"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Connessioni

Editoriale di Engramma n. 168

Maria Bergamo, Fabrizio Lollini

English abstract

Nella storia dell’arte (delle arti), la metodologia tradizionale di stampo filologico-attributivo è supportata, oltre che dalla sua pratica costante, soprattutto in Italia, e dalle ricadute che ha sul mercato, pure da un frequente metadiscorso: cosa fa, e chi è, un attribuzionista, un connoisseur (meglio sarebbe dire connaisseur)? Una persona che, avendo un ampio bagaglio di conoscenza di opere, effettua una selezione progressiva sempre più stretta, e dall’anonimo dipinto di primo Quattrocento italiano, arriva alla scuola senese, poi a Sassetta, poi al Sassetta del quinto decennio (e suo ultimo di vita e di attività); o che davanti a un’adespota terracotta di una Madonna col Bambino, nota da lungo tempo, giunge per primo a pronunciare il nome di Leonardo. Workshop, seminari, serie di conferenze, insegnano una pratica che costituisce una sorta di palestra visiva, dove se non ci si costruisce prima un po’di muscolatura di base non riesci a sollevare certi pesi, e che, secondo alcuni, trattiene in sé la natura stessa dello specifico disciplinare della storia dell’arte.

La lettura iconografica, e l’interpretazione iconologica, assommano invece al loro interno una plurivocità di tendenze, di prassi, di – potremmo dire – sottogeneri, e metodologie diverse, che spaziano dalla storia sociale al simbolismo. Chi è l’iconologo? Si potrebbe definire – in antitesi al connoisseur – un connecteur. E cosa fa? Trova e avvicina le connessioni nascoste tra discipline, delinea rapporti tra testi scritti, fonti letterarie, e traduzioni visive; mette in cortocircuito l’opera d’arte con il suo contesto sociale, economico e culturale in senso lato; o, magari, definisce delle serie, delle gallerie, in cui inserire un dato nuovo, e poter mettere a confronto eventuali varianti (in quest’ultimo caso, riemerge chiaro il concetto di paragone implicito nell’approccio filologico). L'iconologo supera la superficie formale dell'opera ed entra nel suo contenuto. E' quello che dal banale titolo “Allegoria del Sacro e Profano” arriva ai testi neoplatonici, e da lì, passando per l'arte classica, ai moralia e mediante la storia della moda, giunge a identificare la committenza del quadro nuziale di una nobile veneziana accusata di disonore. Osa insomma rispondere alla domanda più scandalosa (ma la più ovvia e gettonata in qualunque visita guidata, e non solo generalista): “cosa significa?”

Sono molti i modi di fare iconologia, e questo numero di Engramma vorrebbe proporne alcuni (senza certo pretese tassonomiche), di tipologie affatto diverse e applicate su campi cronologici e materiali del tutto dissimili.

Ci invita a entrare nel vivo del numero un coniglio, che, come suggerito dal contributo di Fabrizio Lollini Il coniglio “festaiuolo”. Nota sulle strategie di attrazione dello sguardo nella pittura del Quattrocento, da semplice dettaglio iconografico diviene un medium visivo tra ‘fuori’ e ‘dentro’ in due quadri di Andrea Mantegna e Giovanni Bellini, in un congegno pittorico che punta a una compartecipazione di sentore albertiano.

Un complesso excursus tra fonti, immagini e riflessioni critiche spinge Barbara Baert in The Weeping Rock. Revisiting Niobe through Paragone, Pathosformeln and Petrification ad affondare nel significato profondo del mito. L'inerzia materiale, la pietrificazione della forma come esito finale si pone in contrappunto al dinamismo del più alto grado di espressione patetica – riprendendo una lettura del Mnemosyne Atlas warburghiano – e apre a un confronto sul tema retorico del ‘paragone’ nel dibattito tra le arti. I temi sviluppati attorno alla figura di Niobe – ibrido, lamento e substrato ctonico – divengono accesso diretto a un’ermeneutica bipolare del mezzo visivo: la “psicologia storica dell'espressione umana” che naviga tra Apollo e Dioniso.

L’intervento di Giacomo Confortin L’oro di Tarkovskij. Per un’iconologia indebita di Andrej Rublëv (1966) applica invece la lettura iconologica a un prodotto filmico, l’Andrej Rublëv di Andrej Tarkovskij. Al di là della presentazione (e della rappresentazione) di oggetti artistici o location medievali, la medievalità del regista e della sua opera viene definita attraverso una stratificazione di riferimenti, ma sempre tenendo conto che il metodo panofskiano si basa implicitamente su un’idea di applicazione alle artes mutae, pur se il grande studioso del secolo scorso si era anche occupato, e in maniera assai approfondita, di cinema; i parametri non possono però essere gli stessi (fosse solo per il fatto che diverso, rispetto alla pittura e alla scultura, è il rapporto con la parola e il testo scritto). E lo studio del 1934 impiegava ancora tutto sommato, come ovvio, un’idea di sequenzialità di immagini statiche: Style and Medium – appunto – in the Motion Pictures. Ed è da avvertire che anche lo slot cronologico di questo specifico caso di studio pone problemi, dal momento che la periodizzazione del Medioevo dell’est Europa, e specificamente della Russia, è mondo a sé, così come la sottesa continuità formale basata sulla replicazione di forme consolidate. In ogni caso il contributo rivela grazie a una lettura iconologica una stratificazione di simboli, legati anche all’oro – l'oro del Salvatore che diviene l’oro del Distruttore.

Il fulmineo contributo di Luca Capriotti Tre bocche. Esempi di performazione sonora nelle arti visive medievali parte da una suggestione: l’evidenziazione del dato somatico della bocca aperta in una serie di tre opere d’arte del pieno basso Medioevo (l’ultima ha un pedigree particolarmente alto, visto che è un dettaglio di una delle scene più celebri delle Storie di San Francesco di Giotto e aiuti nella chiesa superiore di San Francesco ad Assisi). Ma la questione è: il distacco dalla imperturbabilità atarassica è un elemento che avvicina le tre opere a quello che per noi moderni è il dato naturale, magari in relazione alla descrizione quasi fotografica di pratiche performative coeve, o piuttosto il riciclaggio di schemi iterati che, come un fiume carsico, attraversa secoli e periodi stilistici? I tre gruppi di volti deformati dal gesto che esprime l’emissione del suono paiono quasi tre studi da leggere in sequenza – non lo dice l’autore – , è ovviamente una affascinante forzatura; un po’ come i visi che si trasformano nelle opere di quel Francis Bacon, che proprio dal Medioevo ha tratto tante volte schemi compositivi e impostazioni di presentazione, e che nei Three studies for a portrait (Mick Jagger) sfruttò appena la potenzialità orale che per definizione caratterizzava il personaggio ritratto, in qualche modo nascondendone la specificità.

L’iconologia, intimamente trasversale, può essere applicata in modo coerente anche in un campo metodologico diverso, che per definizione è sorto nel mondo contemporaneo, come è quello degli studi sulle tematiche di genere. Ne è esempio l’intervento di Maurizia Paolucci Queering the Body, Birthing the Nation, Gendering God. An Atlas che ripercorre, a mo’ di galleria commentata (e che non procede, per scelta, per discorsi piani e coordinati) una serie di esempi significativi della realtà del corpo maschile e di quello femminile trasposta in immagine dal Rinascimento ai nostri giorni, prendendo in esame tanto Botticelli quanto Gilbert & George.

A chiudere, le presentazioni di alcuni eventi da noi giudicati come efficaci e odierni metodi di connessione: due mostre e due edizioni che hanno il merito di portare la complessità ermeneutica verso il pubblico o di porsi come interpreti di codici linguistici apparentemente ostici. Nella collana curata da Massimo Cacciari per Il Mulino – Icone. Pensare per immaginile opere d'arte vengono sottoposte come imagines agentes alla lettura di alcuni intellettuali odierni, di norma non storici dell'arte, che con le armi della propria disciplina sviluppano nuove connessioni simboliche. Di libri interattivi, curiosi, divertenti e tecnicamente straordinari raccontano le mostre parallele a Roma e Torino che da poco si sono concluse: Pop-App. Libri animati dalla carta alle app, curate da Gianfranco Crupi e qui presentate da Elisa Bastianello. Il titolo della 58. Biennale Arte 2019 “May you live interesting time”, raccontata dalle foto e dalle parole di Marianna Gelussi in Arte e Biennale in tempi interessanti. Recensione della 58. Biennale di Venezia, fa riflettere sul ruolo dell'arte come sismografo o specchio del mondo contemporaneo. Infine, il contributo di Maria Bergamo sulla nuova edizione Monumenta marciani. Presentazione del libro San Marco la Basilica di Venezia. Arte, storia, conservazione, si concentra sulla storia della Basilica attraverso gli organi deputati alla sua tutela, per focalizzare l'attenzione sull'importanza della relazione tra cultura materiale e estetica nello studio e nella conservazione di uno dei monumenti iconici del patrimonio artistico mondiale.

English abstract

Engramma issue no. 168 is dedicated to the different approaches to the iconological reading of artistic artefacts. It includes texts by Barbara Baert, Giacomo Confortin, Luca Capriotti, Fabrizio Lollini, Maurizia Paolucci, and offers also reviews of recent books, exhibitions and editorial series, by Elisa Bastianello, Maria Bergamo, Massimo Cacciari, Marianna Gelussi.

key words | iconology; history of arts; theory of art criticism

Per citare questo articolo / To cite this article: M. Bergamo, F. Lollini (a cura di), Connessioni, “La Rivista di Engramma” n. 168, settembre/ottobre 2019, pp. 7-11 | PDF 

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2019.168.0001