrizione di uno stato d’animo dolente, che ha già trovato un’espressione eloquente nell’abito nero e lacero. Piuttosto offrono una chiave di lettura che esorta ad interpretare Metanoia/Paenitentia con la caratteristica di una facies nigra propter melancholiam (così Ibn Esra, astrologo erudito, autore di opere filosofiche d’ispirazione neoplatonica), come una personificazione della melanconia. Il colorito livido e terreo è un attributo che la raffigurazione convenzionale di Melanconia non condivide né con Tristezza né con Metanoia/Paenitentia, e che la identifica e la distingue come tale (a questo proposito è possibile che anche l’incarnato scuro del Livore vada letto come un'espressione del sentimento rancoroso che contraddistingue i soggetti melanconici).
Così facendo, la figura di Metanoia/Paenitentia viene a essere dotata di un carattere ambivalente, negativo/positivo, sconosciuto all’allegoria antica dato che, all’occorrenza, veniva affiancata, come nel bassorilievo di Torcello, dalla compagna ‘positiva’ Pronoia. Vestiti i panni di Melanconia, Metanoia/Paenitentia diviene un’allegoria doppia, poiché compendia in sé sia l’ignavia che la perseveranza nel doppio senso, di pigrizia, ma anche di tenacia. Sulla prima si è già ragionato. La seconda è il risultato degli influssi di Saturno, astro della melanconia, che induce a perseverare nella ricerca del sapere e a restarne in possesso “Saturnus qui efficit, ut in doctrinis investigandis perseveremus inventasque servemus” (De Vita Triplici, I, IV, 2). Secondo la dottrina ficiniana sulla melanconia, infatti, è la bile nera che stimola continuamente lo spirito al raccoglimento e alla contemplazione, che lo incita ad approfondire la ricerca e lo eleva alla comprensione delle realtà più sublimi.
Igitur atra bilis animum, ut se et colligat in unum et sistat in uno contempleturque, assidue provocat. Atque ipsa mundi centro similis ad centrum rerum singularum cogit investigandum, evehitque ad altissima quaeque comprehendenda, quandoquidem cum Saturno maxime congruit altissimo planetarum. Contemplatio quoque ipsa vicissim assidua quadam collectione et quasi compressione naturam atrae bili persimilem contrahit (De Vita Triplici, I, IV, 4).
La doppia facies di questa nuova figura di Metanoia/Paenitentia, rinnovata seguendo le direttrici ficiniane in chiave umanistica (ma anche in senso spiccatamente ‘aristotelico’), è un riflesso fedele della presa di coscienza, da parte dell'uomo rinascimentale, dell'ambivalenza della natura umana, in bilico tra l'affermazione e il dubbio di sé:
“Una posizione al ‘centro dell’universo’, quale l’orazione di Pico della Mirandola aveva attribuito all’uomo, implicava il problema di una scelta tra innumerevoli direzioni, e nella sua nuova dignità l'uomo appariva in una luce ambigua che ben presto avrebbe rivelato un pericolo ad essa intrinseco. Infatti nella misura in cui la ragione umana insisteva sul suo potere simile a quello divino, era anche destinata a prendere coscienza dei suoi limiti naturali. È significativo che il primo Rinascimento abbia affrontato con vero interesse il tema della scelta etica, che l'epoca precedente o aveva del tutto ignorato, o aveva lasciato al settore specifico della dottrina teologica della grazia” (Klibansky, Panofsky, Saxl [1964] 1983, 232).
Si può quindi affermare che la questione della responsabilità morale trova un’espressione tangibile nella Calunnia di Botticelli, e particolarmente nella personificazione di Metanoia/Paenitentia che simbolizza la volontà attiva – il saper ricredersi – che è un esito dell’umana libertà di scelta.
La riflessione su questo snodo concettuale pare estendersi sulle pareti del loggiato, dove tre figure richiamano il typus melancholiae, quale si troverà descritto e fissato, un secolo più tardi, nell’Iconologia di Cesare Ripa:
“Donna vecchia, mesta & dogliosa, di brutti panni vestita, senza alcun ornamento, starà a sedere sopra un sasso, con gomiti posati sopra i ginocchi, & ambe le mani sotto il mento, & vi sarà a canto un albero senza fronde, & fra i sassi”.
Le tre figure che scorgiamo nelle piccole vignette sulle pareti del fondale della Calunnia siedono solitarie o appartate, con la testa reclinata sulle ginocchia e lo sguardo pesante, rivolto al suolo. In qualche immagine la testa poggia sulla mano, un sasso serve da sedile, o è abbozzato quello che sembra un albero sfrondato.
La disposizione dei riquadri in prossimità della figura di Metanoia/Paenitentia, rafforza l’ipotesi che si tratti di soggetti relazionati con questa allegoria. Per le tre figurette ‘malinconiche’ non si possono avanzare proposte d’identificazione più precise, in alternativa a quelle, a mio avviso un po’ stravaganti, presentate da Stanley Meltzoff, secondo cui il rilievo in B3 rappresenta Amfione con la lira, e quello in P6 Siringa in pianto tra le canne (cfr. Meltzoff 1987); si può ipotizzare però con qualche ragione che l’immagine in B3 abbia una valenza negativa. Indipendentemente dal fatto che rimandi o meno a un personaggio preciso, in questo rilievo è rappresentata una malinconia nociva, che conduce all’apatia e all’ignavia, che debilita la forza di volontà necessaria ad agire secondo virtù e a perseguire il bene. A questa conclusione si giunge considerando il contesto, ovvero il fatto che sulla prima arcata del loggiato del dipinto sono disposti exempla negativi di vizi e comportamenti da evitare, che condannano l’uomo alle più oscure profondità della terra, e gli impediscono di raggiungere le sfere più alte dell’attività umana.
Prima di concludere questo contributo, vorrei tornare su una questione. Quando Ficino parla dei melanconici si riferisce unicamente agli intellettuali: teologi, poeti e filosofi. Secondo l’umanista infatti solo la mens intuitiva – l’unica delle facoltà umane puramente metafisica e pertanto la più elevata – può ricevere le influenze ispiratrici di Saturno. La ratio discorsiva, che governa la sfera dell’azione morale e politica appartiene a Giove, e la imaginatio, che guida la mano dell’artista e dell’artigiano appartiene a Marte o al Sole (Rius 1987, 39). Secondo Ficino l'influsso di Saturno induce una contemplazione sublime, divina, propria degli uomini di genio, e degli intellettuali. Nella Calunnia di Botticelli, invece, Melanconia, travestita nell’habitus di Metanoia/Paenitentia, predispone gli uomini al ravvedimento che passa per l’iniziazione amorosa (Cimone) ma plasma anche il cittadino esemplare.
Riassumendo, senza le idee ficiniane sulla melanconia, non sarebbero concepibili le personificazioni di Metanoia/Paenitentia nelle versioni della Calunnia di Fonzio e Botticelli, che rappresentano un unicum all’interno del repertorio delle Calunnie di Apelle. Più stabile nel tempo sarà l’immagine di Metanoia/Paenitentia come figura sofferente e inoperosa, che persisterà, pur subendo qualche variazione iconografica, come nel caso del disegno di Andrea Mantegna, oggi al British Museum, in cui la postura delle mani incrociate sul davanti è tradotta nel gesto dell’orante; o come nel dipinto di Lorenzo Leonbruno in cui pesanti catene conferiscono lentezza e inerzia alla personificazione del Pentimento.
Questo il quadro – concettuale e allegorico – in cui Botticelli concepisce la sua eccezionale riconversione ecfrastica da Luciano. E in questo quadro è probabilmente da ricercare se non l’identità del destinatario, quanto meno il suo profilo e comunque il milieu a cui è indirizzato il messaggio della Calunnia di Sandro Botticelli.
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English Abstract
Throughout this work we have tried to argue that the figure of Metanoia/Paenitentia in the The Calumny of Apelles, painting by Sandro Botticelli, is used to express ‘sloth’: the reluctance which prevents men from pursuing truth, good and justice, and from becoming better people. However, she also represents the perseverance that allows men to achieve these goals. These two, opposite, meanings are possible due to the interpretation of Metanoia/Paenitentia as Melancholy. Indeed, according to the doctrine of Marsilio Ficino, the melancholic state has positive and negative effects: melancholy is not only a temperament linked with sadness and apathy, but also a disposition which influences men leading them to a state of fervor or contemplation. Represented as an old woman, in mourning and overwhelmed by sorrow, Metanoia/Paenitentia looks like Melancholia, and she may well be interpreted as Melancholy, since she has a dark face, supposedly resulted from an excess of the black bile.
keywords | Melancholy; Calumny of Apelles; Botticelli; Metanoia; Paenitentia.
Per citare questo articolo / To cite this article: S. Agnoletto, Tra ignavia e perseveranza: il doppio valore della Melancholia. La personificazione di Metanoia/Paenitentia nella Calunnia di Apelle di Sandro Botticelli, “La Rivista di Engramma” n. 140, dicembre 2016, pp. 53-77 | PDF of the article